ANTICHE LEGGENDE
CALABRESI
LA COLLINA “LACCATA”
della Valle
dell'Inferno
La triste storia delle tre sorelle Agra, Darussa e
Suia
Platì, 3 ottobre
Nel punto più basso e strisciante della Valle dell’Inferno, situata in mezzo
all'estrema punta dell'Aspromonte, rosseggia perennemente una collinetta,
bassa, bruciata dal sole, e la cui composizione geologica è di natura silicea
con abbondanza di pirite ferruginosa.
Nessun pastore ha
mai fatto pascolare le sue capre nella fanghiglia laccosa della collina e,
d'altra parte oggigiorno non esistono più capre che si mettono su terreni
ricchi di minerali, come quelle, favolose del pastore polacco Drungonar.
Fino a qualche
secolo fa, esisteva, in mezzo alla «Laccata» rossastra,
il rudere del castello che la leggenda vuole sia appartenuto alle tre fatidiche
sorelle di Alessandro XXXVII le quali si ritirarono in quel desolato paesaggio
non resistendo al dolore per la tragica disfatta del fratello.
Per chi non lo
sapesse, Alessandro XXXVII era, sempre secondo la leggenda, uno dei favolosi
principi dello Stato di San Polinardo.
Ma non divaghiamo e
torniamo alle sorelle di quell'ultimo, della cui triste storia ancora è
impregnata la mortifera terra rossastra che non conosce erbe.
Quando le tre
sorelle, la bionda Agra, con la rossa Darussa e la nera Suia, vennero ad
abitare nel grande palazzo, i pastori di capre che osarono avventurarsi nella
zona, ebbero una sgradita sorpresa: Le tre sorelle, infatti, dimostrarono di
non avere nessuna intenzione di vedere adibite a pascoli le loro rossastre
terre. Agra, che era la maggiore delle tre, si assunse l'incarico di «spulicare»,
come diceva lei, la piccola collina. Detto fatto, chiamò a raccolta i pastori
avendo in precedenza affilato il più grosso dei coltelli di famiglia, quello
che il fratello Alessandro
buonanima aveva
immerso, da piccolo, nel sangue di Samuele di Samotracia.
Nel suo linguaggio
stregonesco, che i pastori però, capivano a meraviglia, Agra cominciò: — «Cosa fi?
Tent! Nenti, chiurrin, Garicà!»
I pastori risposero
arrogantemente. Troppo arrogantemente, per il gusto di Agra, che li distrusse
nella sua furia alluvionale di giovane strega.
Dopo il sanguinoso
avvenimento, nessun pastore, fino ai giorni nostri, portò a pascolare le capre
nella laccata rossastra circostante il castello.
E le tre sorelle?
Gli anni passarono
anche per loro, e un bel giorno Agra disse a Darussa con voce malinconica: «Oggi, per
tirare il secchio dal pozzo, ho dovuto faticare quanto Briareo quando dové
infilare i cesti da boxe per lottare contro Padre Giove!»
E Suia intervenendo
nel discorso delle sorelle, confidò che nel chiudere la porta del «Mabì» (il
loro ripostiglio segreto), aveva sentito nello stridore dei cardini, la tragica
voce di «Testa di Jizzo» che le chiedeva irritante: — «Suia, Suia,
quando ti fermerai?»
La povera Suia non
poté completare il discorso, che cadde stecchita ai piedi di Agra e Darussa.
Queste, a distanza di pochi attimi la seguirono nella mortale caduta. E il
favoloso castello si disgregò intorno ai loro miserabili colpi.
Questa è la storia di
Agra, Darussa e Suia, che è una delle più strane
e insieme delle più, belle leggende calabresi. Il pastore che me la raccontò, mi
confidò terrorizzato che nelle notti in cui la luna è al suo primo quarto, dalle
zolle rossastre della collina si sente la voce di Agra cantare al vento il suo
motto abituale, che uccide chi lo sente.
MICHELE FERA
GAZZETTA
DEL SUD, 4 ottobre 1956
Foto: S. Carannante
Enigmatico, autunnale, dantesco Michele Fera, che innalza Santa Pulinara (San Polinardo) a stato e la suia a fata stecchita da «Testa di Jizzo».