Torniamo ancora alla Grecia classica ed a Pitagora.
Ovidio, che noia la vita senza il Nasone, nel XV libro delle Metamorfosi fa dire a Pitagora: «quaeque solent conis frondes intexere filis agrestes tineae (res observata colonis) ferali mutant cum papilione figuram...», riporto la traduzione della Bompiani per cura di Enrico Oddone: “ e quelli che sogliono intessere le frondi con bianchi filamenti, i bruchi dei campi ( l’osservazione è consueta ai contadini ) mutano l’aspetto con quello delle farfalle mortuarie “.
In quel tempo Pitagora si trovava a Crotone, affinché si sviluppasse la coltura/cultura serica in Calabria – annoto a questo punto che il nome Kalabria emigrò sulla parte meridionale dell’antico Bruzio verso il 680 d. C. – a Catanzaro, dovevano passare parecchi secoli.
Non mi disserto in erudite annotazioni su come li vi sia giunta, col rischio di annoiarvi, di certo è vero che arrivò da Costantinopoli e trovò il terreno ed il clima adatti ad impiantare dapprima i gelseti e successivamente portare i bozzoli o forse addirittura i semi. Fu un’attività che si diffuse lentamente e a tappeto in tutta la regione.
Ora mi riallaccio a quanto detto prima a proposito del cognome Catanzariti ed all’introduzione della bachicoltura e della lavorazione della seta nel territorio di Platì.
A quel cognome ed a quanti dal Catanzarese si trasferirono nel Platiese, ma è da aggiungere dovunque dalla Calabria alla Sicilia – il toponimo Catanzaro lo troviamo a Fiumedinisi (ME), Palazzolo Acreide (SR), Modica (RG), Sciacca(AG), Termini Imerese (PA) – è legata la lavorazione della seta, vale a dire la bachicoltura e la sericoltura in due momenti distinti e separati l’uno dall’altro.
I Catanzariti portavano la lavorazione della seta già con un procedimento avanzato per quei tempi, se ci riferiamo alla fondazione di Platì che avvenne tra la fine del XV° e gli inizi del XVI° secolo.
Certamente in quella filanda si tesseva seta grezza per gli usi interni del paese o la vendita ai mediatori per mezzo dei quali il prodotto andava a rifornire gli stabilimenti tessili della stessa Calabria e forse della penisola.
Come già detto la filanda era posta fuori dal centro abitato a causa di alcuni passaggi produttivi dannosi per la salute. Invece l’allevamento del baco avveniva principalmente nei casolari di campagna se non addirittura nella casa in paese. Li dentro i bachi nutricavano.
Seconda digressione
Conoscevo questa parola per averla sentita da bambino ma non vi so dire da chi. L’ho risentita per voce, molti anni dopo, nei primi giorni di Ciurrame, da don Peppinu “ petrazzu “, quando gli feci notare una casa che anni prima aveva attirato la mia attenzione ed in cui mi sarei trasferito volentieri. L’avevo notata un giorno, di quelli della mia vita a quattro zampe, quando con Nino u “ ‘ccinnaru “ salivamo all’Altolia con la sua R4 rossa a portare la ricotta alle massaie di quel villaggio. E’ una casetta rustica, addossata alla collina che sovrasta la fiumara, con due arcate al pian terreno ed una balconata di ferro battuto al primo piano. Quella volta che feci notare a “ petrazzu “ la casetta, invece, ma già ero un Ciurramìco, viaggiavamo nella mia Peugeot 305 familiare e lo stavo riportando all’Altolia dove abitava con la signora Cammela (sarebbe Carmela), lui mi disse che quella casetta era di sua proprietà ed era lì dentro che nutricavano.
Ora il verbo nutricare e l’attività che declina penso che siano riferite tanto al baco che alle persone che li nutrono di foglie “moresche”.
Da notare che l’allevamento del baco non pregiudicava le altre attività agricole: grano, olive ed allevamenti legati alla produzione del latte e dei suoi derivati.
Il bozzolo a Platì proveniva dai commercianti all’ingrosso di Bovalino. I gelsi, le cui foglie servivano a nutrire i bachi, sorgevano lontano da orti e campi coltivati a causa della folta chioma ombreggiante e delle lunghe radici, sia in terreni di proprietà delle parrocchie ( frutto di donazioni,a volte lontani dal paese dove aveva sede la stessa) che di privati cittadini. Che io sappia ne sorgevano alcuni piedi anche “ iaffora ‘e Ssalis “ ma non erano sufficienti. In base alle carte raccolte dal nonno Luigi, suo padre Francesco, che tra le altre attività conduceva pure quella dell’allevamento del baco, con accordi sottoscritti, si riforniva presso una proprietà della chiesa di Natile (il vecchio Natile) e presso una proprietà della chiesa di Palmi. Facevano da mediatori sia i fattori della proprietà sia gli stessi parroci.. Gli inadempimenti dell’una o dell’altra parte a volte si trascinavano per anni e coinvolgevano le prefetture o sottoprefetture locali ed innumerevoli fogli di carta da bollo del Regno delle Due Sicilie dapprima e successivamente del Regno d’Italia.
Il compito dell’allevamento del baco, come il lavoro in filanda, era affidato quasi esclusivamente alle donne. Le stesse dovevano tenere sotto controllo (monitorare si dice oggi) i bachi affinché non si ammalassero di flaccidezza pregiudicandone la qualità del filo.
La nonna Lisa nutricava nei solai della casa in paese. Poneva foglie e bozzoli nei cannizzi (foto sopra) che poste su degli improvvisati cavalletti dovevano restarvi per circa cinquanta giorni prima che avvenisse la filatura. Il solaio era un luogo ideale perché arieggiato attraverso le aperture tra una ciaramida e l’altra i bachi si sfamavano mantenuti ad una temperatura adatta per svolgere il ciclo.
Ricavata la seta, che, ripeto, doveva essere molto grezza, la nonna Lisa tesseva al telaio ricavando quanto serviva per la famiglia: tovaglie, tovaglioli, lenzuola, coperte e indumenti per qualsiasi utilizzo.
Mi rendo conto che quando scrivo parlo di un tempo passato, ricostruito nella mente dalla nostalgia, tramutando in un’Arcadia rosea e verde, con il pastorello che esegue la colonna sonora, l’esistenza di tutti i giorni.
Leggendo le cronache devo ammettere che non sempre era così. Vi erano anche il dolore ed il pianto legati alla non riuscita delle fatiche che a volte servivano per un guadagno necessario, destinato per il mantenimento di accettabili condizioni di vita all’interno dei gruppi familiari.
In questo, soprattutto per quanto riguarda il bozzolo, si andava incontro ad annate negative che dovevano essere messe in conto preventivamente, con la conseguente perdita di tempo e danaro.
E devo dire di essere anche in possesso di biglietti con richieste di prestiti in denaro o anticipi di sacchi di foglie di gelso non sempre accolte benevolmente.
Haec olim fuere
Acqua passata
Ho sentito usare il termine notricare da qualche anziano platiese riferito a nutrire o mangiare. Pasquale Catanzariti
RispondiElimina