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mercoledì 27 maggio 2020

AGONIA [di Julio Bressane, 1978] - Una mini serie su Platì di GIANNI CARTERI (1952 – 2015) in quattro parti



DEMOCRAZIA NEGATA
IL «CASO» PLATI’

QUELLA VOLTA
CHE VENNE DE GASPERI

 [Una storia in quattro parti]

Lo Stato unitario che a Platì usò il guanto di ferro per sconfiggere il brigantaggio 
di Ferdinando Mittiga, è ancora visto come un 'entità lontana. Platì è oggi un paese che rischia di essere cancellato dalla mappa geo-politica dell'Italia. E come una rondine ferita adagiata con il becco ai piedi dei primi contrafforti aspromontani. E già passato un anno dalla rivolta delle donne in nero.



Prima Parte

Piove a dirotto su Platì e la primavera tarda ad annunciarsi. Montagne di nuvole cariche ancora di acqua non promettono nulla di buono e rinnovano le vecchie paure e le imprecazioni per uno Stato che non c'è.
Una presenza emotiva, episodica, fluttuante e spesso in veste repressiva. Uno stato di disagio tra la gente dove è facile leggere un senso di sfiducia quasi totale. Siamo tornati ai livelli del 1945. La gente semplice che stenta a mantenere una sua dignità di vita civile e democratica si rende conto che qualcosa si è rotto nel rapporto con il resto d'Italia. Lo Stato unitario che in Platì fu particolarmente violento per domare il brigantaggio di Ferdinando Mittiga è ancora visto come una entità astratta e lontana. Un paese che rischia di essere cancellato dalla mappa geo-politica dell’Italia.



È passato ormai quasi un anno dalla rivolta delle donne in nero che in 48 ore spazzò via l’Amministrazione Comunale. Ne parlò anche la stampa nazionale nella consueta logica del «mordi e fuggi» degli inviati speciali, interessati a dipingere il paese aspromontano come covo di briganti e sequestratori. Per rendersi conto del contrario basta addentrarsi nei vicoli del centro storico che quasi miracolosamente resiste al tempo; si ritrova l'anima del passato: ne viene fuori una Platì completamente diversa, magicamente attaccata alle proprie radici, alla cultura fatalista dei propri padri che in ogni casa ricordano fotografie a colori, adagiate su un centrino bianco sopra il comò: quasi fossero Numi tutelari, gelosi custodi di atteggiamenti e tradizioni da trasmettere ad intere generazioni.
Platì è un microcosmo, una sorta di rondine ferita, adagiata con il becco ai piedi dei primi contrafforti aspromontani. Certo una civiltà che muta e dove il moderno bisogno sfrenato di danaro ha reso più instabile le basi etiche di parte della popolazione, cresciuta nella montagna più aspra d'Europa. Sono ancora ben visibili le ferite dell’alluvione del 1951, spartiacque storico della vita politica e sociale del paese.
Gli anni del Fascismo avevano consolidato in Platì una classe agraria che nel 1946 aveva dato come altri paesi del Sud la sua preferenza alla Monarchia. Durante il regime finì esule una delle guardie del corpo del capo degli ustascia croati Ante Pavelic: si chiamava Ante Zizanovic e sposerà una figlia del possidente-poeta di Platì Don Giacomino Tassone.
Sul finire della guerra Platì di certo rispecchiava l'andamento che il prefetto Priolo di Reggio Calabria nel suo rapporto semestrale del 1944 al Governo di Roma, sullo stato della Provincia, enunciava con chiarezza: «Una gara di proselitismo tra i partiti antifascisti al fine di ottenere dal competente organo provinciale la nomina del maggior numero di sindaci, assessori provinciali» la cui assegnazione avveniva sulla base del numero degli iscritti ai rispettivi partiti. 
«Nella corsa al numero si bada - evidenziava il prefetto - alla quantità e non alla qualità degli aderenti. Tutti i partiti ammettono nelle proprie fila numerosi ex-fascisti e gerarchi, mentre, poi, ciascun partito proclama solennemente la necessita di defascistizzazione ed accusa gli altri di opportunismo e di fascismo». 
Viene nominato in Platì Commissario prefettizio il maresciallo in pensione dei Carabinieri, ormai mitico, massaru Peppi, Giuseppe Delfino. Nelle prime elezioni amministrative del dopoguerra si dà vita, su iniziativa dello stesso, ad una concentrazione popolare.
Testo e foto introduttiva: Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992

Nella pubblicazione è allegata la copertina della nuova edizione di CACI IL BRIGANTE di Michele Papalia, in questi giorni edita da CITTA' DEL SOLE edizioni di Reggio Calabria.
Ante Pavelic invece lo ritrovate in compagnia dei suoi degni compari.

martedì 26 maggio 2020

Okaasan (Madre) [di Mikio Naruse, 1952]

Donna Peppina Violi
di Pasquale e Maria Ciampa
11 aprile 1925 - 8 luglio 1994
eterna sposa di Antonio Trimboli


8 maggio 2016

Comu forestera ccà rrivai,
famigghjia e lavuru affruntai,
dassai u me paisi comu “pratiota”
e janu janu diventai “carraffota”.

Dassai ricordi chini d’affettu,
u cchjiù bellu u misi nta lu pettu,
lu tinni strittu no mi nesci via:
è chiju di la cara “mamma” mia.

                    Mamma:

Ognunu i nui seguimmu a nostra sorti,
rrestasti sula ma tu sempri cchjiù forti …
Fummu da tia, “figghjioli amati”
E nui di tia “mamma nnamurati”.

U cori d’amuri ndu parinchisti
E di cosi belli ndi nutristi,
nui li portamu tutti sigillati
no’ mi sunnu du tempu cancellati.

Ti portasti affanni e patimenti
Non ci fu tempu pe godimenti …
Chjiudisti l’occhji, cchjiù no nsentivi.
Chjiamavumu: mamma, ma tu no’ rispundivi.

Fusti mamma unica ed esemplari,
oji 8 MAGGIO, ti vorzi ricordari,
nta sti verzi attia dedicati
ci sunnu l’intenzioni di me soru e di me frati.

Comu forestera, nto pajisi chi nescia
Tornu mu dicu na preghiera attia:
                                     Mamma mia.

I tuoi figli amati

Silvana Trimboli, Caraffa del Bianco

 Il ritratto di Peppina concesso da Silvana risale al 19 gennaio del 1959, quattro mesi prima della tragedia che travolse Antonio Loreto e la sua famiglia.


Il film di Mikio Naruse citato in apertura contiene lo stesso struggente tono, nel ricordare okaasan - la grande, indimenticabile Tanaka Kinuyo, della poesia composta da Silvana: una riflessione sul tempo, sulla vita stessa, la vita che avanza irrimediabilmente senza fermarsi, portandoci in un altrove che con fatica accettiamo.


lunedì 25 maggio 2020

I lupi attaccano in branco [di Franco Cirino,1970]




SEGNALATI DAI PASTORI
Branchi di lupi sull’Aspromonte

Platì, 2 gennaio `
Molti pastori di questo centro, dislocati in vari punti dell'Aspromonte hanno segnalato la presenza di numerosi lupi nelle zone anche vicine all'abitato.
Nella serata di ieri alcune dir queste belve si sono portate in un recinto di capre posto in contrada Arcopallo e hanno sbranato alcuni capi della mandria. Altri capi di bestiame, tra cui sei mucche e diverse pecore sono scappati via impauriti dall'assalto e non sono stati poi ritrovati.
I pastori danno attivamente la caccia alle pericolose belve, che si presume siano in tutto una diecina, ma le battute condotte finora non hanno dato nessun risultato positivo.
La sera di martedì 27 dicembre, verso le ore ventitré, alcuni giovani di questo centro hanno dichiarato di avere visto, lungo la via Roma, risalire una piccola torma di cani uggiolanti. Appare probabile adesso, che dovevasi trattare di qualche lupo spinto dalla fame nel paese.
GAZZETTA DEL SUD 3 gennaio 1955

Dal tono, il testo è facilmente attribuibile a Michele Fera


domenica 24 maggio 2020

Roba da ricchi [di Sergio Corbucci,1987]



La Illustrissima Casa Cariati ed i contratti con Massari di Platì, 
Careri e Natile, ex feudi.

La casa Cariati, ossia la famiglia dei principi Spinelli, possedeva i Feudi di Platì, Careri e Natile con i relativi pascoli e foreste. Dopo l’abolizione del sistema feudale in epoca napoleonica, la proprietà rimase comunque agli ex baroni che possedevano le terre e il bestiame. Dei contratti furono stipulati con i Massari per la cura degli allevamenti o con “industrianti” per la gestione dei mulini. I contratti venivano stipulati per mezzo dei notai della zona: da Ardore a Santa Cristina.  Questi contratti sono interessanti in quanto testimoniano la ricchezza e l’economia di Platì e dell’area intorno.
Ve ne propongo uno, altri seguiranno, che riguarda una Masseria di Vacche in uso già da tempo: - Anche se in genere il padrone degli animali preferiva godere interamente del loro “frutto”, in alcuni casi, invece, sappiamo che poteva affidarli in rapporto di Soccida, dandoli “in guadagno” ad un altro, che s’impegnava a custodirli “a mita”, ovvero “in medietatem lucri”. – (*)
Atto nr 37, Anno 1822, Notaio Saverio Gliozzi fu Carlantonio di Ardore
Regno delle due Sicilie
Oggi che si contano li due del mese di Agosto dell’anno mille ottocento ventidue in questo Comune di Platì.
Regnando Ferdinando primo, per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza, Castro “Gran Principe Ereditario della Toscana”.
Avanti a Noi Saverio Gliozzi, figlio del fù Carlantonio Notaio pubblico domiciliato in quel Comune di Ardore col nostro Studio Strada Pittellari, Provincia della Prima Calabria Ulteriore oggi di passaggio in questo sudetto Comune di Platì, e dei sottoscritti letterati testimoni richiesti ed aventi tutte le qualità ordinate dalla Legge; si è personalmente costituito il Signor Don Muzio Lacava, Dottor Fisico, figlio del fù Don Pasquale domiciliato in questo sudetto Comune di Platì Strada La Chiesa Madre, Agente ed Amministratore dei beni dell’Illustre Casa Cariati in questi ex feudi di Platì, (ill), Careri, da noi Notaio e testimonj ben conosciuto, da una parte.
E dall’altra, il massaro Domenico Pangallo fu Diego ed il massaro Francesco Catanzariti fu Antonino, domiciliati in questo sudetto Comune di Platì da noi notaio, e da testimonj ben conosciuti.

Dunque, siamo nel 1822 e questo contratto ne rinnova uno precedente stipulato presso il Notaio Brancatisano di Santa Cristina. I Massari Pangallo e Catanzariti (ri)prendono in carico una masseria di vacche. Viene eseguita una perizia sul valore affidata a Domenico Portolese, di Vittorio, e a Rocco Lacava entrambi di Platì e quindi si fanno i calcoli con il valore dell’anno precedente. La masseria ha acquisito ben duecentotredici ducati di valore da dividere fra la Casa Cariati ed i Conduttori. In effetti finirà tutto alla Casa Cariati poiché i Massari sono debitori dell’affitto del Carruso, pascolo sempre di proprietà della Casa Cariati. Interessante è l’inventario delle bestie e del loro valore:
Vacche figliate a maschi numero venti per lo valore di ducati trecento novanta tre
Vacche figliate a femmine numero diciannove per lo valore di ducati quattrocento undeci
Vacche stirpe numero trentacinque per lo valore di ducati cinquecento novanta
Genche di tre anni numero due per lo valore di ducati trentaquattro;
Ienturi di due anni in tre numero quattro per lo valore di ducati sessanta,
Giovenche di due in tre anni numero sedici per lo valore di ducati duecento sessantatre.
Annicchie di un’anno in due numero quattordeci per lo valore di ducati centosessanta.
Annichi di un’anno in due numero quattordeci per lo valore di ducati centosedici
e finalmente due tori per lo valore di ducati cinquanta
che in una formano numero centoventisei per lo valore di ducati duemila settantasette.

Una breve digressione sul valore della Masseria di Vacche:  benché sia difficile ottenere una corrispondenza precisa fra il valore del ducato in quel periodo e l’euro, essendo molte le variabili che concorrono a determinarlo (non comparabili ad esempio il costo della mano d’opera o quello del mercato immobiliare), ci possiamo basare su due dati di fatto: il valore che venne dato al ducato all’Unità d’Italia ed il valore dell’oro materiale di cui era fatto il ducato. Se consideriamo il primo, 1 ducato napoletano = 4,25 lire (nel 1861). 1 lira del 1861 = 13 euro quindi un ducato circa 50 euro. Più o meno lo stesso risultato si ottiene considerando il suo peso in oro: 3,53 gr. Quindi 2077 ducati corrisponderebbero a circa 103.000 euro.
Oltre al bestiame, vengono consegnati ai Massari anche degli attrezzi:
Da vantaggio li sudetti Pangallo, e Catanzariti dichiarano di aversino ricevuto li seguenti utensili di masseria. Primo: tavole d’abeto numero sette usate. Secondo un caccavo (**) grande di rame da circa libre cinquanta. Terzo simile di libre trentadue i quarto, simile di libre ventisette; quinto una caldaja di rame del peso di libre venticinque, sesto un’altra di peso di libre nove; settimo, campane numero sette; ottavo, cani numero quattro cioè Turco, Palombella, Rosa e Berettone, essendo morte Schiavella e Marchesa. Oggetti che si riceverono nell’anno scorso dal Signor Passarelli, che si riconsegnano e si ricevono di nuovo per restituirli ai trentuno di Luglio dell’anno venturo milleottocentoventitre, unitamente alla masseria.
In cosa consistono i guadagni delle parti?
Si è convenuto che li sudetti massari Domenico Pangallo e Francesco Catanzariti fussero obbligati a custodire la sudetta Masseria delle Vacche da diligente Padre di Famiglia e tenerla a mettà guadagno tanto per gli animali che il frutto dei Latticini.
Alla riconsegna,
… conosciuto il valore degl’animali allora esistenti, si dovessero togliere i ducati duemilasettantasette, importo della masseria che si ricevono, quindi il rimanente tolta la spesa dei pascoli, sale, ed altro, dovesse dividersi per mettà tra ambe le parti contraenti.
Ma, restando ad arbitrio del Patrimonio di pagare in danaro contante cioché gli spetterà di avanzi sopra i sudetti animali.
Eventuali perdite sul capitale, non imputabili all’incuria dei Massari, saranno anche prese in carico dalle parti.
La Casa Cariati pur concedendo che la Masseria potesse pascolare nelle montagne di Alati e Fricuri appartenenti a detto Patrimonio senza chiedere nulla, li pascoli della Foresta nomata Carruso esistente nel territorio di Careri, dovessero restare per servizio della Masseria per l’estaglio(***) di ducati duecentosettanta, siccome si è praticato per lo passato.
A carico dei Massari vi è anche un compenso per l’Agente di Casa Cariati: i sudetti Massari siano obbligati di corrispondere al sudetto Signor Agente ed al suo fattore quei latticini freschi che secondo il costume si è pratticato per lo passato. Come si può leggere non è quantificato e si va per consuetudine.

I nostri massari non sapevano leggere e scrivere, ma letterati sono i testimoni che firmano insieme all’Agente ed al notaio. L’atto (o instrumento) viene redatto e letto in presenza dei sottoscritti testimonj  il Signor Don Giosafatto Furori del fù Francesco domiciliato in questo Comune di Platì e del Signor Don Pasquale Lentini del fù Antonio domiciliato in questo medesimo Comune, amendue possidenti, testimonj richiesti ed aventi le qualità prescritte dalla Legge, alla presenza dei quali, e di me notaio stipolatore li sudetti massari Domenico Pangallo e Francesco Catanzariti hanno dichiarato di non saper scrivere per non aver mai imparato.

Negli anni seguenti ci saranno altri contratti di rinnovo e l’Agente sarà Don Francescantonio Stillisano sposato ad una Oliva. Il terzo luogo del Feudo, illeggibile nel contratto del 1822, sarà in questo nuovo contratto nominato come Natile.

(*) Note per una storia dei bovini del ceppo Calabrese della razza Podolica (sec. XVI-XVII) di Pino RENDE Arsac Centro Divulgazione Agricola n°11
(**) CACCAVO, CACCAVELLA
Parliamo di grandi o più piccoli recipienti di rame e/o di coccio. il cui nome deriva dal latino caccabus, contenitore, a sua volta dal greco χαχχαβίς caccabios,  con la solita mutazione della b in v

(***) ESTAGLIO dal lat. mediev. extalĭu(m), comp. di ex-“fuori, da” e di un der. di taliāre “tagliare”. tipo di contratto a cottimo in uso nell’Italia meridionale


Ricerche svolte presso l' Archivio di Stato di Locri, Atti notarili, Notaio Saverio Gliozzi, atto n. 37 del 1822.
ROSALBA PERRI

sabato 23 maggio 2020

AMIGOS [di Paolo Cavara,1972]


Oggi sono qui con Francesco di Raimondo, il nonno di Francesco, Micuzzu, lo zio Ernesto, su tutti giganteggia a Madonna du Ritu :
https://ilpaesediplati.blogspot.com/2020/05/riecco-il-blog-su-plati.html

giovedì 21 maggio 2020

Cinema d'altri tempi [di Steno,1953] Per un Festival Virtuale


Quando si dice che il film deve piacere al pubblico,
si enunzia grossolanamente una verità fondamentale
di ogni arte.
Corrado Alvaro


 PVFF
Platì Virtual Film Festival
Second Season
Sotto gli auspici di Enzo Ungari



CORRADO ALVARO
o
il vero spettatore cinematografico
20 film da vedere assolutamente

Programma:
1 Altri tempi (Zibaldone n. 1), Italia 1952; Alessandro Blasetti.
2 L'amante del torero (The bull-fighter and the lady), USA 1951; Budd Boetticher.
3 L'Angelo azzurro (Der blaue engel), Germania 1930; Josef von Steinberg.
4 L'asso nella manica (The big carnival o Ace in the hole), USA 1951; Billy Wilder.
5 Atlantide (Die herrin von Atlantis), Francia-Germania 1932; Georg W. Pabst.
6 Aurora (Sunrise), USA 1927; Friedrich W. Murnau.
7 Bellissima, Italia 1951; Luchino Visconti.
8 I dannati (Decision before dawn), USA 1951; Anatole Litvak.
9 Diario di un curato di campagna (Journal d'un curé de campagne), Francia 1950; Robert Bresson.
10 Il dottor Caligari (Das kabinett des Dr. Caligari), Germania 1920; Robert Wiene.
11 Germania anno zero, Italia-Germania, 1947; Roberto Rossellini.
12 Luci della ribalta (Limelight), USA 1952; Charles Chaplin.
13 Metropolis (id.), Germania 1926; Fritz Lang.
14 1860, Italia 1934; Alessandro Blasetti.
15 Morte di un commesso viaggiatore (Death of a salesman), USA 1951; Laslo Benedek.
16 Rashômon (id.), Giappone 1950; Akira Kurasawa.
17 Risate in paradiso (Laughter in paradise), G. Bretagna 1951; Mario Zampi.
18 Roma città aperta, Italia 1945; Roberto Rossellini.
19 Salerno ora X (A walk in the sun), USA 1945; Lewis Milestone.
20 Sangue blu (Kind hearts and coronets), G. Bretagna 1949; Robert Hamer e John Dighton.
21 Telefonata a tre mogli (Phon call from a Stranger), USA 1952; Jean Negulesco.
22 Umberto D., Italia 1952; Vittorio De Sica.
23 Un uomo tranquillo (The quiet man), USA 1952; John Ford.
24 Verso la vita (Les bas-fonds), Francia 1936; Jean Renoir.
25 Viale del tramonto (Sunset boulevard), USA 1950; Billy Wilder.

Il cinema Corrado Alvaro lo portò sempre con sé. Accanto alla sua attività di romanziere, viaggiatore, giornalista e quant'altro, il legame col cinema non lo staccò, stancò mai: dentro l'industria dapprima e come saggista e critico dopo. I film riportati sopra ne sono un esempio. Quale più, quale meno sono sempre stati visti con l'occhio dello spettatore cinematografico più accorto. Le sue critiche erano tutte derivate dalla sua esperienza di scrittore ma anche di uomo vissuto. I suoi apporti critici a film come Diario di un curato di campagna, Morte di un commesso viaggiatore, Rashômon, Umberto D., Un uomo tranquillo, tra gli altri, letti con pieno coinvolgimento emotivo e con spirito libero. Le sue esperienze basilari di vita nella Grande Guerra e nella Germania di Weimar confluite dapprima nelle opere letterarie, le ritroviamo nelle recensioni de I dannati (Decision Before Dawn) e in Salerno ora X, schifoso titolo per l’edizione italiana di A Walk in the Sun e quando parla della nascita del mito di Marlene Dietrich in L’angelo azzurro. Negli scritti sul cinema un Alvaro poco ossequioso col potere specie quello ecclesiastico, ad onta di un fratello prete che probabilmente lo capì poco, lui a dover fare i conti con le città in espansione, don Massimo a Caraffa del Bianco dove ancora tutto era legato ai cicli della terra. E qui voglio ricordare che don Massimo fu compagno in seminario di Ernesto Gliozzi il giovane e aiuto di Ernesto Gliozzi il vecchio, parroco in Casignana. Egli, per finire, fu uno dei pochi ad intuire la portata estetica e morale di un cineasta come Alessandro Blasetti - “l’amore delle idee generali, la prima dote che colpisce accostandolo; anche in chi come me, gli ha parlato per qualche istante una volta appena(1) - e a cui il cinema italico deve molto. Alvaro intuì l'importanza e i pregi di 1860 – “mostra quali risultati si possano ottenere in Italia sia pure con una certa economia di mezzi(2) - ben prima di Martin Scorsese.

(1 ) Su "Il Mondo", 15 novembre 1952
(2 ) Su "Nuova Antologia" 16 maggio 1934


Forse dopo Corrado Alvaro le critiche più originali le ritroviamo proprio in Enzo Ungari (1948 - 1985)

mercoledì 20 maggio 2020

Giorno per giorno [di Maria Speth, 2001] Somebody to Love

Shaped by years of memories
To exorcise their ghosts from inside of me
David Sylvian


Caro Luigi, grazie della tua mail.
Certo, mi fa passare veloci sequenze di tante vite, di altre vite...
Olga Moschella, la incontrai al piano sottoterra della Facoltà Magistero, Istituto di Storia dell'arte, ed ero bagnato e intirizzito, timido come un pulcino.
Ero arrivato a Messina, per la mia nomina a ricercatore supplente in Storia delle Tradizioni Popolari, con l'autostop - non avevo macchina, non ero ricco e, per fortuna, non lo sono mai diventato (odio i soldi) - e fui subito accolto con premura e affetto. Furono anni di dura fatica, di esperienze bellissime, di inviti a cena a casa di Olga, di ristoranti, di Billé, anguria e limonate nelle piazze, viaggi al Piloro, pesce a Ganzirri, innamoramenti e legami duraturi, veri.  
E poi, un'epoca dopo, la Rai 3, i documentari, i viaggi, la scoperta dello Ionio, Caulonia e Platì, Polsi e Brancaleone, Gianni Carteri e Micu Pelle, i viaggi con Enzo Misefari e con Saverio Strati, gli incontri fugaci con La Cava, e la gente, le loro voci, i loro suoni, San Rocco a Gioiosa e un giorno che a Platì, dopo una iniziale diffidenza, un signore cantò per me per oltre due ore...
Nostalgia, anche. Ma, quando mi capita, cerco di fare una piccola messa a punto delle cose fatte, di quelle non fatte, di quanto avrei potuto fare meglio...giravo sullo Ionio e quel mare entrava per sempre nella mia vita e, soprattutto, i paesi interni che, poi, negli anni, avrei percorso a piedi, solitario o con qualche amico intimo...e stabilivo rapporti con persone che sarebbero durati per sempre...
Puoi immaginare, allora, con quale piacere ho visto la tua Platì, nelle tue sequenze filmiche, con brevi ma essenziali parole, con un montaggio intelligente...e come con piacere avrei scritto una paginetta non fosse altro che per ricordare...
Quando Marilisa, tua cugina, una donna che stimo molto e a cui mi sento molto legato, mi parlò delle tue cose, ero nel pieno di un disastro emotivo e affettivo. Di dolore. Mamma se ne era andata ultracentenaria, ma questo rendeva più lacerante la perdita, l'abitudine e, dopo anni di nottate, cure, fughe, mi scoprivo vuoto e impotente. Poi, come nei peggiori film, si ammalò il mio amico di una vita, un fratello, una grande fotografo, Salvatore Piermarini, compagno in viaggi, ricerche, libri, amore per il cinema...e furono due mesi di calvario...e ancora adesso, pure turbato dal Coronavirus, preso da lezioni a distanza, faccende pratiche, non so elaborare dei lutti a cui poi, come nei peggiori film, appunto, se ne sono aggiunti altri importanti. Con questo quadro - che ti ho delineato non per "piangermi", ma per ricordare - forse non ho capito bene quale fosse la richiesta di Marilisa e ho pensato a un generico invito a guardare il blog, cosa che ho fatto, anche con emozione, perché mi fa sempre piacere vedere citate le mie cose da persone intelligenti, non per vanagloria di autore, ma per la sostanza che si può trovare nei libri e che può diventare elemento di scambio.
Adesso leggerò, intanto vedo che il tuo lavoro ha preso un buon cammino, aspetterò l'uscita e, certo, ci saranno altre occasioni per incontrarci, farci qualcosa...tra l'altro è da anni che rinvio un ritorno, con inviti vari, a Platì, Palizzi, Bovalino Superiore, Bianco...area "grecanica", S. Lorenzo, Roghudi ecc. 
Ti auguro belle cose e buona fortuna. Grazie per la stima e l'attenzione che ricambio. Saluta e abbraccia Marilisa, Dericati Calabrisi, comuni amici di Aspromonte. 
Vito Teti

Nella foto di Salvatore Piermarini (1949 - 2019) il prof. Teti, sulle onde dello Scilla e Cariddi, sfoggia dei mustazzi (dal fr. moustaches) che avrebbero fatto l'invidia di Groucho Marx.
La foto si trova qui: https://www.flickr.com/photos/salvatorepiermarini/20141152372
Il prof. Teti in precedenza è apparso qui:



Da ultimo, al prof. Teti non posso fare altro che dedicare il finale piano sequenza di Nostalghia, film del 1983 di Andrej Tarkovskij.
e i QUEEN con Somebody to Love

lunedì 18 maggio 2020

Angeli senza paradiso [di Willi Forst,1933]

    

Ancora nel cuore, ancora nella mente


di PAOLA VIOLI

L’alluvione del 1951 aveva lasciato al suo passaggio un paese devastato: detriti e fango dappertutto e case abbandonate senza corrente. Da bere era rimasta solo l’acqua piovana che si raccoglieva dentro le pentole e i recipienti. I bambini correvano per le strade del paese senza controllo e i genitori dovevano pensare a ripristinare quel poco rimasto. Era in questa atmosfera pesante che un mattino venne a svegliarci la mamma. Io e mia sorella più piccola dormivano nello stesso letto, abbracciate per scaldarci. Quando aprii gli occhi era tutto buio, solo la fiammella del lume a petrolio illuminava la stanza. Non sapevamo il motivo di quella sveglia a quell’ora. Mia sorella più grande ci lavò e ci vestì. Mia mamma, impassibile, ci prese per mano e uscimmo nella notte umida e buia. Ci portò davanti alla “Cresiola” da dove partivano i pullman e lì ce n’era uno più grande e di colore diverso dalla corriera che faceva regolare servizio. Sul quel grande pullman c’erano delle signore vestite di bianco. Ci unimmo ad altre bambine del paese, eravamo circa una trentina e ci fecero salire sul grande pullman. Mia sorella tenendosi per mano alla sua amichetta Serafina cominciò a salire sul pullman mentre io mi attaccai alla saia di mia mamma. E quando cercò di farmi salire mi nascosi dietro di lei piangendo e gridando perché non volevo salire. Quando le porte del pullman si chiusero una delle signore in bianco abbassò il finestrino, mia mamma con forza mi prese in braccio e mi passò tra le braccia che sporgevano dal finestrino. Mi fecero sedere accanto ad un’altra bambina e dopo poco mi addormentai. Quando mi svegliai entrava la luce dai finestrini, ci fecero scendere, ci diedero qualcosa da mangiare ed entrammo in quella che mi sembrò una stazione, non so se di Bovalino o di Reggio Calabria. Arrivò un vecchio treno e ci fecero salire. Era tutto in legno, sporco e brutto. I sedili duri facevano male alle nostre fragili ossa. Un viaggio da incubo per una destinazione ignota, non si arrivava mai. Eravamo stanchi e sporchi. Finalmente il treno si fermò e ci fecero scendere. Un altro pullman ci portò in una piazza grandissima. Lì, secondo la mia amica Antonietta Romeo, ci fecero entrare in un locale dove c’erano tante scarpe, ognuna di noi poteva sceglierne un paio e calzarle. Non ricordo se fossimo scalze o se quelle che indossavamo non fossero idonee per entrare in un grande locale pieno di angeli e santi nelle pareti e sul tetto. Eravamo in Vaticano. Rimasi incantata di tale e tanta bellezza, non avevo mai visto nulla del genere. Lì c’erano uomini con i mantelli rossi e strani cappelli e monache vestite di nero con colletti bianchi. All’improvviso tutti tacquero e si girarono con la testa in su verso una balconata. Anche noi bambini alzammo la testa e vedemmo un signore con un cappello a punta e un bastone che con una mano ci salutava. Non so cosa ci disse, presumo che ci desse il benvenuto e la santa benedizione. In seguito, attraverso le fotografie, riconobbi in lui Papa Pio XII. Dopo di che delle suore ci distribuirono un sacchetto di carta marrone con dentro caramelle, biscotti e cioccolatini. Uscendo sul piazzale ci aspettavano altri pullman. Ci divisero in due gruppi, metà fummo mandati a Roma, gli altri a Ostia Lido. Quando mi trovai sopra il pullman non vidi più mia sorella, era stata mandata a Ostia. Mi misi a piangere e una suora mi venne vicino, le dissi: “Aund’è me soru?” (dov’è mia sorella?). La suora non mi comprese: lei non conosceva il dialetto e io non conoscevo l’italiano. Mi disperai tanto che mi prese in braccio e cercò di tranquillizzarmi dicendo che presto l’avrei rivista. Invece non fu così, la rividi dopo 24 mesi, io ero già a casa quando lei ritornò da Ostia.
Ci portarono in un collegio, ci diedero da mangiare e ci misero a letto. Nella stanza dove dormivamo erano disposti in fila solo degli enormi letti, ognuno occupato da due bambine, una che dormiva dalla parte della testa e una dalla parte dei piedi. Il letto più vicino all’ingresso era quello della monaca che dormiva con noi. A differenza dei nostri il suo era a baldacchino, circondato da ampie tende bianche per evitare che qualcuna potesse vedere la monaca quando si cambiava. Fu così che una notte vidi un qualcosa che dopo 70 anni è ancora vivo nella mia memoria e non so se fosse sogno o realtà. Era buio e io stavo con gli occhi sbarrati a fissare il letto a baldacchino. All’improvviso da dietro le tende bianche vidi una luce come se fosse una candela accesa. La luce si spostò verso di noi bambine che dormivamo. Mi sembrò che la luce avesse una forma femminile, senza braccia e senza gambe, fatta di luce come un raggio di sole. Fluttuando si fermò nel letto accanto al mio, abbassò la testa come un inchino verso la bambina che dormiva e poi si rivolse verso di me. Io, terrorizzata, mi rannicchiai sotto le coperte coprendomi completamente e da lì non ricordai più nulla.  
Il primo giorno di scuola ci portarono in un altro edificio che era vicino al nostro ma separato da un grande e bellissimo giardino. Lì ci aspettavano tante signorine che parlottavano allegramente. Entrando c’era un corridoio lungo, le aule erano disposte da una parte sola. La prima volta che entrammo c’era un grande e giocoso parlottare, delle belle signorine ci accolsero con allegria. Ognuna si avvicinò a noi coccolandoci, chiedendoci informazioni. Noi le guardavamo stupite, non capivamo cosa dicessero. La vidi venire verso di me: bella, alta e mora, i capelli ondulati cadevano sulle spalle, indossava una gonna stretta fino al polpaccio ed un corpetto stretto in vita. Oggi potrei paragonarla a una diva del cinema Mi abbracciò, mi prese in braccio ed io m'innamorai di lei. Nei giorni che seguirono non vedevo l'ora di incontrarla. Ricordo solo il nome: Margherita. Non so se fossero studentesse esterne o le nostre maestre. L'inverno passò, venne maggio. Il giardino era fiorito.  Della nostra famiglia non sapevano nulla.  Quando mi prendeva la nostalgia della mamma mi rifugiavo in un angolo e piangevo. Ci prepararono per la S. Comunione e per la Cresima. La chiesa quel mattino era piena di fiori bianchi, noi eravamo in fila col nostro vestitino bianco. Sembravamo tanti angioletti ad aspettarci c’erano le nostre madrine. La mia, naturalmente Margherita, mise la sua mano sulla mia spalla. Dopo la cerimonia ci portarono nel cortile accompagnate dalle nostre madrine, Margherita mi diede un pacchetto. Dentro c'era una borsetta di rafia rossa. Mi disse di aprirla. Oltre a caramelle e cioccolatini, c’erano 6 fazzolettini bianchi con ricamo rosso e una scatoletta contenente una catenina d'argento con 3 ciondoli in filigrana: fede, speranza e carità. Margherita me la mise al collo e lì rimase per tanti anni. Ero già a Milano quando la persi. Dopo 12 mesi, ritornammo a casa. Margherita mi aveva preparato un pacco con un corredino di alta qualità. Così si concluse l'avventura cominciata male ma finita bene. Un po’ di anni fa, tornando a Roma, mi venne in mente quella bellissima ragazza che mi fece felice in quei giorni bui. Cercai il collegio una mattina andai non era più come lo ricordavo. Bussai e mi venne ad aprire una suora piuttosto anziana, le spiegai il motivo della mia visita, ma lei non ricordava quel periodo. Mi disse che si erano ridotte a vivere in poco spazio non avendo i mezzi per sostenere le spese. Quando mi fece entrare nella cappella mi commossi perché era uguale a come la ricordavo. Rividi le bimbe tutte vestite di bianco, tanta gente attorno a noi e quella stupenda ragazza. Lasciai un pensierino per le suore quando le salutai. Un frammento della mia fanciullezza se ne era andato, ma nella mente e nel cuore vive ancora.

Nelle foto di apertura Paola Violi – di Giuseppe e Domenica Virgara - a sette anni, il giorno della prima comunione. Di seguito Antonietta Romeo – di Bruno e Maria Rinaldo – di sei anni.
Rosa, la sorella di Paola, quando partì aveva 5 anni
Le suore che avevano ospitato le bambine erano le Bettlemite di Roma. Quel collegio dove soggiornarono oggi non esiste più.


domenica 17 maggio 2020

Il mondo va avanti [di John Ford,1934]


OPERE PUBBLICHE A PLATI’

PLATI' - E' sorta sulla Via Roma, la grandiosa mole dell'edificio scolastico: tra qualche mese lo scheletro di ferro e cemento sarà completamente rivestito e rifinito.
GAZZETTA DEL SUD, 16 marzo 1956



giovedì 14 maggio 2020

Stay Hungry [di Bob Rafelson,1976]

Hey there mister can you tell me what happened to the seeds I've sown
Stay hard, stay hungry, stay alive
Bruce Springsteen
Dilemma di quest’oggi,
anzi di stamattina:
cosa dovrò mangiare,
se pollo o se gallina.

Pepé Gliozzi (1920 - 2004)




CALABRIA DEL XVIII SECOLO
Grande fame a Platì nel 1768
in conseguenza della carestia
di quattro anni prima

di ROCCO LIBERTI
Anche a Platì si soffri grandemente la fame in conseguenza della nota carestia, che - comparsa sulla scena sin dal 1764 - si protrasse per alcuni anni. Se per buona parte delle Terre della Piana di Terranova si segnala proprio in tale anno, per Platì i documenti la riferiscono al 1768. Interessante a proposito quanto  vaticali Domenico Trimboli, Girolamo Schimizzi, Vincenzo Pangalo e Carmine Vocisano, tutti di Santa Cristina, intesero testimoniare al notaio il 18 luglio dell’anno successivo.
Riferirono tali che, facendo per mestiere il trasporto con le loro mule di grani d 'ogni specie, fagioli ed altre vettovaglie nelle parti della Marina di Levante ed in particolar modo a Platì, si trovarono continuamente pressati dalla popolazione di quel paese a procurar loro del granone o grano indiano solito cibo, e pascolo di quella povera gente, e ciò per la penuria grande, che vi fu nell'anno caduto nel paraggio di d.a Marina di Levante, e con particolarità in d.a Terra di Platì, ove la gente miserabile vedevasi crepar di fame.
I vaticali avrebbero senz`altro provveduto alle richieste, ma i soldi non c`erano ed essi non erano proprio in grado di dare il prodotto a credito. Ecco allora sortire due persone principali, da bene, e caritatevoli, il mag. dr. d. Antonio Oliva e dr. fisico d. Domenico Oliva, i quali si fecero avanti a garantire sulle quantità di granone che sarebbe stata incettata in Palme, Seminara ed altre terre al prezzo che sarebbe stato possibile convenire.
Soddisfecero alle domande i lavoratori cristinesi ed in più volte e vari tempi riuscirono a far arrivare alla gente affamata ben 300 tumoli di granone, che consegnarono parte all`uno parte all'altro dei due gentiluomini, i quali provvidero a farne un`oculata distribuzione ai poveri naturali a credenza. Il costo del prodotto assommò a carlini 17 grana 2 e piccoli 6 al tumolo comprendendo anche le spese per viaggi, tasse doganali, misure ed altro. Sicuramente, come dissero, si trattò di prezzi alterati, ma le spese erano quelle che erano e la distanza tra Palmi e Platì era di ben 30 miglia. Comunque, nel medesimo tempo il prezzo dei grani bianchi era arrivato a carlini 25 il tumolo, ma tale cibaria era sicuramente un lusso per i poveri platiesi, per i quali il grano risultava cibo per altro solito loro. Parte di granone, peraltro era riservato alla semina.

In corsivo: Sezione archivio di stato di Palmi, Libro del protocollo di nr. Antonio Morabito, Santa Cristina, a. 1769, ff. 1v-12.
Testo e foto: Storicittà – Rivista d’altri tempi, Luglio-Agosto 2004

NOTA DI ROSALBA PERRI: A seguito di un colloquio intercorso via Face Book (Gino, come vedi fasebucco a qualcosa serve) con Rocco Liberti a cui chiedevo certe informazioni, lui è stato così cortese da inviarmi alcuni suoi scritti. Quello che ti allego per primo è estremamente interessante in quanto potrebbe contenere la spiegazione dell’origine del grande potere che gli Oliva ebbero su Platì: una sudditanza nata dalla carestia, dalla fame e dal soccorso che gli Oliva diedero ai poveri “a credenza”.

Sulla foto riprodotta qualcuno può nutrire dubbi, descritta come panorama di Platì anni '20, sembra più un acquarello che immagine fotografica.

UN GRAZIE SENTITO A ROCCO LIBERTI