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martedì 30 aprile 2013

A Kiss Before I Go - Ryan Adams



Tempora laburunt, tacitisque senecimus annis,
  et fugiunt freno no remorante dies.
Il tempo scivola via, e noi invecchiamo per silenziosi anni:
 i giorni fuggono senza che alcun freno li attardi.

Ovidio, op. cit



lunedì 29 aprile 2013

Evangeline - The Band

I am one of you and being one of you
Is being and knoing what i am and know

Sono uno di voi ed essere uno di voi
è essere e sapere ciò che sono e che so.
     Wallace Stevens, Angel

 Cit da Luigi Meneghello in Libera nos a malo


venerdì 26 aprile 2013

La seta ed altri stracci - pt. 3 - Fine

  Torniamo ancora alla Grecia classica ed a Pitagora.
  Ovidio, che noia la vita senza il Nasone, nel XV libro delle Metamorfosi fa dire a Pitagora: «quaeque solent conis frondes intexere filis agrestes tineae (res observata colonis) ferali mutant cum papilione figuram...», riporto la traduzione  della Bompiani per cura di Enrico Oddone: “ e quelli che sogliono intessere le frondi con bianchi filamenti, i bruchi dei campi ( l’osservazione è consueta ai contadini ) mutano l’aspetto con quello delle farfalle mortuarie “.
In quel tempo Pitagora si trovava a Crotone, affinché si sviluppasse la coltura/cultura serica in Calabria – annoto a questo punto che il nome Kalabria emigrò sulla parte meridionale dell’antico Bruzio verso il 680 d. C. – a Catanzaro, dovevano passare parecchi secoli.
  Non mi disserto in erudite annotazioni su come li vi sia giunta, col rischio di annoiarvi, di certo è vero che arrivò da Costantinopoli e  trovò il terreno ed il clima adatti ad impiantare dapprima i gelseti e successivamente portare i bozzoli o forse addirittura i semi. Fu un’attività che si diffuse lentamente e a tappeto in tutta la regione.
  Ora mi riallaccio a quanto detto prima a proposito del cognome Catanzariti ed all’introduzione della bachicoltura e della lavorazione della seta nel territorio di Platì.
  A quel cognome ed a quanti dal Catanzarese si trasferirono nel Platiese, ma è da aggiungere dovunque dalla Calabria alla Sicilia – il toponimo Catanzaro lo troviamo a Fiumedinisi (ME), Palazzolo Acreide (SR), Modica (RG), Sciacca(AG), Termini Imerese (PA) – è legata la lavorazione della seta, vale a dire la bachicoltura e la sericoltura in due momenti distinti e separati l’uno dall’altro.
  I Catanzariti portavano la lavorazione della seta già con un procedimento avanzato per quei tempi, se ci riferiamo alla fondazione di Platì che avvenne tra la fine del XV° e gli inizi del XVI° secolo.

  Certamente in quella filanda si tesseva seta grezza per gli usi interni del paese o la vendita ai mediatori per mezzo dei quali il prodotto andava a rifornire gli stabilimenti tessili della stessa Calabria e forse della penisola.
   Come già detto la filanda era posta fuori dal centro abitato a causa di alcuni passaggi produttivi dannosi per la salute. Invece l’allevamento del baco avveniva principalmente nei casolari di campagna se non addirittura nella casa in paese. Li dentro i bachi nutricavano.
 
Seconda digressione
  Conoscevo questa parola per averla sentita da bambino ma non vi so dire da chi. L’ho risentita per voce, molti anni dopo, nei primi giorni di Ciurrame, da don Peppinu “ petrazzu “, quando gli feci notare una casa che anni prima aveva attirato la mia attenzione ed in cui mi sarei trasferito volentieri. L’avevo notata un giorno, di quelli della mia vita a quattro zampe, quando con Nino u “ ‘ccinnaru “ salivamo all’Altolia con la sua R4 rossa a portare la ricotta alle massaie di quel villaggio. E’ una casetta rustica, addossata alla collina che sovrasta la fiumara, con due arcate al pian terreno ed una balconata di ferro battuto al primo piano. Quella volta che feci notare a “ petrazzu “ la casetta, invece, ma già ero un Ciurramìco, viaggiavamo nella mia Peugeot 305 familiare e lo stavo riportando all’Altolia dove abitava con la signora Cammela (sarebbe Carmela), lui mi disse che quella casetta era di sua proprietà ed era lì dentro che nutricavano.
Ora il verbo nutricare e l’attività che declina penso che siano riferite tanto al baco che alle persone che li nutrono di foglie “moresche”.
  Da notare che l’allevamento del baco non pregiudicava le altre attività agricole: grano, olive ed allevamenti legati alla produzione del latte e dei suoi derivati.
Il bozzolo a Platì proveniva dai commercianti all’ingrosso di Bovalino. I gelsi, le cui foglie servivano a nutrire i bachi, sorgevano lontano da orti e campi coltivati a causa della folta chioma ombreggiante e delle lunghe radici, sia in terreni di proprietà delle parrocchie ( frutto di donazioni,a volte lontani dal paese dove aveva sede la stessa) che di privati cittadini. Che io sappia ne sorgevano alcuni piedi anche “ iaffora ‘e Ssalis “ ma non erano sufficienti. In base alle carte raccolte dal nonno Luigi, suo padre Francesco, che tra le altre attività conduceva pure quella dell’allevamento del baco, con accordi sottoscritti, si riforniva presso una proprietà della chiesa di Natile (il vecchio Natile) e presso una proprietà della chiesa di Palmi. Facevano da mediatori sia i fattori della proprietà sia gli stessi parroci.. Gli inadempimenti dell’una o dell’altra parte a volte si trascinavano per anni e coinvolgevano le prefetture o sottoprefetture locali ed innumerevoli fogli di carta da bollo del Regno delle Due Sicilie dapprima e successivamente del Regno d’Italia.
Il compito dell’allevamento del baco, come il lavoro in filanda, era affidato quasi esclusivamente alle donne.  Le stesse dovevano tenere sotto controllo (monitorare si dice oggi) i bachi affinché non si ammalassero di flaccidezza pregiudicandone la qualità del filo.

La nonna Lisa nutricava nei solai della casa in paese. Poneva foglie e bozzoli nei cannizzi (foto sopra) che poste su degli improvvisati cavalletti dovevano restarvi per circa cinquanta giorni prima che avvenisse la filatura. Il solaio era un luogo ideale perché arieggiato attraverso le aperture tra una ciaramida e l’altra i bachi si sfamavano  mantenuti ad una temperatura adatta per svolgere il ciclo.
Ricavata la seta, che, ripeto, doveva essere molto grezza, la nonna Lisa tesseva al telaio ricavando quanto serviva per la famiglia: tovaglie, tovaglioli, lenzuola, coperte e indumenti per qualsiasi utilizzo.

Mi rendo conto che quando scrivo parlo di un tempo passato, ricostruito nella mente dalla nostalgia, tramutando in un’Arcadia rosea e verde, con il pastorello che esegue la colonna sonora, l’esistenza di tutti i giorni.
Leggendo le cronache devo ammettere che non sempre era così. Vi erano anche il dolore ed il pianto legati alla non riuscita delle fatiche che a volte servivano per un guadagno necessario, destinato per il mantenimento di accettabili condizioni di vita all’interno dei gruppi familiari.
In questo, soprattutto per quanto riguarda il bozzolo, si andava incontro ad annate negative che dovevano essere messe in conto preventivamente, con la conseguente perdita di tempo e danaro.
E devo dire di essere anche in possesso di biglietti con richieste di prestiti in denaro o anticipi di sacchi di foglie di gelso non sempre accolte benevolmente.

Haec olim fuere
   Acqua passata

mercoledì 24 aprile 2013

Seta ed altri stracci pt 2


La ginestra si sviluppa come un arbusto, germoglia in primavera e fiorisce a grappolo in estate.
E’ in questo periodo che venivano potate con le forbici le parti più tenere. Queste, dimezzate, si bollivano nei calderoni di rame. Era questa una preparazione che veniva svolta ‘nto catoiu. Mi pare di aver sentito dire una volta che questo compito veniva svolto dallo zio Ciccillo per conto della nonna Lisa. Era lei che dirigeva tutte le operazioni fino alla tessitura finale. Ma sono andato troppo avanti.
Raffreddata l’acqua la ginestra veniva scolata e sfilacciata separandola dalle parti legnose e posta a macerare in acqua corrente. Scolata di nuovo e sbattuta per togliere i residui d’acqua era asciugata al sole ricavando un prodotto simile alla lana o alla stoppa. I lavori che seguono venivano svolti in casa e cioè la pettinatura o cardatura, a forza di braccia, e la filatura. Erano gli stessi lavori che le donne eseguivano con la lana di pecora.
Il pettine era uno strumento che mi atterriva di paura: due tavolette di circa venti centimetri per quaranta piene di chiodi; mi è tornato in mente durante la lettura dell’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, quando descrive la mandibola dell’orca ferone. Assicurata una di queste tavolette su un punto stabile, si ricoprivano i chiodi, o denti, di ginestra e con l’altra tavoletta libera si scorreva a mo di pettinatura, la stoppa allungandosi, successivamente veniva filata, disponendo della rocca e del relativo fuso, raccogliendo il tutto in gomitoli artigianali.

Entra ora in scena il vero protagonista, colui che porterà a termine la trama:il telaio.
Avete presente l’organo della Cattedrale di Lipsia dove Giovanni Sebastiano Bach digitava la sua musica per Dio? Ecco a quello strumento solo si può paragonare il telaio della zia Angeluzza o della nonna Lisa ed esse ne erano le esecutrici che al termine dell’intricato canone di tutto lo spartito producevano lenzuola, tovaglie, tovaglioli e mappine che nessuno stilista di nome eguaglierà mai.
continua ...


martedì 23 aprile 2013

Seta ed altri stracci (reg. Abel Gance - 1915)



 dedicato alla zia Angeluzza sorella del nonno Rosario, sposa Lentini, madre di Ciccina sposa du mastru, Peppino Caruso.

Procedamus in pace
In nomine Christi, amen


  Nelle case si allevavano i bachi da seta, i bizzarri “ cavalieri “ che si spargevano come un minuto seme nero ( la “semenza” ) e a mano a mano diventavano piccole miniature di bruchi, poi si vedevano crescere di giorno in giorno, si allargavano su ampi territori ombrosi e tiepidi di tralicci accatastati a ripiani, invadevano le stanze, brucando con forza sempre più grande la “ foglia “ di moraro.
Luigi Meneghello, op. cit.
1

  C’è Francesco di Raimondo che sta preparando una storia compendiata di Platì. In attesa che porti a termine, da par suo,il nobile compito (fai presto perché ho una certa età) mi prendo io la briga (superiore e marina) di dare un breve accenno su alcuni aspetti che hanno apportato un contributo di cultura, progresso e benessere nelle vicende del paese, spinto dai documenti raccolti dal nonno Luigi e conservati dallo zio Ernesto fino ad oggi.
  Non mi sono mosso per niente da casa: per poter portare a termine il tutto mi sono bastati Francesco Perri, Corrado Alvaro, Saverio Strati, Salvatore Satta e Luigi Meneghello che con i loro romanzi mi hanno fornito un’idea basilare su come pensare il territorio e la sua gente; ed il web per le notizie più specificatamente storiche e scientifiche.
  L’argomento è tutto al femminile: la ginestra e la seta con i loro processi produttivi.
Quello che rimane oggi di questo passato è solo un vico o via Filanda, in riguardo alla seta, per la ginestra niente toponomastica, è molto più povera lei, indifferente alle mode campeggia a tutt’oggi lungo i pendii di Platì e di Ciurrame, tinteggiando di giallo e verde, come un Van Gogh, il paesaggio.
 


  Mentre il lavoro attorno alla ginestra non recava danni per la salute ( oggi si dice ecocompatibile) e quindi comodamente svolto in casa, quello che concerne la sericoltura per le esalazioni, i fumi, ed il cattivo la filanda era situata in un territorio fuori dal paese, sempre ai bordi della fiumara, ed è li che troviamo vico della Filanda, sebbene oggi, per l’ampliamento del centro abitato, faccia parte dello stradario platiota.
   Rimane anche un cognome, Catanzariti, uno dei più diffusi, legato alle origini del paese e all’introduzione della coltura serica. Per essere più preciso annoto anche l’esistenza della fonte Catanzaro sulla strada che collegava Platì ai paesi della Piana di Gioia Tauro, da cui si diparte anche il vallone Catanzaro. Abbiate pazienza e al seguito ci tornerò sopra.

   A questo proposito chiedo a Francesco: non può essere che la colonizzazione del territorio sia arrivata dalla montagna e non dal mare come comunemente si pensa? Certamente c’è del vero, perché i principi, dagli Spinelli ai Cordopati, in quelle contrade avevano la residenza principale.

  Consentitemi una digressione a proposito di filatura e tessitura della ginestra e della seta.
  Sebbene la coltura serica sia giunta nel mondo greco ed arabo dalla Cina, la lavorazione della ginestra è un procedimento tutto ellenico che emigrò con i primi coloni greci.
  Questi coloni che per i soliti motivi di sovraffollamento, mancanza di lavoro, all’epoca era mancanza di terre da coltivare, misero piede dapprima in Calabria segando in linea retta il mar Ionio dalla ellenica Locride alla nuova Locride della futura Magna Grecia.
   Vi ricordate Enea? Quando già con un piede sulla Marina di Noto, per una forte venticata – vabbé, fu provocata dalla perfida Giunone! - si ritrovò nel letto di Didone? Con Jarba che lo aspettava fuori per rifargli la carta di identità? A quest’ora se prestiamo ascolto a quanto dicono alcuni siculi, i quali asseriscono invece che i greci posero piede dapprima nella Trinacria, verso Selinunte provenendo dal Canale, per le forti correnti ed i venti contrari avrebbero posto piede in America, ben prima di Colombo, non il tenente, e colà fondata la New Grecia e noi eravamo ancora all’età della pietra.
  La lavorazione della ginestra appartiene alla Grecia Classica, al mondo di Pitagora; invece, la coltura serica appartiene ai Bisanzio.

continua...

lunedì 22 aprile 2013

Corpo celeste pt.2

I. M. I.

DINANZI LA SALMA
de L’ Arciprete SAVERIO OLIVA

          SIGNORI,

  Oggi la grande festa de lì Immacolata, in questo piccolo paesello, si è convertita in lutto popolare per la  morte dell’Arciprete. L’importante corteo mi dice che scende ne la tomba un uomo dabbene.
  Veramente, ai giorni nostri, gli sguardi delle masse si fermano meglio sopra i cuori che amano, anziché sulle teste che passano.
  Un uomo che possegga tutte le lingue, un dotto, e arcigno, un uomo insomma, per così dire , di lettere – sena la carità, - non è altro se non un cembalo, un campanello squillante … e ce lo dice San Paolo.
  La carità è tutto: è il sole che illumina, rianima e riscalda tutte le creature vive; è l’astro maggiore de l’universo: cieco chi nol vede!
  Quando un uomo, da cui emana questo sole di carità, si oscura o si eclissa, si sente come un sintomo di freddo nelle ossa, si vedono grandi ombre proiettarsi sui vicini e sui lontani, un sentimento di malinconia e di malessere invade tutti.  – Ecco, dicono i superstiti  – era pur buono! e piangono.
  Il pianto che fu dato a l’uomo per distinguerlo dai bruti; il pianto, che esalta le creature umane sino a renderle divine; il pianto non è l’esponente dei cuori deboli e fiacchi, ma dei cuori nobili e forti.
  Voi piangete: voi siete grandi e civili.
  Ma perché piangete? – Perché un uomo ottuagenario scende nella tomba, munito di tutti i conforti della Religione ed assistito da una siepe di parenti?
   Perché quest’uomo era il vostro arciprete di cui ricordate la magnifica voce, lo zelo ed il nobile portamento?
  Non per questo, mi dite.
  Ah, qualche cosa dunque ci viene a mancare, qualche cosa a cui ci eravamo abituati per lunga teoria di anni, che ci arrecava un sollievo, senza che ci accorgessimo.
  Questa esistenza che s’inabissò, o meglio, che passa da le tenebre per camminare ne la perpetua luce – quest’esistenza era come un faro che rispendeva d luce propria.
  Chi si avvicinava a lui, scorgeva in quell’anima come una lampada quieta,  serena ardente e questa lampada era la sua bontà.
  Quella bontà non negativa, ma fattiva, bontà fatta di disinteresse, di amore vero per tutti, di beneficenza occulta, di compiacimento per il bene degli altri – una bontà schietta senza infingimenti, senza sottintesi, senza ombre … ecco quello che brillava in lui e faceva del nostro amico, un uomo buono: val quanto dire, un uomo santo.
  Ma vale proprio la pena – mi dirà qualcuno – tenerci qua per dire che Don Saverio era un uomo buono … sia pure un uomo santo … quasi ché la bontà, la santità non dovesse formare per un sacerdote che si rispetta la parte integrale del suo ministero?
  Si - rispondo io - basta, quando la bontà è tutta d’un pezzo, la santità a tutta prova ed una vita intemerata sia coronata da una morte edificante.
  Voi sapete bene la sua vita, io conosco meglio la sua morte.
  Quell’uomo timido, buono, pacifico, galantuomo del vecchio stampo: quell’uomo che toccava le quistioni con un diversivo curioso, acquistò l’eroismo in punto di morte. Morì come morivano i primitivi cristiani! …
  Quando io lo vidi con le braccia convulse stringere il Crocefissso, recitare il Confiteor con parole che salivano come un gemito giù dal profondo e come un angelo abbandonarsi volentieri a
“ Quei che volentieri perdona “
Quando, ripeto, lo vidi animato da una fede viva, ardente – più de la febbre che l’uccideva – e l’intesi mormorare le preci dei moribondi, con me che l’assistevo … non mi vergogno di asserire che mi veniva la voglia di ripetere il gesto del vescovo Myriel: inginocchiarmi ai suoi piedi e baciarglieli.
  Ma tutto questo non vi commuove, lo so … era prevedibile, è vero; ma io mi commossi – scusate – Voi volete intanto qualche cosa di nuovo, qualche segreto, qualche intimità da me che l’ebbi amico in tutta l’espressione de la parola e in vita e in morte. Ebbene, ho l’onore di dirvi che Saverio Oliva amava la patria più di quanto si possa immaginare; amava il vero, il bello, il buono con tutta la passione di un’anima sensibile, tanto da fargli desiderare, pochi momenti prima de l’agonia, di sentire la musica, dell’Ave Maria del Gounod, che egli conservava nella sua stanza, dietro un quadro della Vergine.
  Si, amava l’Italia.
  E’ forse ampiezza, l’amore di patria nei discepoli di Colui che amò tanto sino a piangere di tenerezza?
  Vi so ben dire, con quale amore seguiva le notizie in questi anni di guerra: le tappe gloriose dei nostri eroici fanti nella conquista immancabile dei naturali confini. E mentre i nostri disfattisti, i Graiano d’Asti … gioivano alle notizie funeste dopo Caporetto … “ Vinceremo lo stesso – mi diceva lui – l’Italia combatte per la giustizia e Dio la sorregge … - Vennero poi le giornate gloriose del Piave e di Vittorio Veneto; come scenari vecchi crollarono regni e imperi e la gioia di quell’uomo fu qualche cosa che non aveva confini.
  Ora sono contento, mi diceva in quei giorni … nunc dimittis”
  Ed alla mia stretta cordiale di mano – come per allontanare il presagio – egli piegò penosamente il capo e tacque.
  Sentiva forse la fine ?
  Ma che fine! Dico.
  Se egli si preparava come ad un viaggio se mi ascoltava recitare i salmi per lui, come se non si trattasse proprio di lui, se mi face quasi intravedere la sicurezza de l’anima che va a ricevere il premio con le parole de l?Apostolo: “ Fidem servavi, cursus consumavi” ! !
  E dicendo la “ Fede “ si elettrizzava – povero vecchio – come un giovane che vede delle forme ideali delinearsi dinanzi, come un cieco che riapre la pupilla, come un figlio che rivede la madre, E fissò lo sguardo vitreo, smorto ne l’ombra che si stendeva gigante; ma in quell’ombra era la luce; in quella luce egli vedeva certamente delle persone care, delle visioni celesti scendere dalle curve dolci, dalle melopee soavi del firmamento; intese melodie serene, angelici concerti … atteggiò le labbra ad un sorriso e spirò.
  Ora non esiste di lui che la mortale spoglia, la parte migliore; l’anima, è volata lassù, verso il cielo, verso altri orizzonti, verso la Patria dei giusti.
  Che Iddio l’ammetta nella luce eterna. Pregate.
  Ma intanto dinanzi la salma di questo Arciprete buono, di questo galantuomo emerito, di questo padre affettuoso, scopriamoci riverenti, gettiamo sopra di lui tutti i fiori del nostro affetto, l’edera della nostra  riconoscenza perenne ed i crisantemi pallidi del nostro dolore sincero.
  Ed alla fiamma dei suoi ceri bruciamo le nostre ambizioni, i nostri rancori, le nostre piccinerie e brutture, perché in quella fiamma purificatrice egli ci sorrida come per incoraggiamento : “ Che mal si governano i popoli con la prepotenza e la forza, ma che una sola è la conquistatrice de le anime e dei cuori: la carità di Cristo, la Bontà.
  Addio dunque, Arciprete Buono, indimenticabile Amico, gentiluomo perfetto, ti sorrida Iddio cui tu credesti, servisti ed amasti e ti sia premio il riposo eterno e l perpetua luce, Addio!

   Platì, il giorno dell’Immacolata del 1919

                                                                                                                    Sac. E. Gliozzi
 
 
 

giovedì 18 aprile 2013

La montagna di luce (reg. Umberto Lenzi - 1964)


Su L’Aspromonte
“Ego sum via, veritas, vita”
Io lo vidi lassù: era un titano,
ravviluppato ne l’intatta vesta,
e, vindice, la Croce ne la mano
sorridente teneva, alto la testa.
Io lo vidi lassù. La valle il piano
Ricoperto di neve e, tutta mesta,
la natura dormia sotto lo strano
mantello funeral de la tempesta.
Tutto nel sonno e ne la morte giace!
Ei solo veglia la, da la romita
Cima del monte, su l’immensa pace.
Mi par che in alto a sollevar c’invita
I cuori affranti e, al secolo fallace
Segni – in contrasto – la sua via che è Vita.

Sac. Ernesto Ghiozzi sen.
Dalle Sacre Vette

mercoledì 17 aprile 2013

Per l'amore di mia figlia (reg. Charles Spaak - 1948)



                                                                                            I.M.I                   Viterbo 7 – 8 -  1942 XX
Mia carissima mamma.
E’ da tempo che non scrivo a te direttamente, ed ho grande desiderio di parlarti un poco.
Papà mi ha scritto che ti trovi a Locri, e mi disse pure che tu entrando in casa ti sei messa a piangere perché mancavo io. Non voglio dirti che la lontananza non è brutta, e quanto maggiormente per chi è lontana da tutti, ma non dobbiamo piangere, ma pensare che il Signore merita infinitamente di più di quel poco che facciamo per lui. Dobbiamo offrire tutto al Signore con grande generosità; egli non lascia senza ricompensa neppure un bicchiere d’acqua offerto per suo amore.
Io ogni volta che mi viene il desiderio di vedere te, e tutti gli altri di famiglia “ quante volte! “ parlo a Gesù di questo sacrificio, ed Egli non può dimenticare che ho lasciato tutti per Lui, sento che Egli mi vuole bene perché ho fatto la sua volontà; che si era manifestata così chiaramente: e sono felice. Non perdiamo il merito piangendo, ma amiamo il Signore con amore così grande che fa godere nel soffrire, il tempo vola e noi dobbiamo acquistarci meriti per il Cielo. Oh se potessi avere la gioia di averti vicina il giorno della vestizione, certo che non piangeresti più. Quanto è stato bello il discorso che abbiamo ascoltato il giorno della professione delle novizie! Parlava il predicatore del giovane del Vangelo, al quale Gesù disse: se vuoi essere perfetto abbandona tutti e seguimi . Ma quel giovane perché era attaccato ai suoi beni se ne andò conturbato. Al rifiuto di quel giovane  diceva il predicatore: hanno risposto e risponderanno le giovinezze di tutti i secoli, che hanno sentito nel loro cuore la medesima chiamata e generosamente hanno ubbidito. Fortunati, diceva, ai parenti delle novizie che erano venuti per assistere alla cerimonia: che avete sentito la chiamata del Signore nella vostra casa e non avete opposto resistenza. Quante cose ti potrei dire ancora, ma per ora ti dico solo di ringraziare il Signore di avermi chiamata ad abitare nella sua casa, dove sono meno i pericoli, e maggiore gli aiuti alla salvezza dell’anima. Prega che sia buona, che abbia la S. perseveranza in questa vocazione. Mamma, voglio confidarti un’altra cosa, e questa mi dispiace: alle volte dallo scritto di Papà mi accorgo che egli non è contento di me,  per questo che son venuta in monastero. Non è che mi ha detto mai niente, perché non vuole dispiacermi, ma mi accorgo. Per esempio, in quest’ultima lettera, mi diceva che tu piangi dicendo: dov’è Fina? E poi ha scritto: lasciamo stare ogni cosa. Mi promise papà che qualcuno verrà per la vestizione, io desidero che venisse anche lui, certo che la mia festa è quella e io desidero di avervi qui. Il giorno che indosserò l’abito religioso, mi verrà cambiato anche il nome, ed io ci ho piacere di prendere un nome che piace a te, pensa un po’ in questi giorni e scrivimi, poi se le Madri lo approveranno prenderò quello se no farò come loro desiderano.
Peppe mi ha mandato una fotografia.
L’altro giorno sono andata a visitare la casa di S. Rosa. Sono due stanzette, c’è una finestra e di là S. Rosa vide il Crocifisso, vicino al focolare ci sono due lucerne a olio come si usavano prima, proprio una casetta di gente povera, un po’ annerita, al muro c’era un grande Crocefisso e tanti quadri. Al posto dove morì fecero un altare, in quell’altra casetta c’era la cassa dove si conservò il corpo della Santa, per tanti secoli, e poi fu trasportata in un monastero dove sono andata pure a vederla. Ti mando nella lettera una medaglietta, e una mando ad Amalia che oggi fa il compleanno, e le faccio i miei migliori auguri. Alle altre mie sorelle gliela manderò in un’altra lettera, se no questa viene pesante. Ho comprato un quadrettino tanto grazioso, ad Ernesto, a Ciccillo ed uno allo zio, ma con la posta temo che si perdano, glieli darò a mano con la loro venuta. Ernesto ancora non mi ha risposto alla cartolina che gli ho scritto  da qui, neanche le mie sorelle mi scrissero più, mi scrive Ernesto ed esse mai prendono la penna ricordandosi di Fina.
Non è necessario raccomandarti, di scrivermi anche tu al più presto, e mentre attendo per leggere le tue belle parole, ti chiedo la S. Benedizione, ed abbraccio sorelle e fratello come te grandemente-
                                                                                                           La tua
                                                                                                                       Fina

martedì 16 aprile 2013

Corpo celeste (reg. Alice Rohrwacher - 2011)

  Comincia oggi, come annunciato qualche post addietro, la trascrizione di un libretto dato alle stampe nel 1920 per desiderio di Giacomo Tassoni – Oliva come memoria di don Saverio Oliva suo zio, che  resse la parrocchia di Platì tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. Giacomo Tassoni Oliva era di Gerace ma lo si vedeva spesso nel nostro paese per via delle parentele ma anche per aver stretto amicizia con gli intellettuali platiesi di quel tempo.
  L’opuscolo che ho trascritto porta in apertura  la dedica ad Ernesto Gliozzi sen., e contiene anche il testo che quest’ultimo recitò il giorno dei funerali al camposanto prima della tumulazione del parroco.
  Ho già postato un altro ricordo editato per volere degli amici di Giacomo Tassoni – Oliva, dedicato alla cognata Signora Mattia Migliaccio Furore nel 1910.
  Tra i due mi sembra di scorgere una differenza sostanziale dovuta alle diverse personalità omaggiate: una giovane mamma morta al primo parto ed un vecchio parroco di un paese aspromontano.
  Il ricordo della giovane donna è profondamente elegiaco mentre al sacerdote vengono tributati gli onori dovuti ad una persona pubblica, conosciuta in tutti gli strati sociali del paese, dai più umili ai più nobili.
  In questo dedicato al parroco c’è un testo, ad opera del canonico Alberto Tosi di Oppido Mamertina,   originale, per l’uditorio, perché, oltre a riportare i cenni biografici del commemorato, vengono in luce un epoca che fu quella della Prima Guerra Mondiale con gli innumerevoli sacrifici umani -  molti anche i platioti che persero la vita -  accettati unanimemente anche dalla Chiesa,  e una relazione approfondita di quel che è il celibato per un sacerdote cattolico, che ancora oggi può essere assunta a difesa di quanti hanno visto nella vocazione una via/vita alternativa sebbene non fuori dal mondo.
   Per una maggiore attenzione, come il precedente libretto, verrà pubblicato in più parti.



INTERPRETE E CUSTODE
DEI SENTIMENTI DI GRATITUDINE
E DI VENERAZIONE
DELLE MIE TENERE BAMBINE
VERSO LA SANTA MEMORIA
DELLO ZIO
ARCIPRETE DON SAVERIO OLIVA
QUESTE PAGINE
CHE DI LUI MODESTAMENTE PARLANO
CON VENERAZIONE
DEDICO

                                 GIACOMO TASSONI OLIVA


Dal quotidianoIl corriere d’Italia”

La morte di un sacerdote esemplare

  In questi giorni si è spento serenamente nel Signore – in Platì – L’Arciprete D: Saverio Oliva.
  La sua morte edificante fu il corollario della sa vita vissuto in mezzo al popolo di Platì che lo pianse con sincero cordoglio e che fu edificato della sua fine come di tutta la sua vita, esempio fulgido del vero sacerdote di Cristo. Egli, ai familiari che commossi lo assistevano negli ultimi istanti, dava coraggio, additando il Cielo e dicendo loro che la Patria nostra non è in questo mondo.
  Sulla sua salma parlarono egregiamente il Rev. Ernesto Gliozzi, il Rev. Monsignor Ettore Migliaccio e il distinto avvocato Girolamo Spagnolo, venuto espressamente da Bovalino.
  Alla famiglia vadano sincere, profonde le nostre condoglianze da queste colonne; la sua vita e la sua morte siano di esempio perenne a quel popolo che egli ha tanto amato.


lunedì 15 aprile 2013

New kid in town - The Eagles


Questa foto è un regalo di Francesco di Raimondo, è il suo battesimo:  il padrino e l'officiante il rito sono due persone d'eccezione: Mimmo De Maio e lo zio Ernesto.
Colgo l'occasione per ricordare l'anniversario della nascita dello zio Ernesto il 12 aprile del 1915

giovedì 11 aprile 2013

Un mese in campagna (reg. Pat O'Connor - 1987)

Quo non livor abit? sunt qui tibi mensis honorem              
     eripuisse velint invideantque, Venus.
nam, quia ver aperit tunc omnia densaque cedit
     frigoris asperitas fetaque terra patet,
Aprilem memorant ab aperto tempore dictum,
     quem Venus iniecta vindicat alma manu.


Ma dove non giunge il livore? Vi sono coloro, o Venere,
che per invidia vorrebbero ti fosse tolto l’onore del mese.
Infatti poiché la primavera dischiude ogni cosa, e il rigore
e l’asprezza del freddo cedono, e la terra gravida si apre,
dicono che Aprile è detto così dalla stagione che s’apre;
ma a sé lo rivendica Venere con la mano protesa.
Ovidio, op. cit.

mercoledì 10 aprile 2013

Questa è la vita (reg. Luigi Zampa - 1954)






Messina 9 – 5 – 949
Miei cari Papà e mammà e cari tutti
Anzi tutto mi auguro che la presente vi raggiunga a tutti bene di salute e di tutto e che nella famiglia è tornata la tranquillità che come vi ripeto per la situazione che ho lasciato in casa sono tornata senza pace nel cuore, avrei tanto piacere di ricevere una vostra col dirmi che siete come prima prima tutti uniti che mangiate insieme che sono convinta che di questa situazione soffrite una più dell’altro, ma si vede bene che nella nostra famiglia per grande e Santa cé la jettatura, di più dopo mi sono sposata io è stato un pivolo speciale che si nota su tutto perciò miei cari la mia raccomandazione è sempre una di compatire ogni cosa e di essere superiore in tutto in modo che l’uno per bene dell’altro e per se stesso, lascia passare ogni cosa e di pensare che questa vita finisce.
Io e Placido stiamo benone come pure tutti i miei. Cara mamma torniamo al solito discorso della ragazza che deve venire. Parlando in casa con mia cognata mi ha detto perché non me l’ho portata con me che cento lire in più e meno non contano io si ho fatto capire quanto è brava ed educata e loro sono tanti contenti spero che a quest’ora suo padre ha risposto favorevole certo che di venire noi non è  perciò ti raccomando di fare voi tutto e di tenerla sempre vicina a voi e quando ce qualche convinzione di venire qualcuno di voi  che come siamo rimaste con Ciccillo che lui vieni in questo mese me la portate  tu lo dici che mille e cinquecento lire sono molte cerca di aggiustarle tu cara mamma e si ripete che la prima volta si avevamo detto mille e due cento e credo che sarà contenta insomma quando mi risponde mi dice tutto come siete rimaste, io aspettava d’un giorno l’altro Rachelina ed ancora non è venuta speriamo che vieni in questa settimana l’altro giorno è passato suo nipote Peppino da Placido e si diceva che stanno bene.
Cari tutti otto giorni fa eramo  chi sa ora quando ci vediamo insiemi. Ciccillo lo si che quando sarà sbrigata Cata  vieni  e mi sembra che questi giorni non passano mai, miei cari smetto tanto non ho nulla da dirve e poi sono rimasta con Placido che esco e lui mi attende. Se volete cosa non vi resta altro che scrivere che noi siamo a vostra disposizione.
Termino con la solita preghiera cara Mammà che ti ho lasciata molto sciupata e voglio che farai e userai tutti i mezzi di stare bene. Io mi auguro che a questora  Ciccillo per come l’ho avuto sempre l’affetto  e ce l’ha te lo dimostra perché so che il bene tuo e suo e speciale. E col porgere i più cari saluti da me e Placido per tutti vi saluto tutti  i miei bacioni cari per Sarino e a voi cari Papà e mammà io  e Placido nell’abbracciarvi vi chiediamo la S. B. la
Vostra affma figlia Rosa
Mie carissimi
Con l’augurio che questa giunga a voi apportando salute, pace ed armonia duratura, termino inviandovi  a Rosa ed ai miei i più cari ed affettuosi saluti
Vostro Placido

lunedì 8 aprile 2013

Rebus (reg. Nino Zanchin - 1969)


 

Dalla fossa di Platì – ottobre 1945

E Lazzaro comparve con la rossa testa rosseggiante, fuori.
Il quale incarica te, suo caro Carissimo di ringraziare quei buoni che hanno sofferto e lamentato per la sua provvisoria dipartita. Ora sta a guatare l’onda perigliosa e pensa: come fa a riprendere il lavoro?
Se era assente dall’altare altri lo ha supplito egregiamente tanto che pochi si sono accorti della mancanza di lui. Ma non bisogna abusare della pazienza dei Ciceroni.
Per cui martedì ti aspetto.
Prima di venire mettiti di accordo con Todarello e Alvaro*, l’uno per la messa domenicale, l’altro per amministrare i sacramenti. Puoi anche promettere di ritornare sera del 30 per le messe dei morti.
Ti mando i moduli firmati.
Saluti per tutti massime per la buona Sirocchia che ha tanto pianto.
Voglio che tu attribuisca alla penna i miserabili scarabocchi più che alla malferma mano.
Con la quale ti accarezzo affettuosamente
Tuo zio Ernesto

*ovvero Don Massimo Alvaro fratello minore di Corrado.

giovedì 4 aprile 2013

Il porgitore (reg Fernando Cerchio - 1958)




Gentilissimo Signor Don Luigi

    Sono spiacentissima perché vi avevo mandato un po’ di frutta  ed i porgitori e compaesani si sono serviti a loro piacere. Vi prego di mandare un recipiente per potervi mettere un po’ di vino e col porgitore stesso mandatemi un po’ di farina specificandomi per lettera il numero dei kilogrammi. Vi ringrazio anticipatamente.
    Auguri per le S. Feste
                                    Teresina Brancatisano
                                                  Vedova
                                                               Monteleone


Egregio D. Luigi

 Mi auguro che la presente vi trovi in ottima salute assieme ei vostri.
Con l’occasione del porgitore vi mando un po’ di vino. Scusate ché non ho un recipiente più grande. Vi mando pure un po’ di castagne per i bambini, abusando sempre della vostra bontà vi sarei grata se per mezzo vostro potrei mandare un po’ per farli avere a mia figlia Bettina. Vi prego di mandarmi quanto mi avevate scritto e che è in vostro possesso. Fatemi sapere se ciò me lo ha mandato Bettina oppure quanto è l’importo. Vi prego scusare tanto il disturbo e gradite i miei ossequi e gli auguri per il S. Natale.
Vi sarei obbligata se per mezzo vostro potrei avere, pagando s’intende una forma di cacio per mangiare di buona qualità.
Fatemi sapere il prezzo che vi spedirò subito per posta
          Vostra amica
                      Monteleone Teresina