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lunedì 14 novembre 2016

La tomba di Ligeia (reg. Roger Corman - 1964)


Quando i crepuscoli del sole morente mandano i loro ultimi pallidi bagliori, e la sera invita il tardo passeggero, che da lassù apparisce, ad affrettare il passo alla volta del suo ricovero; e l’ala stridente del falco o del nero corvo, che vi passa vicino, rapida fende l’aria, e raccoglie il volo sopra qualche rupe inaccessibile; quando l’ululo del gufo e il sinistro squittire della civetta, fosca abitatrice delle fessure di quelle muraglie, risuona, ad intervalli, lamentoso, il luogo diventa addirittura tragico.
L’ombra crescente, a misura che rende più indistinti i profili di quei vecchi avanzi, fa apparire più tenebrosi i recessi, ed in quelle cave sembra maturarsi qualche cosa di cupo e sinistro da agenti tenebrosi. Il lieve stormire delle foglie sembra il passo misterioso di qualcheduno che s’avvicini, e comunica brividi. Vaghi profili si disegnano nell’oscurità, e in mezzo a quelle ombre fosche l’occhio allucinato vede delinearsi una bianca veste verginale, slanciata e flessuosa che sorge da una tomba, mentre una testa nascosta da lunghissime chiome scomposte, che scendono fluttuanti fino al suolo, si disegna meglio.
Due mani stecchite allontanano lentamente il volume di capelli che nascondono il volto, ed apparisce una faccia pallidissima, di una vaporosa bellezza, i cui occhi sembrano di poco a poco svegliarsi da un sonno lunghissimo, e fissarvi con una espressione indefinibile, sinistra e tragica, mentre la bianca tunica, aprentesi d’improvviso, vi mostra un seno esuberante, su cui rosseggia una lunga striscia di sangue che stilla lentamente fino al suolo.
Vi sentireste tentati, vincendo lo stupore, d’interrogare quella strana vergine, bella di una eterea bellezza, ma la vostra voce non otterrebbe risposta alcuna; la vostra invocazione verrebbe accolta da un silenzio superbo.
L’aspetto di quell’apparizione ha parlato troppo, e nessuna umana favella potrebbero rendervi il senso profondo della sublime tragedia compitasi, più di trecento anni fa, lì, in quel luogo, dove un’anima nobilissima, una candida vergine, rapita all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente del signore di quel forte antico, si trapassava il seno con un coltello, anziché cedere all’amplesso tirannico.
E quella pallida ombra, ogni notte, a quell’ora, suole mostrare quivi il suo dolente aspetto, sorgendo dall’avello, che fra quelle mura medesime ergevale l’innamorato e pentito suo tiranno, tardo ammiratore di inaudita virtù.
E’ irriverenza disturbare quel sublime dolore; esso non vuole la parola umana incapace di descriverlo; il silenzio profondo e riverente del cuore è accettato meglio.
Ed ella si dilegua, mentre gemiti lugubri e repressi le tengono dietro, come di persona che la seguisse, di un altro fantasma che implorasse un perdono chiesto da secoli, e non mai concesso.
E’ verità? È leggenda, a prescindere dalla verità storica, pur vi può rappresentare, sebbene con più pallidi colori, la verace anima del passato.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976

Nota
Questa non è letteratura che si addice, o meglio, che può nascere da penna calabrese o nazionale, solo un visionario come Edgar Allan poteva riuscirvi. Né tanto meno può essere apprezzata dai nativi sanluchesi, meno tra tutti poteva essere gradita a Stefano De Fiores, eterno, contorto, mariologo. Eppure Domenico Giampaolo riuscì di trasfigurala sulle rive del Bonamico come Roger Corman trasfigurava, per conto dell’American International Pictures, Edgar Allan con i colori di Floyd Crosby. E vi dico, che certi passaggi di Domenico Giampaolo - rapito, prematuramente, all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente della Morte - li preferisco a interi racconti di Alvaro.




domenica 13 novembre 2016

Un americano in vacanza (reg. Luigi Zampa - 1945)


                                             DA PLATI’
Italiano che onora la patria all’estero
E’ qui giunto da pochi giorni, per trascorrervi una breve villeggiatura il nostro concittadino Thomas Marando accolto da tutti con le più vive e spontanee manifestazioni di simpatia. Egli ritorna  a rivedere il vecchio padre, la famiglia, i luoghi della sua infanzia irrequieta, dopo 28 anni di permanenza in America, la maggior parte trascorsi a Du Bois  in Pennsylvania. La vita di quest’ottimo  italiano è l’esempio tipico di ciò che l’uomo quando all’ingegno accoppia un cuore onesto e volontà e una volontà inflessibile.
Nato in Platì nel 1879 volle nel 1895 varcar l’oceano in cerca di fortuna.
Aveva sedici anni, un biglietto di terza classe e un desiderio immenso di salire.
Al ragazzo, sbalzato d’un tratto dalla quiete del nido familiare nel turbine babelico del nuovo mondo, i primi anni furono di una durezza indicibile, ma egli aveva in se la tempra del lottatore e seppe vincere con tenacia ogni ostacolo.
Riuscì, magnifico esempio di autodidattica, usufruendo dei ritagli di tempo che gli lasciava liberi il diuturno lavoro, a formarsi una cultura; divenne notaio pubblico, interprete, fondatore d’associazioni politiche, sempre apostolo fervente d’Italianità e di patriottismo. Popolarissimo nella nostra colonia della Pennsylvania, non c’è benefica iniziativa che non lo trovi pronto al valido contributo …
Conquistatasi col suo agile ingegno e col suo tenace lavoro una florida agiatezza, questo forte figlio della Calabria non esita a profonderla in tutte quelle opere da cui possa derivar decoro alla Patria.
Dotò la città di Dubois, ove risiede, di un ottimo concerto musicale che gli costò ben settantamila lire, ma che tien desto tra gli americani il massimo entusiasmo per l’arte italiana.
Con la sua opera sagace egli non si stanca di promuovere le associazioni politiche fra i nostri connazionali convinto che dall’unione e dalla disciplina scaturisce la forza necessaria per essere all’estero rispettati.
Gazzetta di Messina e delle Calabrie  6 Agosto 1924 pag. 2



giovedì 10 novembre 2016

Le fate (reg. Salce, Monicelli, Bolognini, Pietrangeli - 1966)


Caro Ciccillo
Ernesto è a letto con catarro e tosse. Non può né vuole viaggiare. Vi prego di non allarmarvi, perché la cosa è lieve; ma le conseguenze potrebbero essere grandi.
Procedete al fidanzamento come se tutti fossimo presenti e non mancherà il tempo in cui i nostri affetti saranno manifestati verso la buona fata che è Cata.
Augurii e buone cose.
Saluti per tutti ed affettuosità al fidanzato.
                                                                                                        Tuo aff zio
                                                                                                           Ernesto
Lì  19 – 1 – 46

Caro Ciccillo
Immagina se avrei  voluto venire ed assistere alla  cerimonia di oggi; ma Peppe quando è venuto aveva visto e saputo che non stavo tanto bene; poi mi ero rimesso; ma ora da tre giorni ho avuto di nuovo la febbre a … 38; stamane è a 37, ma non posso assolutamente viaggiare, anche per la debolezza: vogliatemi perciò perdonare e tenetemi come presente col mio consenso e coi miei più fervidi auguri. Spero rimettermi subito e venire domani ad otto.
Cara Cata
                  Dico a te quello che dico a Ciccillo, mentre ho negli occhi una lacrima di nostalgia. Ti abbraccio.

                 Tuo Ernesto





il primo

è l’atto di battesimo della mamma redatto il 24 marzo 1913 da

ego Franciscus Mittiga sacerdos aeconomus Ecclesia S. M. Lauretanae:
baptizzavi infantem natam die 20 (ma era nata l’ 1, come potete vedere dal secondo documento)
ex Aloisio Gliozzi
et Elisabetta Mittiga
coniugibus legitimis huius Parochiae
cui imposit fuit nomen Chatarina
Matrina fuit Seraphina Gliozzi
Pro fide, Ego F. Mittiga

Il secondo

È l’atto di matrimonio tra papà (commerciante) e mamma (casalinga) redatto dallo zio Ernesto il giovane (assente giustificato al fidanzamento), il quale officiò il rito
il 16 febbraio 1947 alle ore 16
Testimoni
Mimì Gelonesi fu Francesco di anni cinquantasei
e
Peppantoni Perri figlio di Pasquale di anni quarantatre
Le pubblicazioni ecclesiastiche furono eseguite nei giorni 21 gennaio e 2-9 febbraio 1947
e quelle civili dal 26 gennaio al 2 febbraio 1947.

SDG






Allodole sul filo (reg. Jirì Menzel - 1969)





                                                     ODE
                                 Allora quando, di spineti densa,
                                 -  covo selvaggio di selvagge vite -
                                 regnava questo luogo inospitale
                                                               sola, la morte,

                                 E da le scorze degli acuti pini,
                                 dai larici virenti e dai querceti,
                                 scendevan torme di silvestri ninfe,
                                                               di fauni e fate,

                                 Che qui,  nel terso gorgoglio de l' acque
                                 - sotto la fresca nostalgia de l' ombre -
                                  bagnavano le nere ed ondulate
                                                               capigliature...

                                  Allora appunto fu che ruppe, ansante,                                   
                                             tutto l' incanto d' una vecchia etate
                                  il pio muggito d'un torello in fuga
                                                                lungo, sonante.

                                  E con la forza di lunate corna,
                                 - come se dentro l' incitasse un nume -
                                  dove le fate si posavan prima,
                                                                 scavò la terra.

                                   Poi, quando apparve sulla nera zolla
                                   un Simbolo di Vita... il faticante
                                   suo lavoro sospese e, riverente,
                                                                 cadde in ginocchio.

                                   E non è questa quella Croce apparsa:
                                   ond' io  mi spiro a favellar con lode
                                   di quella gente che seguì le peste
                                                                  del pio torello?

                                  - Non è qui, forse, dove apparve - cinta
                                   d' arcana luce, una Regina quale
                                   voi la vedete e i secoli passati
                                                                   ci tramandaro?
                                   Una soave melodia da l' erme
                                   cime dei monti si partì. Le fate
                                   intesero quel canto e sprofondaro
                                                                     tutte sotterra…

                                   Sola regni Maria ! Come l' eterna                                         
                                   giovinezza d'un popolo t' onora!
                                   Come s' intreccia sulla tua divina
                                                                     fronte la lode!

                                   Palpita ancora, dentro le pareti
                                   di questa chiesa l' anima dei padri;
                                   dei forti padri che la fede ardente
                                                                      rese felici.

                                   E t' innalzaro nel prondo cuore
                                   de l' Aspromonte, viride e possente,
                                   una gentile, di bellezze onusta,
                                                                       mite chiesetta.

                                   Dove la massa dei fedeli scese
                                   ebbra di fede e risonaron queste
                                   valli feconde di sonori canti
                                                                        soavemente.

                                   Regni Maria - di nostra gente orgoglio
                                   Ed or che intorno palpita la vita;
                                   vita feconda di lavori umani 
                                                                        tendi l' orecchio.

                                   - Quali clamori a te portano questi                                       
                                   fili di ferro, (*) che le nevi intatte
                                   sorvolano, e tu senti ed annuisci
                                                                         dolce Regina?

                                  - Oh, non è vero che fratelli tutti
                                   ci vuol la Madre, onde ci cinge e lega
                                   con questi fili, e per sentir le preci
                                                                         di tutto il mondo?

                                   Ed è per questo che le braccia tendo
                                   a l' amplesso soave de l' amore;
                                   a tutti quanti non conosco ed amo
                                                                          dico: Salvete!

                              Ernesto Gliozzi il vecchio


Nota
Quest’ode (con qualche modifica) è già apparsa agli albori di queste pubblicazioni; oggi torna alla luce nell'edizione sua originale apparsa, come la foto, sulla rivista POPSIS Anno III, Numero 1-2, 1912.
Al di là dell’argomento mistico-religioso,che accetta la cultura e la mitologia greco-romana, non posso che farvi notare l’ispirazione, quasi canora, come l’influenza metrica carducciana, che partecipano a far volare in alto, nella volta celeste, l’ode. Come, anche, ricordare quell'epoca di forti influssi intellettuali che travalicava il paese. Passed away, forgot …  all! 

mercoledì 9 novembre 2016

Qualcosa è cambiato (reg.James L. Brooks -1997)

Arrivo per la presentazione del libro di Michele e una notizia, quanto mai inaspettata, mi viene catapultata in petto: Micuzzu ha lasciato il suo posto di sacristianu. Durante l’incontro, nel fu Cinema Loreto di Platì, attraverso la finestra con vista sul balcone di casa sua, spero si manifesti per un istante. Tale sarebbe stata la mia letizia; niente, solo una sfuggevole Marietta. Siamo alla frutta! Lo dico perché la figura che egli rappresentava è stata l’istituzione più longeva, per quel che io ricordi da quando gattonavo in chiesa. Nel momento in cui tutto segnava il passo, i parroci, i reggenti la parrocchia, i casuali aiuti mandati da Locri, ma anche quanto attorno a lui accadeva, dai battesimi, ai matrimoni, ai funerali, alle solennità festive, si era certi che dalla chiesa Micuzzu non sarebbe svanito. Ancora: quando il coro non esisteva era sua la voce che intonava assieme all’officiante, così come la squilla era diversa quand’era lui a tirare le corde per messe, angelus o mortorio. Micuzzu è stato anche un’icona al pari di quella di San Paolo assiso su uno degli altari della navata sinistra e come il santo egli faceva fronte col mondo secolare che scalpitava fuori ed i cui rumori massacravano finanche i più semplici rituali ivi celebrati.
Quel mondo secolare l’ho sempre visto come un qualcosa di staccato dagli influssi sacri, per i marcati e distinti colori che si avvicendavano in municipio ma, se ci pensate, anche per le diverse posizioni occupate: il municipio al di sotto la via XXIV maggio, la chiesa al di sopra. Quasi una linea di confine quella carrozzabile, una demarcazione che nessun prelato o sindaco osasse attraversare senza il relativo capo abbassato che era anche una disposizione. Gli unici ad valicala a testa alta erano i novelli sposi, con il loro corteo di testimoni, parenti, amici e le consuete ciurme di bambini, il loro vociare cristallino attirava gli sguardi dei più distratti, che dopo il rito in Comune si avviavano, tutti vestiti in abiti freschi di lavanda, verso la chiesa per fissare la data del vero obbligo, anche morale, dell’uno verso l’altra e viceversa. 
Le opere e i giorni hanno cancellato ogni officiante comandato ai rituali laici o divini. Viepiù che il prelato incaricato dalla curia non è un nativo che parla lo stesso idioma del paese, limitato a subire le interferenze di chi occupando la carica di primo cittadino ha dimenticato, per la maggiore onestà e fedeltà del compito affidatogli, di lasciar in sacrestia le cariche ricoperte in quel contesto.
Nei tempi dei miei ricordi, gli zii Ernesto e Ciccillo pur avendo avuto come compagni di gioco quanti andavano a sedere in consiglio comunale, tenevano cara la loro autonomia o, se preferite, non ingerenza pur avendo la stessa fede politica, talvolta indotta, e così in senso contrario. Quando, anche il primo cittadino, di color rosso peperoncino, teneva all’amicizia ed al rispetto del prelato figlio di famiglie che, seppur avverse politicamente, sedevano insieme nei banchetti lieti o tristi della vita. E nessuno, qualsiasi fosse il suo schieramento, avrebbe ardito portare la fascia tricolore nella processione della Madonna di Loreto o di San Rocco. 


Nota
Questo scritto apparso sulla rivista in Aspromonte nell'ottobre scorso era stato redatto nel mese di giugno. La realtà ha superato la fantasia perché ho l'impressione che ci avviamo a divenire macchiette per un qualunquemente film con l'albanese di turno.
Nella foto in BN, sotto il vigile sguardo dello zio Ciccillo e di mons Minniti, Toto Delfino bacia l'anello a  mons. Michele Arduino che resse la Diocesi di Locri-Gerace dal 1963 al 1972.



lunedì 7 novembre 2016

L'inchiesta - le strade si collaudano con il sedere

Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino


Le dolenti note della viabilità interna
Gli interventi d’emergenza dell’ANAS hanno bloccato il traffico sulla  S. S. 112

PLATI’, 9 – Tra le strade statali, che attraversando gli Appennini congiungono i sue mari, la statale 112 è quella di maggiore interesse commerciale e turistico.
Unisce, attraverso un tracciato pianeggiante, quasi 30 centri in fase di sviluppo economico mentre vi gravita una popolazione di oltre 100 mila abitanti.
Chiusa al traffico dal 1951 non è stata ancora ultimata perché l’Anas interviene saltuariamente e non con un piano generale di lavori. Infatti gli interventi passati sono stati improntati ad un piano d’emergenza.
Spesso i ponti e le altre opere non appena ultimati o cadono o vengono coperti da detriti.
Un mese fa il ponte delle “ Cromatì “, già ultimato (e forse collaudato), venne coperto da 500 tonnellate di detriti, secondo la perizia dell’Anas.
Un solo cantoniere, saltuariamente, è preposto alla manutenzione del fondo stradale, impervio e sconnesso ed ancora esistente in qualche punto, mentre l’erba vi cresce come nei migliori prati inglesi.
E si lamentano che manca il pascolo!
Vengano i tecnici sul posto, e non in visite turistiche per vedere di sfuggita qualche opera ed ammirare il panorama veramente stupendo.
Diceva Ferdinando IV di Borbone che “ le strade si collaudano con il sedere “. Aveva ragione, perché oggi si collaudano con apparecchiature tecniche intrigate e moderne.
Le opere finora fatte con criteri slegati, dove spesso c’è contrasto tra gli stessi enti operanti, portano al paradosso che prima si sistema la valle e poi si iniziano i lavori a monte. Di questa drammatica situazione ne risente la popolazione di Platì, che da quasi 12 anni è priva di una strada che rappresenta la vita del paese per gli intensi traffici e commerci che si svolgevano con i paesi della ricca Piana.
Mentre a monte la situazione è questa descritta, L’Anas continua a costruire strade, autostrade e superstrade (persino di materie plastiche!), mentre fa devolvere per i terreni attraversati dalla statale 112 la somma di 219 milioni, che la Cassa aveva destinato alla bonifica del Careri.
Questo è l’esempio più evidente di come l’Anas non intende dare un assetto organico e definitivo alla statale 112.
Sulla costruenda strada della bonifica la situazione non cambia. Platì, ai primi anni di questo secolo, doveva essere collegato con Bovalino attraverso una strada che, costeggiando l’argine sinistro del corso del Careri avrebbe dovuto portare al mare dopo pochi chilometri.
A questo progetto si interposero persone influenti per censo e per politica, sicché i Platiesi ebbero un tracciato che per raggiungere Bovalino si snoda per ben 25 km., con grave danno economico e spesso di … stomaco.
La bonifica del Careri riprese il vecchio progetto con qualche modifica e si iniziò una strada che sembra il duplicato della statale 112.
Non viene mai alla luce, anzi, mentre dal ponte di Giulia verso Bovalino sono stati iniziati i lavori di bitumazione, il rimanente tratto verso Natile è ancora in fase di sistemazione di tracciato.
Come sempre i lavori iniziano dal mare verso la montagna.
Tralasciando il fatto che il progetto originario è stato modificato con grande dispendio di fondi che sono poi quelli dei contribuenti, è possibile che per la prossima primavera i Platiesi abbiano la nuova strada?
Noi ce lo auguriamo, in modo che Platì attraverso queste due strade possa ridiventare un centro di traffici, di commerci e di turismo, che la posizione geografica offre, in modo da recuperare gli anni perduti per incomprensione generale, quando venne usurpata nei suoi sacrosanti diritti.


Catene - versione a colori






Vista con gli occhi di don Salvatore Carannante, la Siberia nel golfo di Napoli fa venire in mente Sepolto vivo, film, American International Pictures del 1962, di Roger Corman.

domenica 6 novembre 2016

Voci lontane… sempre presenti (reg. Terence Davis- 1988)

Il sette novembre (lo ricordato molto tempo addietro) è l'anniversario della morte del più grande scrittore di tutti i tempi: Sergio Leone Tolstoj. In famiglia però era l'onomastico dello zio Ernesto il giovane, non dimenticando per questo lo zio dello zio, Ernesto il vecchio. In quel clima autunnale a ridosso della commemorazione dei defunti, i più vicini (nella geografia) eravamo soliti sedergli accanto. Passed away, all, è tempo solo per il ricordo, e qui, ancora una volta voglio ripetere che senza lo zio Ernesto queste pubblicazioni non sarebbero esistite, è lui il vero artefice.
Per festeggiarlo virtualmente ecco che viene fuori questo " omaggio augurale " di don Giacomino, scritto in occasione dell'ascesa all'altare dello zio, mentre nella foto egli è seduto sulla scalinata che porta alla Grotta di Bombile con i suoi giovani pellegrini.



Tassoni Oliva Giacomo
     Platì (Reggio Cal.)
                                                                                             Platì 5 Dicembre 1937 – XVI

Al Neo Sacerdote don Ernesto Gliozzi

Entro la tua vigna, o Signore
Un fresco operajo oggi arriva:
la fede, già ardevagli in cuore,
si come una lampa votiva,

ancora fanciullo, allorquando,
lasciava la mamma e i balocchi
e l’arce ascendeva esultando
con lampi di sogni ne gli occhi.

Da l’arce – ove in tempi lontani
Il vecchio Suera à piantato
Con sue apostoliche mani
La santa ceppaja che à dato

Ne’ secoli a Cristo i polloni
Del Presule santo la voce
Chiamava : - Venite, voi Buoni
Voi Eletti – si appella la Croce!

E il piccolo Ernesto v’accorse
Al dolce richiamo, festante,
e tutto, d’allora, si assorse
di Dio nel pensiero costante.

E crebbe qual fiore di serra
Che il proprio profumo non perde,
ma dentro se stesso il rinserra,
né soffio contrario il disperde.

E Iddio del suo vergine cuore
Quel sogno degnossi appagare
Ed oggi, tra un vivo splendore
Di luci, egli ascende l’altare

Del Tempio ove il primo lavacro
Egli ebbe, bambino vagente,
e dove pur l’Ordine Sacro
riceve da Dio sorridente.

Ascendi, Levita di Cristo,
ascendi il raggiunto suo altare
cui oggi, più rabido e tristo
il mondo si affanna ad urlare

l’insulto di Satana, atroce.
Ascendi, o Levita, l’Altare
Su cui alta svetta la croce
Qual faro su torbido mare …

E al candido disco rotondo
Che il Corpo racchiude dio un Dio,
tu implora: i peccati del mondo
cancella, Tu Agnello di Dio.

Implora che venga il suo regno
Quaggiù, sovra l’arida terra,
e che la sua Croce sia pegno
di Amore che fughi ogni guerra.

E voi illustre Presule, al cuore
Stringete il novello Levita,
si come a trasponder l’ardore
di santa, apostolica vita:

l’ardore che tutti vi prende
nel Vostro sì gran ministero,
l’ardore che tutto vi accende
per tutto che è Santo, che è vero.

E su questa casa novella
Che apresi per la tua festa
Non strida giammai la procella,
non rombi giammai la tempesta

ma oggi e per sempre infinito,
si assida la pace e l’amore
e il prossimo nido fiorito
ricolmi ogni gioia il cuore.

GiacomoTassoniOliva

Questi umili versi gettati di un fiato, senza lima e senza contorni, dovevano essere letti nel convivio di jeri. Per ragioni indipendenti dalla mia volontà, non sono stati letti e, non essendo sicuro se il giorno dell’Immacolata son presente, partendo domani per Reggio, li mando, a te, Ernesto, perché li tenga come l’omaggio augurale del mio animo nella fausta ricorrenza della tua consacrazione Sacerdotale.
Giac. Tassoni Oliva

6 – Dicembre – 37 XVI -





giovedì 3 novembre 2016

Ricorda il mio nome (a Bombile)

Lentini Francesco Ant.(27.9.1851) Di Antonio e Catanz. Giuseppa cavolotto
Marando Giuseppe (13.11.1851) di Saverio colonnello
Marando Rosa (15.7.1851) vedova di Morabito Tommaso (masi)
Miceli Domenico (8.3.1851) castagna- vir di Avenoso Concetta
Miceli Giuseppe (13.8.1851) di Domenico castagna
Murabito Domenica (2.1.1851) pirozzo-moglie di Carbone Domenico bizzarro
Pangallo Rosario (21.2.1851) di Ant. e di Catanzariti Anna jèmija
Perre Maria (21.2.1851) di Pasquale rrant
Perri Francesco (3.8.1851) di Saverio malavita
Perri Saverio (14.8.1851) di Antonio rrantu
Sergi Antonio (19.8.1851) di Francesco Antonera e di Catanzariti Maria
Sergi Caterina (27.7.1851) di Pietro ved. di Trimboli Giuseppe vajana
Sergi Domenico (27.11.1851) gallo figlio di Michele
Sergi Giuseppe (11.2.1851) scattagnolo
Trimboli Domenico (23.6.1851) di Francesco pejaru
Trimboli Domenico (17.9.1851)di Pasquale bufalaru
Trimboli Nicola (19.6.1851) di Domenico vajana                                             
Vadalà Giuseppe (17.2.1851) di Carmela del tintore
Zappia Caterina (30.8.1851) di Rocco e Spagnolo Maria gorgiusa
Antonera Anna (8.2.1852)di Bruno:(che Antonera non sia il soprannome?)
Catanzariti Maria (189.6.1852) di Pasquale bomba
Cutrì Francesco (3.1.1852) di Sebastiano stracozza
Floccari Caterina (8.2.1852) moglie di Giuseppe careja
Grillo Domenico (8.1.1852) di Francesco incriccio
Mittiga moGiacomo (13.5.1852) di Domenico dama-vir di Morabito Maria
Portolisi Lucia (14.2.1852) di Saverio-vedova di Pasquale insertasti
Sergi Giuseppe (13.6.1852) di Carlo careja




Le foto riportano il pellegrinaggio a Grutta, guidato dallo zio Ciccillo, verso i primi anni sessanta. Io riconosco i miei, a voi ... i vostri.

mercoledì 2 novembre 2016

L'inchiesta (reg. Gianni Amico - 1971) - Siamo fermi al 1951 -

Il 10 gennaio  (giovedì) 1963, La Tribuna del Mezzogiorno, quotidiano che si pubblicava a Messina, diffuse un intera pagina con il titolo Il progresso non passa per Platì, curata da Toto Delfino. Gli articoli e le foto che vi apparivano li andrò riproponendo per qualche giorno. 
Oggi è la volta del pezzo di presentazione, Siamo fermi al 1951. Sono parole emblematiche, ancora valide, ma, quello che più mi preme farvi notare, è la somma dei tradimenti con cui la realtà si scontrava e che non poteva dare origine a quanto è accaduto successivamente. E continua ad accadere ancora in questi giorni.




 Siamo fermi al 1951

PLATI', 9  -  Dal 1851 al 1951 la popolazione di Platì era aumentata con un ritmo più che proporzionale passando da 1635 abitanti a 4411, tenendo conto delle guerre, emigrazioni, terremoti, mortalità ed altri fattori che hanno influito sulle statistiche demografiche.
Sino al 1951 la popolazione per il 74 per cento si dedicava all’agricoltura, mentre la rimanente parte ad altre attività. I redditi, pur non essendo eccessivi, si contenevano in limiti di benessere. Fiorivano le piccole imprese artigiane; i raccolti agricoli erano ottimi; i traffici ed i commerci erano intensi, sicché ci si avviava verso un miglioramento delle condizioni di vita.
Si arriva all’alluvione dell’ottobre 1951 che segna una data importante nel destino di questa gente.
I morti furono 17; campagne devastate, colture distrutte, strade scomparse; due terzi delle abitazioni invase dai detriti, raccolti perduti e redditi nulli.
Vennero i primi soccorsi, si apprestarono i primi interventi di emergenza che si rilevarono sin dall’inizio d’una provvisorietà sconcertante. Si erogò l’assistenza in varie forme ma con metodi paternalistici.
Tuttavia il governo stanziò dei fondi che dirottarono verso altri centri, in seguito 
                       a varie pressioni di ordine politico.
La popolazione di Platì, che aveva subìto perdite umane rilevanti e danni materiali non estimabili, ebbe la più esigua parte.
Finché la Cassa per il Mezzogiorno(come nella classica favola della montagna che partorisce il topolino), nella compilazione del piano regolatore di massima per la Calabria, incluse il territorio di Platì nei bacini di V categoria (che è poi l’ultima), con una dicitura alquanto amena:
Bacino molto dissestato, con interventi da effettuare soltanto per fini sistematori locali, in rapporto a situazioni di emergenza per la difesa di particolari interessi pubblici “.
Quali fossero questi “ interessi pubblici “ dovevamo saperlo più tardi, quando la Cassa devolse per la sistemazione idraulica dei terreni attraversati dalla statale 112, 319 milioni, già destinati alla bonifica del Careri.
Così il paese dal 1951 è in completo abbandono, la popolazione, in un decennio (1951-1961), ha subito un decremento, le campagne sono abbandonate; i numerosi torrenti (specialmente l’Acone, Mannara e Sanello) vagano liberi in nuovi terreni ulivetati, completando l’opera devastatrice. La statale 112 è chiusa al traffico dal 1951, frane e valanghe si accentuano sui fianchi montani.
Aumentano le emigrazioni transoceaniche  (nel 1961-62 164 unità), mentre quelle interne ed europee si mantengono con oltre 550 unità fluttuanti.
Mancano le iniziative individuali per l’insicurezza del domani in questa valle soggetta a disfacimento. Le opere pubbliche fatte e che si fanno sono improntate alla più netta provvisorietà. Abbondano i “ cantieri scuola “, che disamorano l’operaio al lavoro. Però le tasse le contribuzioni arrivano.
Appunto da queste conosciamo nel nostro territorio di Enti di Bonifica. L’illustre professore Bandini definisce l’opera di questi enti consorziali come “ l’insieme armonico di tutti gli interventi che si attuano su un territorio per portarlo ad un grado superiore di produttività “.
Tralasciando il fatto che spesso il tutto è disarmonico e irrazionale, possiamo affermare che i consorzi di bonifica sono strumenti creati dallo Sato per sviluppare le infrastrutture necessarie allo sviluppo economico e sociale delle popolazioni.
Quali infrastrutture necessarie sono state create in questi anni se non qualche opera pubblica di lieve entità? E se opere pubbliche non sono state fatte, come si giustificano i tributi che la popolazione paga a questi due Enti?
La popolazione di Platì è stanca: Ha bisogno di fiducia. Occorre creare “ ex novo “ un piano di sviluppo per il paese, con la creazione di opere pubbliche di vasta portata che esulino dalla frammentarietà. Abbiamo bisogno di una sicurezza naturale, presupposto alla sicurezza economica.