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domenica 25 novembre 2018

Il destino di un uomo - Redemption Song


All I ever had, is songs of freedom
Johnny Cash-Joe Strummer-Bob Marley



Nonno non aveva un bel carattere: era autoritario e, diciamolo, rompiscatole. Nel ventennio era stato coinvolto nel partito fascista ed il vizio del comando gli era rimasto. Rimproverava chiunque sospettasse di comportamenti non adeguati: figli, cugini e compaesani. Mio padre mi raccontava che, per non mettersi nei guai, non rispondeva mai direttamente alle sue domande, specialmente se lo apostrofava con il voi. Questa era una loro tipica conversazione:
Peppantoni: - Aundi jistivu?
Pasqualino: - Aundi jia?
Peppantoni: - Chi facistivu?
Pasqualino: - Chi fici?
Peppantoni: - Cu ccu’ eruvu?
Pasqualino: - Cu ccu’ era?
Però, come nipote, io non lo temevo e lo adoravo. Peppantoni, che pure non era proprio felicissimo per la mia nascita visto che il figlio aveva diciannove anni, è sempre stato dalla mia parte.

Forse è il ’57, io ho quattro anni e siedo sulle scale interne della casa dei nonni con il grembiulino dell’asilo, il cestino di latta e piango disperata. Entra Peppantoni dal portone principale: o non è partito o è rientrato a prendere qualcosa. Mi vede e urla sia per farsi sentire dalla moglie al primo piano sia per sovrastare il mio pianto:
“Pacchì ciangi a fijjiola?”
“Non voli u vaji all’asilu”
“E cu tutti i fimmini chi ‘ndavi ‘nta sta casa, a fijjiola chi bisognu ‘ndavi u vaji all’asilu?”
Tutti i fimmini” erano mia nonna, le sue ultime due figlie di undici e otto anni, la bisnonna Cata e forse un’altra figlia adulta, mia zia Giuseppina. Quindi rimasi fra i piedi di mia nonna almeno per un anno, non credo con sua grande gioia.

Anni dopo, quando dall’Abruzzo tornavo a volte d’estate al paese e stavo con loro, nonna Rosina mi teneva da parte le annate intere di “Famiglia Cristiana” che non lasciava buttar via perché “se no Rosalba cosa legge quando viene a stare qui?” e Peppantoni mi abboffava di cibo. Io non sono mai stata né inappetente, né magra, ma lui ci teneva a darmi la metà delle sue polpette che Rosina gli cucinava senza sale. Io, già satolla di ciò che la nonna aveva cucinato per noi, ingollavo anche le sue polpette per compiacerlo.

Di solito a fine estate la seguente conversazione intercorreva fra i nonni:
Peppantoni: - Rosina! Comu si lavasti i rrobbi da fijjiola?
Rosina:        - Comu l’attri, pecchì?
Peppantoni: - Si stringiru! Non vidi ca si vanno stritti?
Rosina:         - Non ennu i rrobbi chi si stringiru, ma ija chi si 'ngrassau! Na vidi?



Nelle foto appare sempre serio, quasi triste, ma in effetti non era così. Non era il più divertente degli uomini, ma nemmeno quell’uomo quasi sofferente dei ritratti. L’unica foto in cui è sorridente, è quella con mio fratello Pino che ha il suo stesso nome (Giuseppe Antonio di Pasquale). La foto è rovinata, ma questo vuol dire che è stata maneggiata spesso. Sul retro c'è la dedica alla figlia Ada ed a suo marito, che abitavano in Australia, dove c'è tutto l'orgoglio di nonno per il nipote maschio con il proprio nome. Una curiosità: l'anno precedente era nato Carlo, il figlio di Ada, in Australia, e mia madre aveva dato gli auguri al suocero che le aveva risposto: "Gli auguri me li farete quando sarete voi ad avere il figlio maschio". Rideva sotto i baffi perché era contento del nipote nato in Australia, ma non stava scherzando: voleva un nipote con il proprio nome.

Nell’altra foto è con i miei due fratelli Giuseppe Antonio, come lui, e Fabio. Saranno gli unici due nipoti maschi con il suo cognome fino a quando il figlio Francesco avrà Gian-Paolo in Australia, ma Peppantoni se n’era già andato molti anni prima. Ha conosciuto i due maschi della figlia Ada, ma loro hanno altro cognome. Tutte le altre siamo femmine: Rosalba, Maria Isabella, Maria Felicia, Rina, Rosalinda, Cristina, Bianca e Stefania. Però… il nipote Pino ha un figlio: Pasquale Perri di Giuseppe Antonio.

Nell’alba del ventunesimo secolo, nessuno dei figli o dei nipoti è rimasto al paese. Solo mio padre è voluto tornare per esservi seppellito. Una delle numerose diaspore delle famiglie che furono protagoniste della vita del paese fino agli anni ’60.
Rosalba Perri




giovedì 22 novembre 2018

Il destino di un uomo [Sergei Bondarchuk,1959] Evangeline



Questa volta la colonna sonora ve la do pima

She stands on the banks of the mighty Mississippi” Robbie Robertson





Forse che gli altri sono migliori di lui?”, Harriet Elizabeth Beecher Stowe, La Capanna dello Zio Tom

La “nanna Cata” aveva avuto un inizio di matrimonio probabilmente difficile e non per colpa del bisnonno Pasquale, che si dice fosse un uomo molto buono, era uno dei “santillini”, ma da colui che possedeva il paese e faceva il bello ed il cattivo tempo. Cata riuscì comunque a portare avanti la sua famiglia di cinque figli. 

Mio nonno Giuseppe Antonio, detto Peppantoni, senza alias perché bastava il nome a riconoscerlo, nacque nel 1904, secondo figlio di Cata e Pasquale. Fu mandato dai genitori ad imparare il mestiere di calzolaio a Reggio Calabria e pare che divenne molto bravo anche a disegnare le scarpe, tanto da conquistare la futura moglie Rosa, per tutti Rosina, proprio con delle scarpe dal modello esclusivo. Si sposarono nel ’29 quando lei, prima figlia di Peppina Caruso da Careri e Francesco Miceli, macellaio di Platì, aveva ventun anni e lui ventiquattro. Testimoni di nozze furono Francesco Marando, di anni 30, calzolaio e Giuseppe Zappia di anni 32, civile.
Peppantoni, fino ad allora calzolaio, possedeva anche la passione per i motori coltivata durante il periodo del militare quando fungeva da staffetta in moto, per cui decise di cambiare mestiere. Rosina, aveva portato in dote del danaro, come si usava a quel tempo. Nel mentre nonno Pasquale era partito per l’Australia da dove inviava il denaro per allargare ed elevare di un piano la casa di famiglia; Peppantoni, sentiva la responsabilità di capo-famiglia benché avesse un fratello maggiore di due anni, e non voleva lasciare l’abitazione dei genitori. Con il denaro della dote, mio nonno comprò la sua prima auto, una Citroen in cui riusciva a ficcare fino a venti passeggeri. Effettuava il servizio taxi dal paese alla marina e si infuriava con le donne e con i bambini che vomitavano in auto a causa delle curve. Aveva inoltre un contratto con lo Stato per il trasporto dei carabinieri di stanza a Platì. Anche quando la caserma fu fornita di camionetta, i militi dovevano servirsi del taxi di Peppantoni per i viaggi fino alla marina. In seguito, ebbe altre due FIAT di cui una giardinetta. Io ricordo soprattutto quest’ultima che riusciva comunque a stipare di clienti. Alla fine, fu venduta a qualcuno di Ciminà che fece tagliare la carrozzeria nella parte posteriore trasformandola in un pick-up ante litteram. Negli anni ’50 ebbe anche un camion che usava per il trasporto merci e laterizi. Lo acquistò inizialmente con due soci, il cognato Nino Miceli ed un signore di nome Molluso, allorché decise di comprare le quote degli altri due e lo gestì da solo.
Come molti uomini di quel periodo, era andato a scuola, forse fino ai tredici anni, ma poi aveva coltivato solo la passione per la lettura, tanto che a mio padre dando il nome del nonno vi aggiunse Evangelino, perché quando lui nacque stava leggendo “La capanna dello zio Tom”, innamorandosi del personaggio di Evangelina. (continua)

Rosalba Perri





mercoledì 21 novembre 2018

Il cantico dei cantici [di Rouben Mamoulian, 1933]



Alla fine è andata come è andata. A distanza di anni e dopo aver letto queste due esortazioni all’amore, richiama il Tolstoj della Felicità domestica, mi viene da domandarmi: e se quel 7 aprile 1940 invece di Monsignor Minniti fosse stato eletto parroco Ernesto Gliozzi il vecchio che ne sarebbe stato della vita spirituale di Platì? Ma anche della sua vita pubblica! Sembrano domande inutili ma i parroci non sono tutti uguali ed a beneficiarne sono stati i casignanisi, che tutto hanno messo a tacere.




Ha fatto bene, Misaele – (permetti che ti chiami così, come al tempo dell’opere sacre). Hai fatto bene a lasciare da parte il rotolo di papiro, dove si parla delle profezie e di Daniele, e prendere in mano il Cantico dei Cantici di Salomone. Hai fatto bene!
Hai trovato in esso una splendida epoca di amore in cui le frasi più tenere e vezzose , servono a descrivere l’idilio di quella Sposa Divina, l’imeneo intessuto di tenerezze caste, di soavi accenti ispirati – quali si addicono al Divino Sposo della Chiesa …
Oh non mi vengano a blaterare i satannici versi, Cruciato Martire tu cuci i plepli dell’irsuto poeta “tu di mestizia l’aere contamini”.
Non credere loro, Misaele e continua a leggere il Cantico dei Cantici, mentre una voce a te vicina, calda, tenera, soave ti va ripetendo (…?)
E non solamente la sposa dei cantici è da ammirarsi nella Sacra Bibbia! Ci sono altre donne degne di attenzione. Che dire di Rachele, per cui tanto fé – come dice Dante – induce il forte nell’amore? E l’industriosa Rebecca?  E la fedele Sara, assennata? Tutte, tutte queste sante donne ti saprà ricopiare la tua fedele e costante Paola, e , in obbedienza al comandamento divino, appresserà alle labbra il nappo del piacere – l’unico refrigerio acconsentito quaggiù ai figliuoli degli uomini
Essa è l’angelo della nuova famiglia che ste per formare. Da te e dalla tua compagna tanto, tanto la patria aspetta e la Chiesa.
Amatevi: quel dolce Cristo che a Cana benedì le nozze vi ripete sempre:
crescete e moltiplicatevi
cristo duo in carne una
quod Deus coniunxit, homo non separet
E sillaba di Dio non si cancella.
Andate = Vi benedico di nuovo.
Casignana 1 Settembre 1946
Misaele : lo sposo : Borgiu Ost
E Paola Stipo la sposa

Vi è un angelo nella famiglia che rende con una misteriosa grazia di dolcezza e di amore il compito dei doveri meno aridi, i dolori meno amari. L’angelo della famiglia è la donna. A quest’angelo si rivolgeva l’infelice poeta di Recanati quando diceva: Donne, da voi non poco la patria aspetta.
Voi nel santuario della famiglia educherete con mano assidua le giovani piante - i figli – di cui i fiori saranno la speranza, i frutti, del vostro tardo avvenire. Vi siano d’esempio le nostre mamme buone, le nostre mamme benedette che rispecchiavano sì le virtù delle sante donne dell’evangelo. Erano cioè fedeli e caste, amabili e prudenti e gravi; erano erudite nelle celesti dottrine, feconde nel lavoro, disciplinate in casa, in una parola: venerabili.
Intanto, oggi, due cuori si uniscono; oggi in qualità di sacerdote, ho comandato che questi cuori si amassero ed essi, coi palpiti più accelerati, sono qui per dirmi che sono pronti a mantenere la promessa. Salvete, o sposi. Da parte mia ho tre regali da porgervi: un saluto col cuore, un plauso con l’anima, ed un consiglio con la mente serena = Il saluto è che nella vita vi sorrida sempre l’amore, come in questo giorno solenne, e che sia dolce come il miele d’Ibla, sereno come una melodia, costante come il sole. = Il plauso è che questo amore trionfale percorra le vie della vita più lunga sotto la pioggia di rose che cadano lentamente sopra le vostre teste sempre giovani = Il consiglio è di educare le future pianticelle secondo il codice di Cristo. Ho detto. Salvete.
Casignana 8 – 9 – 1946
Naruno  - Macrì
CURIA VESCOVILE
DI
GERACE
                                                      Gerace, lì 7 – 4 – 1940


Caro Ernesto,
ti comunico l’esito del concorso che ha fruttato la nomina dell’Arciprete Minniti.
Arcipr. Ernesto Gliozzi          punti     38/48
Arcipr. Minniti Giuseppe                    44/48
Sac. Gliozzi Francesco                        38/48
Sac. Gliozzi Ernesto                            42/48

Come vedi l’approvazione vi è stata per tutti, ma la maggioranza è stata per Minniti.
Saluti cordiali.
Can. Oppedisano

Comunica la presente ai tuoi nipoti.

lunedì 19 novembre 2018

Tribute - Serata d'onore [di Bob Clark,1980 ]


Quello che andrete a leggere, se ne avete voglia, vista l’ampiezza del testo, è il resoconto più completo e sincero di una serata e di un evento che mai in Platì si siano visti. Fino all’attuale momento, il testo è sconosciuto anche tra i promotori di quell’evento. In questa sede è riproposto a causa di una dolente nota unita ad amarezza: la mancata, continua, persistente, inesistente partecipazione delle donne platiote a qualcosa che non abbia come riferimento la Signora di Loreto, come hanno sottolineato le soavi voci che arrivavano dal contiguo duomo proprio durante il corso di quell’avvenimento. L’autrice, tra il pubblico di quella sera, lavora per una testata di (quasi) solo donne. La sensibilità tutta femminile ci ha restituito integro quell’episodio che ha visto partecipi tra il pubblico solo distinte signore risalenti dalle marine joniche, tra cui la signora che mi ha fatto notare tale resistenza.

Quanti vorranno conoscere il programma di fimminatv possono aprire questa pagina:

Platì: Prima edizione del Premio letterario giornalistico Totò Delfino



Ieri sera si è tenuta a Platì la prima edizione del Premio letterario giornalistico Totò Delfino, organizzata dall’ associazione “Santa Pulinaria” in ricordo del giornalista calabrese. È stato volutamente scelto il 5 Novembre, giorno in cui avrebbe compiuto 84 anni, non solo per commemorare la sua figura, ma per farla rivivere in un ambiente di piacevoli aneddoti e ricordi.
Grande uomo di cultura Totò Delfino ha esaltato la terra calabra non solo nella letteratura, ma esponendo anche e soprattutto le cronache giornalistiche nei quotidiani locali e nazionali. Il valore della sua amata gente è stato sempre messo in primo piano, in special modo le narrazioni ambientaliste, la cultura, le tradizioni e la vita di quel territorio da sempre martoriato. Il volto letterario della Calabria ritrova in Delfino una posizione di rilievo. La Calabria diventa nella narrativa delfiniana un locus amenusfatto di ambienti fiabeschi, attraverso uno stile ironico-satirico che mette in luce il carattere goliardico dello scrittore-giornalista.
Ad aprire la serata è Michele Papalia dell’associazione Santa Pulinaria il quale definisce Delfino “un grande meridionalista che non aveva prezzo e quindi non aveva padroni. Ha sempre speso parole per gli ultimi, nonostante la numerosa cronaca sulla ‘ndrangheta che attanaglia la nostra terra. Dopo dieci anni di silenzio ufficiale, ricordarlo oggi davanti a così tanta gente vuol dire molte cose e più che un evento è una festa di compleanno”.
Scrittore, giornalista, critico, impegnato politico, ma soprattutto vicino all’istruzione dei giovani, il Preside Totò Delfino, per tutta la vita si è prodigato affinché la cultura fosse un punto di riferimento per i calabresi, tanto da organizzare gite nella sua bella Calabria, facendo riscoprire non una terra maledetta dall’arretratezza mentale e dalla mafia, ma un mondo di bellezze paesaggistiche e di accoglienza.
A monitorare la serata c’era Maria Teresa D’Agostino che parla di Totò Delfino come una “figura di riferimento, intellettualmente onesto e dirompente. Per questo – prosegue la giornalista – è una gioia essere oggi qui insieme alla sua famiglia”.
Presente all’evento era anche il piccolo Antonio Delfino, che con il suo temperamento, vivacità e forza d’animo somiglia ogni giorno di più al nonno.
A presenziare il tavolo degli ospiti, lo scrittore Mimmo Gangemi il quale conobbe Totò Delfino negli anni ’70 “quando era assessore alla provincia”. Gangemi fa di Delfino un piccolo racconto, narrando gli incontri, le vicende che li hanno avvicinati, la personalità e spiegando la narrativa che ha contraddistinto il compagno: “Delfino è stata una voce autorevole che ha portato alta l’immagine del meridione riuscendo a farsi ascoltare anche dall’Italia intera”.
La voce di Totò Delfino infatti è arrivata all’intera nazione attraverso le principali testate giornalistiche italiane come Il Giornale e l’Europeo diretto da Vittorio Feltri il quale, alla presentazione di uno dei libri più riusciti di Delfino, Amo l’Aspromonteesprime parole di stima verso il giornalista e la sua Calabria.
Ciò che invece viene rimproverato a Feltri è il fatto di “non averlo commemorato alla sua morte”, annuncia Paride Leporace, direttore della Lucania Film Commission e fondatore e direttore di Calabria ora. “Totò Delfino era come un padre per me. Amava definirsi un fratello d’asino, perché la montagna condizionò fortemente il suo essere e la sua produzione bibliografica”. Un giovanissimo Leporace e il già affermato giornalista Delfino si erano conosciuti al tribunale di Palmi durante i processi di Giacomo Mancini e, da qual momento era nata una profonda amicizia e collaborazione professionale. “Totò non era solo un libertino, ma un libertario, è un esponente del New Journalism che mescola giornalismo e letteratura”.
Infatti Delfino era un “cronista narratore”, perché non solo captava la notizia, ma ci entrava dentro per trasmetterla con una profonda capacità retorica. Ed è proprio l’oratoria, molte volte ironica e puntigliosa, ad aver posto Totò Delfino in una posizione di primo piano in Calabria.
Lo scrittore Mario Nirta ha parlato di Delfino con grande commozione, giudicando che “le sue opere andrebbero lette nelle scuole. Era uno scrittore con i parandranguli in una cultura calabrese spesso fatta da eunuchi”.
In ultimo la signora Leila, moglie di Delfino ha proclamato il vincitore del premio letterario giornalistico Ilario Ammendolea, direttore editoriale del settimanale Riviera: “Sono orgoglioso di ricevere questo premio nella sua amata Platì per la quale mi sono sempre speso per rivalutarne l’immagine”.
Il dibattito sul giornalismo “delfiniano” si è protratto per un’altra ora, come in una di quelle serate, magari una festa di compleanno tra amici, durante la quale si passa a raccontarsi i bei vecchi tempi passati insieme.
Totò Delfino respirava attraverso la scrittura, piangeva e rideva per la sua bella Calabria, cantava le lodi dell’amato Aspromonte e raccontava la vita quella gente umile      quasi come fossero personaggi fiabeschi. La figura di Delfino, la sua narrativa e il suo giornalismo hanno contribuito a educare la mente, alla costruzione di un personale pensiero critico svincolato da qualsiasi influenza esterna e da buon “libertino della penna” ha insegnato ad essere finalmente liberi.
Cristina Caminiti

Foto e testo qui:

domenica 18 novembre 2018

Fatti corsari - Hydraulicae machinae rotis



-La Nera Maria (Mo.28.11.1874/41) di Domenico e Staltari Anna, di 2 anni.
-Trimboli Domenico (Mo.17.4.1874/8) di Saverio, fu trovato morto in loc. Porcejeri.
-Zappia mf Filippo (Mo.1.9.1874/28) di Pasq. e di Sergi Rosa, fu ucciso a colpi di scure.
-Miceli Giuseppe (Mo.29.3.1875/10) di Francesco e Grillo Maria, a 20 anni, mentre attraversava il fiume in località Misavrico, fu travolto dall' abbondanza delle acque.
-Mittiga Rosario(Mo.5.1.1875/1) di d. Gius. e mf Rachele Mittiga, involutus hydraulicae  machinae rotis, illico obiit.
-Frascà d.Teresa (Mo.28.11.1875/26) di Vincenzo, moglie di d. Francesco Papalia, da Ardore.
-Mittiga mf Marianna (Mo.20.12.1875/33) di Rocco e Perre Giuseppa.
-Gliozzi Elisabetta (Mo.4.4.1876/20) di d. Giuseppe e mf Garreffa Francesca, di 4 anni.
-Fera mf Rosario (Mo.16.5.18976/36) di Francesco e Lentini Anna, celibe, vir bonus, laboriosus et eminente virtute praeditus.

Nota - Donna Teresa Frascà era la mamma del dottor Vincenzo, Lividure Eteroclite, Papalia. Vi ricordo, come se non bastasse, che tutto questo lavoro è per mano, lavoro e tempo, di Ernesto Gliozzi il giovane. La foto con vista sul Bonamico risalgono alla primavera passata.

giovedì 15 novembre 2018

Le tegole [di Roberto Mauri, 1960 ]



Le tegole

Questo racconto parla del mio bisnonno Antonio e della sua famiglia vissuti negli anni 30. Avevano una fabbrichetta nella quale costruivano tegole. Per farle dovevano fare un impasto di creta che prendevano nel “Marcatu” un terreno fuori Cirella.
La creta veniva lavorata con acqua, e con i piedi per formare un impasto omogeneo e liscio.
Successivamente prendevano questo impasto e lo mettevano in una forma fatta di legno, lo modellavano con un panno bagnato per non formare crepe e farlo liscio. Infine questo impasto lo mettevano in un’aia per farlo asciugare un paio di giorni.
Successivamente preparavano il forno, che era costruito sotto terra, poi mettevano le tegole, in fila ordinata per farle cuocere. Coprivano il foro e accendevano sopra il fuoco per un paio di ore, poi lo lasciavano raffreddare per alcuni giorni. Le toglievano dal forno e le mettevano tutte in ordine sugli scaffali del loro magazzino. Una volta non c’erano i nostri mezzi di trasporto ma c’erano gli asini.
Le tegole venivano messe nelle sporte in mezzo alla paglia e portate a destinazione. Per venderle chi le voleva comprare e non aveva i soldi faceva degli scambi con olio vino, grano e fichi.
Giuseppe Macrì IV a
Cirella 16 Aprile 2018

NOTA. Il testo di Giuseppe Macrì di Cirella è stato premiato nell'ultima edizione dell' Ernesto Gliozzi award. Devo sottolineare che nella citata edizione 2018 le sorprese sono venute fuori proprio da Cirella di Platì.

mercoledì 14 novembre 2018

Il piacere della sua compagnia [di George Seaton,1961]



Totò Delfino era un vero platiese e del paese amava tutto: persone, luoghi e cose. Anche dopo che si era trasferito a Bovalino, godeva nel ritornare a percorrere le strade dove era cresciuto, seguiva i tornanti della montagna soffermandosi a immortalare con la sua macchina fotografica le cime, le vallate e i torrenti. Volendo parafrasare il titolo del romanzo dello scrittore Thomas Mann, per lui, l’Aspromonte era “la Montagna incantata”. Terra, casa e vita di cui si nutriva ogni giorno di storie, leggende, colori, odori e suoni come quello dello scorrere dell’acqua della fiumara, che per lui era musica che lo accompagnava durante le ore di studio o di scrittura. Lui per noi era un amico, un goliarda che amava la compagnia. Sono indimenticabili le serate d'estate quando si passeggiava fino a notte fonda scherzando e ridendo. In sua compagnia non c’era la separazione per gruppi d’età e molti eravamo più giovani di lui, ma si trovava benissimo perché aveva la leggerezza dello spirito giovanile. A quel tempo la strada era luogo d’incontro, il circolo di tutti, il teatro all’aperto dove ognuno recitava la sua parte. Noi, più giovani lo ascoltavamo con piacere perché era una fucina di aneddoti, di racconti scherzosi e lui amava raccontare e raccontarsi, compiacendosi di essere ascoltato. Totò Delfino è stato un giornalista attento alle problematiche sociali, professore e preside stimato. Da politico ricoprì il ruolo di consigliere e assessore provinciale. La sua penna era proverbiale per l’ironia leggera e mai offensiva. Alcuni suoi pezzi giornalistici sono quadri di vita quotidiana. Una vita semplice, umile, ingenua e decorosa da cui traeva la sua ispirazione. Basta ricordare qualche suo brano come “Rocco in frac”, “Il cappotto”, “Le anime del Purgatorio” che sono dei piccoli capolavori. I suoi libri, “Gente di Calabria”, “Amo l’Aspromonte”, “Il raglio dell’asino”, rappresentano il grande affresco di una terra dalle mille sfaccettature, il condensato di storie e uomini osservati e descritti nei tratti somatici e caratteriali con pennellate simili a quelle di un abile pittore. Sono passati dieci amai dalla sua scomparsa ed oggi ci siamo riuniti per ricordarlo. Ci piace immaginare che lui sia qui di fronte a noi che ci osserva con aria ironica e divertita, contento di ascoltarci. Noi lo salutiamo, dicendogli: “Ciao caro Totò, ben tornato nel tuo amato paese.”
 Pasquale Violi

Nota. Alla serata del cinque novembre scorso Pasqualino Violi non potette intervenire. Il testo inviato agli organizzatori si sarebbe dovuto leggere durante il corso della manifestazione ma il tempo gli fece danno e così lo scalpitare dei presenti dato il prolungare degli interventi. Oggi si tenta di riparare anche perché il tributario dell’evento è (ri)visto con gli occhi di un altro platiotu. La foto d'apertura la trovate dispersa nel web.






lunedì 12 novembre 2018

I Origins - Platì e oltre



Caro Luigi,
mi piace questa corrispondenza che ha il sapore delle antiche lettere che pubblichi nel tuo blog. Quando ci sentimmo per telefono tu mi parlasti del tuo ritorno alle origini e dell’interesse per Platì ed io ti risposi che, al contrario, non avevo alcun interesse. Era in parte una bugia (detta a me stessa) perché per tutti gli anni da quando ho lasciato la Calabria (avevo 9 anni) ho dovuto prendere una distanza emotiva da un luogo che mi provocava il dolore della lontananza. Ho vissuto fra questa nostalgia per un paradiso perduto e la soddisfazione di essere proiettata nel mondo. La questione e le riflessioni sono tante e sarebbero da affrontare forse in inverno davanti ad un camino acceso. Comunque, a seguito di alcune domande di mia sorella e di uno dei miei fratelli, mi sono messa alla ricerca dei nostri avi e ciò che mi è successo è che la diga, che avevo costruito a contenere quelle emozioni legate al passato, è crollata. Mi sono resa conto che potevo vivere ricordi ed emozioni perché non più legata alla contingenza del lavoro e dei doveri e mi sono immersa nei registri degli archivi di stato consultabili online. Di lì sono nate altre emozioni, interessi e ricerche che sto perseguendo e che ho intenzione di continuare anche durante un soggiorno di qualche mese in Calabria, a Locri dove sono nata e dove il ricordo emotivo è più forte, legato soprattutto a mia madre e a mia nonna.
...

Non so se te ne ho già accennato, ma io ho vissuto alcuni anni in Australia ed ho anche abitato con la mia prozia Bettina Perri madre di Rosario (Rosi per la famiglia). Lei è morta ultranovantenne ed anche lui è deceduto da qualche anno. Peppino Mittiga era parente (cugino, credo) di Giuseppe Ielasi che ha sposato la sorella di mio padre, Ada. Entrambi erano sarti e qui ci sarebbe da fare tutto un discorso a parte sulle botteghe di sarto di Platì e sui sarti che lì si formarono.
Ciao
Rosalba

Nella foto Rosalba e Pasqualino Perri. Bettina Perri ,madre di Rosi, era sposata con Peppino Mittiga.

domenica 11 novembre 2018

Una storia vera [di David Lynch, 1999 ]


Io sono la mia storia”. Wim Wenders Nel corso del tempo, 1975

Caro Luigi, …
mi sto divertendo a ricostruire le famiglie nell’800 e sono così incorsa nella piccola saga di cui ti parlavo…

Il 07/10/1803 nasce a Platì Michelina Papalia figlia di Giuseppe e Teresa Mittiga.
Il 09/05/1804 muore suo padre Giuseppe Papalia.
Il 09/02/1818 sposa Rocco Cutrì di Messignadi. Sul registro dei matrimoni viene dichiarata di anni 19 (mentre in effetti ne aveva 15) e di professione “civile”. Tale termine veniva assegnato a coloro che erano benestanti e le cui professioni non erano inquadrate. Quindi Michelina Papalia apparteneva ad un ceto sociale di un certo rilievo per lo meno economico. Rocco Cutrì ha ventun anni e viene dichiarato anche lui di professione “civile”, figlio di un Massaro di Bovi che, non potendo essere presente a Platì per dare il proprio consenso al matrimonio, invia un altro Rocco Cutrì, Arciprete di Messignadi, a fare le proprie veci.
Il 18/05/1819 il giovane marito muore a Messignadi lasciandola vedova senza figli (non vi sono nati di questa coppia né a Messignadi né a Platì) e Michelina torna a casa dalla madre, infatti:
Il 08/05/1822 sposa Mastro Giuseppe Fera d’anni 28, mastro ferraro, figlio di Michele e della Signora Candida Nirta (da notare che le mogli dei mastri venivano riportate sui certificati ufficiali con l’appellativo di Signora). Michelina viene dichiarata di anni 22, in effetti ne ha diciannove. Fra i documenti elencati come presentati, vi è l’atto di morte del primo marito.
Il 02/10/1831 nasce il figlio della coppia: Domenico Rosario Fera.
Il 06/02/1836 muore il secondo marito.
Il destino sembra essersi accanito con Michelina, che però non desiste e nel 1838 prepara i documenti per un terzo matrimonio con Francesco Stefano Domenico Collufio (o Collusio) nato il 02/04/1813 (quindi di 10 anni più giovane) a Tresilico, figlio di Giuseppe Antonio (civile) e Concetta Lando. La professione del futuro sposo è quella di “fallegname”. Il comune di Tresilico provvede alle pubblicazioni (Atto di notificazione), ma…
Il 26/02/1838 l’usciere presso la Regia Giustizia del Circondario di Ardore, invia al Sig. Don Giosafatto Furore, Sindaco ed ufficiale dello Stato Civile del Comune di Platì, istanza di opposizione al matrimonio da parte di Francesco Fera (Istante), proprietario, in qualità di cugino del defunto marito della Signora Michelina Papalia, proprietaria, con Mastro Domenico Collufio, falegname, domiciliato in Trisilico, per i seguenti motivi:
1° Perché essa Papalia dimenticando i doveri di Madre verso il di lei unico figliuolo Domenico Fera dell’età di anni sei, dopo aver barattato e trafugato tutto ciò che formava l’asse ereditario del fu di lui padre Mastro Giuseppe Fera, ed abbandonato snaturatamente il … pupillo alla discrezione altrui ha pensato passare ad un terzo matrimonio negando non solo ogni sussidio della sua propria roba, ma senza neppure restituire ciò che al Minore si appartiene, e che ascende a valore di circa ducati cinquecento, di che l’istanza si riserba di chiedere il redde conto come per Legge. 2° Perché essa Papalia avea promesso al fu di lui marito di non passare ad ulteriori nozze con chichesia dopo la di lui morte ed ora trasgredendo questo patto si vuol dare in moglie ad una persona inferiore di condizione e che soffre degli intervalli di demenza. Per tali motivi adunque si oppone l’Istante al preteso Matrimonio che si vorrebbe contrarre tra loro. Quindi è che in virtù del presente atto ho inibito esso Sig. Sindaco e uffiziale dello Stato Civile di procedere alla solenne promessa dello Stato Civile protestandogli l’Istante in caso diverso di tutti i danni ed interessi e di agire in linea criminale contro di esso Sig.r Sindaco quante volte non si uniforma a quanto prescrive la Legge nell’Articolo 69 e 70 delle LL. Civili prescrivendo gli stessi che l’uffiziale dello stato civile subito che viene a lui notificata opposizione di Matrimonio non può passare oltre, ma deve notare della opposizione nel Libro addetto e vistare l’originale, e di rispondere di tutti i danni, ed interessi, non che alla Multa di ducati sessanta ed alla perdita della carica, come anche alla pena di prigionia giusta Articolo 244 delle LL Penali.
Tale opposizione viene comunicata anche ai due pretesi futuri sposi. Ora non è dato sapere quali passi abbia intrapreso Michelina, o chi per lei, fatto sta che:
L’anno milleottocento trentotto il giorno ventotto del mese di maggio in Platì. Ad istanza del Signor Francesco Fera proprietario, domiciliato in Platì, Io Vincenzo Gliozzi, Usciere presso la Regia Giustizia del Circondario di Ardore ivi domiciliato, ho dichiarato al Signor D. Giosafatto Furore nella qualità di Sindaco ed Ufficiale dello stato Civile del Comune di Platì, non che a Donna Michelina Papalia, proprietaria ivi domiciliata, che l’istante non più si oppone al matrimonio contraendo con Mastro Dom.co Collufio di Tresilico dalla prefata Signora Papalia, vedova del fu Giuseppe Fera, e formalmente rinunzia all’atto di opposizione del giorno ventisei Febbrajo milleottocento trentotto.
E così il giorno stesso, 28/05/1838, il sindaco emette il Certificato da presentarsi al Parroco per la celebrazione del matrimonio che viene registrato al numero d’ordine 6 dell’anno 1838.
Il 06/02/1839 Michelina Papalia dà alla luce a Platì un figlio maschio a cui viene imposto il nome di Giuseppe Alfonso Carlo Collufio.
Il 06/11/1841 Michelina Papalia dà alla luce una figlia a cui viene imposto il nome di Maria Concetta Teresa Collufio.
And that’s all, folks!
Ciao
Rosalba

giovedì 8 novembre 2018

PLATOON [di Oliver Stone,1986 ]



Platì cinque novembre duemila diciotto ore diciassette. I sogni e gli sforzi di un plotone di platioti sembrano essersi realizzati: il cinema Loreto di nuovo gremito di spettatori, non accorsi per la visione di immagini scaturite da uno schermo, che all’epoca della sua età dell’oro, i piccoli astanti ingigantivano con la fantasia, in realtà, la sua estensione era di due metri e mezzo per due, poca cosa al confronto con i Garden, gli Odeon, i Metropol delle megalopoli. L’evento è del tutto inedito: la celebrazione con conseguente resurrezione dell’Ultimo Glorioso Figlio. E come oggi sull’altare maggiore dell’annesso duomo si avvicendano temerari ministri venuti da fuori, così sono accorsi da vicino e da lontano, ad affiancare i parenti del personaggio celebrato, uomini di Stato, scrittori, politici, giornalisti ed una piccola, locale, emittente televisiva. Così quell’esiguo drappello, unito attorno al simbolo of life and hope, l’ulivo, ha dimostrato coraggio e fede per la rivincita di un territorio e di una popolazione emarginata, ghettizzata, a causa di trame sovversive altrove, ancora oggi, pianificate. Al solito: finito l’Ufficio i patriotti sono dovuti rientrare nei ranghi della dura, scura, quotidiana, ingrata realtà, senza per questo smettere di fare progetti per l’avvenire.

Tornando al titolo sopra citato eccovi per Totu Delfinu Samuel Barber e Leonard Bernstein al top