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giovedì 11 novembre 2021

Il prezzo del perdono [di Alberto Carlo Lolli -1913]

Perdono, perdono, perdono
Il male l'ho fatto più a me
Mogol & Soffici, 1966

Io sottoscritto Alberto Mercurio vendo a Luigi Gliozzi tutto il frutto delle mie ulive nel fondo Sfalasi per la prossima annata olearia. Il prezzo resta fissato a secondo del prezzo che farà il Cav. re Oliva Michelino meno due lire a salma.
Le ulive saranno consegnate a misura.
Ricevo in anticipo lire cinquecento.
                                                           Platì li 14 Marzo 1911
Alberto Mercurio
Ricevute inoltre lire duecento undici e centesimi ottanta
                                                                       AMercurio

In una recente pubblicazione ho alluso un commento niente affatto gradito sull’avvocato Mercurio. Ma sull’avvocato e sulla sua figura queste pagine ne sono piene e portano la firma di personaggi coevi dell’avvocato stesso, ho solo riportato una mia impressione anche se legata in un contesto di altra natura. Ho anche accennato che era mia intenzione approfondire la figura dell’uomo e del personaggio che tanta parte ebbe ai suoi tempi anche in relazione ai suoi denigratori. Ovvio che questo non mi scusa con chi mi è ora contro. 

sabato 6 novembre 2021

I Volontari [di Domenico Costanzo -1998]



Lo “sciopero a rovescio” è una moda lanciata da Danilo Dolci in Sicilia nella seconda metà degli anni 50 del secolo scorso in una zona compresa tra Palermo ed il Golfo di Castellammare. Dopo 70 anni ecco che ricompare a Platì, causa: il malcontento tra gli allevatori di bestiame ed i “coltivatori diretti” per il totale abbandono da parte dello Stato Italiano e dell’ANAS della Statale 112. Ad allevatori e coltivatori serve come il pane. E così un’unione di volontari, giovani e meno giovani, dandosi il cambio e senza badare a spese, hanno deciso che quell’arteria per loro vitale la sistemeranno con le loro braccia. È un lavoro in alcuni tratti pericoloso per le voragini che si aprono lungo il percorso, ma di questo non hanno paura, molti di loro sono figli, nipoti e pronipoti di quanti quella strada l’hanno edificata. Per ora il Comune è al balcone, quei generosi volontari hanno solo le preghiere di padre Peppe, padre Santino unite a quelle delle mogli, nonne, sorelle e fidanzate. 



 

lunedì 1 novembre 2021

Quale Cultura? [di Luciano Emmer -1971]

 Il commento del Signor Antonio Romeo inserito in margine ad una foto recentemente postata sulla pagina Facebook I LOVE PLATI’ ha scaturito alcune considerazioni che, per non vanificarle con un semplice mi piace di rito o sorridente faccina sulla stessa pagina appena citata, ho preferito postare sul blog. Il Signor Romeo trafigge il cuore di I LOVE PLATI’: quale cultura per la Calabria, quale cultura per Platì! E’ già da qualche anno che l’Ass. Etno-Culturale Santa Pulinara con il suo Premio Letterario “Ernesto Gliozzi” rivolto agli studenti dell’Istituto Comprensivo De Amicis – quarta e quinta elementare e tutte le classi della scuola media – si sforza, in mezzo ad infinite difficoltà di qualsiasi natura, di portare gli allievi della scuola sulla strada della conoscenza del proprio territorio e delle proprie origini, senza dimenticare temi più importanti di attualità. Del resto la scuola a Platì è isolata dal contesto comunale come da quello regionale, senza contare il disinteresse da parte del Provveditorato come del Ministero della Pubblica Istruzione. I professori della Media fanno il loro lavoro impiegatizio e solo alcune maestre della Scuola Elementare hanno a cuore la loro missione. E dire, ancora una volta, che Platì è il paese d’origine di Pasqualino Perri educatore e autore di Scuola e Mezzogiorno *, l’unico saggio – dimenticato - che affronta i il problema educativo in rapporto al contesto in cui opera la Scuola.

* Pasquale (Pasqualino) Perri, Scuola e Mezzogiorno, Qualecultura editrice, Vibo Valentia 1971

 


mercoledì 27 ottobre 2021

Conflitto di classe [di Michael Apted -1991]


 

Al solito Dottor Filippo Zappia

Oh, l’abbietta creatura che è il Dott. Zappia Filippo! Come inverte le parti, alllor che parla di provocazioni, di cretinismo, di faccia tosta! Figuratevi! Lui, tutt’ una provocazione alla compassione ed allo scherno; lui, l’apoteosi del cretinismo; lui, che à la pelle più dura di quella dell’ippopotamo, lui ... parla di tali cose! E’ da ridere. Ma davvero costui ne capisce di clinica altrettanto, quant’io d’arabo!
Lui parla di correttezza e di scrupolosità, maggiore e rigorosa!
Lui l’ignobile prepotenza, e la volgare sopraffazione! E dire che le sue sono tutte cattive azioni! La sua spudoratezza non à limiti! Ha il coraggio di parlare di buona creanza! Ma dunque à dimenticato tutto, costui! La sua ignominiosa esistenza bestiale, la sua insulsagine, la sua ridicolagine, la sua strampalagine ..., mentecatto, tutto egli à obliato? Imbecille, ancor tutto bagnato dell’orina dei muli, che tradizionalmente coi suoi ha menati al pascolo, o su e giù da Bovalino pel traffico del commercio, villano insolente ed importuno, rettile schifoso, rampollo di ibrida genia, tracotante e sicofante insieme, non vede che per la sua infamia, ognuno ne rifugge, tante sono le azioni malvagie e prave di che s’incornicia il riverito suo nome?! Incosciente! C’è sale a rammentarmi che mi si è aperto sotto i piedi un baratro, quando è stato aperto dalle truffe e dall’espoliazione di certe genti che a lui son troppo note!
Se avessi rubato anch’io fin treppiedi e scarpe, se fosse io Carmine faccia lorda; e qualcuno avessi fatto miseramente perire; set oltre alla mia donna ne andasse in traccia di altre; se mi intricassi dei fatti altrui, e degli atti tutti di altri volessi far la spia; se di tutti dicessi male i tradendo la verità; se caluniassi i buoni; se diffidasse dei gentiluomini; oh allora si, non solo la casa, di correzione, ma anche il carcere meriterei. E così la società sarebbe liberata di chi introducendosi in una casa, giunge al punto di rovistare, sullo scrittoio degli altri per essere al corrente dei fatti che interessano le diverse famiglie, e propalarle, gioiendo del male; rattristandosi del bene che possa capitare ai proprii simili!
Cosi, non avverrebbe che io possa vantarmi d’avere pagati con 10 mila i baci di quella fanciulla che il Dott. sapendo di mentire per la gola, dice che io ho vilmente abbandonata! Cosi non accadrebbe che io posso gridare di avere tempo per sistemare di pagare a caro prezzo gli amplessi di una donna, fosse costei pure una tale più nota all’illustre dottore!
Così, infine, non potrei rinnovellare al mondo il fatto che anche sulle prostitute da me possedute, qualcuno non abbia per anco esatta la camorra!
E nemmeno si farebbe verificato che io avessi dato della roba non mia, a tutti quei che desiderosi di, spogliarmi, ànno abusato della mia buona fede per farsi pagare dei debiti imaginarii con proprietà della mia eredità, sia pure se all’asta fossero stati venduti dei cespiti, che poi furono ingranditi nell'estenzione a bene placido degli acquirenti, e per i quali l’ultima parola ancora non è stata detta!
Tutte le turpitudini di questa carogna puzzolente ancora del letame di che s’è infiorata la sua vita, fra striglie, cavezze, e basti; dimostrano anche una volta di più come il nostro animale altro che sifilide à nel sangue; egli ha la corruzione nell’anima, e nel cuore. Sicché il fango putrido e lurido che egli con accorgimento tenta di buttare sul viso degli onesti a tutta prova, riconosciuti da tutto il mondo per mali, rimbalza e ricade sul viso di lui!
A certi individui, però, è duro il constatarlo, non basta la vergogna di sostenere delle lotte con mezzi dei quali non si può contestare la provenienza! Non basta a certa canaglia, no, di esercitare la più largai bugia! Costoro, venuti su dai bassi fondi, e in essi vissuti e pasciuti, costoro, dico, vogliono che nella storia della canaglieria di tutto il mondo, resti, a caratteri cubitali, impressa la loro, piena di vituperii e di disonore!
  E così sia!!!
Filippo Oliva dei Conti Ricciardi
Il Circo di NERONE Anno I – N. 15  PLATI’-GERACE 11 DICEMBRE 1904

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Poco si sa e poco è rimasto de IL Circo di NERONE, Giornale semi-umoristico con sede in Platì-Gerace. Dei 15 numeri che videro la luce nell’anno 1915 è rimasta solo questa copia appartenuta a Ernesto Gliozzi il vecchio.
 "Considerate la vostra semenza: - fatti non foste a viver come bruti - ma per seguir virtute e canoscenza", la citazione dal Canto 26° del Sommo Poeta posta a ridosso della testata è un monito quasi scagliato all’intera popolazione platiese di quel tempo. Direttore responsabile, proprietario ed amministratore il dottor Vincenzo Papalia, Il Conte Filippo Oliva-Ricciardi redattore capo e l’avvocato Alberto Mercurio redattore. Redazione ed amministrazione in Corso San Nicola numero civico 1. Un numero aveva il costo di 10 centesimi delle lire di allora. Il dottor Filippo Zappia in quel tempo era il bersaglio del triumvirato sopra citato: il medico Papalia nella sua Istorosofia(1) del 1896, il conte Oliva-Ricciardi e l’avvocato Mercurio(2) con vari procedimenti penali circa i raggiri per impossessarsi dei beni del casato Oliva di cui il dottor Zappia era accusato. Purtroppo non si hanno pubblicazioni di eventuali difese da quest’ultimo sostenute, a meno che non si ventili l’ipotesi che dietro Marco da Scazia (3)
non si celasse che lui.
 

 


martedì 26 ottobre 2021

Zona di guerra [di Tim Roth -1998] - Tramonto sul campo

 Cittadini e soldati
Siate un esercito solo”
V. Emanuele III



Corrispondenza in franchigia

Zappia Domenico
Cap. M.
20° REGGIMENTO FANTERIA
8° COMPAGNIA
Zona di guerra


 
All’Egregio
Sig. Gliozzi Luigi
Via rotabile N.° 4710
Platì
Reggio Calabria
 
 
Ricordandomi le gentilezze 
usatomi invioti ringraziamenti
E saluti affettuosissimo
Dev.mo
DZappia
17 Maggio 1918

domenica 24 ottobre 2021

La Valle dell'Inferno [di Gustavo Serena -1918]



ANTICHE LEGGENDE CALABRESI
LA COLLINA “LACCATA”
della Valle dell'Inferno
La triste storia delle tre sorelle Agra, Darussa e Suia

 

Platì, 3 ottobre
Nel punto più basso e strisciante della Valle dell’Inferno, situata in mezzo all'estrema punta dell'Aspromonte, rosseggia perennemente una collinetta, bassa, bruciata dal sole, e la cui composizione geologica è di natura silicea con abbondanza di pirite ferruginosa.
Nessun pastore ha mai fatto pascolare le sue capre nella fanghiglia laccosa della collina e, d'altra parte oggigiorno non esistono più capre che si mettono su terreni ricchi di minerali, come quelle, favolose del pastore polacco Drungonar.
Fino a qualche secolo fa, esisteva, in mezzo alla «Laccata» rossastra, il rudere del castello che la leggenda vuole sia appartenuto alle tre fatidiche sorelle di Alessandro XXXVII le quali si ritirarono in quel desolato paesaggio non resistendo al dolore per la tragica disfatta del fratello.
Per chi non lo sapesse, Alessandro XXXVII era, sempre secondo la leggenda, uno dei favolosi principi dello Stato di San Polinardo.
Ma non divaghiamo e torniamo alle sorelle di quell'ultimo, della cui triste storia ancora è impregnata la mortifera terra rossastra che non conosce erbe.
Quando le tre sorelle, la bionda Agra, con la rossa Darussa e la nera Suia, vennero ad abitare nel grande palazzo, i pastori di capre che osarono avventurarsi nella zona, ebbero una sgradita sorpresa: Le tre sorelle, infatti, dimostrarono di non avere nessuna intenzione di vedere adibite a pascoli le loro rossastre terre. Agra, che era la maggiore delle tre, si assunse l'incarico di «spulicare», come diceva lei, la piccola collina. Detto fatto, chiamò a raccolta i pastori avendo in precedenza affilato il più grosso dei coltelli di famiglia, quello che il fratello Alessandro
buonanima aveva immerso, da piccolo, nel sangue di Samuele di Samotracia.
Nel suo linguaggio stregonesco, che i pastori però, capivano a meraviglia, Agra cominciò: «Cosa fi? Tent! Nenti, chiurrin, Garicà!»
I pastori risposero arrogantemente. Troppo arrogantemente, per il gusto di Agra, che li distrusse nella sua furia alluvionale di giovane strega.
Dopo il sanguinoso avvenimento, nessun pastore, fino ai giorni nostri, portò a pascolare le capre nella laccata rossastra circostante il castello.
E le tre sorelle?
Gli anni passarono anche per loro, e un bel giorno Agra disse a Darussa con voce malinconica: «Oggi, per tirare il secchio dal pozzo, ho dovuto faticare quanto Briareo quando dové infilare i cesti da boxe per lottare contro Padre Giove!»
E Suia intervenendo nel discorso delle sorelle, confidò che nel chiudere la porta del «Mabì» (il loro ripostiglio segreto), aveva sentito nello stridore dei cardini, la tragica voce di «Testa di Jizzo» che le chiedeva irritante: «Suia, Suia, quando ti fermerai?»
La povera Suia non poté completare il discorso, che cadde stecchita ai piedi di Agra e Darussa. Queste, a distanza di pochi attimi la seguirono nella mortale caduta. E il favoloso castello si disgregò intorno ai loro miserabili colpi.
Questa è la storia di Agra, Darussa e Suia, che è una delle più strane e insieme delle più, belle leggende calabresi. Il pastore che me la raccontò, mi confidò terrorizzato che nelle notti in cui la luna è al suo primo quarto, dalle zolle rossastre della collina si sente la voce di Agra cantare al vento il suo motto abituale, che uccide chi lo sente.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 4 ottobre 1956

Foto: S. Carannante

Enigmatico, autunnale, dantesco Michele Fera, che innalza Santa Pulinara (San Polinardo) a stato e la suia a fata stecchita da «Testa di Jizzo». 

mercoledì 20 ottobre 2021

Fango bollente [di Vittorio Salerno -1975] - Una rievocazione del prof. Pipicella


Ai primi del mese di ottobre c'erano state delle piogge e la fiumara in piena aveva travolto un bovino. la notizia appena diffusa, aveva colpito la popolazione, in quanto la perdita di un bovino era considerata una grossa perdita!!
Dopo una breve pausa, riprese a piovere ininterrottamente sino alla notte del 17, quando verso le due, un boato assordante fece tremare la terra e il cielo svuotò improvvisamente tutte le nuvole che l'avevano coperto per una settimana.
Le povere case, che non avevano un solo angolo asciutto, furono completamente allagate. I cittadini tutti svegli e preoccupati non riuscivano a comunicare tra di loro, perché le strade erano trasformate in ruscelli impetuosi e i tizzoni accesi con i quali solitamente squarciavano le fitte tenebre non erano utilizzabili.
Abbandonati i letti inzuppati c'eravamo portati vicino al focolare fino a quando il tuono non spense completamente la brace.
A casa mia, i quattro figli eravamo avvolti in una coperta. Mia madre pregava e piangeva, mio padre si affacciava sull'uscio e rientrava gocciolante.
Le ore che precedettero l’alba durarono un’eternità e la luce del giorno ha aperto ai nostri occhi uno scenario spettrale: a valle un’immensa distesa di acqua e fango con piante e cose semoventi; a monte frane dovunque e dai fianchi squarciati delle montagne possenti gettiti d'acqua.
La pastorizia e l’agricoltura, uniche fonti dell’economia natilese, erano state spazzate via: il patrimonio ovino e bovino era stato completamente travolto e depositato lungo la fiumara dalla montagna al mare; i campi sconvolti e ridotti pietra su pietra!
Ma di tutto questo la popolazione non ebbe percezione, in quanto subito si cercarono gli assenti e si capì che cerano stati dei morti.
In un primo momento i dispersi erano molti, ma il giorno dopo il tragico elenco fu definitivo.
I morti furono dieci: due persone anziane e otto giovani. 


Di seguito i nomi in ordine alfabetico e il loro tragico destino:

Domenico e Pietro Callipari, fratelli, si trovavano assieme al padre ed altri familiari nell’ovile posto nel bacino della sorgente della fiumara Acone. La sera del 17 ottobre, poiché nel loro ricovero era filtrata dell'acqua, avendo saputo che il capanno di un ovile vicino era asciutto e più sicuro, sono stati mandati dal padre a rifugiarsi e a tenere compagnia ai due giovani che custodivano quel gregge. Questa decisione sarà motivo di rammarico e di rimorso per il povero genitore che andava ripetendo: per mettere in salvo i figli maschi, li ho mandati a morire, mentre io e le femmine cl siamo salvati!

Bruno Cavalieri, aveva 65 anni ma per gli stenti e la fatica dimostrava molti di più. Si trovava in contrada Maddamma perché il granturco era maturo e bisognava vigilare.
Il persistere delle piogge aveva reso impraticabile il suo pagliaio, per cui il i7 aveva cercato rifugio in una struttura più solida. Si era portato infatti presso un mulino, esattamente in quello centrale rispetto ai tre esistenti. Qui ha incontrato altre persone che avevano tentato inutilmente di attraversare la fiumara per rientrare in paese quando si accorsero che la portata diventava sempre più minacciosa, tutti insieme abbandonarono il mulino per recarsi verso la montagna con la speranza di trovare qualche soluzione.
Sarà trovato raggomitolato ai piedi di un albero in contrada Lacco di torno. Si è detto che sarebbe caduto dall'albero sul quale aveva cercato scampo, come avevano fatto altri, o che sarebbe stato colpito da un macigno staccatosi dalla frana.
Riportarlo a casa su una scala di legno improvvisata è stata un'impresa difficile e straziante.

Domenico Marvelli, quasi novantenne, viveva assieme ai familiari in una casa di campagna in contrada Acone. Quando è stato invitato a cercare verso l'alto un rifugio più sicuro, ha incoraggiato gli altri a farlo, ma lui volle rimanere a casa sua. Aveva una grande fede e trascorreva parecchie ore a pregare.
Il suo corpo è stato trovato, distante da dove si trovava l'abitazione, ma ben composto e senza nemmeno un graffio.

Antonio Mirto, di anni 27, una settimana dopo sarebbe dovuto partire per l'Australia. Si trovava nell'ovile della Costa Dabate, dov'erano andati a rifugiarsi i fratelli Callipari.
Unico figlio maschio, era lui che badava alla famiglia costituita dall'anziana madre e dalle sorelle.
Del suo corpo e di quello degli altri tre, nonostante le lunghe e amorevoli ricerche, non si è vista traccia. 

Francesco Pangallo, di anni 18, la sera del 17 era partito assieme al padre dall'ovile per rientrare a casa. Ad un certo punto poiché il padre, attraversando un ruscello in piena stava per essere travolto, ha consigliato Francesco di non rischiare e di ritornare a tenere compagnia ad Antonio Mirto. Rifacendo la strada è passato dall'ovile dei Callipari ed è stato lui a riferire che nel suo ovile tutto era tranquillo e la “casetta” era asciutta e riscaldata. Fu la quarta vittima inghiottita da quella frana.

Antonio Pipicella, di anni 20, assieme al fratello Domenico ed al padre si trovavano nell'ovile di contrada Lacco di torno.
Aveva fatto la visita di leva ed era in attesa di partire per il servizio militare. Di lui è stato reperito un arto superiore ed uno inferiore, a diversi chilometri di distanza cercando e scavando tra le carcasse dei suoi animali.

Domenico Pipicella, di anni 16, è stato trovato in un posto impensato dopo un certo periodo di tempo.
Infatti lo zio ha sognato il ragazzo (ma la moglie ha sempre sostenuto che non dormiva) che lo rimproverava di averlo lasciato morire mentre l'avrebbe potuto salvare.
Egli, infatti, era stato mandato dal padre ad avvertire i due pastori dell'ovile vicino che dovevano allontanarsi perché a rimanervi si correvano grossi rischi. Ma i due pastori erano già andati via, egli non era potuto ritornare dai suoi ed era rimasto bloccato dal crollo della struttura dell'ovile. La persona che aveva avuto questo sogno o visione, anziché continuare a cercare lungo la fiumara, decise di tentarne il riscontro. Scavando tra le macerie di quell'ovile, in una intercapedine, apparve il corpo senza vita di Domenico.
Molti dei presenti ricordarono che il giorno del primo sopralluogo avevano sentito dei lamenti, ma avendo saputo che i pastori che si trovavano in quell'ovile erano sani e salvi, hanno pensato si trattasse di qualche bovino.

Paolo Pipicella, di anni 13, era affetto da una leggera balbuzie, ma era loquacissimo ed aveva una memoria eccezionale; ripeteva quasi integralmente i panegirici e le prediche della settimana santa, salendo sugli alberi o dal balcone dell'arciprete Filippo Ietto, che lo ascoltava entusiasta.
Queste sue qualità lo rendevano particolarmente simpatico zio Sebastiano, il quale aveva pensato di fargli prendere il posto del figlio Antonio che sarebbe andato a fare il servizio militare.
Alla sua prima settimana di lavoro, la frana e la fiumara non hanno consentito ai genitori di reperire qualcosa che gli appartenesse. Nonostante le ricerche si fossero protratte per anni.

Sebastiano Pipicella, di anni 46, era una delle persone che godeva di grande prestigio in seno alla comunità natilese.
Perso il padre in tenera età, aveva assunto la guida della famiglia ed era riuscito a costruire, assieme al fratello, un discreto patrimonio di capi di bestiame, circa 300.
Era sempre pronto ad intervenire quando qualcuno subiva un torto, e i casi più frequenti erano gli abigeati.
Il carattere gioviale e il senso dell’umorismo non sminuivano ma accentuavano il carisma di uomo saggio che aveva il culto dell'amicizia, della famiglia e della parola data.
Le sue qualità le dimostrò anche come amministratore comunale: infatti era consigliere in carica.
Di lui rimase proverbiale l'espressione:
na cosa sula non pozzu supportari: a farsitutini" .

Testo del Prof. Pino Pipicella

Foto S. Carannante



martedì 19 ottobre 2021

Come quel giorno [di Mario Caserini -1916] - Un suffragio 70 anni dopo


Platì 18 ottobre 2021
L'Associazione Etno-Culturale SANTA PULINARA
ringrazia  Padre Santino & Domenico I. 
e  quanti hanno partecipato al Rito
per essersi presi cura delle vittime del
18 ottobre 1951

 

giovedì 14 ottobre 2021

La morte cammina nella pioggia [di Carlos Hugo Christensen - 1948]


Nel 70° Anniversario

Platì 18 Ottobre 1951


Na data tristi chi veni sempri ricordata
l’affidamu ai posteri non m’esti mai dimenticata.
 
Morti e distruzioni nto paisi dassau
quandu u dilluviu universali di jà passau.
 
S’ apriru i catarratti e l’acqua du cielu calava
Ciancio, ntantu a valle s’ingrossava.
D’arretu da Rocca fici breccia
trasiu nto paisi comun na freccia.
 
Ci fu nu pigghja pigghja chija notti
pe casi e pa li strati passau la morti….
Urla disperate! ... Mani avvinghiate! …
19 vite,
dalla furia dell’acqua, trascinate.
 
Quella notte, pure Acone nel campo entrava
disturbando il sonno di chi in pace riposava.
 
A distanza di 70 anni
una Preghiera  
per chi lottò quella notte
contro l’ingrata morte.

Silvana Trimboli
Caraffa del Bianco, 2021

.:.:.:.

A tutt’oggi l’elenco definitivo delle vittime è nebuloso. Il NOTIZIARIO DI MESSINA(*) in data 8 novembre 1951 riportava  i 15 nominativi già citati nel video. La tradizione popolare ne ricorda18/19. Non vengono in soccorso né i registri comunali né quelli parrocchiali. In questi ultimi sono elencati solo:
Marando Giuseppe di Rosario anni 13
Marando Rosario di Domenico anni 47
Portolesi Caterina fu Pasquale anni 77
Sergi Michele di Pasquale anni 15.
A questi bisogna aggiungere:
Iermanò Serafina di Francesco di 5 mesi
Zappia Filippo di Domenico di 8 mesi
segnati nel registro dei morti della parrocchia in data 18 ottobre 1951
e Iermanò Saverio di Antonio di anni 90 registrato in data 20 ottobre 1951.
Antonio Schimizzi morto durante i lavori di sgombero delle macerie era nato il 29 giugno del 1900 da Francesco e Musitano Francesca. Il 10 febbraio del 1929 sposò Domenica Carbone di Antonio e Martino Anna Maria di 23 anni ed ebbero 6 figli.

(*) https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/acque-del-sud-reg-howard-hawks-1944.html

In apertura:
Particolare del monumento alle vittime dell’alluvione del 1951 di Platì realizzato dal pittore e scultore messinese Antonello Bonanno Conti.

Nel video: Antonio Vivaldi, Concerto per Violino op. 7 No. 12 in re maggiore RV 214, Grave Assai, Claudio Scimone dir. - To be played at maximum volume.