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lunedì 20 gennaio 2020

La stanzetta sul retro [di Emeric Pressburger Michael Powell - 1947]


Donazione. Regnando Vittorio Emanuele Terzo per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. – Nel giorno venticinque Ottobre mille novecentotre, 1903, in Platì nel palazzo del Signor Francesco Gliozzi, sito nella piazza San Nicola. Innanzi a Noi Notar Carmelo Febbo fu Andrea qui all’ogetto dell’atto presente iscritto presso il Consiglio Notarile Distrettuale di Gerace, ed il presenza dei testimoni da Noi ben conosciuti e forniti dei requisiti richiesti dalla Legge. Signor Giuseppe Morabito fu Domenico, proprietario, Signor Francesco Gliozzi fu Domenico, proprietario, ambo nati e domiciliati in Platì si sono personalmente costituiti. Anna Trecase fu Antonio casalinga, maritata Francesco Fotia fu Rocco bracciante, che si costituisce al solo scopo di autorizzare detta sua moglie Trecase a poter donare quanto appresso, dall’una parte. E dall’altra la proprio di loro comune figlia Maria Fotia del costituito Francesco, e marito di costei Francesco Calabria di Domenico, bracciante, che si costituisce al solo scopo di autorizzare detta sua moglie ad accettare la donazione che le farà sua madre Anna Trecase. Tutti così costituiti sono nati e domiciliati in Platì, ben noti a Noi Notaio e testimoni. La sopra costituita Anna Trecase autorizzata dal marito dichiara che mossa da particolare affetto verso l’altra costituita sua figlia Maria Fotia si risolse fare alla stessa, come in forza dell’atto presente le fa donazione irrevocabile fra vivi, quindi le dona una piccola stanzetta, sita in questo abitato di Platì, sul rione o contrada Rocca, soprapposta ad un piccolo basso di esclusiva proprietà del marito e padre rispettivo di essa donataria figlia, quale stanzetta limita  con un’altra piccola stanzetta che resta ad essa donante  madre Anna Trecase, con Elisabetta Romeo e strada; e dona detta stanzetta col dritto d’ingresso dove in atto vi esiste, o proprio col basso sottostante. Quale donata stanzetta non è riportata in catasto fabbricati di Platì, perché di nuova costruzione e non divenuta ancora abbitabile. Essa donataria figlia Maria Fotia si terrà sin da oggi ed in piena proprietà ed usufrutto la sopra donatale stanzetta per quota leggittimaria materna, e laddove ve ne sarà supero ogni dippiù dovrà ritornarlo eziandio, edoneo fin da oggi sul disponibile essa donante madre ed a titolo di prelegato ed anteparte od esente di ogni collezione. Sopradetta donataria figlia Maria Fotia autorizzata dal marito Francesco Calabria accetta la presente donazione, e ne ringrazia la donante Madre Trecase Anna la quale dichiara che il valore della … stanzetta può ascendere a lire centoquaranta e ciò a scopo di regolarsi la tassa di registro.  L’atto presente non viene sottoscritto dalle parti per essere analfabeta.  In seguito di ciò Noi Notaio abbiamo letto a voce chiara ed intelligibile il presente atto ad esse parti in presenza dei testimoni ed interrogate le parti stesse se in questo atto si contiene la loro volontà ci risposero affermativamente e perciò l’approvano e l’accettano. Fatto pubblicato e ricevuto in Platì, Circondario di Gerace, Provincia di Reggio Calabria, oggi sudetto giorno, presente le parti e testimoni che con questi ultimi e Noi Notaio sottoscrivono il presente atto che viene vergato su di un foglio di carta di legale incisione in tre facciate meno righe di nostro carattere e da Noi medesimo compilato. Firmato Giuseppe Morabito teste -  Gliozzi Francesco testimone - Notar Carmelo Febbo residente in Ciminà ho stipulato – Registrato in Gerace a 9 Novembre 1903.

domenica 19 gennaio 2020

La strada del sud [di Bernard Vorhaus, 1939]




Per traversare la montagna e andare da San Luca a Gioia Tauro, cioè dallo Ionio al Tirreno, bisogna scendere sulla costa, percorrere verso nord un tratto della Statale 106, la strada più pericolosa d'Italia che corre da Reggio a Taranto, lungo quattrocentonovanta chilometri da costa a costa, con molti tratti infernali a corsia unica, raggiungere Locri, da lì rimontare sull'Aspromonte verso Gerace. Si potrebbe anche deviare prima di Bovalino e salire da Platì, per poi prendere la strada ancora più bella e impervia, spesso franata, che scende fino a Bagnara. Anziché spendere soldi per la manutenzione di una vecchia strada tortuosa, i calabresi, che amano la velocità, hanno deciso di costruirne una nuova, lunga quaranta chilometri, per collegare direttamente Bovalino a Bagnara.
È un'opera avveniristica, che cambierà l'economia della regione, spezzando l`isolamento di tanti paesini pedemontani, secondo alcuni, e quindi rendendo più difficile il controllo del territorio da parte dei locali malavitosi, ma devasterà lo splendore paesistico, secondo altri “senza avere un volume di traffico tale da giustificarla”, avverte per esempio Mimmo Gangemi l’ingegnere di Santa Cristina che si è messo a scrivere romanzi sulla ‘ndrangheta, ma ha subito smesso “per non alimentare l’immagine distorta di una terra dove si vive col giubbotto antiproiettile addosso, in un regime di libertà vigilata”. Il progetto nato quarant’anni fa, prevede lo sventramento dello Zillastro per unire Platì e Santa Cristina con un traforo di 6 chilometri a doppia canna; un ponte strallato in calcestruzzo, pilastri giganteschi su 25 viadotti, 11 gallerie artificiali e naturali. Diviso in 5 lotti, secondo i piani originali avrebbe dovuto essere ultimato nel 2015, per un costo di 835 milioni di euro. Il concorso è stato bandito nel 2003 ma i lavori si sono subito fermati per contenziosi vari tra le ditte e l’amministrazione locale. I cantieri abbandonati per due anni e mezzo. Il sito non più aggiornato dal 2007. Poi i lavori sono ripresi, ma col contagocce e non senza incendi e attentati ai danni delle due ditte siciliane appaltatrici; e adesso, anche se mancano i soldi, il governatore Scopelliti vuole fame una priorità del Piano di sviluppo integrato regionale.
Così, nell`attesa della nuova superstrada, per traversare la montagna, a meno di non risalire sino a Gioiosa e passare sotto la Limina, si può prendere la vecchia Statale 111 che da Gerace porta a Cittanova.
Chiunque vi sconsiglierà di avventurarvi su per la montagna dopo il tramonto. Non si sa mai. Di più non vi diranno, ma dietro l’avvertimento si intuisce il peso della memoria e l`inerzia delle abitudini. Dunque partite all’alba, o di prima mattina, Man mano che salite la montagna, vi prende la paura. Una paura antica, irrazionale. In apparenza, nulla sembra annunciarla, eppure tutto sta lì a giustificarla. Lo strano rarefarsi dell'ascesa, la strada che sale su sempre più ripida e deserta, la nebbia che vi viene incontro e cresce insieme all'ansia di raggiungere la cima. Poi …
Marina Valenzise, Il sole sorge a Sud, Marsilio 2012


giovedì 16 gennaio 2020

Quando volano le cicogne [di Michail Kalatozov, 1957]


LA NASCITA 24 giugno 1956

Nel tempo rimangono nella mente ricordi o lampi che sono lì e non li puoi datare perché fanno parte della tua coscienza.
Ricordo la ruvidezza di un costume da bagno di lana di colore verde bottiglia che mi pizzicava da asciutto e mi pesava come un macigno da bagnato; ricordo a Platì, seduta tra l’armadio e la cascia, la mamma che mi infila un pagliaccetto rosa di una stoffa così fresca che non ne ho più trovate uguali (avrò avuto 2 anni??!!)
E ricordo ancora l’odore di nafta della corriera al ritorno dal mare da Bovalino e quando questa si fermava davanti al panificio e la mamma scendeva e ci comperava i panini al burro e noi li mangiavamo piano perché non finissero mai... e altre cose che affiorano d’estate col caldo, non so perché.
Ed era l'estate dei miei quattroanniemezzo ed era caldo quel pomeriggio e la mamma, con una pancia enorme per me che la guardavo dal basso, forse si lamentava: tu volevi uscire.
Eravamo a Platì sulle scale di casa: ricordo la penombra e le correnti d’aria poi la mamma che scompare e la nonna Mariuzza che invita zia Pina a preparare me e Saro, ci vestono e nel sole cocente del pomeriggio veniamo portati a casa dello zio Giuseppino (il medico) perché a casa nostra doveva arrivare la cicogna.
Papà diceva ”sbrigatevi” ma nel tragitto Saro ed io scrutavamo il cielo per veder arrivare questa cicogna.
Papà ci lascia in quella enorme casa; i cugini erano già più grandi e noi ci sentivamo spaesati, ma la raccomandazione era che dovevamo fare i bravi: siamo stati seduti e zitti nell’atrio fresco e ventilato nell’attesa che ci riportassero a casa.
Anche se ci avevano detto che non era quella la rotta del volatile verso casa noi scrutavamo il cielo dalle tende svolazzanti leccando senza voglia un gelato.
Ogni tanto Saro mi guardava e io chiedevo "quando torniamo a casa?".
Era quasi l’imbrunire e l’aria si era fatta più fresca quando papà è venuto a riprenderci, felice ci raccontava che era arrivato un maschietto.
Forse correvamo per l’impazienza.
Ora le immagini mi diventano più nitide: facciamo di corsa le scale, mamma è a letto, tra lenzuola bianche pulite, sorride, Saro ed io saliamo sul letto e lei ci bacia, in quella entra la nonna: in braccio un fagottino avvolto in una copertina celeste, si avvicina a noi seduti al bordo del letto e ci porge il bambino.
”Guardate, ecco Gianni”.
Abbiamo gli occhi e il cuore pieni di gioia, guardo la pancia della mamma, ma non mi faccio domande, ti faccio una piccola carezza, ti ho subito voluto bene. Gianni.
Maria

mercoledì 15 gennaio 2020

The Mule [di Clint Eastwood, 2019]


BOZZETTO CALABRESE 
I racconti del mulattiere

Platì, 22 febbraio 
Eravamo seduti accanto al vecchio focolare, poiché fuori c'era un metro di neve che impediva persino di mettere il naso fuori dall'uscio. Il più vecchio della compagnia, l’ex mulattiere Mico X, tra una boccata e l'altra,tirata dalla sua, assurda pipa di terracotta si mise a narrare. Era una vecchia abitudine di Mico X, quella di narrare le sue avventure ogni volta che se ne presentava l’occasione; e spesso si trattava di avventure sconclusionate, che deludevano l’uditorio: entravano, come si suol dire, da noi, «con la tocca», e uscivano «con la campana».
Comunque, ci accomodammo bene sugli sgabelli, per prestare ai suoi discorsi la massima attenzione possibile. Il vecchio si mise a rievocare. 
Ai tempi d'oro della mia giovinezza, quando la gente non pagava i contributi unificati, ero alle dipendenze del conte Don Vincenzo di carbonìa; ma un giorno venni a diverbio con lo stesso, e me andai via. Ora dovevo vivere con i miei mezzi, esclusivamente, perciò, la prima cosa che mi toccò di fare, fu quella di scendere in paese e procurarmi un magnifico coltello a serramanico. Me lo ricordo ancora: aveva una lama di circa venti centimetri e uno scatto magnifico.  «Questo coltello» - pensai - «sarà la mia fortuna».  Il giorno dopo me ne andai nella vigna di un tale e mi misi, a staccare grappoli e a mangiare; stacca e mangia, stacca e mangia, a un certo punto comparve il padrone. «Hei, là!» -- esclamò - «Qua il mondo è liberato?»
Io lo guardai bieco e risposi: «E' liberato, e tu che vuoi?»
In così dire estrassi il coltello.
Quando vide il coltello, invece di scappare, come mi aspettavo, divenne una bestia, Che lo avessero ammazzato dieci anni prima!!
Era uno solo, e fece quanto avrebbe potuto fare un battaglione di soldati, mi si lanciò addosso con un bastone, mi fece volare via il coltello dalle mani, e cominciò a picchiare come Briareo quando volle suonarle a padre Giove.
Alla digressione mitologica, Mico X sorrise sotto i baffi soddisfatto.
Io cercavo di vincolarmi, ma quel maiale mi tempestava di geffole e di calci che avrebbero stordito un cervello elettronico. (Anche stavolta Mico sorrise di soddisfazione).
A questo punto il racconto ebbe una pausa. Mico si caricò la pipa nel focolare. Vedendo che continuava a tacere, lo stimolammo a seguitare la narrazione. Ci guardò meravigliato e ci disse: «ma è finita da un pezzo». Ci guardammo stupiti. Ma dovevamo essercelo aspettato. Non era la prima volta che i racconti
di Mico X serbavano di queste sorprese. Non avemmo tempo di rammaricarcene, che
Ciccio Domarom con un urlo di gioia scopri che le patate sotto la cenere del focolaio erano cotte, sebbene noi, al principio del racconto non ce le avessimo messe.
Intanto la vecchia moglie di Mico aveva tratto da uno stipo una bottiglia di vino vecchio, e presi alcuni bicchieri, brindammo allegramente. Ognuno disse la sua. Infine, nel silenzio generale si alzò il vecchio ex mulattiere e declamò: «Eu mi lu jettu arretu a chista lamera - brindisi fazzu a chista cumpagnèra».
Quando si trattava della rima, Mico X non transigeva, doveva arrivare in fondo a tutti i costi. Il brindisi, tuttavia, non era finito. Con la voce malferma, Mico continuò: «E ora guardu stu calici vacanti - e dicu bona notti a tutti quanti».
Poscia si mosse soddisfatto, per andare a coricarsi. 
MICHELE FERA GAZZETTA DEL SUD 23 febbraio 1956


Per chi è interessato alle cose eastwoodiane ricordo che anche il rapporto Clint Eastwood-mulattieri trasi ca tocca e nesci ca campana: risale al Francis mulo parlante 1955, passa per il pugno di dollari 1964 , gli affamati avvoltoi 1968 e arriva a The Mule 2019.
E ora guardu stu calici vacanti e dicu bona notti a tutti quanti

lunedì 13 gennaio 2020

Il miracolo delle campane [di Irving Pichel, 1948]




Vita religiosa a Platì
(M. F.) - Sono stati ultimati e collaudati, nella Chiesa del Rosario di questo centro i nuovi moderni impianti di amplificazione. Il potente megafono ha diffuso nel cielo di Platì il suono armonioso o delle campane della Basilica di San Pietro e di Santa, Maria Maggiore, riproducendolo da alcuni dischi.  
L’audizione è stata perfetta, anche nelle campagne.
Al Reverendo Don Gliozzi autore della bellissima. iniziativa, esprimiamo i sensi della nostra ammirazione.
(Michele Fera) GAZZETTA DEL SUD, 18 aprile 1956

Inizia oggi una nuova etichetta creata per ricordare l'intensa attività giornalistica di Michele Fera. Essa ebbe inizio con l'apparire dell'edizione reggina della Gazzetta del Sud nel 1955 e protrattasi per alcuni anni. Ben prima di Antonio Delfino, con le sue corrispondenze da Platì egli si occupò di cronaca, storia del costume, tradizioni, racconti originali, che periodicamente apparivano sulla testata messinese. Con questo si tenta ancora una volta ricordare i figli più dotti della Platì che a partire dagli anni settanta del secolo della bomba atomica andavano ad essere più rari se non a scomparire del tutto. Mi è sembrato opportuno varare la nuova etichetta con qualcosa di personale, quindi la chiesa del Rosario e lo zio Ciccillo sono i protagonisti più adatti e per ricordarli meglio non potevano essere che Rossini e la sua Gazza ladra qui riproposta con il fruscio del 78 giri e Toscanini a condurla. Assieme alla mozartiana Marcia alla turca richiamava i fedeli alla messa domenicale, affollatissima per via della velocità rossiniana e toscaniniana con cui lo zio Ciccillo la portava a termine.
Nella foto  mastru Domenico Ielasi (1932- 2014) e suo nipote Mimmo sul tetto della chiesa negli anni novanta del secolo citato.


domenica 12 gennaio 2020

Racconti dalla tomba - pt. 2


Torno oggi su una pubblicazione sotto il titolo Racconti dalla tomba. E precisamente sulla figura che in quella pubblicazione Vincenzo istorosofo Papalia vi celebrava, il dottor Domenico Zappia. Quello che segue è l’atto di morte registrato presso il Comune di Platì del dott. Domenico Zappia

L’anno mille ottocento novanta quattro, addì sei di Marzo
a ore pomeridiane due e minuti trenta, nella Casa Comunale,
Avanti di me Oliva Cav. Francesco fu Don Arcangelo
Sindaco ed
Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Platì sono comparsi
Antonio Agresta, di anni cinquanta, bracciale domiciliato
in Platì, e Pasquale Bartone di anni quaranta
sarto, i quali mi hanno dichiarato che a ore
ante meridiane cinque e minuti trenta di jeri nella casa posta in
Corso San Nicola, è morto il Sig. D. Domenico Zappia di anni ottantasei, medico, residente in Platì,
nato in Varapodio da fu Rosario, medico, domiciliato in Platì vivendo, e da fu Donna Rosa Lenzi, gentildonna domiciliata in Platì vivendo, vedovo di Fasano Giovanna.
A questo atto sono stati presenti quali testimoni Antonio Barbaro di anni trenta, bracciale e Giuseppe Mittiga di anni trentuno calzolajo, ambi residenti in questo Comune. Letto il presente atto a tutti gli intervenuti, viene da me sottoscritto, avendo eglino asserito di non saper firmare.
L’ufficiale dello Satato Civile
Francesco Oliva fu Arcangelo

Il dottor Domenico Zappia nacque in Varapodio da Rosario anch’esso medico e dalla signora Rosa Lenzi, originaria di quel comune aspromontano.  Al momento del decesso aveva ottantasei anni. Stando ad altri atti di nascita, il dottor Rosario, figlio di Pasquale e Michia Francesca, al momento del parto di Domenico aveva trent’anni essendo nato il 18 agosto 1778, mentre la sua signora ne aveva diciannove di anni. Domenico sposò in un primo tempo la signora Rachele Brancatisano con la quale ebbe, tra il 1835 e il 1849, sette figli. Rimasto vedovo a cinquantadue anni si unì a Giovanna Fasano, nata in Oppido il 30 marzo 1839 e morta a Platì il 5 agosto 1873 a trentaquattro anni. I due si erano sposati in Oppido il 9 novembre 1859, lei ventenne, e da essi nacquero Francesco, Filippo, Carmelo e Pompeo.

Nelle immagini l'atto di matrimonio tra Domenico Zappia, medico e Donna Giovanna Fasano nello Stato civile della restaurazione di Oppido.

giovedì 9 gennaio 2020

God Bless America [di Bobcat Goldthwait, 2018]


Il 7 gennaio è venuto a mancare in Ross Twp PA all'onorevole età di  92 anni Giuseppe Antonio (Joseph Anthony) Gliozzi. Era nato a Platì il 16 gennaio del 1924 da Giuseppe e Teresa Mittiga. A Platì il 10 settembre del 1949 sposò Michelina Perre nata il 30 settembre del 1926 da Domenico e da Maria Antonia Scarfò. I due coniugi emigrarono in America nel 1951 e precisamente a New Castle PA dove vissero fino al 1962 quando si trasferirono a Ross, dove Michelina visse fino al 29 marzo 2005. Come molti platiesi emigrati anche Giuseppe Antonio con il fratello Ferdinando svolse l'attività di sarto. Joe e Michelina erano i genitori di Frank, Doninic, Joseph jr, Maria e Mario nonché amorevoli nonni e bisnonni.
Nella foto Giuseppe Antonio e Michelina.

Il tutto con il contributo di Francesco di Raimondo.


mercoledì 8 gennaio 2020

Racconto calabrese [di Renato Pagliuso 2016]


Schegge (direbbe Enrico Ghezzi) rubate a Mimmo Gangemi e alla sua Signora di Ellis Island


"Pochi i meridionali: qualche campano, un paio di abruzzesi, un siciliano, uno del Vibonese una bestia di fatica e di forza che tirava dal cottimo quasi quanto due di loro. E Mico, con cui erano bordanti assieme. Era di Platì, un paese vicino al suo, sulla fascia ionica però. Tra le due comunità si erano sempre intrecciati matrimoni, comparati, amicizie, anche guerre, non di rado con il morto. Li collegava una pista, poco più d'una mulattiera, che s'inerpicava fino allo Zillastro - là dove s'incrociavano i venti che salivano dai due mari - e discendeva ripida, cangiandosi con un taglio netto dal verde lussureggiante del lato tirrenico a una terra secca e riarsa, appena ravvivata da radi arbusti che la facevano più desolata, e con massi franati sulla pista o in equilibrio precario sui costoni. Tranne che con Mico, con cui stimavano l'amicizia nata fuori da lì e la fratellanza del vivere assieme, Giuseppe confidenza non ne prese, né gli altri tra di loro".

"Giuseppe a sera gli raccontava dell'Italia. Degli ulivi maestosi, dei boschi di faggio che in autunno si tingevano d'irreale, in pieno splendore nelle foglie con i vividi colori della morte, delle fiumare gonfiate a dismisura dalle piogge, dei bagni che i ragazzi prendevano nella pozza grande, della pesca alle trote e alle anguille - sezionando la poca acqua estiva e stordendole con la calce buttata dentro - delle verdi cime dell'Aspromonte, della curva lungo la pista per Platì da cui si abbracciavano con un unico colpo d'occhio i due mari, della ripida costiera ricoperta di fichi d'India i cui frutti nessuno raccoglieva per il veto del padrone, non disposto a digerire che altri godessero di ciò che per lui, vecchio, era, impossibile".

NOTA. L'interesse per il film citato sta nella presenza di Robert Woods, saltato da protagonista di Spaghetti Western a  vecchio incompreso tornato nel suo paese d'origine, in Calabria.

lunedì 6 gennaio 2020

The Celebration ... The Lizard



II° PREMIO GIORNALISTICO-LETTERARIO ANTONIO DELFINO
Platì 28 dicembre 2019

Motivazione Sezione Saggistica

Lettere meridiane. Cento libri per conoscere la Calabria” è l’opera di raccordo più notevole degli ultimi anni.
La sensibilità di Francesco Bevilacqua ha saputo cogliere l’essenza del nostro essere senza stereotipare la “regione più a sud del sud”, anzi, focalizzando l’attenzione sulle bugie storiche che hanno vestito la Calabria di pregiudizi ai quali a nessuno è facile sottrarsi. La fatica dell’astrazione ed imparzialità è
valsa questo capolavoro che definire di taglio socio-antropologico sarebbe riduttivo. L’itinerario tracciato da Bevilacqua per raggiungere la conoscenza/coscienza dei nostri luoghi, fisici e metafisici, attraversa anche le opere più incisive di importanti scrittori non solo locali che l’autore ha saputo magistralmente rileggere nel suo meta-racconto. Finalmente la ricerca dell’identità attraverso la memoria non è più pretesto di immobilità ma volano di apertura e crescita.


Motivazione Sezione Narrativa



"Un acre odore di aglio": 
è l'Odissea del popolo aspromontano, vinto ma non domo, epopea familiare come pretesto per una impalcatura di nobile letteratura: romanzo di intreccio, azione e non groviglio di narrazione fine a se stessa, lirismo calibrato che non necessita di eccessivi formalismi, accompagnato da un'analisi psicologica che muove fino all'ultima pagina, da cornice un mondo femminile pulsante come il paesaggio descritto, quindi la terra protagonista e antagonista, l'archè a cui l'uomo ritorna, tramestio di vita e di morte: perché ogni uomo, ogni scrittore, è la cifra del luogo in cui nasce e vive.

domenica 5 gennaio 2020

Quei loro incontri [di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub, 2006]


Vuoi per la scelta azzeccata dei premiati, vuoi per la loro presenza, insieme a quella di altri non meno importanti intellettuali e personaggi accorsi dalle località della provincia, la serata del 28 dicembre 2019 è stata una ulteriore dimostrazione delle capacità organizzative dei soci della platiota Associazione Santa Pulinara che per il secondo anno consecutivo indice il premio Giornalistico-Letterario ANTONIO DELFINO. Ma non era tutto oro quello che luccicava negli occhi di quei temerari, avendo bene in testa le reali difficoltà che l’organizzazione di un evento così importante richiedeva e la scarsa locale manodopera.
A chi era assente comunichiamo che la serata è stata presentata da Lucia giarruneiu Catanzariti e coordinata da Maria Teresa D’Agostino.
Se per l’avvocato Francesco Bevilacqua, vincitore per la saggistica con il suo lungimirante Lettere meridiane. Cento libri per conoscere la Calabria”, il Premio è solo un pretesto, la scusa per stare insieme e fare comunità, bisogno sempre più impellente nell'era dell'apparire social. Ma la condivisone delle comuni radici deve essere reale non virtuale. La sua opera è destinata a indicare la testimonianza della vitalità della letteratura calabrese, e degli autori più significativi, per le future generazioni. In quella sede si è scoperto che Francesco Bevilacqua è un camminatore alla Henry David Thoreau e un amante degli alberi alla Jean Giono!
Mimmo Gangemi, premiato per la narrativa con il suo acuto “Un acre odore di aglio”. Allo scrittore gli si riconosce un modo originale di narrare, mettere in discussione, se non altro la gente d’Aspromonte, gente di non facile trattazione.  Egli ci offre il suo tributo ad Antonio Delfino, guardato a volte con invidia. Gangemi, un fedelissimo delle iniziative pulinarote, ancora una volta ci ricorda i legami di parentela intessuti tra Santa Cristina d’Aspromonte e Platì e precisamente con la famiglia di don Gustinu Mittiga, quando le carreggiate erano un legame per lo sviluppo dei rapporti tra i territori che sconfinavano sino alla Piana; ripresa di rapporti auspicata anche dal presidente del Parco dell’Aspromonte dottor Domenico Creazzo presente alla serata, finendo col  renderla preziosa.