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domenica 22 ottobre 2017

Immortalità (reg. Miklós Jancsó - 1959)

Per chiudere questa breve trilogia Fera ecco l'orazione funebre di Ernesto Gliozzi il vecchio per Michele Fera padre di Mimì. Ricorrendo alla fresca genealogia di Francesco di Raimondo, nacque in Platì il 14 dicembre 1851 da Francesco e Taliano Francesca. Dalle nozze con Concetta Ieraci nacquero Francesco, Alfonzina, il citato Mimì (Domenico) e Antonio. Questo documento, spoglio di data, molto probabilmente risale al secondo decennio del secolo scorso.



Signori
In nome della famiglia, della fratellanza ed anche in nome di tutti voi- se mi permettete – compio il mesto ufficio di dare l’estremo saluto alla salma di Michele Fera- Italiani. Se l’affermazione di Bruto- che la virtù cioè è un nome vano – si può considerare ancora come l’hanno considerata i nostri maggiori quale essa è: una bestemmia … Se nel naufragio di tante cose belle e distrutte rimane ancora a galla qualche cosa come il galantomismo, la bontà, l’onestà … io vi prego di ascoltare, riverenti, il saluto che porgo, con voce commossa, a quest’uomo d’altri tempi, che tenne ferma la sua bandiera, materiata tutta di bontà.
Il non fare male ad alcuno, il beneficare gli altri all’occorrenza, l’essere immacolato d’egoismo: tutto questo credo basterebbe oggigiorno per rilasciare il nulla-osta sul passaporto lusinghiero di colui che si affretta verso le porte dell’immortalità.
Perdonatemi ho detto una parola audace “l’immortalità“…
Non già che io pensi che Michele Fera dovrà vivere sempre in mezzo a noi e nelle menti delle generazioni future … C’è troppa fretta, lo so, per dimenticare i morti! Ma quella parola che mi è sfuggita serviva a denotare l’ideale verso cui camminava l’estinto – l’immortalità dell’anima intendo – e quest’ideale, questa fede erano il suo retaggio migliore, era tutto ciò che aveva conservato gelosamente; informando ogni atto, ogni sentimento della sua vita ai santi dettami di questa religione: Non arrossiva di credere, non si vergognava di Dio. Oh non ci siano qui a sentirmi dei bugiardi apostoli del nulla, a cui Dio è il ventre; se ci fossero potrei ripetere loro le parole di Robespierre che scriveva a Chomet: “ La morte non è un sonno eterno, essa è il principio dell’immortalità “. Basta, basta.
Ecco perché Michele Fera fu buono, onesto, benefico; ecco perché soffrì con rassegnazione i dolori e si addormentò placidamente nel bacio del Signore.
Posso coscientemente affermare che il mio penitente, il mio confratello, il mio amico, sul letto di morte, non ebbe un rimorso che lo facesse piangere, non ebbe un nemico da perdonare né un centesimo da restituire. Ebbe invece tutto l’affetto tenero di angioletti figli, l’amore ardente della sua compagna e, questa sera, la manifestazione di stima di questo popolo che l’accompagna. Credo che basti.
Che se poi la mano sacrilega di una falsa civiltà moderna vorrà dare gli ultimi colpi di scure ai puntelli che sostengono l’impalcatura della civile società; dalla rovina immane allora sorgeranno delle ombre a protestare, ed in mezzo alloro anche tu, o Michele Fera ­– Italiani.
Per ora riposa in pace. Ti sia premio Iddio, cui tu credesti.
Ti accompagni il saluto dolorante della famiglia, il mesto rimpianto dei fratelli della congregazione a cui appartenesti; e le benedizioni di tutti quanti ti conobbero, ti stimarono e amarono.
  Addio per sempre.
 Ernesto Gliozzi sen.


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