Ernesto Gliozzi il
vecchio oltre che sacerdote-poeta fu certamente il primo storico platiese, qualità
di cui si avvantaggerà non poco il Canonico Oppedisano per redigere la sua " Cronistoria della Diocesi di Gerace ".
"Sono come un ontano del fiume, le mie radici sono fisse e profonde" Mikio Naruse, 1958
lunedì 15 novembre 2021
I Normanni [di Giuseppe Vari - 1962]
sabato 13 novembre 2021
Dono d'amore [di Jean Negulesco - 1958]
Il pane e il dono
Nel nostro
piccolo paese, sin dai più remoti racconti … il pane era, e rimane la
specialità che tutt’ora emerge quando si parla di Platì. Quindi Platì è sempre
male come alcuni vorrebbero ma è per noi un bene. Un bene che lo si riconosce
anche attraverso la semplicità di una fetta di pane appena sfornato unto di
solo olio … Gusto che sa di pace e rinascita che non sempre denotano altri
posti, oltre ricchezze a noi molto lontane per molto più povere di quella fetta
di pane che noi cittadini del nostro piccolo paese spesso additato, offriamo
sempre con il cuore anche a chi non conosciamo.
Anche a chi
alcune volte ci maledice.
Questo è anche il
principio e il sapore vero del paese di Platì.
SERGI ROSARIO 4b
Il breve testo di Rosario Sergi ha partecipato all’ultima edizione - 2021 - del premio letterario Ernesto Gliozzi, rivolto agli alunni dell’Istituto Comprensivo “De Amicis” di Platì e promosso dall’Ass. Etno-Culturale Santa Pulinara. Dalla semplicità del breve scritto emerge l’educazione e l’amore ricevuti in seno alla famiglia verso il paese innanzi tutto, e verso gli altri, che siano persone o luoghi. Così una fetta di pane di Platì si estende come una calorosa stretta di mano. Ancora nell'immagine di apertura di Domenico Perre, stessa classe stesso concorso, ritroviamo la stessa sobrietà e la stessa sintesi.
giovedì 11 novembre 2021
Il prezzo del perdono [di Alberto Carlo Lolli -1913]
Il male l'ho fatto più a me
Io sottoscritto
Alberto Mercurio vendo a Luigi Gliozzi tutto il frutto delle mie ulive nel
fondo Sfalasi per la prossima annata olearia. Il prezzo resta fissato a secondo
del prezzo che farà il Cav. re Oliva Michelino meno due lire a salma.
Le ulive saranno
consegnate a misura.
Ricevo in
anticipo lire cinquecento.
Platì
li 14 Marzo 1911
Alberto
Mercurio
Ricevute inoltre
lire duecento undici e centesimi ottanta
AMercurio
In una recente pubblicazione ho alluso un commento niente affatto gradito sull’avvocato Mercurio. Ma sull’avvocato e sulla sua figura queste pagine ne sono piene e portano la firma di personaggi coevi dell’avvocato stesso, ho solo riportato una mia impressione anche se legata in un contesto di altra natura. Ho anche accennato che era mia intenzione approfondire la figura dell’uomo e del personaggio che tanta parte ebbe ai suoi tempi anche in relazione ai suoi denigratori. Ovvio che questo non mi scusa con chi mi è ora contro.
sabato 6 novembre 2021
I Volontari [di Domenico Costanzo -1998]
Lo “sciopero a
rovescio” è una moda lanciata da Danilo Dolci in Sicilia nella seconda metà
degli anni 50 del secolo scorso in una zona compresa tra Palermo ed il Golfo di
Castellammare. Dopo 70 anni ecco che ricompare a Platì, causa: il malcontento
tra gli allevatori di bestiame ed i “coltivatori diretti” per il totale
abbandono da parte dello Stato Italiano e dell’ANAS della Statale 112. Ad
allevatori e coltivatori serve come il pane. E così un’unione di volontari, giovani
e meno giovani, dandosi il cambio e senza badare a spese, hanno deciso che
quell’arteria per loro vitale la sistemeranno con le loro braccia. È un lavoro
in alcuni tratti pericoloso per le voragini che si aprono lungo il percorso, ma
di questo non hanno paura, molti di loro sono figli, nipoti e pronipoti di
quanti quella strada l’hanno edificata. Per ora il Comune è al balcone, quei
generosi volontari hanno solo le preghiere di padre Peppe, padre Santino unite
a quelle delle mogli, nonne, sorelle e fidanzate.
lunedì 1 novembre 2021
Quale Cultura? [di Luciano Emmer -1971]
* Pasquale
(Pasqualino) Perri, Scuola e Mezzogiorno,
Qualecultura editrice, Vibo Valentia 1971
mercoledì 27 ottobre 2021
Conflitto di classe [di Michael Apted -1991]
Al solito Dottor
Filippo Zappia
Oh, l’abbietta
creatura che è il Dott. Zappia Filippo! Come inverte le parti, alllor che parla
di provocazioni, di cretinismo, di faccia tosta! Figuratevi! Lui, tutt’ una
provocazione alla compassione ed allo scherno; lui, l’apoteosi del cretinismo; lui,
che à la pelle più dura di quella dell’ippopotamo, lui ... parla di tali cose! E’
da ridere. Ma davvero costui ne capisce di clinica altrettanto, quant’io d’arabo!
Lui parla
di correttezza e di scrupolosità, maggiore e rigorosa!
Lui
l’ignobile prepotenza, e la volgare sopraffazione! E dire che le sue sono tutte
cattive azioni! La sua spudoratezza non à limiti! Ha il coraggio di parlare di
buona creanza! Ma dunque à dimenticato tutto, costui! La sua ignominiosa
esistenza bestiale, la sua insulsagine, la sua ridicolagine, la sua strampalagine
..., mentecatto, tutto egli à obliato? Imbecille, ancor tutto bagnato
dell’orina dei muli, che tradizionalmente coi suoi ha menati al pascolo, o su e
giù da Bovalino pel traffico del commercio, villano insolente ed importuno, rettile
schifoso, rampollo di ibrida genia, tracotante e sicofante insieme, non vede che
per la sua infamia, ognuno ne rifugge, tante sono le azioni malvagie e prave di
che s’incornicia il riverito suo nome?! Incosciente! C’è sale a rammentarmi che
mi si è aperto sotto i piedi un baratro, quando è stato aperto dalle truffe e
dall’espoliazione di certe genti che a lui son troppo note!
Se avessi
rubato anch’io fin treppiedi e scarpe, se fosse io Carmine faccia lorda; e
qualcuno avessi fatto miseramente perire; set oltre alla mia donna ne andasse
in traccia di altre; se mi intricassi dei fatti altrui, e degli atti tutti di
altri volessi far la spia; se di tutti dicessi male i tradendo la verità; se caluniassi
i buoni; se diffidasse dei gentiluomini; oh allora si, non solo la casa, di
correzione, ma anche il carcere meriterei. E così la società sarebbe liberata
di chi introducendosi in una casa, giunge al punto di rovistare, sullo scrittoio
degli altri per essere al corrente dei fatti che interessano le diverse famiglie,
e propalarle, gioiendo del male; rattristandosi del bene che possa capitare ai
proprii simili!
Cosi,
non avverrebbe che io possa vantarmi d’avere pagati con 10 mila i baci di quella
fanciulla che il Dott. sapendo di mentire per la gola, dice che io ho vilmente
abbandonata! Cosi non accadrebbe che io posso gridare di avere tempo per sistemare
di pagare a caro prezzo gli amplessi di una donna, fosse costei pure una tale più
nota all’illustre dottore!
Così, infine,
non potrei rinnovellare al mondo il fatto che anche sulle prostitute da me possedute,
qualcuno non abbia per anco esatta la camorra!
E
nemmeno si farebbe verificato che io avessi dato della roba non mia, a tutti quei
che desiderosi di, spogliarmi, ànno abusato della mia buona fede per farsi
pagare dei debiti imaginarii con proprietà della mia eredità, sia pure se all’asta
fossero stati venduti dei cespiti, che poi furono ingranditi nell'estenzione a bene
placido degli acquirenti, e per i quali l’ultima parola ancora non è stata detta!
Tutte
le turpitudini di questa carogna puzzolente ancora del letame di che s’è infiorata
la sua vita, fra striglie, cavezze, e basti; dimostrano anche una volta di più
come il nostro animale altro che sifilide à nel sangue; egli ha la corruzione
nell’anima, e nel cuore. Sicché il fango putrido e lurido che egli con accorgimento
tenta di buttare sul viso degli onesti a tutta prova, riconosciuti da tutto il
mondo per mali, rimbalza e ricade sul viso di lui!
A
certi individui, però, è duro il constatarlo, non basta la vergogna di sostenere
delle lotte con mezzi dei quali non si può contestare la provenienza! Non basta
a certa canaglia, no, di esercitare la più largai bugia! Costoro, venuti su dai
bassi fondi, e in essi vissuti e pasciuti, costoro, dico, vogliono che nella storia
della canaglieria di tutto il mondo, resti, a caratteri cubitali, impressa la
loro, piena di vituperii e di disonore!
E così
sia!!!
Filippo Oliva dei Conti Ricciardi
Il Circo di NERONE Anno I – N. 15 PLATI’-GERACE 11 DICEMBRE 1904
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Poco si sa e poco
è rimasto de IL Circo di NERONE,
Giornale semi-umoristico con sede in Platì-Gerace. Dei 15 numeri che videro la
luce nell’anno 1915 è rimasta solo questa copia appartenuta a Ernesto Gliozzi il vecchio.
"Considerate la vostra semenza: - fatti non foste a viver come bruti -
ma per seguir virtute e canoscenza", la citazione dal Canto 26° del
Sommo Poeta posta a ridosso della testata è un monito quasi scagliato
all’intera popolazione platiese di quel tempo. Direttore responsabile,
proprietario ed amministratore il dottor Vincenzo Papalia, Il Conte Filippo
Oliva-Ricciardi redattore capo e l’avvocato Alberto Mercurio redattore.
Redazione ed amministrazione in Corso San Nicola numero civico 1. Un numero
aveva il costo di 10 centesimi delle lire di allora. Il dottor Filippo Zappia in
quel tempo era il bersaglio del triumvirato sopra citato: il medico Papalia
nella sua Istorosofia(1) del 1896, il
conte Oliva-Ricciardi e l’avvocato Mercurio(2) con vari
procedimenti penali circa i raggiri per impossessarsi dei beni del casato Oliva
di cui il dottor Zappia era accusato. Purtroppo non si hanno pubblicazioni di
eventuali difese da quest’ultimo sostenute, a meno che non si ventili l’ipotesi
che dietro Marco da Scazia (3) non si celasse che lui.
(2)https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-vita-risorge-natile-gli-oliva-plati.html
(3)https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/il-romanzo-di-un-medico-regjurgen-von.html
https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/il-romanzo-di-un-medico-medici-di.html
https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/il-romanzo-di-un-medico-pitazzu-di.html
martedì 26 ottobre 2021
Zona di guerra [di Tim Roth -1998] - Tramonto sul campo
“Cittadini
e soldati
Siate
un esercito solo”
V.
Emanuele III
domenica 24 ottobre 2021
La Valle dell'Inferno [di Gustavo Serena -1918]
LA COLLINA “LACCATA”
della Valle dell'Inferno
La triste storia delle tre sorelle Agra, Darussa e Suia
Fino a qualche secolo fa, esisteva, in mezzo alla «Laccata» rossastra, il rudere del castello che la leggenda vuole sia appartenuto alle tre fatidiche sorelle di Alessandro XXXVII le quali si ritirarono in quel desolato paesaggio non resistendo al dolore per la tragica disfatta del fratello.
Ma non divaghiamo e torniamo alle sorelle di quell'ultimo, della cui triste storia ancora è impregnata la mortifera terra rossastra che non conosce erbe.
Quando le tre sorelle, la bionda Agra, con la rossa Darussa e la nera Suia, vennero ad abitare nel grande palazzo, i pastori di capre che osarono avventurarsi nella zona, ebbero una sgradita sorpresa: Le tre sorelle, infatti, dimostrarono di non avere nessuna intenzione di vedere adibite a pascoli le loro rossastre terre. Agra, che era la maggiore delle tre, si assunse l'incarico di «spulicare», come diceva lei, la piccola collina. Detto fatto, chiamò a raccolta i pastori avendo in precedenza affilato il più grosso dei coltelli di famiglia, quello che il fratello Alessandro
Nel suo linguaggio stregonesco, che i pastori però, capivano a meraviglia, Agra cominciò: — «Cosa fi? Tent! Nenti, chiurrin, Garicà!»
Dopo il sanguinoso avvenimento, nessun pastore, fino ai giorni nostri, portò a pascolare le capre nella laccata rossastra circostante il castello.
E le tre sorelle?
Gli anni passarono anche per loro, e un bel giorno Agra disse a Darussa con voce malinconica: «Oggi, per tirare il secchio dal pozzo, ho dovuto faticare quanto Briareo quando dové infilare i cesti da boxe per lottare contro Padre Giove!»
Questa è la storia di Agra, Darussa e Suia, che è una delle più strane e insieme delle più, belle leggende calabresi. Il pastore che me la raccontò, mi confidò terrorizzato che nelle notti in cui la luna è al suo primo quarto, dalle zolle rossastre della collina si sente la voce di Agra cantare al vento il suo motto abituale, che uccide chi lo sente.
GAZZETTA DEL SUD, 4 ottobre 1956
venerdì 22 ottobre 2021
mercoledì 20 ottobre 2021
Fango bollente [di Vittorio Salerno -1975] - Una rievocazione del prof. Pipicella
Dopo una breve pausa, riprese a piovere ininterrottamente sino alla notte del 17, quando verso le due, un boato assordante fece tremare la terra e il cielo svuotò improvvisamente tutte le nuvole che l'avevano coperto per una settimana.
Le povere case, che non avevano un solo angolo asciutto, furono completamente allagate. I cittadini tutti svegli e preoccupati non riuscivano a comunicare tra di loro, perché le strade erano trasformate in ruscelli impetuosi e i tizzoni accesi con i quali solitamente squarciavano le fitte tenebre non erano utilizzabili.
Abbandonati i letti inzuppati c'eravamo portati vicino al focolare fino a quando il tuono non spense completamente la brace.
A casa mia, i quattro figli eravamo avvolti in una coperta. Mia madre pregava e piangeva, mio padre si affacciava sull'uscio e rientrava gocciolante.
Le ore che precedettero l’alba durarono un’eternità e la luce del giorno ha aperto ai nostri occhi uno scenario spettrale: a valle un’immensa distesa di acqua e fango con piante e cose semoventi; a monte frane dovunque e dai fianchi squarciati delle montagne possenti gettiti d'acqua.
La pastorizia e l’agricoltura, uniche fonti dell’economia natilese, erano state spazzate via: il patrimonio ovino e bovino era stato completamente travolto e depositato lungo la fiumara dalla montagna al mare; i campi sconvolti e ridotti pietra su pietra!
Ma di tutto questo la popolazione non ebbe percezione, in quanto subito si cercarono gli assenti e si capì che cerano stati dei morti.
In un primo momento i dispersi erano molti, ma il giorno dopo il tragico elenco fu definitivo.
I morti furono dieci: due persone anziane e otto giovani.
Di seguito i nomi in ordine alfabetico e il loro tragico destino:
Il persistere delle piogge aveva reso impraticabile il suo pagliaio, per cui il i7 aveva cercato rifugio in una struttura più solida. Si era portato infatti presso un mulino, esattamente in quello centrale rispetto ai tre esistenti. Qui ha incontrato altre persone che avevano tentato inutilmente di attraversare la fiumara per rientrare in paese quando si accorsero che la portata diventava sempre più minacciosa, tutti insieme abbandonarono il mulino per recarsi verso la montagna con la speranza di trovare qualche soluzione.
Sarà trovato raggomitolato ai piedi di un albero in contrada Lacco di torno. Si è detto che sarebbe caduto dall'albero sul quale aveva cercato scampo, come avevano fatto altri, o che sarebbe stato colpito da un macigno staccatosi dalla frana.
Riportarlo a casa su una scala di legno improvvisata è stata un'impresa difficile e straziante.
Domenico Marvelli, quasi novantenne, viveva assieme ai familiari in una casa di campagna in contrada Acone. Quando è stato invitato a cercare verso l'alto un rifugio più sicuro, ha incoraggiato gli altri a farlo, ma lui volle rimanere a casa sua. Aveva una grande fede e trascorreva parecchie ore a pregare.
Testo del Prof. Pino Pipicella
Foto S. Carannante