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lunedì 22 settembre 2014

Il canto dei nuovi emigranti (reg .Felice D’Agostino/Arturo Lavorato - 2005)

Oggi in contemporanea col nuovocinemaloretodiplatì



Ce ne andiamo. Ce ne andiamo via. Dal torrente Aron Dalla pianura di Simeri.Ce ne andiamo con dieci centimetri di terra secca sotto le scarpe con mani dure con rabbia con niente.
Vigna vigna fiumare fiumare
Doppiando capo Schiavonea.
Ce ne andiamo dai campi d'erba tra il grido delle quaglie e i bastioni. Dai fichi più maledetti a limite con l'autunno e con l'Italia. Dai paesi più vecchi più stanchi in cima al levante delle disgrazie.
Cropani
Longobucco
Cerchiara Polistena
Diamante
Nao
Ionadi Cessaniti
Mammola
Filandari...
Tufi. Calcarei immobili massi eterni sotto pena di scomunica.
Ce ne andiamo rompendo Petrace con l'ultima dinamite. Senza sentire più il nome Calabria il nome disperazione.
Troppo tempo siamo stati nei monti con un trombone fra le gambe. Adesso ce ne scendiamo muti per le scorciatoie.
Dai Conflenti
dalle Pietre Nere da Ardore.
Dal sole di Cutro
pazzo sulla pianura
dalla sua notte, brace di uccelli.
Troppo tempo a gridarci nella bettola il sette di spade a buttare il re e l’asso.
Troppo tempo a raccontarci storie chiamando onore una coltellata e disgrazia non avere padrone.
Troppo troppo tempo a restarcene zitti quando bisognava parlare, basta.
Noi vivi e battezzati
dannati.
Noi violenti sanguinari con l'accetta conficcata nella scorza dei mesi degli anni.
Noi morti ce ne andiamo in piedi sulla carretta.
Avanzano le ruote cantano i sonagli verso i confini.
Via!
Via dai feudi dagli stivali dai cani dai larghi mantelli.

Ussahè…

Via Via!
Via dai baroni.
I Lucifero
I conti Capialbi
I Sòlima gli Spada
I Ruffo
I Gallucci.
Usciamo dai bassi terranei dal sudario dei loro trappeti dai parmenti della vendemmia profondi
a lume di candela e senza respirazione.
Via
dai Pretori dalla Polizia dagli uomini d'onore.
Non chiamateci. non richiamateci.
È scrittonei comprensori
È scritto nei fossi nei canali
È scritto in centomila rettangoli
alto su due pali
Cassa del Mezzogiorno
ma io non so che cosa si stia costruendo se la notte o il giorno.
Ci sono raffiche su vecchie facciate che nessuno leva: l'occhio del Mitra è più preciso del filo a piombo della Rinascita.
Addio, terra. Terra mia  lunga  silenziosa.
Un nome non lo ebbe  la gioventù
non stanchiamoci adesso
che ci chiamano col proprio cognome
Noi Noi ce ne siamo  già andati.
Dai catoi dagli sterchi orizzonti.
Da Seminara
dalle civette di Cropalati.
Dai figli appena nati inchiodati nella madia calati dalle frane dall'Aspromonte dei nostri pensieri.
Spegnete le lampadine della piazza. scordiamoci delle scappellate dei sorrisi dei nomi segnati
e pronunciati per trentasei ore.

Cassiani
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Foderaro Galati
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
Cassiani
Cassiani

La croce sulla croce,diceva l'arciprete.
E una croce sulla croce,
segnavano le donne.
andavano e venivano.

Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi

È stato sempre silenzio. silenzio duro della Sila delle sue nevicate a lutto.
È stato il pane a credenza portato sotto lo scialle all'altezza del cuore.
Sono stati i nostri occhi stanchi guardando le finestre illuminate della prefettura.
Carabinieri,fermatevi.  giratevi non c'è nemmeno un cane.
Siamo tutti lontani latitanti.
Fermatevi.
Restano gli zapponi dietro la porta, i cieli, i vigneti. La pietra di sale sulla tavola.
I vecchi che non si muovono dalla sedia, soli con la peronospera nei polmoni.
Le capre
la voce lunga
degli ultimi maiali scannati.
L'argento a forma a forma di cuore, nella chiesa.
Le ragnatele dietro i vetri, le madonne.
la ragnatela del Carmine
la ragnatela di Portosalvo
la ragnatela della Quercia
Restano le donne consumate da nove a nove mesi con le macchie della denutrizione della fame.
Le addolorate Le pietà di tutti gli ulivi, Lavando rattoppando cucinando su due mattoni raccogliendo spine e cicoria.
Cancellateci dall'esattoria Dai municipi dai registri dai calamai della nascita.
Levateci il I giorno di scuola senza matita senza quaderno senza la camicia nuova.
Toglieteci dalle galere.Non ubriacateci. Liberateci dai coltelli di Gizzeria dal sangue dei portoni.
Non chiamateci da Scilla con la leggenda del sole del cielo e del mare.
Siamo ben legati a una vita
a una catena di montaggio
Scioglieteci dai limoni dai salti del pescespada.
Allontanateci da Palmi e da Gioia.
Noi vivi
Noi morti
presi e impiccati cento volte ce ne siamo già andati staccandosi dai rami, dai manifesti della repubblica.
Di notte come lupi come contrabbandieri come ladri.
Senza un'idea dei giorni delle ciminiere degli altiforni.
Siamo in 700 mila su appena due milioni.
Siamo i marciapiedi più affollati.
Siamo i treni più lunghi.
Siamo le braccia le unghie d'Europa. Il sudore Diesel.
Siamo il disonore la vergogna dei governi.
Il Tronco di quercia bruciata
il monumento al Minatore Ignoto
Siamo l'odore di cipolla che rinnova le viscere d'Europa
Siamo un'altra volta la fantasia degli dei.
Milioni di macchine escono targate Magna Grecia.
Noi siamo le giacche appese nelle baracche nei pollai d'Europa.
Addio, terra.
Salutiamo,  è ora.

Franco Costabile


1 commento:

  1. Nel cercare altro in questo enorme arcipelago che è il tuo blog, ho di nuovo incontrato questa meravigliosa poesia che non conoscevo ed ho letto per la prima volta qui.

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