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lunedì 22 aprile 2013

Corpo celeste pt.2

I. M. I.

DINANZI LA SALMA
de L’ Arciprete SAVERIO OLIVA

          SIGNORI,

  Oggi la grande festa de lì Immacolata, in questo piccolo paesello, si è convertita in lutto popolare per la  morte dell’Arciprete. L’importante corteo mi dice che scende ne la tomba un uomo dabbene.
  Veramente, ai giorni nostri, gli sguardi delle masse si fermano meglio sopra i cuori che amano, anziché sulle teste che passano.
  Un uomo che possegga tutte le lingue, un dotto, e arcigno, un uomo insomma, per così dire , di lettere – sena la carità, - non è altro se non un cembalo, un campanello squillante … e ce lo dice San Paolo.
  La carità è tutto: è il sole che illumina, rianima e riscalda tutte le creature vive; è l’astro maggiore de l’universo: cieco chi nol vede!
  Quando un uomo, da cui emana questo sole di carità, si oscura o si eclissa, si sente come un sintomo di freddo nelle ossa, si vedono grandi ombre proiettarsi sui vicini e sui lontani, un sentimento di malinconia e di malessere invade tutti.  – Ecco, dicono i superstiti  – era pur buono! e piangono.
  Il pianto che fu dato a l’uomo per distinguerlo dai bruti; il pianto, che esalta le creature umane sino a renderle divine; il pianto non è l’esponente dei cuori deboli e fiacchi, ma dei cuori nobili e forti.
  Voi piangete: voi siete grandi e civili.
  Ma perché piangete? – Perché un uomo ottuagenario scende nella tomba, munito di tutti i conforti della Religione ed assistito da una siepe di parenti?
   Perché quest’uomo era il vostro arciprete di cui ricordate la magnifica voce, lo zelo ed il nobile portamento?
  Non per questo, mi dite.
  Ah, qualche cosa dunque ci viene a mancare, qualche cosa a cui ci eravamo abituati per lunga teoria di anni, che ci arrecava un sollievo, senza che ci accorgessimo.
  Questa esistenza che s’inabissò, o meglio, che passa da le tenebre per camminare ne la perpetua luce – quest’esistenza era come un faro che rispendeva d luce propria.
  Chi si avvicinava a lui, scorgeva in quell’anima come una lampada quieta,  serena ardente e questa lampada era la sua bontà.
  Quella bontà non negativa, ma fattiva, bontà fatta di disinteresse, di amore vero per tutti, di beneficenza occulta, di compiacimento per il bene degli altri – una bontà schietta senza infingimenti, senza sottintesi, senza ombre … ecco quello che brillava in lui e faceva del nostro amico, un uomo buono: val quanto dire, un uomo santo.
  Ma vale proprio la pena – mi dirà qualcuno – tenerci qua per dire che Don Saverio era un uomo buono … sia pure un uomo santo … quasi ché la bontà, la santità non dovesse formare per un sacerdote che si rispetta la parte integrale del suo ministero?
  Si - rispondo io - basta, quando la bontà è tutta d’un pezzo, la santità a tutta prova ed una vita intemerata sia coronata da una morte edificante.
  Voi sapete bene la sua vita, io conosco meglio la sua morte.
  Quell’uomo timido, buono, pacifico, galantuomo del vecchio stampo: quell’uomo che toccava le quistioni con un diversivo curioso, acquistò l’eroismo in punto di morte. Morì come morivano i primitivi cristiani! …
  Quando io lo vidi con le braccia convulse stringere il Crocefissso, recitare il Confiteor con parole che salivano come un gemito giù dal profondo e come un angelo abbandonarsi volentieri a
“ Quei che volentieri perdona “
Quando, ripeto, lo vidi animato da una fede viva, ardente – più de la febbre che l’uccideva – e l’intesi mormorare le preci dei moribondi, con me che l’assistevo … non mi vergogno di asserire che mi veniva la voglia di ripetere il gesto del vescovo Myriel: inginocchiarmi ai suoi piedi e baciarglieli.
  Ma tutto questo non vi commuove, lo so … era prevedibile, è vero; ma io mi commossi – scusate – Voi volete intanto qualche cosa di nuovo, qualche segreto, qualche intimità da me che l’ebbi amico in tutta l’espressione de la parola e in vita e in morte. Ebbene, ho l’onore di dirvi che Saverio Oliva amava la patria più di quanto si possa immaginare; amava il vero, il bello, il buono con tutta la passione di un’anima sensibile, tanto da fargli desiderare, pochi momenti prima de l’agonia, di sentire la musica, dell’Ave Maria del Gounod, che egli conservava nella sua stanza, dietro un quadro della Vergine.
  Si, amava l’Italia.
  E’ forse ampiezza, l’amore di patria nei discepoli di Colui che amò tanto sino a piangere di tenerezza?
  Vi so ben dire, con quale amore seguiva le notizie in questi anni di guerra: le tappe gloriose dei nostri eroici fanti nella conquista immancabile dei naturali confini. E mentre i nostri disfattisti, i Graiano d’Asti … gioivano alle notizie funeste dopo Caporetto … “ Vinceremo lo stesso – mi diceva lui – l’Italia combatte per la giustizia e Dio la sorregge … - Vennero poi le giornate gloriose del Piave e di Vittorio Veneto; come scenari vecchi crollarono regni e imperi e la gioia di quell’uomo fu qualche cosa che non aveva confini.
  Ora sono contento, mi diceva in quei giorni … nunc dimittis”
  Ed alla mia stretta cordiale di mano – come per allontanare il presagio – egli piegò penosamente il capo e tacque.
  Sentiva forse la fine ?
  Ma che fine! Dico.
  Se egli si preparava come ad un viaggio se mi ascoltava recitare i salmi per lui, come se non si trattasse proprio di lui, se mi face quasi intravedere la sicurezza de l’anima che va a ricevere il premio con le parole de l?Apostolo: “ Fidem servavi, cursus consumavi” ! !
  E dicendo la “ Fede “ si elettrizzava – povero vecchio – come un giovane che vede delle forme ideali delinearsi dinanzi, come un cieco che riapre la pupilla, come un figlio che rivede la madre, E fissò lo sguardo vitreo, smorto ne l’ombra che si stendeva gigante; ma in quell’ombra era la luce; in quella luce egli vedeva certamente delle persone care, delle visioni celesti scendere dalle curve dolci, dalle melopee soavi del firmamento; intese melodie serene, angelici concerti … atteggiò le labbra ad un sorriso e spirò.
  Ora non esiste di lui che la mortale spoglia, la parte migliore; l’anima, è volata lassù, verso il cielo, verso altri orizzonti, verso la Patria dei giusti.
  Che Iddio l’ammetta nella luce eterna. Pregate.
  Ma intanto dinanzi la salma di questo Arciprete buono, di questo galantuomo emerito, di questo padre affettuoso, scopriamoci riverenti, gettiamo sopra di lui tutti i fiori del nostro affetto, l’edera della nostra  riconoscenza perenne ed i crisantemi pallidi del nostro dolore sincero.
  Ed alla fiamma dei suoi ceri bruciamo le nostre ambizioni, i nostri rancori, le nostre piccinerie e brutture, perché in quella fiamma purificatrice egli ci sorrida come per incoraggiamento : “ Che mal si governano i popoli con la prepotenza e la forza, ma che una sola è la conquistatrice de le anime e dei cuori: la carità di Cristo, la Bontà.
  Addio dunque, Arciprete Buono, indimenticabile Amico, gentiluomo perfetto, ti sorrida Iddio cui tu credesti, servisti ed amasti e ti sia premio il riposo eterno e l perpetua luce, Addio!

   Platì, il giorno dell’Immacolata del 1919

                                                                                                                    Sac. E. Gliozzi
 
 
 

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