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lunedì 28 ottobre 2019

The Frame [Il telaio, di Jamin Winans, 2014]

In an Autumn day of mid-April, 1953, a mother and her four youngest girls arrived in Australia. Her husband had migrated in 1949 followed by their six older children, therefore the family was reunited. Her name was Francesca Perre née  Papalia, born in 1909. Her husband was Francesco Perre, born in 1906, first cousin with my grand-father. They came from a long line of shepherds in the Aspromonte mountains. Going back up to the end of 1600s in the family tree, all the men were registered as shepherds in official documents. Francesco’s father, Domenico, and my great-grandfather, Pasquale, were brothers but the latter decided to change activity and was a muleteer first, then had one of those small village shops that sold bulk wine. The families were close knitted, however, and in fact one of Francesco’s younger sisters grew up in my grandfather’s home. She encountered a tragic end in Australia and was greatly missed by my aunts and uncles.


Being men and woman who made their living on farming and stock-raising, however, the Perres had a lot of know-how in their hands and from shepherds they turned into farming. Our Francesca Perre had another know-how she missed pursuing and that was spinning and weaving. The tools for spinning were not difficult to make, but weaving required a loom and she did not have one. Undaunted, she summoned up some relatives of hers, known as “lignu duru” or “hard wood” (all families had nicknames back in the village), who were good carpenters. She told them she wanted to have a loom built, but they objected that, although they were familiar with it, they did not exactly know the proportion of the various pieces and how to assemble them. “Not to worry, I’ll tell you” and that she did, supervising the making of the loom. The clacking sound of the loom could then be heard at her home

In the 70s she sold it to the South Australian Weavers Association. Some research needs to be done to see who is holding it now.

Thanks to Mimma, Francesco with his wife Rosa, Anna with her husband and Lisa (four of Francesca and Francesco’s children) for having me for lunch in Adelaide, making me feel at home with the Perre’s and telling me this story.
Text & photo: ROSALBA

In un giorno d’autunno di metà aprile (siamo nell’altro emisfero) 1953, una madre e le sue quattro figlie minori sbarcarono in Australia. Era stata preceduta nel 1949 dal marito seguito poi dai sei figli maggiori. La famiglia quindi si riunì. I coniugi erano Francesca Papalia, classe 1909, e suo marito Francesco Perre, classe 1906, primo cugino di mio nonno. Discendevano da una lunga stirpe di pastori fra le montagne dell’Aspromonte. Risalendo sino ai documenti di fine ‘600, gli uomini della famiglia sono sempre indicati come pecorai. Il padre di Francesco, Domenico, ed il mio bisnonno Pasquale erano fratelli ma quest’ultimo decise di lasciare l’attività di famiglia e diventare prima mulattiere, poi aprì una rivendita di vino sfuso. Le famiglie erano comunque molto unite tanto che una delle sorelle minori di Francesco crebbe a casa di mio nonno. Andò incontro ad una tragica fine proprio in Australia e i miei zii e zie la piansero a lungo.
Essendo uomini e donne che vivevano di agricoltura e pastorizia, comunque, i Perre avevano più mestieri per le mani e da pastori si fecero agricoltori (o “farmisti” come dicono i nostri in Australia). La nostra Francesca possedeva la conoscenza di un altro mestiere che le mancava poter esercitare: la filatura e la tessitura. Gli attrezzi per la filatura non erano difficili da reperire, ma per la tessitura era necessario un telaio e lei non l’aveva. Senza lasciarsi scoraggiare, Francesca si rivolse a dei suoi parenti, soprannominati “lignu duru” che erano bravi falegnami. Disse loro che dovevano costruirle un telaio. Loro obiettarono dicendo che benché sapessero come, più o meno, era fatto un telaio, non erano a conoscenza delle proporzioni dei vari pezzi e dell’assemblaggio.  “Non vi preoccupate, ve lo dico io” rispose e lo fece supervisionando il loro lavoro. Il tipico “clack-clack” del telaio da quel giorno si poteva sentire nella sua casa.
Negli anni ’70 vendette il telaio ad una Associazione di Tessitori dell’Australia Meridionale. Sarebbe interessante sapere chi lo possiede adesso.

Un grazie a Mimma, Francesco con sua moglie Rosa Zappia, Anna con suo marito e Lisa (quattro dei figli di Francesca e Francesco) per avermi invitato a pranzo, avermi fatto sentire parte della grande famiglia dei Perre ed avermi raccontato questa storia.


domenica 27 ottobre 2019

La canonica [di Riccardo Freda, 1967]




Lì 17-8-I98I
A Sua Eccellenza Rev/ma
Mons. Francesco Tortora
Vescovo di
Locri
e p.c.
Al Rev.do Don Ernesto Gliozzi
Platì

Eccellenza Rev/ma,
compio il dovere di segnalare che la casa canonica, costruita da mio fratello Mons. Minniti, Arciprete di Platì, e concessami in usufrutto con atto di transazione del 15-8-1976, presenta gravi danni al tetto e al soffitto, lesioni rilevanti ad alcune pareti interne ed ai muri perimetrali.
Nel corso di questi ultimi anni ho provveduto di persona a far riparare i danni di minore entità, come previsto dal comma dell'atto di transazione sopra citato, il quale prevede anche che la manutenzione straordinaria è a carico dell'Ente proprietario.
Tanto per conoscenza e perché si disponga un sopralluogo da
parte di un tecnico al più presto.
Bacio il sacro anello
                     Giuseppina Minniti

NOTA. La foto di Rocco Brancatisano da Bovalino, appartiene agli eredi di mons. Giuseppe Minniti, ed oggi a Francesco Violi di Raimondo che l'ha gentilmente concessa per questa sola occasione.

giovedì 17 ottobre 2019

Senza scampo [di Roy Rowland, 1954]



IMPRESSIONANTI EFFETTI DELL'ALLUVIONE IN CALABRIA
Il municipio di Grotteria in bilico sopra un burrone
77 morti e 30 miliardi di danni nella sola provincia di Reggio - il Piano del Lavoro avrebbe impedito la catastrofe

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
REGGIO CALABRIA, 25.  Da S. Eufemia a Reggio il treno ha corso tutta la mattinata attraverso meravigliosi paesaggi illuminati da un tiepido sole. Passavamo in mezzo a verdi giardini di limoni, a vigne giallastre e ombrosi oliveti. Le montagne si stagliavano nette contro il cielo terso e laggiù, sulla spiaggia dorata o contro le scogliere grigiastre, dolcemente si infrangeva il mare. Vestite di cotonina leggera e scalze sono salite a Bagnata donne del paese con i loro pesanti cesti sul capo. Non c'era nulla che potesse ricordare la catastrofe abbattutasi negli scorsi giorni sulla Calabria.
Poi sono arrivato a Reggio dove mi hanno detto che i morti sono saliti ormai a 77. E forse ce ne sono altri ancora perché molti sono i paesi rimasti tuttora completamente isolati e da dove non si hanno notizie. Ieri sono bastate poche ore di pioggia per procurare la morte ad altre due persone. Poche ore di pioggia e qui, in Calabria, si può incontrare la morte. I due morti sono di Cardeto, piccolo paese a soli pochi chilometri da Reggio, capoluogo della regione. Cardeto è attraversato dal torrente Sant'Agata che divide il paese dalla sua frazione, Malitrò. Per unire Cardeto a Malitrò, sul torrente Sant'Agata non esiste un ponte e nemmeno una passerella. Questi due contadini ieri stavano attraversando a guado il torrente, quando improvvisamente le acque si gonfiarono travolgendo i due
disgraziati nei vortici.
Oggi non piove, c'è il sole e un’aria tiepida; ma quaggiù la tragedia della pioggia continua anche sotto il sole. Caulonia, Africo, Platì: ho chiesto stamattina di poter arrivare in automobile almeno in uno dei tre centri dei quali tanto sì è parlato negli ultimi giorni. Impossibile arrivarci. Ci sono strade completamente scomparse, come tra Cittanova e Locri. Dalle colline il terreno è slittato a valle e, dove una volta c'era la strada, ora c'è un vigneto. Presso Africo, dove c'era una collina, ora c'è una vallata.
Interi paesi come Acromartelli e Campoli sono scomparsi. Il terreno franato ha provocato fenomeni di slittamento di interi abitati. Un esempio impressionante e spettacolare è quello dell'edificio municipale di Grotteria che si è già spostato di alcune decine di metri e da un momento all'altro andrà a precipitare in un burrone. Africo non esiste più.
Dunque, è impossibile per oggi arrivare in qualcuno dei centri più provati. Tenterò domani. Così, questa mattina, dopo aver girato fin dove si poteva, siamo rientrati in serata a Reggio intrattenendoci con tecnici, esponenti politici e autorità che ci hanno fornito dati e notizie impressionanti. Secondo ì tecnici, in tutta la provincia i danni ascenderebbero alla cifra di 30 miliardi. E’ stata, tra l'altro, sconvolta la piana di Gioia Tauro, una delle più fertili e più intensamente coltivate della Calabria. Sono crollati ben 24 grandi ponti, tra cui quello ferroviario lungo 110 metri sul torrente Bonamico, tra Bovalino e Bianconovo. Venti acquedotti sono stati completamente distrutti.
Ma la documentazione piò impressionante ci è stata fornirà dal Segretario della C.d.L. di Reggio Calabia.
Egli sì è limitato a farci leggere tre documenti: una relazione sul problema delle bonifiche in provincia di Reggio preparata dalla C.d.L. nel 1949 in preparazione della Conferenza nazionale sul Piano del Lavoro della C.G.I.L.; una relazione sul problema dell'energia elettrica presentata alle Assise del Mezzogiorno a Crotone nello stesso anno e, infine, un promemoria sulla Cassa del Mezzogiorno presentato a Campilli nel novembre dello scorso anno in occasione della visita di costui in questa provincia.
Il particolare più impressionante è dato dal fatto che in queste relazioni e promemoria continuamente ricorrono in maniera quasi ossessionante gli stessi nomi di paesi (Plati, Caulonia, Africo, Carreri, Canolo, Gioiosa, Mammola, Cittanova, ecc.) e gli stessi nomi di torrenti (Bonamico, Amendolea, Careri, Laverde, Anginale, ecc.) che in questi giorni, per la prima volta, in cosi tragica occasione gli italiani hanno sentito nominare.
“Il carattere rapido dei torrenti e il disordine idrico conseguente dai disboscamenti determinano alluvioni che sottraggono all'opera dell'uomo terreni fertilissimi“; “per il carattere prevalentemente montagnoso della provincia non è possibile concepire la bonifica e la trasformazione agraria senza il rimboschimento e la sistemazione idrico-forestale. I lavori compiuti nella zona ionica sono s stati tutti distrutti dall’ alluvione. L inizio lavori a valle, prima della sistemazione montana, è un errore tecnico pericolosissimo. Abbiamo inutilmente denunziato ciò al governo”.
Queste considerazioni non sono state fatte o ben due anni addietro.
Oggi\ i danni ascendono a circa 30 miliardi. Tre anni fa, per attuare una bonifica della zona, il Piano del Lavoro della C.G.I L. prevedeva un investimento decennale appunto di 30 miliardi. Trenta miliardi che avrebbero dato lavoro e benessere alla Regione, mentre oggi si tratta di 30 miliardi di danni.
Questo per quanto riguarda la bonifica della zona: rimboschimento, imbrigliamento dei torrenti (che in questa provincia sono circa 900), arginature, viabilità. Ma come sfruttare tutte queste acque? E' economicamente conveniente il farlo? Ed ecco la relazione sul problema della energia elettrica presentata alle Assise di Crotone nel 1949. Vi citiamo il paragrafo che riguarda due fra i torrenti che hanno provocato i maggiori danni nei giorni scorsi: l'Amandolea ed il Buonamico. Nella relazione è dimostrato come, con una spesa di dieci miliardi, essi potevano fornire 8 mila ettari di terra di prima classe e 10 milioni di kw annui. Altri torrenti tra i quali l’Arginale e il Corace, potevano realizzando il Piano della C.G.I.L., dare un miliardo di kw e 10 mila litri al minuto per irrigazione. E invece? Invece questi torrenti hanno provocato solo morte e distruzione.
Il governo non era forse informato? Il governo non conosceva gli studi compatti dalla Cd L. di Reggio e dalle Assise del Mezzogiorno? No. Il governo conosceva questi piani e quegli studi; essi furono illustrati in un promemoria al ministro Campilli quando l'anno scorso egli venne in questa provincia come massimo dirigente della Cassa del Mezzogiorno. Quegli studi, quei piani, quei promemoria stanno negli archivi a documentare su chi ricade la responsabilità di tanta distruzione e dì tanti
RICCARDO LONGONE
Foto e testo: L’UNITA’ 26 ottobre 1951

Questo importantissimo, e pressoché sconosciuto, articolo, con la citata relazione presentata all’Assise di Crotone nel 1949 e il Piano del Lavoro della C.G.I.L. sul problema delle bonifiche in provincia di Reggio dello stesso anno, apparso sul quotidiano comunista due giorni dopo il disastroso nubifragio che sconvolge il reggino, getta nuova luce sulle responsabilità di chi era alle redini dello Stato Italico. Molti di essi verranno in Calabria a gettare lacrime di coccodrillo. Gli abitanti dei paesi citati nello stesso articolo aspetteranno invano gli aiuti promessi. La loro scelta finale è stata l’emigrazione con esiti, alle volte, di fuoco. Inutile ricordare che la catastrofe si ripeterà nel 1953 e così via fino ai nostri giorni, senza aver mosso un solo sasso i governi se ne laveranno le mani, ma non con l'acqua di quelle fiumare.


mercoledì 16 ottobre 2019

The River Wild [di Curtis Hanson, 1994]



22 Ottobre (1951). Per grazia di Dio siamo ancora vive e nella nostra casa! Il Signore sia sempre benedetto e ringraziato! Le vicende di questi giorni rimarranno indelebili nel nostro cuore e nella nostra memoria. Che scene terribili! veramente apocalittiche! Come descrivere la storia di questi giorni? La notte più tremenda della vita nostra e dell`intero paese fu certamente la notte tra il 17 e il 18. Il fiume poco dopo la mezzanotte ha rotto il ponte, il fortino e gli argini, verso l'una sono cominciate a crollare le prime case, invase dalla furia dell`acqua. All`una meno cinque di notte un tremendo boato, un guizzo nel cielo e fiamme sulla montagna. La fine per noi! Le montagne sono letteralmente aperte, mandando fuori colonne d'acqua e di fuoco. Alle 3 e mezza del mattino sentiamo gridare: “Disgrazia amara! Cristiani, fuggite! Il fiume viene fuori! Impazzite dalla paura scappiamo anche noi, per strada non si capiva più niente. La pioggia seguitava a cadere furiosa e insistente. Il fiume passava sopra il ponte (io sono andata a vederlo con la signora Fera), la gente scappava con materassi, masserizie, letti ... Chi correva, chi chiamava, chi piangeva. I bambini erano i più spaventati. Di corsa andammo in chiesa, dove tanta gente pregava e piangeva. L’arciprete uscì subito per celebrare la Messa, durante la quale un rumore fortissimo e un urlo ci fece capire che la gente di fuori inutilmente cercava rifugio: era crollata un’altra casa. Quella Messa ci è sembrata eterna, tanta era la paura di vedere da un momento all’altro l'acqua in chiesa. Uscite di Messa andammo dalla Sig. Fera e cominciammo a portar via qualche cosa da casa nostra, ma vedemmo che anche lì non era sicura perché il fiume minacciava tutta la strada, abbiamo chiamato l’autista Perri Antonio e abbiamo caricato il suo camion e siamo andate a casa del Sig. Mittiga, la prima casa del paese. Ci siamo fermate li cosi bagnate come eravamo e così abbiamo passato la notte, ma il pensiero era a casa dove avevamo lasciato Gesù Sacramentato. Al mattino presto Sr. M. Giovanna ed io siamo subito andate a vedere la casa, ancora era in piedi, ma tutta circondata d’acqua. Che pena! Gesù è là dentro. La sera del 19, l`Arciprete, approfittando di un momento in cui l`acqua aveva voltato dall'altra parte, venne di corsa e portò via Gesù ... Con queste pene ed ansie siamo state per 4 giorni fuori casa ed oggi 22 ottobre 1951 è ritornato Gesù nella nostra Cappellina! Che commozione! Tutte piangevano di riconoscenza! Questa sera ritorniamo anche noi a dormire nel nostro letto, dopo aver dormito per 5 notti in 4 su tre reti per terra. Due ragazze: Gina Giunta e Anna Violi dormono con noi.
Suor Saveria Verducci

Testo e foto tratto da PER PLATI’ UNA PROVVIDENZA LUNGA SESSANT’ANNI delle suore dell’asilo di Platì, curato da Antonio Callipari, Arti Grafiche Edizioni, 2008

Nota. Seppur poco letteraria questa è una rappresentazione abbastanza realista di quel tragico evento di sessant’otto anni fa’ e di questo ringraziamo oggi suor Saveria e per l’opera svolta in paese dalle sue consorelle per circa sessanta anni.






martedì 15 ottobre 2019

Porte aperte [di Gianni Amelio, 1990]



Durante la mia ultima visita al cimitero di Platì ho notato che sempre più cappelle di famiglia vengono precluse allo sguardo di chi per semplice curiosità o di chi voglia conoscere il passato di quanti hanno solcato il suolo e l’aria del paese. Come se quel passato non debba essere condiviso con i pochi curiosi di memorie storiche o non debba studiarlo un laureando sul procinto di preparare una tesi, al semplice studioso di cose antiche. Ecco così negata l’interazione tra passato, presente e futuro per quelle anime di defunti con il presente e il futuro del paese. C’è da augurarsi che almeno durante la prossima ricorrenza del due novembre si promuova un evento come “Cappelle Aperte”. 

lunedì 14 ottobre 2019

Rashomon - Ma il cuore del paese dov'è?

Questo testo è quanto meno offensivo, ma al suo confezionatore poco importava dei sentimenti di una popolazione. Egli nella sua redazione, apparsa sul quotidiano allora diretto dal guru dei direttori di giornale, avrebbe inventato di tutto, anche su chi gli era caro, pur di fare carriera ed ottenere una cattedra a Rende.

Angela Montagna Casella
1946 - 2011

A PLATI' ANCHE LA SOLIDARIETA' FA PAURA LA MADRE S' INCATENA NEL PAESE
PLATI' A Platì c' è tanta curiosità ma non grande solidarietà per questa donna che s' incatena allo scheletro di quella che fu l' unica cabina telefonica del paese. Si avvicina qualche vecchia che prima si segna con la croce. Si avvicina l' anziano parroco, don Ernesto, che della mafia di Platì, dice, ha sentito parlare solo sui giornali. Torna il ritornello della criminalizzazione. Platì non ha niente a che vedere con la mafia, qui ci arrestano per fare numero e poi veniamo scarcerati, dicono alcuni giovani avvicinandosi al gruppo di giornalisti presenti in via XXIV Maggio i quali fanno fatica a capire perché assordati dal mangianastri di un giovane di colore che tenta così di attirare l' attenzione delle donne dirette al mercatino settimanale che si tiene a qualche decina di metri. La ' ndrangheta esiste, è vero, afferma il vicesindaco dc, il medico Francesco Nittica, ma qui la situazione non è diversa da quella di Milano, di Torino, di Roma. Ma Platì non sembra manifestare la stessa solidarietà di San Luca: Angela Casella, nella sua tuta viola diventata ormai la divisa di questo suo pellegrinaggio per i paesi aspromontani, fa fatica a scuotere una diffidenza antica. Un cerchio di silenzio quasi si stringe tutt' intorno. Ne abbiamo viste tante..., commenta un anziano pensionato. Gli uomini non firmano Poi qualcuno si avvicina: un mazzo di rose rosse e un libro vengono regalati a mamma Angela, assieme a qualche firma di solidarietà e qualche incitamento a sperare. Gli uomini non firmano. Non si commuovono. Guardate, dice la signora Casella rivolgendosi a loro, me lo tengono così incatenato da 510 giorni per dei soldi che non potranno avere mai perché non li abbiamo. Aiutatemi. Quasi guardinghi in molti si tengono a distanza. Noi abbiamo firmato tutta la famiglia, dice invece la signora Rosa Callipari. Ma il cuore del paese dov' è? Arrivano le notizie di un omicidio avvenuto nella notte nella vicina San Luca che martedì si è stretta attorno alla signora Casella. La mafia non rispetta tregue e continua a regolare i propri affari con la lupara. Tre colpi nella notte sono stati sparati contro un giovane, un ragazzo di 19 anni. Si chiamava Giuseppe Mammoliti, un piccolo precedente per furto. Qualcuno della sua famiglia ha avuto una parte nel sequestro di un bancario catanese. Lui rientrava a casa in piena notte non si sa da dove. Ha fatto appena in tempo a scendere dall'auto che è stato abbattuto a fucilate. E' un'altro omicidio sconvolgente che forse nessuno potrà spiegare mai. Ma da queste parti è quasi routine, specialmente nei territori di San Luca e di Platì che si contendono il triste primato dei sequestri di persona. Una ragazza guarda mamma Angela incatenata. Non capisce. Si chiama Lisa Perre. E' arrivata da pochi giorni dall' Australia. Ha ventidue anni. Suo padre e sua madre, che è accanto a lei, hanno lasciato Platì quarant' anni fa. Lo sa cosa è la mafia di Platì? Dicono che c' è la mafia a Platì, risponde imbarazzata, io l'ho letto in Australia. Questo microscopico centro da cui la gente è stata scacciata da una miseria secolare e dai flagelli naturali, conta appena 2800 abitanti ma ha tanti e tanti legami con le mafie internazionali, specialmente con quella australiana impegnata nel business della droga. Mafia che aveva a capo Joseph Trimboli, nato in queste misere case e diventato miliardario capo della malavita di Griffith e proprietario di uno yacht provocatoriamente battezzato Cannabis. Vittime di soprusi perché la terra qui era in mani a padroni rapaci peggio delle aquile, i contadini vivevano un tempo degli usi civici, retaggi di una società medievale. Negli ultimi anni la situazione è cambiata, e se possibile peggiorata. Due sindaci, Ciccio Prestia (con il mitico Massaru Peppe, il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino, solitario cacciatore di uomini della ' ndrangheta, aveva guidato già una concentrazione popolare nel dopoguerra) e Domenico De Maio sono stati trucidati dalle cosche contro cui si erano schierati seppure timidamente. Meglio stare alla larga, quindi, quando si corre il rischio di dover dire qualche parola contro rapitori e malviventi. Non fa niente allora don Ernesto Cliozzi, settantenne parroco, non si vede accanto a mamma Casella nessun amministratore, neppure il sindaco democristiano Natale Marando anni fa inquisito, arrestato e poi assolto per alcune storie poco chiare all' Usl di Locri. Una lunga serie di rapimenti La sfida di mamma Casella davanti alla montagna dei sequestri teatro dei rapimenti targati Platì (Bolis, Ferrarini, Mirko Panattoni, Marco Fiora, Castagno, Amato, Marzocco, Minervini, per citarne solo alcuni), non è comunque inutile. Torna a Locri e le solidarietà si infittiscono, la sua protesta fa scoppiare le contraddizioni delle istituzioni (magistratura e forze dell' ordine) e anche all' interno della stessa ' ndrangheta. Il consiglio comunale di Locri decide di autosospendersi prima di pronunciarsi, tutti assieme i quarantadue consigli comunali della Locride, su eventuali dimissioni in blocco. Il presidente della giunta regionale calabrese Rosario Olivo viene a testimoniare la solidarietà della Calabria degli onesti. Il consiglio regionale si riunirà il 21 per discutere il caso Casella. Don Antonio Riboldi vescovo di Acerra si è offerto come mediatore tra la famiglia e i banditi, ha segnalato ai rapitori il suo numero di telefono: O81/8857551. E l'Azione cattolica di Locri propone di restituire i certificati elettorali: perché, se lo Stato qui non si vede, a che serve votare? Cesare Casella resta nonostante tutto, nonostante gli appelli e le pressioni, in qualche anfratto sull' Aspromonte.
PANTALEONE SERGI

domenica 13 ottobre 2019

Rashomon - Mamma coraggio

... una vicenda il cui senso — che lacera la storia come una ferita destinata a divenire una inguaribile
piaga — è cosi compiutamente tragico da riuscire quasi luminoso e meraviglioso. Pier Paolo Pasolini



SEQUESTRO CASELLA - «Mamma coraggio a Platì»
«ln catene come mio figlio»
DAL CORRISPONDENTE
LOCRI _ «Mamma coraggio» è stata anche a Platì. Qui una variante ha messo ancora più in evidenza l’accorata denuncia che Angela Casella porta avanti nel chiedere il rilascio di suo figlio Cesare. In fatti la donna, giunta nel centro abitato di Platì, si è passata una robusta catena attorno al collo e si è incatenata ad  una cabina telefonica. Al suo fianco un eloquente cartellone: «Mio figlio è incatenato così da 510 giorni». A Platì era giorno di mercato, lungo la via principale numerose bancarelle di ambulanti.  Arrivano le prime donne, abbracciano mamma Angela per esprimerle comprensione e solidarietà. Molte portano i figli, li porgono verso la signora Casella. In paese della storia dei sequestri si è sempre dibattuto, magari sotto  voce, ricorrendo ad eufemismi, evitando commenti pesanti. Però un conto è parlarne astrattamente ed un altro avere davanti la madre di un ostaggio, verificarne le ambasce. Alla fine l'istinto materno ha il sopravvento e la solidarietà affiora con atteggiamenti semplici quanto eloquenti.  Una donna porta un caffè  e  lo porge ad Angela Casella,  «lo prenda ne ha bisogno››.  Un anziano, piegato dalla fatica dei campi e dagli acciacchi dell'età, affida il suo pensiero ad una delle massime tipiche della vecchia civiltà contadina che tempo fa erano legge anche a Platì. «Viditi, non è mancu curpa loru, i sti sciagurati, è ca u Signuri i fici e  non li zzapulijau» (Forse non è  colpa di questi sciagurati, è  che Dio li ha fatti ma non li ha  curati, sono rimasti allo stato  incolto). Chi va oltre sono due donne, madre e figlia, da tempo emigrate in Australia,  dove è forte la presenza di  platesi. Lisa Perre: «E' brutto tutto questo, brutto assai ed anche da noi in Australia si parla di una mafia di Platì».  Sua madre, Maria Staltari, «manco dal mio paese da 40 anni, mi è difficile riconoscerlo, oggi vedo che molti hanno paura, una volta si dormiva con le porte aperte: non saprei dire, allora si era poveri ma oggi non si sta bene››. Un vigile urbano invita a parlare anche dell'abbandono di Platì, delle frane mai rimosse, delle strade rotte, del disservizio dell'Enel, delle annuali inondazioni.  Alle undici si riparte per Locri, Angela Casella è attesa in Municipio dove è convocato il Consiglio comunale. Ad  attenderla troverà il presidente della Giunta regionale  Rosario Olivo. «Sono qui per vedere come è possibile affiancare questa madre in lotta, insisto nella richiesta di un intervento fisico, immediato, del responsabile del dicastero degli Interni. Il ministro Gava ci deve delle risposte ed è giusto che venga qui a  darcele». La popolare trasmissione televisiva «Samarcanda››, in onda sulla terza rete, ha organizzato un collegamento in diretta, nell'ambito della puntata che va in onda questa sera, con Locri. Saranno ospiti della trasmissione esponenti politici del mondo sociale, la signora Angela Casella ed altre persone rimaste in passato vittime di sequestri di persona.  p.p.  
GAZZETTA DEL SUD    Anno XXXVIII -  Giovedì 15 giugno 1989       


giovedì 10 ottobre 2019

Rashomon [di Akira Kurosawa,1950]

Colpa sua, colpa sua, credimi
non c'eri tu, non c'eri tu a difendermi …
…Io non so
io non so più
a chi credere …
Lucio Battisti, Le tre verità

Ancora una volta per descrivere la vicenda della Signora Angela Casella a Platì prendo spunto da un lavoro cinematografico: Rashomon (1950) di Akira Kurosawa. Il film, chi l’ha visto lo sa, attraverso l’abile costruzione del maestro giapponese, il Sergio Leone Tolstoi del cinema, riproponeva la stessa storia dai vari punti dei protagonisti. Oggi sono quelli dei giornalisti che erano presenti in paese il 14 giugno 1989. L' angolazione riflette la loro sensibilità ma anche gli interessi della testata su cui l’articolo appariva. Ho il sospetto che l’ultimo che leggerete sia stato stilato dalla nota redatta per l’occasione dall’agenzia ANSA, aggiungendo opinioni falsate ad hoc. Oggi, causa il tempo trascorso, si può guardare il gesto drammatico della Signora Casella con ottica diversa ed anche il modo di redigere un articolo giornalistico che andava a riguardare il paese.





La tenace protesta della donna
Incatenata
per amore
del figlio
  
 DAL NOSTRO INVIATO
 LOCRI - Ai confini orientali dell’Aspromonte, in faccia a quella che chiamano Aria del Vento, un nome  poetico per una zona fatta  d’asprezza e di incanti, la  mamma di Pavia consuma  il suo secondo incontro con  gente che non conosce; si offre e riceve una solidarietà  di poche parole, non foss’altro perché questa gente ha  più occasioni solo per piangere, ma inusuale, non foss’ altro perché questa gente è  abituata al silenzio cupo  della rabbia repressa. E' Platì, sopra la sua argilla che si sgretola, sotto la sua cappa di sospetti, di odi, di attese inutili per il niente che alligna tutt'intorno. Angela Casella è una novità, anche se triste. Si incatena nello scheletro superstite di una cabina telefonica. Mio figlio, dice, è incatenato cosi da 510 giorni.  Le donne e i bambini di Platì accorrono, fanno un capannello commosso di speranza, scrivono sul librone che la mamma di Pavia si porta appresso nome e cognome. Elisabetta Schimizzi e i suoi tre bambini sono i primi a firmare. Poi la signora Lisa porta solidarietà e regala un libro, la trilogia di Richard Bach: «Il gabbiano di Livingston», «Illusioni», «Nessun luogo è lontano», con dentro una penna di gabbiano e un fiore secco in ogni pagina, ha il sapore di un'antica reliquia personale, d'un simbolismo semplice che parla di libertà e di luce dopo il buio della prigionia. «Che possa al più presto riabbracciare il suo dolce ƒiglio...››.  La mamma di Pavia sgrana i suoi occhi che sembrano più grandi del solito sul viso affilato, che ripetono «Aiutatemi a cercare mio figlio, possibile che nessuno mi può aiutare?››. Una vecchia avvolta nello scialle nero riesce a dire, come pregasse «Al più presto riavrà suo figlio» e corre via. In piazza 24 Maggio, angolo con via Battisti, ma la piazza non è più di uno slargo dove c'è posto per uno sgangherato carretto  che vende frutta, è giorno di  mercato, il tempo si ferma  due ore. Le donne sono con lei e le fanno dire: “Ho trovato più solidarietà qui che a Pavia”.
Ma gli uomini? Gli uomini di Platì guardano. I giovani di Platì scrutano. Ma non s’avvicinano. Unica eccezione il parroco, don Ernesto, non ha però voglia di parlare: «E' un dramma, noi non possiamo fare altro che  pregare». Perché così muti, gli uomini, i giovani? «Si, siamo solidali con lei ma siamo ƒatti cosi. La donna è diversa. Più coraggiosa? Forse, chissà, non so». Come ti chiami? «Eh no, di nomi qui non se ne fanno». Ma si può sgomitolare il rancore. Lo Stato lontano, lo Stato latitante, lo Stato che non fa niente: è la litania continua, ossessionante degli uomini, dei giovani. «Nemmeno la tivù, si vede. Il primo canale qualche volta e male. Poi c'è la tivù di Gheddafi. Almeno parlasse in italiano!». 
Qualcuno mostra la cartella dell'Inps: 6.443.000 lire la pensione 1988. «Siamo in cinque, cosa dobbiamo fare?››.  Fanno vedere quei bambini che giocano: «Per loro non c' è futuro. La signora piange da 510 giorni, noi da sempre». Un epitaffio crudele, immodificabile. E intanto raccontano di un ragazzo, Giuseppe Mammoliti, 19 anni, ucciso di notte a colpi di pallettoni, davanti alla sua casa di San Luca, la prima tappa di questo allucinante viaggio della mamma di Pavia. Un altro morto ritrovato nella piana di GioiaTauro.. «Ma e proprio maledetta questa terra?» dice una donna. La piccola piazza è la faccia di due Platì, di due calabrie: la solidarietà da una parte, il rancore dall’altra. Il vice sindaco DC Franco Mittiga spiega: «La mafia, la 'ndrangheta non stanno solo qui. Ma a Palermo, a Roma, a Torino, a Milano, ovunque si prospetta un atto di delinquenza. Ma qui sono disoccupati e ignoranti, là intellettuali e protetti». Un solco profondo come  una ferita incancrenita. Si lamentano arresti di innocenti da una parte; si prega per la liberazione di Cesare dall’altra. Francesco, 63 anni, brontola. La moglie lo trascina via, sembrano recitare a ruoli invertiti. «Lei -  dice - è commovente ma il cuore di quelli è duro come un sasso. Per il popolo, per noi, sarebbe meglio che la legge facesse qualcosa. Io sono comunista ma devo dire che molte cose andavano meglio prima della democrazia».
Su Platì, come la mamma di Pavia se ne va cala il silenzio di sempre.
Silvano Romano  
IL TEMPO    Anno XLVI / N. 157  Giovedì  15 Giugno 1989
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mercoledì 9 ottobre 2019

La corsa del ghiro [di Nando Cicero, 1960]



55800 N. Cedar Road
Mishawaka IND
46544

Alla Famiglia Gliozzi
Platì – (Reg. Cal.)
89093  Italy

Mishawaka settembre 9 – 76
Carissimi Ciccillo, Ernesto e Amalia
Auguro che state tutti bene, noi molto bene
ieri ha scritto Ricky e dice che è contento di avere il professore d’Italiano molto bravo e bene dall’alta Italia.
Ho saputo dell’omicidio del Cav. Furore, ci siamo tanto dispiaciuti, mi potete dire qualche cosa su questo? Avete fatto la festa di Loreto quest’anno? Ditemi se volete che mando la medicina per quel ragazzo, non mi viene in mente chi può essere, comunque sono contenta se lo posso aiutare, ditemi come va Rosina, Peppe e MGemma, ieri Totò si è alzato prima dell’alba e mi ha detto, vado nel nostro bosco per cacciare due ghiri, ha portato due belli grandi, lui l’ha bruschiati e puliti perché io mi nasio, mi è venuto in mente quando fui costà Annina ha portato il ghiro a MGemma a Locri e la superiora l’ha mangiato con tanto gusto, le altre suore anno detto  a noi mangiamo i ghiri coltivati.
Qui oggi è una giornata scura e piovosa, scrivetemi e datemi notizie su qualche cosa
con affetto mando tanti baci per tutti quanti
affma Iola
MGemma è tornata a Roma?

lunedì 7 ottobre 2019

Kyôshû* [di Takehiro Nakajima, 1988]


Milano 21. 7. 70

Miei carissimi cugini,
l’amata ed adorata zia Bettina ci ha anch’essa lasciati, scavando nel nostro cuore un abisso ancor più profondo di quello lasciato dagli altri nostri cari, perché in Essa avevamo riversato tutto il nostro affetto e la nostra devozione.
Una così dolorosa notizia è giunta a me come all’ultimo dei conoscenti, con tanti giorni di ritardo, come se nulla mi avesse legato alla cara zia. Così adesso son qui a scrivere una lettera che non avevo la forza di incominciare, per farvi giungere una parola di conforto che non riesco ad esprimere, tanta è l’amarezza e lo sconforto per non esservi stato vicino, per non aver potuto insieme a voi porgere anch’io il mio tributo di affetto e di amore a quella zia cara, che mi ha coperto di premure amorevoli, di affetti soprattutto nei momenti più delicati della mia adolescenza.
Adesso non rimane che il ricordo, ma nel mio ricordo Essa sarà sempre viva, perché La porterò nel cuore assieme alla mamma, allo zio Michele, allo zio Luigi. Nel farvi coraggio per superare questa nuova prova impostaci dall’Alto, vi stringo tutti in un caloroso, affettuoso abbraccio e unisco le mie alle vostre preghiere invocando che dal Cielo scenda la benedizione dei nostri cari

Sempre più aff.mo
                               Mimmo

A quasi quasi cinquanta anni dalla morte della nonna Lisa, questa lettera di Mimmo Diaco, classe 1939, rinnova il dolore per la scomparsa di una presenza avvertita dalla nascita. Tanto più grande è il dolore postumo a causa di quel umile rimprovero che Mimmo rivolge ai cugini. Ma è anche una lettera di dispiacere che possiamo estendere a tutti i nostri cari che non ci sono più.

*Kyôshû, io ricordo