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giovedì 19 gennaio 2017

Gli eroi della domenica (reg. Mario Camerini - 1952)

And we'll keep on fighting - till the end 
 Freddie MercuryWe are the champions


PLATÌ. CAMPO SPORTIVO: UNA SCONFITTA SOCIALE


C’era stato promesso: «Se vincerete il campionato, l’anno prossimo avrete il campo». Forse, anzi col senno di poi certamente, chi promise considerandoci pressappoco un’Armata Brancaleone, non conosceva l’agonismo e la caparbietà di quei dirigenti e di quei ragazzi. Si, perché se gli avversari sognavano di calcare campi più importanti, noi avevamo diverse e più basse pretese: nessuna velleità, ci sarebbe bastato un normale campo sportivo in terra battuta, un nostro campo, un nostro settore giovanile e una tribuna dove uomini donne e bambini avrebbero fatto il tifo.
Prima dei sogni dunque dovevamo giocare e vincere il campionato di terza categoria. Si mise su una squadra di giovani, i più senza alcuna esperienza calcistica e si cominciò il campionato. Già alla vigilia della prima partita, in piazza si udiva il solito mormorio di alcuni vecchi disfattisti: «Ma chi ve lo fa fare!». Una squadra senza campo eravamo, con tutti i pronostici contro. Le partite casalinghe, che tali non erano visto che quando si giocava in casa dovevamo percorrere 22 km, si disputavano al comunale di San Luca.
Si continuava così una tradizione che risaliva agli anni ‘70 quando le prime squadre del Platì elemosinavano agli altri paesi un campo sportivo. Ma quelli erano altri tempi, ora almeno i calzettoni non erano bucati. Durante la settimana non ci si poteva allenare e in campo per vincere bisognava buttare il cuore oltre l’ostacolo, tirando fuori una rabbia agonistica senza pari. La carica di capo ultrà spettava a Natali du Zi Savu, oggi compianto e mai dimenticato, unico per la sua capacità di caricarci e per essere stato sempre presente al fianco della squadra. Tutti i direttori di gara avevano imparato a conoscerlo; a ogni punizione fischiata contro scattava in piedi a chiedere ragione all’arbitro, «Quarant’anni di Platì» diceva, pretendendo spiegazioni.
Una domenica mattina al paese arrivarono le telecamere e i giornalisti di Rete 4, a loro dire a documentare il disagio giovanile al Sud. Pensavamo di approfittare, di mettere pressione sulle istituzioni, speravamo che qualcuno finalmente si stesse interessando ai noi giovani di Platì. Presto ci accorgemmo di aver pensato e sperato male perché bastarono poche e strumentali riprese, qualche intervista “tagliata” ed ecco confezionato su misura il servizio per il padrone, i soliti luoghi comuni su santi e santini, affiliazioni e cognomi pesanti. Rimanemmo gabbati, noi che in testa avevamo un pallone da rincorrere e un campo da calcare, noi generazione senza campo né strutture sportive. Ma noi, imperterriti, continuammo a vincere.
A primavera i campi impolverati della provincia davano il seguente verdetto: imbattibilità casalinga e due sole sconfitte esterne, così a fine campionato la squadra risultò prima a pari merito con la Stilese: in piazza non sentivamo più il mormorio dei vecchi. La Lega dilettanti Calabria decretò data e luogo dello spareggio. A Siderno, partita secca, ci si giocava la promozione in seconda categoria contro la Stilese che portò sugli spalti poche decine di tifosi al cospetto di circa trecento platiesi padroni di una intera tribuna.
Si vinse per due reti a uno e si ritornò al paese accompagnati da caroselli di auto a festeggiare con la riaccesa speranza di bussare nuovamente e più forte ai portoni dell’amministrazione locale. Ed infatti, all’indomani si bussò, qualcuno aprì, ma lì sul terreno della politica e delle pastoie burocratiche non riuscimmo, senza ben capirne i motivi, a battere un avversario più forte di noi. Continue tergiversazioni, impedimenti vari e agognati finanziamenti che stentarono ad arrivare ci scoraggiarono, il resto lo fece l’estate che sopraggiunse afosa mandandoci al mare.
Nonostante tutto, l’anno seguente – caparbiamente, senza nessuna preparazione atletica e senza allenamenti settimanali come l’anno prima – iniziammo il campionato di seconda categoria che ci ricordò come alla base di ogni percorso sportivo, anche dilettantistico, vi era programmazione e preparazione. Giocoforza a metà stagione, al ritorno da una lunga trasferta, decidemmo di desistere e fu quella l’ultima partita giocata, con i soliti scettici che non mancarono di rimarcare: «Ve lo avevamo detto».
Dall’ultima partita giocata – nel frattempo due commissioni prefettizie intervallate da un consiglio comunale sciolto causa infiltrazioni – non si è ovviato a questa pesante assenza sociale, segno evidente che nella Calabria del Sud certe carenze endemiche, qui più che altrove potente antidoto a ogni forma di dispersione, hanno sempre prescisso dai colori e dall’estrazione politica di chi ha retto la casa comunale.
Dall’ultima partita giocata sono trascorsi otto anni, pochi se ragguagliati alla folle velocità del tempo moderno, molti, anzi troppi se pensiamo a quanti bambini platiesi è stato ancora negato il fondamentale diritto alla pratica sportiva. E noi che eravamo giovani, rassegnati abbiamo mandato in soffitta i sogni di gloria mentre molti di quelli che hanno promesso di sicuro non si ricordano più di averlo fatto, dimentichi che Platì, comune tra i primi per tasso di natalità, è l’unico paese del circondario a non avere il campo sportivo e, di conseguenza, una squadra. Che dormano sonni tranquilli almeno loro.
Portieri: Amante Luciano, Tropeano Francesco.
Difensori: Barbaro Pasquale, Barbaro Rocco, Barbaro Rosario, Carbone Bruno, Perre Giuseppe, Sergi Domenico, Sergi Francesco, Strangio Bruno.
Centrocampisti: Agresta Domenico, Barbaro Francesco, Carbone Antonio, Molluso Rocco, Papalia Michele, Trimboli Bruno, Trimboli Giuseppe, Trimboli Pasquale.
Attaccanti: Barbaro Francesco, Barbaro Saverio, Pangallo Natale, Sergi Rocco.
Allenatore: Ciampa Tino.
Dirigenti: Carbone Franco, Morabito Antonio, Trimboli Antonio.

MICHELE PAPALIA
in Aspromonte,febbraio 2016
nella foto un terzetto d'eccezione: Sergi, Taliano, De Maio


mercoledì 18 gennaio 2017

I sogni nel cassetto (reg. Renato Castellani - 1957)




Un campo sportivo che non fu mai costruito

A Platì, nel cuore dell'Aspromonte,
i ragazzi aspettano da anni
un posto dove fare sport,
ma, in una realtà sociale irta di difficoltà,
questo viene ritenuto ancora
un problema di importanza minore


Valerio Giacoia

«U faciti?››. Nella lingua del posto significa: «lo fate?››. I ragazzi sono in un primo momento timidi, nessuno - forse - è mai venuto da queste parti a chiedere loro che cosa vogliono, cosa fanno. Vinta la paura, siamo circondati. In un baleno ci avvolgono, gli occhi intelligenti, tutti in coro a chiederci se e quando possiamo costruire il campo di calcio. Cosa rispondere? Non siamo noi, spieghiamo mortificati, a doverlo fare. Noi vogliamo capire cosa succede; qui non è mai esistito un impianto sportivo, uno spazio dove giocare a pallone è considerato un miraggio.
Siamo a Plati, paesino situato nel mezzo, tra il leggendario Aspromonte, conosciuto ai più solo come rifugio e terra di briganti, prigione di sequestrati, e il mare dello Jonio calabrese, quello dei bronzi, dello stesso colore che narrava Omero. La zona, in provincia di Reggio Calabria, è proprio quella che batterono i figli di Zeus dall'ottavo secolo avanti Cristo in poi.
Tutto qui rimanda alla Magna Grecia: l'aria che si respira, il mare, i resti dei santuari e, soprattutto, l'ospitalità della gente. Come allora, pur sconosciuto, l'ospite è sacro. Ci accolgono, per loro è un giorno di festa. Per arrivare a Plati, dal nord, abbiamo attraversato, lungo la statale ionica, tanti paesi e grossi centri, simili tra loro e uniti dallo stesso destino: quello riservato, ai luoghi del sud, quello veramente profondo. Nessuno può negare che qui lo Stato è per certi versi troppo lontano. Chi viene da queste parti per la prima volta non può fare a meno di restare affascinato e al tempo stesso sconcertato. Lungo la costa, mossi appena dal vento, gli agali; stanno lì a osservare il mare e le spiagge, solitarie le lunghissime. Sull'asfalto della statale, invece, ogni due passi un posto di blocco dei carabinieri. Si resta allibiti per la quantità. E segno che le cose non'vanno spesso per il verso giusto. Quando chiediamo il perché, nessuno ci sa rispondere. Loro sono abituati.
Passiamo da Riace, città dei bronzi melanconicamente dimenticati, arrivando in pieno sole a Bovalino, sul mare. A una quindicina di chilometri verso l'interno c'è Platì. A Bovalino ci attende Domenico Marando, avvocato, che ci guiderà su per quella che lui chiama «una buona strada».
Verifichiamo di persona ciò che ci aveva raccontato al telefono: a Platì non c'è nulla. Oltre alle case, spesso ancora grezze, neanche una piazza che possa così chiamarsi. Nelle stradine del paese si sta in gruppi; parlano e gesticolano i vecchi, sulla testa il cappello, e i ragazzi in giro oppure al bar. Qualcuno lo incontreremo sull'Aspromonte, a guardare le capre, in solitudine. Altri, chi ha la macchina, fuggono a Bovalino; lì trovano la vita, le ragazze. Non esistono ulteriori occupazioni. Molti, ad esempio, non sono mai andati al cinema e l'edicola più vicina e situata fuori dal paese, non si sa bene dove.
L'avvocato Marando scrisse alla nostra rivista qualche anno fa, denunciando queste e altre cose. I ragazzi di Platì non hanno nemmeno un posto dove andare a giocare. Una breve indagine e scopriamo che è proprio vero. Un campo di calcio non è mai esistito. Una palestra, poi, è fantascienza. Perche? «Trenta anni fadice un ex assessore allo sport - ricordo che a Platì c'erano addirittura due squadre di calcio. Una specie di Guelfi e Ghibellini, in continua rivalità ovviamente sportiva. II calcio e lo sport rappresentavano tanto per noi. Poi è venuta I'alluvione, nel '51, e ha portato via tutto. Avevamo il campo, ora i ragazzi sono costretti a giocare per le strade, le donne gli urlano dietro perché rompono i vetri. Intanto cosa si può fare? Se gli togli anche il pallone, che fanno?››.
L'avvocato Marando va oltre. Lui fondò - qualche tempo prima di scrivere a Sportgiovane - un gruppo denominato «Alfa››, che riuniva un buon numero di giovani; aveva coinvolto quasi tutti. Marando ebbe un'idea coraggiosa; tra mille difficoltà, infatti, tentò pian piano di far capire ai propri concittadini che i ragazzi di Platì non potevano continuare a restare fuori dal mondo. Al Gruppo Alfa ci si batteva anche per il campo sportivo. Domenico Marando, pur in totale solitudine e con seri problemi fisici (fu colpito dalla poliomelite a 18 mesi), non si diede per vinto, almeno per un po'. Condusse e vinse la battaglia per l'installazione del ripetitore RAI. «Naturalmente nessun elogio, nessun umano riconoscimento», come si legge nella lettera inviata alla nostra rivista il 30 luglio 1982.
«Io penso però che è sempre meglio un po' di bene - continua - anche se si ha la certezza di essere mal ripagati, piuttosto che non fare niente e attendere che facciano gli altri. In questa direzione, secondo quest'ordine di idee si sta muovendo il Gruppo Alfa... Ora vogliamo intraprendere la lotta per il campo sportivo e pertanto chiediamo a Sportgiovane di appoggiare la nostra iniziativa. Questa deve essere la risposta civile a quella gente matura-immatura che sa solo protestare quando vede i ragazzi per strada che tirano quattro calci al pallone. A Platì è necessario il campo sportivo››.
Noi rispondemmo, promettendo di occuparci del «caso» Platì non appena possibile. E passato del tempo.
Abbiamo volutamente lasciato trascorrere degli anni, per vedere cosa ne sarebbe stato del campo sportivo, del paese, dei ragazzi del Gruppo Alfa. Ora siamo qui, abbiamo conosciuto l'avvocato che scrisse tanto appassionatamente quella lettera. Senza dubbio un avvocato povero. Abita con i suoi, una casa modesta, uno studio che per nulla ricorda gli studi ai quali siamo abituati.
«Non guadagno, facendo tutte le somme, neanche un milione al mese - dice, col sorriso sulle labbra - ma non mi lamento troppo. E poi, cosa devo farne...››.
Marando non nasconde il fatto di non essere ricco, come lo sono altri colleghi. Per lui è motivo di orgoglio non lamentarsi, accettando quello che la vita ha potuto offrirgli.
«Le cause non ci sono - ci spiega - e quelle poche che ci sono magari non me le assegnano. Poi, per certi versi, sono anche un personaggio scomodo, perché dico e faccio quello che penso, nella mia condizione di handicappato››.
E la «causa» del Gruppo Alfa e del campo sportivo?
«Vede, uno non può annullarsi completamente per gli altri, specialmente se ti accorgi che, in fondo, stai lottando da solo e sei anche criticato ››. 
Queste parole ci lasciano un po' sorpresi, ma capiamo perfettamente. Domenico Marando ha fatto ciò che ha potuto. ll Gruppo Alfa non esiste più. La biblioteca, la cineteca, il campo sportivo, tutti sogni nel cassetto di un uomo coraggioso, onesto, estremamente altruista, ma troppo solo.
«l ragazzi cominciavano a seguirmi - racconta sconsolato e quasi scusandosi con noi per non avere avuto la possibilità di accoglierci in una Platì diversa - mi accorgevo che si interessavano alle attività che gli roponevo. Avevo costruito piano piano una piccola biblioteca, con volumi che richiedevo direttamente alle case editrici, pregando di inviarceli gratuitamente. Spesso riunivo i ragazzi per la visione di un film, di un documentario, poi ognuno doveva dire la sua; ci raccoglievamo per fare lo sport. Cercavo di spiegare loro che stando assieme, iocando, anche con un po' di agonismo, potevamo lasciare fuori dalla porta I mali che affliggono tanti giovani. Lo sport può fare grandi cose per ragazzi di un paese che potrebbe coinvolgerli in tutt'altri affari››.
Quali? Platì appartiene a una delle province più turbolente d'ltalia. Mario La Cava, scrittore e giornalista, scriveva il 19 febbraio del 1986 sul Corriere della Sera: «...Bisogna ricordare che Platì non fu mai un paese di agnellini: la sottigliezza, sfociante a volte nella furfanteria, era proverbiale nei paesi della Locride...››. L'articolo si intitolava «L 'antico cuore perduto di Platì››. Un ex cittadina modello, così la ricordano Marando e gli amici, famosa per l'artigianato e per la laboriosità dei suoi abitanti. L'alluvione del 1951 portò via tutto, lasciando Platì senza forze. Da allora, come dicono, il declino.
Ma un figlio di quel «cuore» ora «perduto››, Domenico Marando, aveva cercato di cambiare le cose, che non andavano e non vanno bene non solo per colpa di calamità naturali, ma per la difficile mentalità dei più. «A un certo punto mi sono accorto che era inutile - prosegue l'avvocato - i risultati erano scarsissimi, e i ragazzi erano anche ostacolati dalle famiglie. Il campo sportivo che tanto avevamo sognato non fu mai costruito. Ero stanco e afflitto, così decisi di mollare tutto e pensare di guadagnare qualche soldo per me››.
- Perché al tempo del Gruppo Alfa si rivolse a noi?
Qui Marando ci dà una risposta che lascia intendere molte cose:
«Questo non è un paese dove lo sport non si può fare perché non esistono impianti, nemmeno un campo di calcio, anche piccolo; qualcuno pensa di fare qualcosa per la sua gente, affinché i giovani restino lontani dal male che ci circonda, ma non ci riesce. Per questo mi rivolsi a voi, a una rivista che tratta anche di questi problemi, al Coni. Credevo di rivolgermi al Padreterno››.
«Sono d'accordo che lo sport sia una cosa importante per i nostri ragazzi - ribatte il Sindaco di Platì, Natale Marando, parente dell'avvocato - ma qui mancavano ' strutture primarie, come luce, acqua e strade. Abbiamo dovuto pensare prima a queste cose ››.
ll progetto per un campo sportivo è stato fatto, presentato e - a quanto dice l'ingegner Gelonesi di Bovalino- approvato dalle autorità competenti:
«Credo che Platì avrà al più presto il suo campo ››, dice pieno di ottimismo. Il Sindaco è dello stesso parere, ma ci tiene a ribadire che qui mancano «certezze sociali» più importanti.
Domenico Marando, invece non ci crede: «Sono completamente pessimista, ma con immenso dispiacere». 

Nota
Dei giornali nazionali, tra tutti gli inviati (qui invitato) Valerio Giacoia è stato il più onesto, illuminato, sia per il motivo di base dell’investigazione (un campo di calcio) sia per chi in paese, novello Virgilio, lo aveva accolto e guidato: Mimmo Marando. Oggi questa riedizione vuole essere un omaggio a quest’ultimo ed in particolare un’esortazione agli amici pulinaroti affinché dal rintracciato fallimento di un’esperienza traggano motivo per un coinvolgimento che escluda qualsiasi perdita d’animo come di intenti, per portare avanti gli obiettivi prefissati in statuto, sfidando chi questo esperimento di ribaltare le sorti del paese pensa che non durerà.
Per tornare a Valerio Giacoia ed alla testata che lo aveva incaricato, Sportgiovane, importante è l’analisi fuori dal coro, di quei tempi andati e di quelli contemporanei, che questi fa delle condizioni, chiamiamole morali, in cui si trovava il paese, analizzate senza nessun pregiudizio come presupposto mediatico che portasse ad additare un territorio ed una comunità come dei farabutti, compresa la guida spirituale, che vi ricordo, in quel tempo, per usare un’espressione rituale, era lo zio Ernesto il giovane.
Nella foto i ragazzi del Gruppo Alfa con Mimmo Marando alla sinistra e lo zio Ernesto in centro.

giovedì 12 gennaio 2017

L'appello dell'innocente (reg. Manta Bell - 1930)


PLATI’
VOCISANO GIUSEPPE:
PRESENTE!
PLATI’, 16
Nella Chiesa Matrice, presenti le autorità civili, militari e politiche, il Fascio, le organizzazioni giovanili ed un foltissimo pubblico, si è celebrato un solenne officio funebre in suffragio del fante Vocisano Giuseppe, caduto il 22 giugno scorso, sul fronte Alpino nella travolgente offensiva che ha fiaccato definitivamente la tracotanza gallica.
Una grande corona di lauro e di quercia, dal nastro tricolore era stata deposta a nome del Fascio da due Giovani Fascisti sul tumulo, presso il quale montavano di guardia d’onore dieci fanti delle diverse armi ed un marinaio, alternati con Giovani Fascisti.
Ha celebrato mons. il canonico Migliaccio assistito dal clero al completo.
Finita la cerimonia, è stato fatto l’appello del caduto tra suono di gloria di campane.
Episodio commovente e significativo è stato quello del bacio al tricolore dato dalla madre del Caduto, episodio che dimostrava nel popolo la spartana fierezza d’animo con cui le madri dei combattenti sanno sopportare lo acerbo dolore per l’olocausto della eroica prole. Bacio accompagnato da queste nobili parole
“Baciando la Bandiera io bacio mio figlio, Benedetto sii tu in eterno per esserti immolato per la grande Italia di Mussolini”.
Gazzetta di Messina e delle Calabrie, 18 luglio 1940 Anno XVIII


Una pura formalità (reg. Giuseppe Tornatore - 1994)


Estratto dell’istromento del sedici Giugno mille ottocento settantanove, redatto per Notar Rocco Musitano
Costituiti
   Il molto Reverendo Arciprete Don Pasquale Calabrò fu Lorenzo, da una parte
   E dall’altra  - I Sig.ri Gliozzi Filippo e Francesco fu Domenico
Il costuituito Sig.r Calabrò ha dato ... in fitto al costituito Sig.r Filippo Gliozzi , che accetta, i fondi olivetati denominati Giocana o Giancona, Medico o Maratà, Monaca superiore ed inferiore, Fontana o Monzù in due pezzetti, siti e posti in territorio di Lubrichi, di proprietà dell’Arciprete di Piminoro, di cui oggi il costituito Signor Calabrò è il legittimo rappresentante, e ciò sotto i seguenti patti e condizioni
Primo - Il tempo della locazione sudetta sarà di anni sei, che avranno principio da oggi e termineranno nel giorno primo Maggio Mille ottocento ottantacinque
Secondo - Il medesimo Signor Filippo Gliozzi s’obbliga di corrispondere come fitto od estaglio dei sopra latifondi, coi loro notori confini ad esso Arciprete Calabrò per tutto il tempo della locazione botte ventiquattro d’olio di oliva ad uso di gabella, pari ad ettolitri centoventicinque, e litri sessanta quattro
Terzo - La consengna della su detta quntità di olio esso Gliozzi s’obbliga di eseguirla nel seguente modo cioè: botti otto al primo Dicembre Mille ottocento ottanta, botti otto al primo Dicembre Mille ottocento ottantadue e botti otto al primo Dicembre Mille ottocento ottanta quattro e ciascuna delle scadenze in botti otto dovrà estinguersi da esso Signor Filippo Gliozzi con la consegna di equivalente bono di Marina, da un negoziante ben in vista di Gioia Tauro pagabile e liquidabile a piacere di esso Signor Calabrò
Quarto - La consegna dei su detti tre boni, ciascuno di botti otto stabilite nell’epoche come sopra, viene riguardata come sostanziale nel presente contratto, cosicché trascorsi i termini di sopra indicati e non saranno da esso fittavolo Gliozzi consegnati i boni, il costituito Signor Calabrò senza bisogna di giudiziaria interpellanza, e riserbandosi il diritto di sciogliere il presente contratto, se le piacerà, potrà liberamente prendere ad affittare ad altri le olive che potrebbero in dette epoche nerificarsi nei fondi per quella mercede che gli verrà offerta, ed esso Gliozzi per avere contravvenuto da un patto così essenziale l’obbliga di compensare ed indennizzare il Calabrò di tutti i danni spese ed interessi che potrebbe soffrire per qualche suo fatto. E per evitare qualunque matina di litigio, il compenso di tali danni consisterà nel dover perdere esso Gliozzi, senza dritto ad alcuna indennità  tutte le spese da lui fatte per colture in qualunque moso prestate nei detti fondi, ed inoltre quante ... la mercede offerta dai novelli fittuari fosse inferiore a quelle già ... prestabiliti, l’obbliga pagare al Calabrò quel tanta di merce che potrebbe discapitare per causa di novello fitto che dovrà fare ad altri, quale discapito dovrà regolarsi paragonando la quantità che annualmente dovrà esso Gliozzi con la quantità che verranno offerti dai novelli fittavoli.
Quinto - Esso fittuario Gliozzi Filippo rinunzia a qualunque bonifica o riduzione per qualunque siasi caso fortuito preveduto od impreveduto, ordinario ed estraordinario, cosiché qualunque fosse l’avvenimento sull’albero e sul frutto o sul prodotto del suolo dei fondi locati e sempre ed espressamente rinunzia a qualunque beneficio di Legge, dichiarando  dover sempre corrispondere al Calabrò le botti Ventiquattro olio nelle tre scadenze sopra stabilite come fitto e mercede già ridotta.
Sesto - Esso costituito Gliozzi si obbliga prestare sui fondi locati, a proprie spese, le colture di consuetudine, ma non potrà fare rimonda agli alberi senza permesso del locatore  Signor Calabrò-
Settimo - Esso Gliozzi s’obbliga di custodire i fondi locati da qualunque danno potrà venire cagionato dalla mano dell’uomo, e pure dagli animali agli alberi di ulivo.
Resta ancora pattuito che durante l’affitto avvenendo usurpazioni lo Gliozzi è obbligato immediatamente tenere avvertito il locatore, il che non facendo incorra in una penale uguale al valore della proprietà usurpata.
Ottavo - Il costituito Signor Gliozzi Filippo per ultimo per tutti gli effetti del presente contratto elige il suo domicilio in Oppido Mamertino nella casa Comunale. Il costituito Don Pasquale Calabrò dichiara d’aver venduta all’altro costituito Signor Francesco Gliozzi, pria di oggi, botti quattro di olio di uliva, di qualità accettabile in commercio, pel prezzo d’accordo stabilito di lire ottocento, che il Calabrò trovasi aver ritirato dall’acquirente Signor Gliozzi pria di questa data, in tanta buona moneta avente corso nello Sato, obbliganosi fare la consegna del liquido in parola in botti quattro, pari ad ettolitri venti e litri novanta quattro col dì primo Dicembre Mille ottocento ottanta, misura usuale corrente in Oppido Mamertino luogo in cui dovrà farsi la consegna in epoca nella quale maturerà la prima rata di fitto stabilità come sopra tra esso Signor Calabrò ed il Signor Filippo Gliozzi; e però in via solidale essi ripetuti Signori Calabrò e Gliozzi Filippo s’obbligano adempiervi nella scadenza e luogo come sopra stabilito verso il compratore Signor Francesco Gliozzi, con la rinunzia al beneficio della messa in mora ed a qualunque altra di Legge che potesse dettera a loro favore, bastando la sola e semplice scadenza del termine prefisso per farla presumere, restando tenuti ad ogni danno interesse che l’aquirente Signor Gliozzi Francesco potesse patire pel tardivo adempimento. Resta inoltre pattuito, che il contratto di locazione come sopra prefezzionato fra i Signori Calabrò e Gliozzi Filippo non potrà sciogliersi senza il consendo dell’altro costituito Signor Francesco Gliozzi, se costui non venisse pria pagato delle quattro botti di olio come sopra acquistate
Sieguono le formalità

The Hot Spot (reg. Dennis Hopper 1990)

I pulinaroti al lavoro



mercoledì 11 gennaio 2017

Ricorda il mio nome


Barbaro Giuseppe (12.9.1848) zumpanu
Calabria Maria di Dom.(23.8.1848) piditaru
Carbone Giuseppe di Pasq.(14.9.1848) lignuduru-vir di Staltari Anna
Carbone Rocco 29.8.1848) medaglia
Catanzariti Maria(3.10.1848) accia-moglie di Sergi Giuseppe rumbana
Cusenza Domenica (30.4.1848) - ved.di Sergi Giuseppe prodeu
Cutrì Elisabetta (30.7.1848) ved.di Romeo Giuseppe pilatu
Filardi Maria (4.1.1848) spaccuna
Grillo Elisabetta (12.12.1848) moglie di Trimboli Domenico vajana
Mittiga mfGiuseppe (9.9.1848) calvo
Pangallo Diego (27.11.1848) figlio di Caterina tidoria
Portolise Maria di Dom.(15.8.1848) pintarello
Romeo Giuseppe di Antonino richeo (25.9.1848) tarabba
Sergi Domenico (5.2.1848)  di Antonera
Sergi Francesco (2.1.1848) prodeu
Spagnolo Domenica di Giuseppe zicca (31.8.1848) projhula (come jhuri:fiore)
Spagnolo  Michele di Franc.(16.8.1848) lunaru
Staltari Anna madre di Grillo Antonio (21.2.1848) carijìa
Staltari Elisabetta-moglie di Carbone Saverio(31.1.1848) bambino
Strangio Elisabetta (30.8.1848) lana
Taliano  Elisabetta (20.11.1848) di Michele scigliarda
Triccasi Rocco di Dom. (30.8.1848) palumbaru
Trimboli Domenico di Michele e di Mittiga Nicoletta(24.8.1848) pejaru
Trimboli Pasquale (15.7.1848) di Francesco(ciraru) e di Fera Domenica
Brizzi Maria(16.12.1849) da Ardore-vedova di Romeo Domenico francisi
Carbone Pasquale (12.9.1849)  sorcio
Carbone Anna di Rocco (22.9.1849) sorcio

lunedì 9 gennaio 2017

Il Mulino (reg. Camillo De Riso - 1919)



‘U MULINU di MASTRUMICANTONI E MICHELUZZU’
di Rocco de Marco

Il mulino di Mastru Micantoni e del figlio Micheluzzu con l’immancabile capra che stazionava da mattina a sera legata vicino all’ingresso e le galline. Mentre il funzionamento del ‘ trappitu ‘ di mio nonno mi era chiaro, perché vedevo la ruota Persiana, l’acqua del mulino scorreva sotto la ‘filicìa’ per cui si sentiva ma non si vedeva. Ogni tanto toglievano i tronchi e deviavano l’acqua per fare le riparazioni, ma in quell’oscurità non vedevo niente. Sentivo sempre parlare delle anguille che catturavano con la calce e della ‘fatusa’ catturata da Micheluzzu e che poi Tanino Calanna il figlio del Collocatore legò dietro la Millecento e fece il giro del paese. Alla fine incartò la ‘fatusa ‘ in carta da macellaio e la mandò con un ragazzino a casa del ‘Commendatore Furore’ incaricando la serva di conservarla in frigo.  Furore andò su tutte le furie, perché aveva dovuto buttare tutto ciò che c’era dentro il frigo e la puzza persisteva in tutta la casa. Mi ricordo i suoi famosi intercalari ‘ dicu pe’ dire, veru è tuttu ‘ se non fosse stato per quel brav’uomo di suo padre, lo avrei denunziato ai carabinieri’.

Questa foto è  dell’autunno 1955 o della primavera 1956


Qui sono con mia sorella e mio cugino Saverio compagno di scuola che da lì a poco sarebbe partito per l’Australia. Eravamo insieme in terza elementare con la maestra Ada e ancora ricordo il vuoto che mi lascò. Sedevamo nello stesso banco e a vederlo vuoto capii cosa vuol dire non avere parenti . Avevo ancora i nonni negli Stati Uniti con la sorella di mia madre più giovane, ancora vivente , e che ha tre figli che non conoscono l’Italia. Con la famiglia della sorella di mio papà eravamo molto uniti soprattutto quando mio zio ‘u forgiaru’, emigrò con il fratello in Australia da dove non sarebbe più ritornato.
Partirono  da Messina con la nave Australia del Lloyd Triestino che aveva suo rappresentante a Platì ‘don  Umbertinu da mammina’




Nota
Questo magnifico contributo è di Rocco De Marco, nella foto con mio fratello Saro, l'unico vero hippie platiese. La sua casa era affiancata al mulino sopra descritto, la la prima sulla sinistra all'inizio della via San Nicola - nella foto è  quella alle spalle dei tre bambini. Quella casa.come molte altre,ora ha avuto un nuovo destino e un nuovo colore.
Qui non posso far altro, per ringraziarlo, che ricordagli questo indimenticabile inno di una cultura di cui egli era portavoce mai venuto meno. 



domenica 8 gennaio 2017

Stairway To Heaven - Led Zeppelin


U PAISANU LUNTANU

A Ginu Mittiga no ntantu u canusciu bonu
Sacciu ca staci in Sicilia ma é paisanu
Ntisi riri ca si piaci u nostru cantu e sonu
Nto cori ndavi a Platì puru ché luntanu.

Comu a ijiu ndavi tanti paisani ngiru
Chi dopu tant'anni o paisi tornaru
E rintra a missa in nginocchiu ciangiru
Maronna bella fammi u tornu quatraru.

 O7/O1/17
 Papalia Francesco


mercoledì 4 gennaio 2017

I Magnifici Sette (reg. John Sturges - 1969)


Paisi chi Platì tu si chjiamatu
Stasira vinni u cantu e u ti sonu

Il post di oggi, o meglio, il suo contenuto a più voci, è un ulteriore passo in avanti di un gravoso progetto che l’Associazione Etnoculturale Santa Pulinara di Platì ha deciso di istituire a sostegno di una eredità culturale mai venuta a mancare nelle platiote generazioni susseguitesi. L’intento è quello di portare alla luce un sottosuolo di energie vitali apparentemente sopite se non ignorate dai media, intenti a salvaguardare per il loro uso mediatico un aspetto negativo costruito altrove.
La freschezza di questi madrigali, solo così li posso definire, è nella loro attualità ed immediatezza, dove la soggettività del tema sfocia in una coralità che solo l’idioma può accomunare e l’ultimo scolarizzato cedere il passo al primo analfabeta.
Questa pubblicazione è anche un modo per riavvicinare quanti hanno lasciato il paese tramandando alle generazioni cresciute dove il platioto si è trapiantato, una lingua rimasta intatta dalla partenza, la sola per comunicare ancora con quanti in paese sono invece rimasti.


1)    Papalia Michele (n. 1933, analfabeta)
“Fimmina ca a lu scaluni vi ssettati
E a cui passa lu cuntrafaciti
Rassati stari cui la suja meti
Ca eu lu sacciu chiju chi faciti
A notti vi curcati chi mariti
E llu jornu chi facci mmucciati”

2)    Trimboli Rocco (n. 1943)
“Guardati genti chi succeriu
Lu mundu in peggiu cambiau
E non si poti cchiù pregari a Diu
Ca u viscuvu puru u previti cacciau
Lu cunzigghju pasturali ca sciogghjiu, ca i reguli li disobbediu
Guardati nta stu paisi chi succeri
Ca l’ islam ndi voli ncrementari
Chisti guardati sunnu cosi veri
La religioni vonnu cancellari”

3)    Barbaro Giuseppe (n. 1947)
“Chi brutti tempi e chi brutti maneri
Non si canusci cchjiù pisu e masura
Perdimmu a paci, u sonnu e a religioni
Ndi arbisci e non sapimu sa ndi scura”

4)    Perre Francesco (n. 1959)
“Paisi chi Platì tu si chjiamatu
Stasira vinni u cantu e u ti sonu
Ti ricu ca mi senti assai onoratu
Di l’accoglienza e di lu ben venutu
Nte peri da muntagna si conzatu
E la jhiumara ti passa di latu
Sugnu cuntentu stasira ti ricu
Ca festeggiamu a Madonna du Ritu”

5)    Catanzariti Paolo (n. 1974)
“È jornu ormai, Jornu i Natali, E la ma menti faci giri strani
E sentu li fighjoli parlari, i undi rriva babbu natali
E cercunu u canusciunu ja facci nta genti chi virinu passari
Eu tornu arretu chi penzeri i quandu era eu ad aspettari
Lu meu non portava li rigali e non mbenia mancu a urari strani
Lu gestu soi mi facia penzari e setti di matina sentia chjiamari
E mamma pronta lu facia trasiri”

6)    Perre Giuseppe (n. 1981) poesia
“Cu passu lentu e sonu di chitarra
Nu giuvanottu giura lu soi amuri
E spera mu si lapri ja serranda
Così mu parla chi soi genitori”

7)    Papalia Francesco (n. 1990)
“A castagna nta carrigna
U perzicu nta prugna
U cerasu ca cumpagna
A nucara chi si vagna
Pruna e mendili cu cui voi
Fica e nescula cu li soi
Ogni cosa linzitata
Sempri a luna va guardata”

Nota
Nella foto l' ottantasettenne Michele Papalia








martedì 3 gennaio 2017

L'Argent (reg. Marcel L'Herbier - 1928)


Si dichiara da mé qui sottoscritto Francesco Gliozzi qualmente possiedo da vero padrone un fondarello sito e posto in questo Territorio, e propriamente quello che ho comprato da fratelli Francesco e Vincenzo Calabria che limita la strada pubblica, la casa Cariati, il vallone e Sig. Giuseppe Papalia, quel Fondarello non va soggetto ad alcuna servitù, censo me Franco, allinfuori però del peso Fondiario; e siccome per miei giusti fini è necessità, ho risoluto venderla a mio Sig.Genero e nipote Don Domenico Gliozzi e Don Filippo Gliozzi anche mio nipote figlio di mio Fratello Don Giuseppe Gliozzi per il prezzo e valore di docati dodeci, prezzo bonariamente convenuto tra di noi; e stante la scambievole e finale consensione che lodano ed approvano detti miei nipoti compratori ed io venditore cosi essi compratori sudetti sborzano e consegnano a me venditore li sudetti docati dodeci di moneta di argento, ed incassato, gli dono il possesso di detto Fondarello di sopra confinato di averlo da oggi ed in perpetuum; essi e i di loro successivi da veri padroni, come loro propria robba. Ed a cautela
Platì 1 Aprile mille ottocento quaranta sette 1847

Io Francesco Gliozzi vendo, dichiaro ho ricevuto e mi obbligo come sopra