La ginestra si sviluppa come un arbusto, germoglia in primavera e fiorisce a grappolo in estate.
E’ in questo periodo che venivano potate con le forbici le parti più tenere. Queste, dimezzate, si bollivano nei calderoni di rame. Era questa una preparazione che veniva svolta ‘nto catoiu. Mi pare di aver sentito dire una volta che questo compito veniva svolto dallo zio Ciccillo per conto della nonna Lisa. Era lei che dirigeva tutte le operazioni fino alla tessitura finale. Ma sono andato troppo avanti.
Raffreddata l’acqua la ginestra veniva scolata e sfilacciata separandola dalle parti legnose e posta a macerare in acqua corrente. Scolata di nuovo e sbattuta per togliere i residui d’acqua era asciugata al sole ricavando un prodotto simile alla lana o alla stoppa. I lavori che seguono venivano svolti in casa e cioè la pettinatura o cardatura, a forza di braccia, e la filatura. Erano gli stessi lavori che le donne eseguivano con la lana di pecora.
Il pettine era uno strumento che mi atterriva di paura: due tavolette di circa venti centimetri per quaranta piene di chiodi; mi è tornato in mente durante la lettura dell’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, quando descrive la mandibola dell’orca ferone. Assicurata una di queste tavolette su un punto stabile, si ricoprivano i chiodi, o denti, di ginestra e con l’altra tavoletta libera si scorreva a mo di pettinatura, la stoppa allungandosi, successivamente veniva filata, disponendo della rocca e del relativo fuso, raccogliendo il tutto in gomitoli artigianali.
Entra ora in scena il vero protagonista, colui che porterà a termine la trama:il telaio.
Avete presente l’organo della Cattedrale di Lipsia dove Giovanni Sebastiano Bach digitava la sua musica per Dio? Ecco a quello strumento solo si può paragonare il telaio della zia Angeluzza o della nonna Lisa ed esse ne erano le esecutrici che al termine dell’intricato canone di tutto lo spartito producevano lenzuola, tovaglie, tovaglioli e mappine che nessuno stilista di nome eguaglierà mai.
continua ...
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