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lunedì 2 novembre 2020

Un dolore improvviso [di Ubaldo Maria Del Colle -1925]




 


Air mail
Signor
Luigi Gliozzi fu Francesco
Platì, prov. di Reggio Cal-
Italy

From Mrs. G. Romeo
261 Center St.
Massena, N. Y.
U.S.A.

Nov. 8 – 1948

Caro cugino, 
la ferale notizia 
della morte del nostro caro congiunto, mi è arrivata quasi come un fulmine. Diverse volte avevo sentito dire che si trovava in precarie condizioni di salute, e pure questa volta stavo con la speranza, che avesse tutto superato. Invece non fu così. Dio l’ha voluto con Sé sia fatta la Sua volontà. A noi non ci rimane che pregare per Lui, e nello stesso tempo invocare la sua guida su di noi.
Quanto mi dispiace che non ho risposto la sua lettera.
Le sue belle parole, mi rimarranno impresse nella memoria.
Questa settimana faremo celebrare una Messa Solenne per il riposo della sua Benedetta Anima. Subito che sono ritornata dalla città di New York ed ho saputo la triste notizia, sono andata ad avvisare il Parroco della nostra Parrocchia. 
Caro cugino, per darvi conforto, nessuna espressione potrà rimarginare il vostro dolore. Bisogna rassegnarsi!
Tutta la mia famiglia si associa al vostro dolore, inviandovi i più cordiali saluti estensibili alla vostra famiglia!
Vostra cugina
Bettina G(liozzi). Romeo

Bettina Gliozzi in realtà si chiamava Maria ed era nata a Platì il 22 giugno 1886 da Michelangelo di anni trentatre, vaticale, e dalla sua unione con donna non maritata non parente né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento. Studiò e divenne maestra di scuola. A Platì il 2 febbraio 1907 sposò Pasquale Romeo di Antonio e Francesca Papalia di anni 29 e con lui un anno più tardi emigrò in America e precisamente a Massena NY dove vissero. Bettina morì il 9 marzo 1968. Il cugino della lettera era Luigi Gliozzi figlio di Francesco e Rosa Fera. Michelangelo e Francesco erano figli di Domenico ed Elisabetta Gliozzi. Il cugino di cui lamenta l'improvvisa perdita Bettina era il sacerdote e poeta Ernesto Gliozzi il vecchio (1883-1948), fratello di Luigi e Serafina.

In apertura Old Massena NY. Meglio conosciuta come Messina Nuova York.

 

mercoledì 7 ottobre 2020

Il Rosario di legno [di Ewa Petelska, Czeslaw Petelski - 1965]





Alla Vergine del Rosario

 

Nei giorni trepidi - di guerra atroce
Ascolta o Vergine – dei cuori la voce
Pel tuo Rosario – ci ottieni mercè
Di pace il giubilo - chiediamo a te
 
Pei gaudii eterei – del parto santo
Sui nostri militi – stendi il tuo manto
Forza, presidio – maggior non c’è
Di pace il giubilo chiediamo a Te
 
Il Tuo Unigenito – che ci ha redenti
Gli egri fortifichi – salvi i morenti
Pel Tuo martirio – gli attiri a sé
Di pace il giubilo - chiediamo a Te
 
Per Te piissima – dal tempo triste
La gente italica – risorga in Cristo
Con nuove glorie – d’antica fe
Di pace il giubilo - chiediamo a Te
 
O rosa mistica – madre e regina
Ai prieghi, ai gemiti – dolce t’inchini
Consola il popolo – stretto ai tuoi piè
Di pace il giubilo - chiediamo a Te
 
Ernesto Gliozzi il vecchio
 

E' per tutti i Rosario, Rosi, Saro, Sarino e Sarineiu di Platì - dentro e fuori, di ieri e di oggi. A loro, buon onomastico, e a voi ricordo che la chiesa omonima in Platì è stata retta dagli zii Ernesto il vecchio, Ciccillo ed Ernesto il giovane, con il contributo delle Figlie della divina Provvidenza.

 


 

mercoledì 1 luglio 2020

Cronache di poveri amanti [di Carlo Lizzani, 1954]



(In terra calabra) - Costumi popolari

La vampa sul focolare scoppiettava con allegra fiammata e i due contadini si riscaldavano le callose mani, fumando la corta pipa di creta. Si - diceva il vecchio Cola scrollando la testa - proprio sul ponte, mentre la portavano al camposanto, due colombelle bianche bianche come la neve andavano a poggiarsi sulla bara. Oh la mia Angiola del paradiso! A queste parole la vecchia Anna, che accoccolata diceva le sue preghiere, si scosse, guardò il marito asciugandosi col grembiule le lacrime: Hai fatto dire a D. Saverio la messa che gli aveva pagato col denaro della filatura? - Si, rispose Cola, quella l’ha detta, dimani dirà un’altra che gli pagherò con una giornata di lavoro nell’orto.
Qui tacquero: si udiva soltanto lo schioppettar della fiamma e il biascichio delle avemarie della donna; di sotto veniva il ruminar dei buoi attaccati alla mangiatoia della stalla.
 - Senti Cola - interruppe Mico - e di Pascaluzzo che notizie mi dai?
- Di Pascaluzzo? Di quel brigante della Sila? Di quello ... as. ....
- Si, ma non era egli lo zito di Angiola? ...
- Che?! Per la Mado. ...!? era egli lupo da rubarmi quell’agnella di Angiola?! Quel figlio di malafemmina!
-  Ma perché l’hai lasciato quella sera cantare sotto le finestre di Angiola
“ Affacciati a la finestra mu ti viju
Ccu ssocchi belli mi perci lu cori “?
-  Senti Mico, io questa sera non avrei tanta voglia di parlare ... ma giacché tu m’hai fatto aprir la bocca, ecco come vanno le cose:
-  Pascaluzzo era figlio ... di chi era figlio ... suo padre era morto in carcere ... suo nonno ucciso con una palla in fronte ... suo fratello fuggito in America per aver ucciso d’un colpo di scure l’innamorata; egli manesco ...senza arte nè parte ... voleva involarmi la mia agnella. Ché io non lo sapeva che sarebbe finito in galera? Eppure quando lo vidi innamorato serio non seppi oppormi. Suo zio gli avrebbe fatto donazione della casa e dell’orto ... io davo duecento ducati a Angiola, e già le cose erano fatte. Avevamo stipulato il contratto di nozze, si era fissato di andare in chiesa dopo la trebbiatura .... insomma tutto era pronto. Ma fa l’anno, il giorno di S. Rocco, Pascaluzzo ha voluto incantare la bara; tu sai che chi più l’incanta avrà l’onore di portare lo stendardo della confraternita. Peppino il figlio del fattore la mise cinque tomoli, Pascaluzzo dieci, quello l’innalza a quindici, questo non potendo di più giurò di vendicarsi dell’offesa, getta gli abiti di confratello, e fugge di chiesa. Ho detto che Pascaluzzo era manesco, era pure geloso; Peppino anche aveva gettato l’occhio su Angiola, tu mi capisci! ... Certo avrei preferito Peppino ... Era una sera come questa nel mese di Marzo io e Anna eravamo a letto (tutto questo me lo raccontò Angiola in fine di vita) Angiola filava al lume della lumiera nella sua stanza, quando ad un tratto sente un legiero picchio alla finestra. Va tutta tremante a vedere chi fosse e indovina chi vede? Vede Pascaluzzo che volgendo uno sguardo d’intorno spicca d’un salto nella stanza.
-  Che pensi che cercava quel tizzone d’inferno?
-  Cercava persuaderlo a volerlo seguire sulla montagna perché nella notte aveva ucciso a colpi di bastone Peppino il figlio del fattore!
-  Assassino, assassino, gridò mia figlia, esci di qua o grido da svegliare tata e mamma!
-  Gridi che (per la M...) ti taglio la gola!
-   E’ questa l’accoglienza che mi fai dopo tante promesse? - Assassino, assassino, replicava Angiola, spingendolo per la finestra.
Svegliato da quel grido mi alzo ed accorro, scassino la porta di Angiola e la trovo svenuta a terra, mi affaccio alla finestra e trovo una scala di corda ... nella via s’udiva n passo concitato ... Nulla più seppi quella sera
La mattina trovarono Peppino in un letto di sangue e l’uccisore si seppe essere stato Pascaluzzo. Egli è latitante, chi dice che sia fuggito in America, chi lo vuole morto perché due erano le colonne che si poggiarono sulla bara di Angiola: Pascaluzzo e Peppino.
ERNESTO GLIOZZI il vecchio

Chi ha confidenza con le opere di Vincenzo Padula o di Nicola Misasi è facile che trovi le dovute influenze e omaggi,


lunedì 27 aprile 2020

Cuor di regina [di Carl Froelich 1940]

Di seguito le tre lettere che la reina consorte de España , Maria Cristina, scrisse al Padre Bonaventura, suo confessore, presso il convento dei Riformati di Bianco

°°°

Padre Bonaventura,
ho ricevuto con sommo piacere il vostro foglio del 25 nov. e con particolare godimento le due immagini una della S.S. Vergine del Buon Consiglio e l’altra di S. Francesco e le tre composizioni in stampa.
Nel farvi giungere i miei più vivi ringraziamenti per queste vostre dimostranze di affetto verso di me e tutta la mia famiglia, desidero che il cielo vi ricolmi di ogni bene spirituale e temporale. Sono ugualmente sensibile alle assicurazioni che mi date di porgere calde suppliche pel felice risultato del prossimo mio parto e ve ne sarò molto grata.
P.S. Il giorno della data di questa lettera alle ore 2 dopo pranzo Dio mi concesse un parto felice dando alla luce una bambina, l’Infanta Maria Luisa Fernanda.
Madrid, 30 giugno 1832


Padre Bonaventura,

i sentimenti di giubilo che sperimentate nel sentire il ristabilimento del mio amato sposo, che segue benissimo nella sua convalescenza, sono per me una prova non equivoca dell’affetto che portate a tutta la nostra famiglia e le preci fervorose da Voi dirette all’Altissimo mi fanno sperare che lo vedrò quanto prima del tutto ristabilito.
Non tralascio di raccomandarvi al mio amatissimo fratello Ferdinando, perché possiate predicare nella Reale Cappella Palatina, nel venturo anno 1834, il vostro quaresimale, desiderosa che le mie raccomandazioni abbiano un effetto felice.
Vi ringrazio per le imploratemi benedizioni dal cielo e ve ne desidero altrettante.
Maria Cristina
Madrid, 14 febbraio 1833


Padre Bonaventura,

col vostro foglio del 14 aprile mi è pervenuto l’incenso e le cere che avete avuto l’attenzione di mandarmi come facenti parte di quelle che lasciarono innanzi al Santo Sepolcro nell’ultima settimana Santa, per cui mi sono stati questi oggetti altrettanto grati e ve ne ringrazio moltissimo.
Vi sono altresì riconoscente per le proteste che mi fate di volermi avere sempre presente nelle vostre orazioni e potete essere certo che non vi è cosa che mi sia più gradita.
Da parte mia contate sempre sulla uguale stima e benevolenza.
Maria Cristina.
Madrid, 9 giugno 1833
°°°
Nota di Ernesto Gliozzi il vecchio.In detto convento visse quasi tutta la sua vita Padre Bonaventura da Casignana (al secolo Giuseppe Nicita) religioso di santa vita che era stato confessore della Regina di Spagna, la beata Maria Cristina (di cui si conservano alcune lettere dirette allo stesso). Egli fu valente oratore (un volume delle sue prediche esiste), predicò a Roma, Corfù, Venezia ed in molte città, col ricavato delle sue prediche arricchì il Convento di suppellettili preziose e di sette statue. Nel 1860 il Convento fu bruciato per rappresaglia dei bersaglieri comandati dal tenente Rossi e dal tenente Quadri i quali seguivano le peste dei 22 ufficiali e del Generale Boryers mandati dalla Spagna ad inquadrare e comandare il grosso brigantaggio di Ferdinando Mittiga da Platì. Il Padre Samuele da Siderno, al secolo Antonio Vincenzo Mercuri fu Pietro, era in quell’epoca il Guardiano del Convento ed avendo dato alloggio alle truppe spagnuole, diede motivo alla rappresaglia per cui il convento fu bruciato. Il 21 Settembre 1861 P. Samuele fu proditoriamente ucciso. Durante l’incendio è andato distrutto il celebre, antico e artistico Crocifisso che vi si venerava e si vuole che nel cadere a terra abbia lasciata l’impronta della mano del Cristo”.


Le tre lettere e una nota ricavata da quella scritta, per la Cronistoria della Diocesi di Locri curata dal Canonico Oppedisano, da Ernesto Gliozzi il vecchio si trovano su Calabria Sconosciuta n. 132 Anno XXVIV  ottobre - dicembre 2011. L’autore di quell’articolo e molti altri più recentemente, definiscono la regina Maria Cristina di Spagna “Beata”, abbagliandosi con Maria Cristina di Savoia.
Il ritratto in apertura è di Vicente López y Portaña (1872 - 1850) e si trova al museo del Prado.

Una sorella del padre Bonaventura, Elisabetta Nicita, sposò a Platì Domenico Portulise. I due ebbero cinque figli di cui il primo, Rocco nacque nel 1811, Rosario nel 1813, Rosa Maria nel 1822, Domenica nel 1823 e Francesco nel 1826, come risulta dal lavoro compiuto da Ernesto Gliozzi il giovane.

Per saperne di più:


martedì 3 marzo 2020

Il diario di una stella [di Domenico Valinotti, Mattia Pinoli, 1939]

C'era una volta a Casignana, 1948





Attenzione!
MADRI, SORELLE, SPOSE!
Non dimenticate il 1955 quando i vostri cari
furono trascinati incatenati al carcere!
Per farsi belli non hanno esitato a togliere
l'onorabilità delle vostre famiglie.
 VOTATE PER LA STELLA!

Reduci!
Combattenti!
Solo chi ha sofferto come voi può comprendere
i vostri bisogni e difendere la vostra
causa.
Gli altri hanno dimostrato di non saperli
comprendere privandovi di tanti vostri diritti!
VOTATE PER LA STELLA!

Popolo di Casignana!
Nel 1922 non si è esitato a spargere sangue
innocente per interesse personale. Il popolo di
Casignana chiedeva lavoro!
Chi era contro il popolo per i propri interessi?
Eppure nella foresta Callistro c'era posto
per tutti!
VOTATE PER LA STELLA!

Carnevale col denaro del popolo!
L. 10000 all’esattore per aver riportato il
Commissario Lopresti da Reggio a Samo.
L. 5000 allo stesso per aver trasportato i
Carabinieri da Bovalino in occasione della dimostrazione
popolare per il supplemento pane.
Il bosco di Casignana venduto per L. 500.
Quando le cose si fanno in famiglia ...

Lavoratori !
Gli agrari vogliono il predominio su di noi
per renderci loro servi!
Diffidate della loro propaganda! Non mantengono
mai quello che promettono!
Ricordate il passato, Pensate per l'avvenire
vostro e dei vostri figli!
Votate per la Stella! E' la vostra salvezza!

Lavoratori!
Soci della Cooperativa Garibaldi comprarono
terre ed oggi vivono del loro onesto
lavoro!
Gli asserviti che cosa hanno avuto? Nulla
Debbono lavorare per gli altri.
Risvegliatevi!!!_
VOTATE PER LA STELLA!!!

Madri Sorelle Spose!
Mentre i vostri cari soffrivano e rischiavano
La vita in guerra laceri e senza “scarpe” chi
gozzovigliava, chi si arricchiva a Casignana?
Quella ricchezza rappresenta le vostre lacrime,
il sudore e il sangue dei vostri cari!
Vogliono il vostro voto per salvaguardare
Le loro ricchezze!
Votate come vi detta la coscienza! Per la Stella!

lunedì 9 dicembre 2019

Abuna Messias [di Goffredo Alessandrini, 1939]



Finché la Chiesa, il mondo contadino, la borghesia paleoindustriale erano un
tutto unico, la Religione poteva essere riconosciuta in tutti e tre questi momenti
di una stessa cultura. Anche – ed è tutto dire – nella Chiesa: nel Vaticano. I
delitti contro la religione perpetrati dalla Chiesa – se non altro per il fatto stesso
di esserci – erano giustificati dalla Religione. Era possibile prestar credito, cioè,
al qualunquismo umanistico dei suoi prelati secondo cui, appunto, il fine poteva
giustificare i mezzi: un’alleanza col Fascismo per esempio poteva parere un
mezzo giustificato dal fine, consistente nel preservare, per i secoli futuri, la
Religione. D’altra parte niente poteva far pensare che il mondo contadino,
religioso (e la borghesia paleoindustriale di origine contadina) sarebbe così
rapidamente finito.
Pier Paolo Pasolini, Marzo 1974.

Ancora una volta con voce ferma e robusta ripeto: “D’Italia la gioia e l’offesa divide la Chiesa”. Come nelle giornate tristi della Patria in cui le bandiere si alzavano imbrunate, come abbiamo visto, dicevo, affollarsi le chiese di moltitudini piangenti per santificare il dolore di madri e pargoletti! così nelle giornate liete, come questa, la chiesa spalanca le sue porte per fare entrare una moltitudine giubilante.
E cantano a Dio – Ottimo Massimo – il Te Deum del ringraziamento per la grandezza delle grazie ricevute, che sono, per avventura, tali e tante le grazie che non basta la parola umana a enumerarle.
Si Te Deum laudamus, ti lodiamo o Signore, perché hai voluto dare piena, grande, completa vittoria all’Italia da trionfare sulle barbare nazioni più o meno fraternizzate fra loro.
Insegni Ginevra.
Ti lodiamo, o Dio, perché hai voluto che un Re latino, stirpe di eroi e di Santi cingesse la corona di quello impero di Salomone, caduto dopo lunga teoria di anni nella barbarie e nel fango.
Ti lodiamo per il nostro condottiero e Duce che con mano ferma regge i destini della Patria fatta da Lui più bella e più grande.
Ti lodiamo perché hai voluto darci dei generali sommi, degli scienziati che sono l’invidia del mondo, dei soldati che sono semplicemente magnifici.
Si ti lodiamo o Dio degli eserciti Deus Iabahot che fosti presente a Veyhelli, ad Axum, a Macallé, che fermasti il tuo sguardo su Addis Abbeba che è nostra.
Che facesti del tuo sacerdote, il padre Giuliani, un novello martire della Religione e della Patria.
Che nei terribili fiumi impetuosi, nelle zone infocate della Somalia, sulle alture inaccessibili del Tigrai, fosti fortezza nel braccio e nel cuore dei nostri fanti, che si aprivano il passo con la spada e con la zappa per il trionfo di quella Roma, per cui il tuo Cristo è romano.
Si, ti lodiamo o Signore, per l’aiuto che ci desti in mare, in terra in cielo, è piena la terra della tua Gloria. Tu Re gloria e Christe!
E intendo che si associano al nostro canto le innumerevoli schiere degli angioli e dei santi tutti del cielo, come delle anime buone della terra perché in te, Domine, speravi.
Nel Signor chi si confida col Signor risorgerà.
In te Domine speravi, non confundar in aeternum 
ERNESTO GLIOZZI il vecchio, Platì 10/5/ 36

«E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse la preoccupazione della scuola liberale››.
[PIO XI, Discorso ai docenti e agli allievi della Università del Sacro Cuore, 13 febbraio 1929]

L'uomo che la divina Provvidenza fece incontrare a Pio XI, per «restituire l'Italia a Dio e Dio all'Italia››, era un ateo integrale, un bestemmiatore abitudinario di Gesù Cristo, della Madonna e di tutti i Santi, disposto sempre, anche dopo la Conciliazione, a riprendere i temi del più volgare anticlericalismo, in cui aveva battuto ogni primato, prima di passare dal sovversivismo anarchico alla reazione, in difesa del trono, dell'altare e del portafoglio dei «pescecani››.
Ernesto Rossi, Il manganello e l’aspersorio, Kaos edizioni, Milano 2000

Ho indugiato molto a pubblicare questo manoscritto redatto a seguito della conquista della regione del Tigrè da parte dell'esercito italiano nell'ottobre del 1935. Come altre volte mi sono trovato ad un bivio, continuare o smettere le pubblicazioni. Allo stesso tempo non voglio giudicare azioni e fatti passati perché non ho la capacità di mettermi nei panni di chi quelle azioni e fatti li ha vissuti, come mi manca la lucida riflessione di Pasolini. Il senno di poi non basta. E i tempi attuali, recenti e meno recenti, il futuro preparatoci – e su questo lo scrittore e regista ci aveva già anticipato tutto -  non sono affatto dissimili dagli anni in cui lo zio scrisse e lesse in chiesa questa apologia. Ad onestà del vero, e non per minimizzare quanto sopra scritto, riporto che in quegli anni lo zio non era solo: mons. Giosofatto Mittiga fece carriera grazie alla cura fascista, l’avvocato Rosario Fera scrisse fogli di aperto plauso a quel movimento, mons. Minniti esibiva dei baffetti molto Führer, senza contare i vari Podestà che approfittarono, con la gestione personale, della cosa pubblica; nonno Luigi e di seguito don Gustinu Mittiga amministrarono con nomina del Prefetto di Reggio l’ammasso delle olive e del grano. Tutti in men che non si dica, se non passarono a miglior vita, al primo sentore di scricchiolio del Regime fecero un tempestivo volta faccia con allineamento abbracciando lo scudo crociato, e l’anticomunismo ormai di moda. Ancora, cosa strana, l’unico a non trarne nessun beneficio fu il maresciallo Giuseppe Delfino che, rubando il Ciconte, in pieno fascismo rifiutò di iscriversi al partito e questo suo atto di ribellione gli costò la «mancata promozione a maresciallo maggiore», tenendo, per giunta, nel primissimo dopoguerra, sotto l’ombra da spica, le redini del paese.

Per uscirmene vi propongo Bob Marley & The Wailers con il suo inno rastafari

giovedì 21 novembre 2019

Nuovo orizzonte [di Anthony Asquith,1943]


I nostri orizzonti

Al mio primo maestro D. Pasqualino Zappia

VI miraggi di gloria, che voi mi additavate ne le università e nei ministeri, son pallidi bagliori di fuochi-fatui dinanzi a quel mare di luce che splende sotto gli occhi del prete.
Lo capisco: per voi il prete è sempre il veste-nera ... un ombra che cerca opporsi a la luce e qualche cosa di peggio.
Per me, a l’opposto, è l'ideale, il sole del mondo, il sale de la terra. Noi, del resto, non abbiamo bisogno di bugiarde apologie; troppo chiaramente parlano in nostro favore la storia e la tradizione e se voi, per poco, vorreste sapere qual è la missione del sacerdote vi risponderei sicuro: «Egli è l'anello di congiunzione tra la terra e il cielo». Questo, lo so, vi fa ridere, egregio maestro; ma il vostro riso volterriano, credetemi, mi sconcerta lo stomaco.
Victor-Hugo disse che il seminario è un semenzaio di aspirazioni. Ebbene, io ho avuto dal seminario quante aspirazioni volete; io sono uscito da quel sacro recinto quasi ambizioso, tacciatemi. La mia ambizione, pero, e mossa da l’amore, non da la bassa invidia, ci se invidia, a la fine, volete chiamarla voi, io vi dico che questa invidia è santa. Per ora io mi sento superbo d' appartenere a la classe ieratica: Son Sacerdote. Posso dirlo a fronte alta a le moltitudini assetate che mi tendono amorosamente le braccia; posso dirlo a voi altri che mi guardate col sogghigno su le labbra: «Son la forza di Dio, nessun mi tocchi››.
--Sara un sogno? - non so. Io passo e le masse popolari si scuotono, aspettano da me una parola magica, la parola de l'amore ...
- Io passo spezzando il pane de la divina legge … passo e voi altri vi nascondete, perché?  Oh come son belli, maestro, i nostri orizzonti che voi non conoscete; come è bello chiamare i figli a la riscossa «sui tumuli il piede, nei cieli lo sguardo›› come è bello guidare le masse popolari pei campi ubertosi de la Fede! Voi non trovate nel prete se non la professione, l’arte, starei per dire; ma io ci trovo qualche cosa di meglio, ci trovo.
Per me il prete sta in alto, in alto assai più di voi … Egli è su la cima del Monte Santo di Dio che offre perennemente a L’Eterno, nel calice de l’espiazione, le lacrime dl povero che voi fate piangere e soffrire …
Platì 14 Febbraio 1904
ERNESTO GLIOZZI-FERA
LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO V – N. 9  MATERA 28 FEBBRAIO  1904

martedì 10 settembre 2019

Rosso e nero [di Domenico Paolella,1954]



Plati 21 - (Miles Pontificis) Avrei dovuto parlare prima, ma ho voluto essere longanime.  Speravo che una volta tanto si volesse finire, dando principio ad una nuova era di lavoro e di attività. Vane speranze le mie! Le nobili imprese e le gagliarde iniziative di altri luoghi per nulla hanno scosso l’animo di chi dovrebbe muoversi. Certe idee che sono sante, non vogliono essere intese - Io non so, e proprio uno sconforto. O non si vuole (non vorrei neppure pensalo ciò) o s’immagina che almeno per ora ci sia bisogno. A mio giudizio credo non vi è al presente villaggio per quanto piccolo, dove non si senta la necessità di lavorare e lavorare sul serio. Nel nostro paese poi, massime in questi ultimi anni questo bisogno si rese più urgente. L'emigrazione, non si può negare, apportò qualche po' di bene, ma piccola, cosa a dir vero e quasi sopraffatta e spenta da mali maggiori.
Si muovano perciò i nostri cattolici, ora che il terreno è alquanto acconcio, entrino con animo coraggioso e forte ne l’ardua lotta, e spezzino il pane della santa democrazia cristiana, alle turbe che aspettano desiose.
La fiumana sale ogni di più torbida e minacciosa e non passerà, molto che invaderà uomini e cose, se non si pensa a riarginarla. Mi auguro e lo desidero ardentemente che i nostri sacerdoti - in singolar modo i giovani mettano volenterosi all’opera, ora che i rossi, si fanno sentire anche qui, e l'Asino non cessa di ragliar e.... asinescamente.

 LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 9 - 1 MARZO  1903

P. S. (Pubblica Sicurezza)
Molto verosimilmente dietro il Miles Pontificis celiandosi si celavano Ernesto Gliozzi il vecchio o il segretario Portolesi, allora corrispondenti per LA SCINTILLA; ma il quadretto di inizio secolo XX° è degno di lettura.

mercoledì 26 giugno 2019

E DI SHAUL E DEI SICARI SULLE VIE DI DAMASCO [di Gianni Toti, 1974]





Paolo di Tarso

Un ferale corteo percorreva un giorno – schiamazzante – le popolate vie di Gerusalemme: S’andava a lapidare un bestemmiatore fanatico. Era un giovine pallido, di nome Stefano, buono come il pane, solo reo confesso di appartenere a l’odiata setta dei cristiani – dicevano.
Non per questo, un’olimpica serenità gli risplendeva sul volto; camminava, o meglio veniva trascinato da cento braccia fuori le mura, ma egli – mite come il suo Maestro – non metteva fuori un lamento, una lacrima, una maledizione, tutt’altro.
Un giovine vigoroso – da l’ampia fronte pensosa – veniva anch’esso al luogo de la condanna, una vasta pianura di là del Cedron, arida e biancheggiante d’ossame. Ivi giunti, il Martire piegò in un istante sotto la tempesta di sassi, sanguinolento e pallido. Pareva un fior primaverile colpito da la grandine fitta.
Il giovine vigoroso che lo seguiva rispondeva al nome di Saulo.
X X X
Da lontano s’udiva la pesta d’un cavallo rampante sulla via di Damasco. Un cavaliere in fretta marciava, con pieni poteri, a la cattura dei cristiani, e questo cavaliere era Saulo.
Il Libano vicino, intanto, ammantato di sole, rispondeva a quei passi ed i cedri eterni, da le verdi chiome incurvate, stavano immoti aspettando – quasi che lo sapessero –un’istantanea mutazione di scena. Ed ecco, d’un tratto, cavallo e cavaliere precipitati per terra mentre che un’onda di luce soprannaturale l’investe. (Il sole, in quel momento, pareva avesse riconcentrato i suoi raggi tutti sul capo del caduto). Si volta, si poggia sul fianco il cavaliere ed una voce soave lo scuote, l’affascina, l’attrae: Saulo – gli dice – Saulo, perché mi perseguiti? Un momento dopo un cieco brancolava su la via di Damasco …
Dal Libano vicino, intanto, i cedri eterni – da le verdi chiome incurvate – mandavano confusi mormori ed i ruscelli limpidi dicevano: “Sorgi, o campione de la Croce, sorgi ad illuminare la terra”. Paolo di Tarso si scosse, si strinse al petto i panni insanguinati e disse: Sul Campidoglio i vecchi numi tremano vi pianteremo la Croce.
X X X
E s’incamminò per conquistare la terra col valore sicuro d’un paladino, passando su le rovine d’un mondo defunto ed aprendo le porte de la nuova Idea per cui il Biondo Nazareno era morto. I popoli d’Asia Minore e de la Magna Grecia lo videro passare, quell’ de l’Arcipelago e de la Palestina si voltarono per benedirlo, mentre Egli –l’Apostolo – continuava sereno la marcia trionfale verso il Campidoglio, sul domicilio inaccessibile di Giove Statuo.
Noi lo vediamo, infatti ne la grande metropoli della corruzione sconvolgere con la sua parola dinamica tutto un mondo invecchiato dal sozzo epicureismo regnante ed impiantarvi un nuovo ordine d’affetti ed Idee, intieramente diverse da le vecchie teorie – cancrena de l’Urbe e de l’intiero universo.
X X X
Ne cimiteri, ne l’arenaie, ne le grotte; ovunque un sentimento di pace e di raccoglimento raduna i trepidi adoratori del Nazareno, un uomo comparisce ed ha la fronte solcata dal dolore, con le vesti lacere e da la barba incolta. Esso parla. Un silenzio occupa le moltitudini, le sue parole cadono come lingue di fuoco sui devoti ascoltanti, un gemito rompe ora il silenzio, un grido poscia s’eleva, seguito tosto da un coro di voci dicente “Vogliamo presto vederlo – Cristo. Noi vogliamo vederlo”.
E l’Apostolo, commosso, esortò tutti al martirio, al sacrificio cruento d’ognuno de la propria esistenza, a la sublime testimonianza ultima di fede dinanzi al tiranno. La commozione si rende generale. Molti neofiti vengono battezzati, si distribuisce il pane dei forti e l’Apostolo esce.
Una sera invano fu atteso. Si seppe il giorno dopo che Paolo di Tarso era stato calato nel Tulliano e molti piansero.
X X X
Reduce Nerone dai ripetuti e splendidi trionfi di Grecia intese come ne l’orrida prigione di Catilina un vecchio ed ostinato cristiano oprava ancora de le conversioni ed in persona da gli stessi suoi pretoriani. - Oh vada a morir decapitato costui fuori de le mura – aveva urlato la Belva – e non sia l’ultimo … Quel giorno, infatti, un vecchietto da la lunga barba ed incolta, curvo sotto il peso de la fatica e de gli anni, veniva condotto da gli sgherri, fuori di Roma, in un campo presso una palude, detto le Acque salvie, in quei luoghi la testa del vecchietto fu spiccata dal busto e rotolò su l’erba umida che furon bagnate di sangue. Quel sangue fu lavato da tre fontane, miracolosamente spuntate.
Oggi il pellegrino ci sa dire benissimo come sul Campidoglio abbia veduto una Croce, ed accanto a quella Croce due venerande figure. L’una slanciata, calva appoggiata ad un ferrato bastone di pellegrino; e l’altra corta e robusta, con una spada nel pugno: Sono le formidabili figure de gli Apostoli Pietro di Galilea e Paolo di Tarso, veglianti per la salute de la Sposa di Cristo.
Ernesto Gliozzi Fera

Nota. E' un piacere, per me, incollare sul testo di Ernesto Gliozzi il vecchio - allora Gliozzi Fera, siamo nella prima-seconda decade del novecento, niente di che lo ammetto,un panegirico superato - il film di Gianni Toti del 1974. Film, mai più rivisto, difficile da accettare e digerire per via dello sperimentalismo estremo sebbene affascinante, che gli autori, tanto premiati oggi nei festiva, neanche ragguagliano. Paolo è oggi un nome quasi dimenticato all'anagrafe platiota, un tempo veniva esso-spesso incollato sui nuovi arrivati al mondo e l'icona che ancora si venera nel duomo di Platì faceva sognare, per via della spada, ai piccoli mirabolanti avventure da vedere nell'annesso cinema.

mercoledì 22 maggio 2019

María llena eres de gracia [di Joshua Marston, 2004]




SURSUM CORDA

Ecco il bel mese dei fiori, il soave e tiepido Maggio. Ritornata è con esso la giovinezza nei cuori, negli occhi si riflette il fior de la speranza, ne le menti risuonano i cantici sublimi de la felicità e de la gioia.
Dai prati smaltati di variopinti fiori, da le valli echeggianti per mille gorgheggi, da l'alture, donde scendono rumoreggianti le acque, - come festante allodola – s’eleva giuliva la nota di plauso, la strofa alata e profumata al Maria.
A questo coro festivo di palpiti e di preghiere s'unisca la nostra voce o fratelli. D'intorno a noi ferve minacciosa la lotta; il campo sociale è invaso dai combattenti; molte bandiere s’agitano svolazzanti al vento. Anche noi abbiamo la nostra da difendere coraggiosamente: - E’ l’insegna papale – Siamo giovani; il sangue ci scorre, forte ne le vene, e l'alto dovere c' incombe di pugnare e vincere ne le feconde lotte de la vita. Spetta a noi - speranza e riscossa de la bianca bandiera - scendere tra le masse ammutinate e spezzare il pane del Vangelo, la parola novella de la Santa Democrazia Cristiana. Avanti, dunque, o fratelli a la riscossa: «chi non pugnò non vinse».
Lassù, in alto, cinta di stelle, folgorante di luce, sta il nostro Ideale: Maria. A Lei il nostri canti in questo mese, i nostri palpiti, le nostre aspirazioni. Ella possiede una forza magnetica che ci attrae; ci attira con la bellezza de le sue forme, ci chiama con la bontà de la sua virtù, con la potenza dinamica de la sua grandezza. Andiamo a Lei. Maria ci porgerà un'arma potente per vincere ne le battaglie vitali, ci darà la chiave prodigiosa per risolvere la grande ed intricata quistione sociale; e questa chiave è l'Amore. – E qual potenza mai se non l’amore ispirato da Lei, potrà disarmare il braccio de l'affamato ed illuso operaio che conculcato ne la miseria e nel fango – si leva minaccioso per vendicare i suoi dritti? Chi potrà mai far comprendere a quel vampiro de l'usuraio che è fratello de l’abbattuto e conculcato nel fango? Eh! via, disinganniamoci, non c'è via di mezzo: o nel campo sociale torreggi Maria, o la lotta sarà aspra, sanguinosa, terribile: scegliete. Fratelli, io ivi esorto con tutte le potenze de l'anima, andiamo e Maria.
Noi abbiamo bisogno d'amor vero, santo, immacolato vien da l’alto. Un deserto sconfinato ci circonda: è il tetro egoismo regnante; l'oceano rumoreggiante d'intorno è l’accanita lotta per l'esistenza; il cielo nuvoloso senza  luna e senza stelle che ci copre è la cecità de l’anima nostra, fratelli.  
Ma, tra gli strappi di nuvole un lembo azzurro di cielo ci sorride su l’oceano lontano, brilla da lassù: è la Stella del Mare in alto i cuori! …
A lei drizziamo la vela de la nostra nave; verso quel lembo azzurro di cielo spingiamoci arditi. Maria da l'alto ci sorriderà, amorevole, ci stenderà la mano, c'ìnfonderà la forza, la fede, l’amore e vinceremo: Sursum Corda.
E. GLIOZZI-FERA
LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 18  MATERA 3 MAGGIO 1903

NOTA - Tra il film citato e l’articolo di Ernesto Gliozzi il vecchio – nelle pubblicazioni giovanili Gliozzi-Fera –sono scivolati via cento anni. La realtà in cui il film ci addentra è delle più tremende, di seguito il coltello nella piaga lo affonderanno Clint Eatwood con The Mule e più recentemente Steven Craig Zahler con Dragged Across Concrete; cosa aggiungere quando nel testo in questione si arriva a “Un deserto sconfinato ci circonda: è il tetro egoismo regnante; l'oceano rumoreggiante d'intorno è l’accanita lotta per l'esistenza; il cielo nuvoloso senza luna e senza stelle che ci copre è la cecità de l’anima nostra, fratelli” … chi non pugnò non vinseDa difendere non è più l’insegna papale o la parola novella de la Santa Democrazia Cristiana. Ma, tra gli strappi di nuvole un lembo azzurro di cielo ci sorride … Tra voi chi ricorda un maggio come quello corrente?


mercoledì 17 aprile 2019

Ring The Bells - James

Ring, ring the bells Wake the town
Everyone is sleeping 
Shout at the crowd 
Wake them up 
This anger's deeper than sleep.


"La Resurrezione di Piero della Francesca, con il suo dio campagnolo che riemerge rosa come l'aurora nella luce grigia del mattino mentre gli esseri umani dormono ancora, è un dio che " è stato adorato fin da quando l'uomo ha appreso che il seme non è morto nel terreno invernale, ma salirà a forza aprendosi una strada nella crosta di ferro".
Kenneth Clark citato da Attilio Brilli nella introduzione a "From Ritual to Romance" di Jessie Weston del 1920


Campane di Pasqua

Lanciano le campane il peana trionfale del meriggio di purezza e di pace sul mondo. E' il canto sonoro delle speranze che muoiono per risorgere -- scrive il gentile prosatore G. A  Quirico -- dei sogni che s’infrangono-per rinascere, delle fiamme che si spengono per risplendere ancora; è il poema candido e perfetto di tutte le cose forti, di tutte le cose buona, di tutte le cose pure; è la luce dello spirito invincibile che si irradia ancora, sempre sulla Ianda fangosa delle miserie umane. E questa luce vivida e abbagliante avvolge tutte le cose, incendia l’orizzonte, illumina tutte le anime.  
Sia la Pasqua apportatrice di bene per tutti; per lo stanco operaio e per chi vegliò le notti sul forte lavoro spirituale, che fu sempre tutto il suo sogno, tutta la sua vita, che scaturì superbamente dai meandri più ignorati della sua anima, che vive, gioisce piange, spera in qualcosa di più alto, di più puro di questa miserrima vita quotidiana.
La Pasqua è vita che si rinnova che si perpetua trionfante e orgogliosa. Noi che abbiamo nel cuor la fucina di mille canzoni, - continua il Quirico -- noi che trasciniamo per tutte le vie, sopra tutti i dolori, sotto tutte le umiliazioni, sempre intatte e fiere le nostre fedi; noi che agitammo sempre arditamente al sole i brandelli delle nostre bandiere lacerate dal vulgo briaco o invidioso, noi che soffrimmo tutto il dolore pur di mantenere alta l’Idea che ci cantava nel cuore il suo malioso invito; noi oggi, in questa novissima Pasqua che viene col sorriso della primavera, noi dobbiamo alzar la fronte, schiudere il cuore a questo soffio daria pura, perché vi porti il saluto augurale di una rinnovazione.
E l'augurio sia anche per tutti voi o lettori di questo quotidiano su cui scriviamo diuturnamente, forse anche con le lacrime, la parola che incita, che migliora; che conforta. Il nostro apostolato è denso di bene, come acqua limpidissima che fluisce invisibile nelle anime, e le lava e le abbellisce e le risana. Su quanti cuori la nostre parola, portò un sorriso, a quanti occhi terse una lacrima, a quante anime ridonò la fede.
Se questa festa non fosse una pia illusione d'un giorno solo; ma restasse indelebile in tutti i cuori come una data santa che s'incide nel bronzo perché sia intangibile nel tempo, se veramente l’uomo, negli allegri ghirigori sonori delle campane, ritrovasse le scaturigini perfette della sua gioia e tutto potesse lanciare nel cielo, inebriato di sole e di profumo della natura che si ridesta, questa sarebbe la vera Pasqua del risveglio e del lavacro che ci farà schiudere le labbra a un nuovo sorriso e ci spingerà tutti a un nuovo patto di santa fratellanza.
Ogni cuore, abbia la sua fiorita alba di risurrezioni e il peana trionfale delle campane benedette squillano nel gran cielo d’oro, sia il cantico di giubilo eterno, com’è eterno Dio risorto!

Nota.Testo risalente alla prima/seconda decade del secolo scorso di autore ignoto, non rintracciabili testata e data di pubblicazione, incluso nell’archivio documenti di E. Gliozzi senior. A rileggerlo sembra scritto proprio per una riscossa della Valle del Ciancio e del Bonamico dove ancora i semi stentano ad aprirsi una strada nella crosta di ferro.