Air mail Signor Luigi Gliozzi fu Francesco Platì, prov. di Reggio Cal- Italy
From Mrs. G. Romeo 261 Center St. Massena, N. Y. U.S.A.
Nov. 8 – 1948
Caro cugino,
la ferale notizia
della morte del nostro caro congiunto, mi è arrivata quasi come un fulmine. Diverse volte avevo sentito dire che si trovava in precarie condizioni di salute, e pure questa volta stavo con la speranza, che avesse tutto superato. Invece non fu così. Dio l’ha voluto con Sé sia fatta la Sua volontà. A noi non ci rimane che pregare per Lui, e nello stesso tempo invocare la sua guida su di noi. Quanto mi dispiace che non ho risposto la sua lettera. Le sue belle parole, mi rimarranno impresse nella memoria. Questa settimana faremo celebrare una Messa Solenne per il riposo della sua Benedetta Anima. Subito che sono ritornata dalla città di New York ed ho saputo la triste notizia, sono andata ad avvisare il Parroco della nostra Parrocchia.
Caro cugino, per darvi conforto, nessuna espressione potrà rimarginare il vostro dolore. Bisogna rassegnarsi! Tutta la mia famiglia si associa al vostro dolore, inviandovi i più cordiali saluti estensibili alla vostra famiglia! Vostra cugina Bettina G(liozzi). Romeo
Bettina Gliozzi in realtà si chiamava Maria ed era nata a
Platì il 22 giugno 1886 da Michelangelo di anni trentatre, vaticale, e dalla sua unione con donna non maritata non parente né
affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento. Studiò e divenne
maestra di scuola. A Platì il 2 febbraio 1907 sposò Pasquale Romeo di Antonio e
Francesca Papalia di anni 29 e con lui un anno più tardi emigrò in America e
precisamente a Massena NY dove vissero. Bettina morì il 9 marzo 1968. Il cugino
della lettera era Luigi Gliozzi figlio di Francesco e Rosa Fera. Michelangelo e
Francesco erano figli di Domenico ed Elisabetta Gliozzi. Il cugino di cui lamenta l'improvvisa perdita Bettina era il sacerdote e poeta Ernesto Gliozzi il vecchio (1883-1948), fratello di Luigi e Serafina.
In apertura Old Massena NY. Meglio conosciuta come Messina Nuova York.
Nei giorni trepidi - di guerra atroce Ascolta o Vergine – dei cuori la voce Pel tuo Rosario – ci ottieni mercè Di pace il giubilo - chiediamo a te Pei gaudii eterei – del parto santo Sui nostri militi – stendi il tuo manto Forza, presidio – maggior non c’è Di pace il giubilo chiediamo a Te Il Tuo Unigenito – che ci ha redenti Gli egri fortifichi – salvi i morenti Pel Tuo martirio – gli attiri a sé Di pace il giubilo - chiediamo a Te Per Te piissima – dal tempo triste La gente italica – risorga in Cristo Con nuove glorie – d’antica fe Di pace il giubilo - chiediamo a Te O rosa mistica – madre e regina Ai prieghi, ai gemiti – dolce t’inchini Consola il popolo – stretto ai tuoi piè Di pace il giubilo - chiediamo a Te Ernesto Gliozzi il vecchio
E' per tutti i Rosario, Rosi, Saro, Sarino e Sarineiu di Platì - dentro e fuori, di ieri e di oggi. A loro, buon onomastico, e a voi ricordo che la chiesa omonima in Platì è stata retta dagli zii Ernesto il vecchio, Ciccillo ed Ernesto il giovane, con il contributo delle Figlie della divina Provvidenza.
La
vampa sul focolare scoppiettava con allegra fiammata e i due contadini si
riscaldavano le callose mani, fumando la corta pipa di creta. Si - diceva il
vecchio Cola scrollando la testa - proprio sul ponte, mentre la portavano al
camposanto, due colombelle bianche bianche come la neve andavano a poggiarsi
sulla bara. Oh la mia Angiola del paradiso! A queste parole la vecchia Anna,
che accoccolata diceva le sue preghiere, si scosse, guardò il marito
asciugandosi col grembiule le lacrime: Hai fatto dire a D. Saverio la messa che
gli aveva pagato col denaro della filatura? - Si, rispose Cola, quella l’ha
detta, dimani dirà un’altra che gli pagherò con una giornata di lavoro
nell’orto.
Qui
tacquero: si udiva soltanto lo schioppettar della fiamma e il biascichio delle
avemarie della donna; di sotto veniva il ruminar dei buoi attaccati alla
mangiatoia della stalla.
- Senti Cola - interruppe Mico - e di
Pascaluzzo che notizie mi dai?
-
Di Pascaluzzo? Di quel brigante della Sila? Di quello ... as. ....
-
Si, ma non era egli lo zito di Angiola? ...
-
Che?! Per la Mado. ...!? era egli lupo da rubarmi quell’agnella di Angiola?!
Quel figlio di malafemmina!
-Ma
perché l’hai lasciato quella sera cantare sotto le finestre di Angiola
“
Affacciati a la finestra mu ti viju
Ccu
ssocchi belli mi perci lu cori “?
-Senti
Mico, io questa sera non avrei tanta voglia di parlare ... ma giacché tu m’hai
fatto aprir la bocca, ecco come vanno le cose:
-Pascaluzzo
era figlio ... di chi era figlio ... suo padre era morto in carcere ... suo
nonno ucciso con una palla in fronte ... suo fratello fuggito in America per
aver ucciso d’un colpo di scure l’innamorata; egli manesco ...senza arte nè
parte ... voleva involarmi la mia agnella. Ché io non lo sapeva che sarebbe
finito in galera? Eppure quando lo vidi innamorato serio non seppi oppormi. Suo
zio gli avrebbe fatto donazione della casa e dell’orto ... io davo duecento
ducati a Angiola, e già le cose erano fatte. Avevamo stipulato il contratto di
nozze, si era fissato di andare in chiesa dopo la trebbiatura .... insomma
tutto era pronto. Ma fa l’anno, il giorno di S. Rocco, Pascaluzzo ha voluto
incantare la bara; tu sai che chi più l’incanta avrà l’onore di portare lo
stendardo della confraternita. Peppino il figlio del fattore la mise cinque
tomoli, Pascaluzzo dieci, quello l’innalza a quindici, questo non potendo di
più giurò di vendicarsi dell’offesa, getta gli abiti di confratello, e fugge di
chiesa. Ho detto che Pascaluzzo era manesco, era pure geloso; Peppino anche
aveva gettato l’occhio su Angiola, tu mi capisci! ... Certo avrei preferito
Peppino ... Era una sera come questa nel mese di Marzo io e Anna eravamo a
letto (tutto questo me lo raccontò Angiola in fine di vita) Angiola filava al
lume della lumiera nella sua stanza, quando ad un tratto sente un legiero
picchio alla finestra. Va tutta tremante a vedere chi fosse e indovina chi
vede? Vede Pascaluzzo che volgendo uno sguardo d’intorno spicca d’un salto
nella stanza.
-Che
pensi che cercava quel tizzone d’inferno?
-Cercava
persuaderlo a volerlo seguire sulla montagna perché nella notte aveva ucciso a
colpi di bastone Peppino il figlio del fattore!
-Assassino,
assassino, gridò mia figlia, esci di qua o grido da svegliare tata e mamma!
-Gridi
che (per la M...) ti taglio la gola!
- E’ questa l’accoglienza che mi fai dopo tante
promesse? - Assassino, assassino, replicava Angiola, spingendolo per la
finestra.
Svegliato
da quel grido mi alzo ed accorro, scassino la porta di Angiola e la trovo
svenuta a terra, mi affaccio alla finestra e trovo una scala di corda ... nella
via s’udiva n passo concitato ... Nulla più seppi quella sera
La
mattina trovarono Peppino in un letto di sangue e l’uccisore si seppe essere
stato Pascaluzzo. Egli è latitante, chi dice che sia fuggito in America, chi lo
vuole morto perché due erano le colonne che si poggiarono sulla bara di
Angiola: Pascaluzzo e Peppino.
ERNESTO GLIOZZIil vecchio
Chi ha confidenza con le opere di Vincenzo Padula o di Nicola Misasi è facile che trovi le dovute influenze e omaggi,
Di seguito le tre lettere che lareina consorte de España, Maria Cristina,
scrisse al Padre Bonaventura, suo confessore, presso il convento dei Riformati di Bianco
°°°
Padre Bonaventura,
ho ricevuto con sommo piacere il
vostro foglio del 25 nov. e con particolare godimento le due immagini una della
S.S. Vergine del Buon Consiglio e l’altra di S. Francesco e le tre composizioni
in stampa.
Nel farvi giungere i miei più
vivi ringraziamenti per queste vostre dimostranze di affetto verso di me e
tutta la mia famiglia, desidero che il cielo vi ricolmi di ogni bene spirituale
e temporale. Sono ugualmente sensibile alle assicurazioni che mi date di
porgere calde suppliche pel felice risultato del prossimo mio parto e ve ne
sarò molto grata.
P.S. Il giorno della data di
questa lettera alle ore 2 dopo pranzo Dio mi concesse un parto felice dando
alla luce una bambina, l’Infanta Maria Luisa Fernanda.
Madrid, 30 giugno 1832
Padre Bonaventura,
i sentimenti di giubilo che
sperimentate nel sentire il ristabilimento del mio amato sposo, che segue
benissimo nella sua convalescenza, sono per me una prova non equivoca
dell’affetto che portate a tutta la nostra famiglia e le preci fervorose da Voi
dirette all’Altissimo mi fanno sperare che lo vedrò quanto prima del tutto
ristabilito.
Non tralascio di raccomandarvi al
mio amatissimo fratello Ferdinando, perché possiate predicare nella Reale
Cappella Palatina, nel venturo anno 1834, il vostro quaresimale, desiderosa che
le mie raccomandazioni abbiano un effetto felice.
Vi ringrazio per le imploratemi
benedizioni dal cielo e ve ne desidero altrettante.
Maria Cristina
Madrid, 14 febbraio 1833
Padre Bonaventura,
col vostro foglio del 14 aprile
mi è pervenuto l’incenso e le cere che avete avuto l’attenzione di mandarmi
come facenti parte di quelle che lasciarono innanzi al Santo Sepolcro
nell’ultima settimana Santa, per cui mi sono stati questi oggetti altrettanto
grati e ve ne ringrazio moltissimo.
Vi sono altresì riconoscente per
le proteste che mi fate di volermi avere sempre presente nelle vostre orazioni
e potete essere certo che non vi è cosa che mi sia più gradita.
Da parte mia contate sempre sulla
uguale stima e benevolenza.
Maria Cristina.
Madrid, 9 giugno 1833
°°°
Nota di Ernesto Gliozzi
il vecchio. “In detto convento visse quasi tutta
la sua vita Padre Bonaventura da Casignana (al secolo Giuseppe Nicita) religioso di santa vita che era stato confessore
della Regina di Spagna, la beata Maria Cristina (di cui si conservano alcune
lettere dirette allo stesso). Egli fu valente oratore (un volume delle sue
prediche esiste), predicò a Roma, Corfù, Venezia ed in molte città, col
ricavato delle sue prediche arricchì il Convento di suppellettili preziose e di
sette statue. Nel 1860 il Convento fu bruciato per rappresaglia dei bersaglieri
comandati dal tenente Rossi e dal tenente Quadri i quali seguivano le peste dei
22 ufficiali e del Generale Boryers mandati dalla Spagna ad inquadrare e
comandare il grosso brigantaggio di Ferdinando Mittiga da Platì. Il Padre
Samuele da Siderno, al secolo Antonio Vincenzo Mercuri fu Pietro, era in
quell’epoca il Guardiano del Convento ed avendo dato alloggio alle truppe spagnuole,
diede motivo alla rappresaglia per cui il convento fu bruciato. Il 21 Settembre
1861 P. Samuele fu proditoriamente ucciso. Durante l’incendio è andato
distrutto il celebre, antico e artistico Crocifisso che vi si venerava e si
vuole che nel cadere a terra abbia lasciata l’impronta della mano del Cristo”.
Le tre lettere e una nota ricavata da quella scritta, per la Cronistoria della Diocesi di Locri
curata dal Canonico Oppedisano, da Ernesto Gliozzi il vecchio si trovano su Calabria Sconosciuta n. 132 Anno
XXVIVottobre - dicembre 2011. L’autore
di quell’articolo e molti altri più recentemente, definiscono la regina Maria
Cristina di Spagna “Beata”, abbagliandosi con Maria Cristina di Savoia.
Il ritratto in apertura è diVicente López y Portaña (1872 - 1850) e si trova al museo del Prado.
Una sorella del padre Bonaventura, Elisabetta Nicita, sposò a Platì
Domenico Portulise. I due ebbero cinque figli di cui il primo, Rocco nacque nel
1811, Rosario nel 1813, Rosa Maria nel 1822, Domenica nel 1823 e Francesco nel
1826, come risulta dal lavoro compiuto da Ernesto Gliozzi il giovane.
Finché la Chiesa, il mondo contadino, la borghesia
paleoindustriale erano un
tutto unico, la Religione poteva essere riconosciuta in tutti e
tre questi momenti
di una stessa cultura. Anche – ed è tutto dire – nella Chiesa: nel
Vaticano. I
delitti contro la religione perpetrati dalla Chiesa – se non altro
per il fatto stesso
di esserci – erano giustificati dalla Religione. Era possibile
prestar credito, cioè,
al qualunquismo umanistico dei suoi prelati secondo cui, appunto,
il fine poteva
giustificare i mezzi: un’alleanza col Fascismo per esempio poteva
parere un
mezzo giustificato dal fine, consistente nel preservare, per i
secoli futuri, la
Religione. D’altra parte niente poteva far pensare che il mondo
contadino,
religioso (e la borghesia paleoindustriale di origine contadina)
sarebbe così
rapidamente
finito.
Pier Paolo Pasolini, Marzo 1974.
Ancora una volta con voce ferma e robusta ripeto: “D’Italia la gioia e
l’offesa divide la Chiesa”. Come nelle giornate tristi della Patria in cui le
bandiere si alzavano imbrunate, come abbiamo visto, dicevo, affollarsi le
chiese di moltitudini piangenti per santificare il dolore di madri e
pargoletti! così nelle giornate liete, come questa, la chiesa spalanca le sue
porte per fare entrare una moltitudine giubilante.
E cantano a Dio – Ottimo Massimo – il Te Deum del ringraziamento per la
grandezza delle grazie ricevute, che sono, per avventura, tali e tante le
grazie che non basta la parola umana a enumerarle.
Si Te Deum laudamus, ti lodiamo o Signore, perché hai voluto dare
piena, grande, completa vittoria all’Italia da trionfare sulle barbare nazioni
più o meno fraternizzate fra loro.
Insegni Ginevra.
Ti lodiamo, o Dio, perché hai voluto che un Re latino, stirpe di eroi e
di Santi cingesse la corona di quello impero di Salomone, caduto dopo lunga
teoria di anni nella barbarie e nel fango.
Ti lodiamo per il nostro condottiero e Duce che con mano ferma regge i
destini della Patria fatta da Lui più bella e più grande.
Ti lodiamo perché hai voluto darci dei generali sommi, degli scienziati
che sono l’invidia del mondo, dei soldati che sono semplicemente magnifici.
Si ti lodiamo o Dio degli eserciti Deus Iabahot che fosti presente a
Veyhelli, ad Axum, a Macallé, che fermasti il tuo sguardo su Addis Abbeba che è
nostra.
Che facesti del tuo sacerdote, il padre Giuliani, un novello martire
della Religione e della Patria.
Che nei terribili fiumi impetuosi, nelle zone infocate della Somalia,
sulle alture inaccessibili del Tigrai, fosti fortezza nel braccio e nel cuore
dei nostri fanti, che si aprivano il passo con la spada e con la zappa per il
trionfo di quella Roma, per cui il tuo Cristo è romano.
Si, ti lodiamo o Signore, per l’aiuto che ci desti in mare, in terra in
cielo, è piena la terra della tua Gloria. Tu Re gloria e Christe!
E intendo che si associano al nostro canto le innumerevoli schiere
degli angioli e dei santi tutti del cielo, come delle anime buone della terra
perché in te, Domine, speravi.
Nel Signor chi si confida col Signor risorgerà.
In te Domine speravi, non confundar in aeternum
ERNESTO GLIOZZI il vecchio, Platì 10/5/ 36
«E forse ci voleva
anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare, un uomo
che non avesse la
preoccupazione della scuola liberale››.
[PIO XI, Discorso ai docenti e agli allievi della Università
del Sacro Cuore, 13 febbraio 1929]
L'uomo che la divina
Provvidenza fece incontrare a Pio XI, per «restituire l'Italia a Dio e Dio
all'Italia››, era un ateo integrale, un bestemmiatore abitudinario di Gesù
Cristo, della Madonna e di tutti i Santi, disposto sempre, anche dopo la
Conciliazione, a riprendere i temi del più volgare anticlericalismo, in cui
aveva battuto ogni primato, prima di passare dal sovversivismo anarchico alla
reazione, in difesa del trono, dell'altare e del portafoglio dei «pescecani››.
Ernesto Rossi, Il
manganello e l’aspersorio, Kaos edizioni, Milano 2000
Ho indugiato molto a pubblicare questo manoscritto redatto a seguito della conquista della regione del Tigrè da parte dell'esercito italiano nell'ottobre del 1935. Come
altre volte mi sono trovato ad un bivio, continuare o smettere le
pubblicazioni. Allo stesso tempo non voglio giudicare azioni e fatti passati
perché non ho la capacità di mettermi nei panni di chi quelle azioni e fatti li ha vissuti, come mi manca la lucida riflessione di Pasolini. Il senno di poi non
basta. E i tempi attuali, recenti e meno recenti, il futuro preparatoci – e su
questo lo scrittore e regista ci aveva già anticipato tutto - non sono affatto dissimili dagli anni in cui
lo zio scrisse e lesse in chiesa questa apologia. Ad onestà del vero, e non per
minimizzare quanto sopra scritto, riporto che in quegli anni lo zio non era
solo: mons. Giosofatto Mittiga fece carriera grazie alla cura fascista,
l’avvocato Rosario Fera scrisse fogli di aperto plauso a quel movimento, mons.
Minniti esibiva dei baffetti molto Führer, senza contare i vari Podestà che approfittarono,
con la gestione personale, della cosa pubblica; nonno Luigi e di seguito don
Gustinu Mittiga amministrarono con nomina del Prefetto di Reggio l’ammasso
delle olive e del grano. Tutti in men che non si dica, se non passarono a
miglior vita, al primo sentore di scricchiolio del Regime fecero un tempestivo
volta faccia con allineamento abbracciando lo scudo crociato, e l’anticomunismo
ormai di moda. Ancora, cosa strana, l’unico a non trarne nessun beneficio fu il
maresciallo Giuseppe Delfino che, rubando il Ciconte, in pieno fascismo rifiutò di iscriversi al partito e questo suo atto di
ribellione gli costò la «mancata promozione a maresciallo maggiore»,
tenendo, per giunta, nel primissimo dopoguerra, sotto l’ombra da spica, le redini del paese.
Per uscirmene vi propongo Bob Marley & The Wailers con il suo inno rastafari
VI miraggi di gloria, che voi mi additavate ne le università e nei
ministeri, son pallidi bagliori di fuochi-fatui dinanzi a quel mare di luce che
splende sotto gli occhi del prete.
Lo capisco: per voi il prete è sempre il veste-nera ... un ombra che
cerca opporsi a la luce e qualche cosa di peggio.
Per me, a l’opposto, è l'ideale,
il soledel mondo, il sale de la terra.
Noi, del resto, non abbiamo bisogno di bugiarde apologie; troppo chiaramente
parlano in nostro favore la storia e la tradizione e se voi, per poco, vorreste
sapere qual è la missione del sacerdote vi risponderei sicuro: «Egli è l'anello
di congiunzione tra la terra e il cielo». Questo, lo so, vi fa ridere, egregio maestro;
ma il vostro riso volterriano, credetemi, mi sconcerta lo stomaco.
Victor-Hugo disse che il seminario è un semenzaio di aspirazioni.
Ebbene, io ho avuto dal seminario quante aspirazioni volete; io sono uscito da
quel sacro recinto quasi ambizioso, tacciatemi. La mia ambizione, pero, e mossa
da l’amore, non da la bassa invidia, ci se invidia, a la fine, volete chiamarla
voi, io vi dico che questa invidia è santa. Per ora io mi sento superbo d'
appartenere a la classe ieratica: Son
Sacerdote. Posso dirlo a fronte alta a le moltitudini assetate che mi
tendono amorosamente le braccia; posso dirlo a voi altri che mi guardate col
sogghigno su le labbra: «Son la forza di Dio, nessun mi tocchi››.
--Sara un sogno? - non so. Io passo e le masse popolari si scuotono, aspettano
da me una parola magica, la parola de l'amore ...
- Io passo spezzando il pane de la divina legge … passo e voi altri vi
nascondete, perché?Oh come son belli,
maestro, i nostri orizzonti che voi non conoscete; come è bello chiamare i
figli a la riscossa «sui tumuli il piede, nei cieli lo sguardo›› come è bello
guidare le masse popolari pei campi ubertosi de la Fede! Voi non trovate nel
prete se non la professione, l’arte, starei per dire; ma io ci trovo qualche
cosa di meglio, ci trovo.
Per me il prete sta in alto, in alto assai più di voi … Egli è su la
cima del Monte Santo di Dio che offre perennemente a L’Eterno, nel calice de
l’espiazione, le lacrime dl povero che voi fate piangere e soffrire …
Platì 14 Febbraio 1904
ERNESTO GLIOZZI-FERA
LA SCINTILLAGIORNALE DELLA DOMENICAANNO V – N. 9MATERA 28 FEBBRAIO1904
Plati
21 - (Miles Pontificis) Avrei dovuto
parlare prima, ma ho voluto essere longanime.Speravo che una volta tanto si volesse finire, dando principio ad una nuova
era di lavoro e di attività. Vane speranze le mie! Le nobili imprese e le
gagliarde iniziative di altri luoghi per nulla hanno scosso l’animo di chi
dovrebbe muoversi. Certe idee che sono sante, non vogliono essere intese - Io
non so, e proprio uno sconforto. O non si vuole (non vorrei neppure pensalo
ciò) o s’immagina che almeno per ora ci sia bisogno. A mio giudizio credo non
vi è al presente villaggio per quanto piccolo, dove non si senta la necessità
di lavorare e lavorare sul serio. Nel nostro paese poi, massime in questi
ultimi anni questo bisogno si rese più urgente. L'emigrazione, non si può
negare, apportò qualche po' di bene, ma piccola, cosa a dir vero e quasi sopraffatta
e spenta da mali maggiori.
Si muovano perciò i nostri cattolici, ora che il
terreno è alquanto acconcio, entrino con animo coraggioso e forte ne l’ardua lotta,
e spezzino il pane della santa democrazia cristiana, alle turbe che aspettano
desiose.
La fiumana sale ogni di più torbida e minacciosa e non
passerà, molto che invaderà uomini e cose, se non si pensa a riarginarla. Mi
auguro e lo desidero ardentemente che i nostri sacerdoti - in singolar modo i
giovani mettano volenterosi all’opera, ora che i rossi, si fanno sentire anche qui, e l'Asino non cessa di ragliar e.... asinescamente.
LA SCINTILLAGIORNALE DELLA DOMENICAANNO
IV – N. 9 - 1 MARZO1903 P. S. (Pubblica Sicurezza)
Molto verosimilmente dietro il Miles Pontificis celiandosi si celavano Ernesto Gliozzi il vecchio o il segretario Portolesi, allora corrispondenti per LA SCINTILLA; ma il quadretto di inizio secolo XX° è degno di lettura.
Un ferale corteo percorreva un giorno – schiamazzante – le popolate vie
di Gerusalemme: S’andava a lapidare un bestemmiatore fanatico. Era un giovine
pallido, di nome Stefano, buono come il pane, solo reo confesso di appartenere
a l’odiata setta dei cristiani – dicevano.
Non per questo, un’olimpica serenità gli risplendeva sul volto;
camminava, o meglio veniva trascinato da cento braccia fuori le mura, ma egli –
mite come il suo Maestro – non metteva fuori un lamento, una lacrima, una
maledizione, tutt’altro.
Un giovine vigoroso – da l’ampia fronte pensosa – veniva anch’esso al
luogo de la condanna, una vasta pianura di là del Cedron, arida e
biancheggiante d’ossame. Ivi giunti, il Martire piegò in un istante sotto la
tempesta di sassi, sanguinolento e pallido. Pareva un fior primaverile colpito
da la grandine fitta.
Il giovine vigoroso che lo seguiva rispondeva al nome di Saulo.
X X X
Da lontano s’udiva la pesta d’un cavallo rampante sulla via di Damasco.
Un cavaliere in fretta marciava, con pieni poteri, a la cattura dei cristiani,
e questo cavaliere era Saulo.
Il Libano vicino, intanto, ammantato di sole, rispondeva a quei passi
ed i cedri eterni, da le verdi chiome incurvate, stavano immoti aspettando –
quasi che lo sapessero –un’istantanea mutazione di scena. Ed ecco, d’un tratto,
cavallo e cavaliere precipitati per terra mentre che un’onda di luce
soprannaturale l’investe. (Il sole, in quel momento, pareva avesse
riconcentrato i suoi raggi tutti sul capo del caduto). Si volta, si poggia sul
fianco il cavaliere ed una voce soave lo scuote, l’affascina, l’attrae: Saulo –
gli dice – Saulo, perché mi perseguiti? Un momento dopo un cieco brancolava su
la via di Damasco …
Dal Libano vicino, intanto, i cedri eterni – da le verdi chiome
incurvate – mandavano confusi mormori ed i ruscelli limpidi dicevano: “Sorgi, o
campione de la Croce, sorgi ad illuminare la terra”. Paolo di Tarso si scosse,
si strinse al petto i panni insanguinati e disse: Sul Campidoglio i vecchi numi
tremano vi pianteremo la Croce.
X X X
E s’incamminò per conquistare la terra col valore sicuro d’un paladino,
passando su le rovine d’un mondo defunto ed aprendo le porte de la nuova Idea
per cui il Biondo Nazareno era morto. I popoli d’Asia Minore e de la Magna
Grecia lo videro passare, quell’ de l’Arcipelago e de la Palestina si voltarono
per benedirlo, mentre Egli –l’Apostolo – continuava sereno la marcia trionfale
verso il Campidoglio, sul domicilio inaccessibile di Giove Statuo.
Noi lo vediamo, infatti ne la grande metropoli della corruzione
sconvolgere con la sua parola dinamica tutto un mondo invecchiato dal sozzo
epicureismo regnante ed impiantarvi un nuovo ordine d’affetti ed Idee,
intieramente diverse da le vecchie teorie – cancrena de l’Urbe e de l’intiero universo.
X X X
Ne cimiteri, ne l’arenaie, ne le grotte; ovunque un sentimento di pace
e di raccoglimento raduna i trepidi adoratori del Nazareno, un uomo comparisce
ed ha la fronte solcata dal dolore, con le vesti lacere e da la barba incolta.
Esso parla. Un silenzio occupa le moltitudini, le sue parole cadono come lingue
di fuoco sui devoti ascoltanti, un gemito rompe ora il silenzio, un grido
poscia s’eleva, seguito tosto da un coro di voci dicente “Vogliamo presto
vederlo – Cristo. Noi vogliamo vederlo”.
E l’Apostolo, commosso, esortò tutti al martirio, al sacrificio cruento
d’ognuno de la propria esistenza, a la sublime testimonianza ultima di fede
dinanzi al tiranno. La commozione si rende generale. Molti neofiti vengono battezzati,
si distribuisce il pane dei forti e l’Apostolo esce.
Una sera invano fu atteso. Si seppe il giorno dopo che Paolo di Tarso
era stato calato nel Tulliano e molti piansero.
X X X
Reduce Nerone dai ripetuti e splendidi trionfi di Grecia intese come ne
l’orrida prigione di Catilina un vecchio ed ostinato cristiano oprava ancora de
le conversioni ed in persona da gli stessi suoi pretoriani. - Oh vada a morir
decapitato costui fuori de le mura – aveva urlato la Belva – e non sia l’ultimo
… Quel giorno, infatti, un vecchietto da la lunga barba ed incolta, curvo sotto
il peso de la fatica e de gli anni, veniva condotto da gli sgherri, fuori di
Roma, in un campo presso una palude, detto le Acque salvie, in quei luoghi la
testa del vecchietto fu spiccata dal busto e rotolò su l’erba umida che furon
bagnate di sangue. Quel sangue fu lavato da tre fontane, miracolosamente
spuntate.
Oggi il pellegrino ci sa dire benissimo come sul Campidoglio abbia
veduto una Croce, ed accanto a quella Croce due venerande figure. L’una
slanciata, calva appoggiata ad un ferrato bastone di pellegrino; e l’altra
corta e robusta, con una spada nel pugno: Sono le formidabili figure de gli
Apostoli Pietro di Galilea e Paolo di Tarso, veglianti per la salute de la
Sposa di Cristo.
Ernesto Gliozzi Fera
Nota. E' un piacere, per me, incollare sul testo di Ernesto Gliozzi il vecchio - allora Gliozzi Fera, siamo nella prima-seconda decade del novecento, niente di che lo ammetto,un panegirico superato - il film di Gianni Toti del 1974. Film, mai più rivisto, difficile da accettare e digerire per via dello sperimentalismo estremo sebbene affascinante, che gli autori, tanto premiati oggi nei festiva, neanche ragguagliano. Paolo è oggi un nome quasi dimenticato all'anagrafe platiota, un tempo veniva esso-spesso incollato sui nuovi arrivati al mondo e l'icona che ancora si venera nel duomo di Platì faceva sognare, per via della spada, ai piccoli mirabolanti avventure da vedere nell'annesso cinema.
Ecco il bel mese dei fiori, il
soave e tiepido Maggio. Ritornata è con esso la giovinezza nei cuori, negli occhi si
riflette il fior de la speranza, ne le menti risuonano i cantici sublimi de la
felicità e de la gioia.
Dai prati smaltati di variopinti
fiori, da le valli echeggianti per mille gorgheggi, da l'alture, donde scendono
rumoreggianti le acque, - come festante allodola – s’eleva giuliva la nota di
plauso, la strofa alata e profumata al Maria.
A questo coro festivo di palpiti
e di preghiere s'unisca la nostra voce o fratelli. D'intorno a noi ferve
minacciosa la lotta; il campo sociale è invaso dai combattenti; molte bandiere
s’agitano svolazzanti al vento. Anche noi abbiamo la nostra da difendere
coraggiosamente: - E’ l’insegna papale – Siamo giovani; il sangue ci scorre,
forte ne le vene, e l'alto dovere c' incombe di pugnare e vincere ne le feconde
lotte de la vita. Spetta a noi - speranza e riscossa de la bianca bandiera -
scendere tra le masse ammutinate e spezzare il pane del Vangelo, la parola
novella de la Santa Democrazia Cristiana. Avanti, dunque, o fratelli a la
riscossa: «chi non pugnò non vinse».
Lassù, in alto, cinta di stelle,
folgorante di luce, sta il nostro Ideale: Maria. A Lei il nostri canti in
questo mese, i nostri palpiti, le nostre aspirazioni. Ella possiede una forza
magnetica che ci attrae; ci attira con la bellezza de le sue forme, ci chiama
con la bontà de la sua virtù, con la potenza dinamica de la sua grandezza. Andiamo
a Lei. Maria ci porgerà un'arma potente per vincere ne le battaglie vitali, ci
darà la chiave prodigiosa per risolvere la grande ed intricata quistione
sociale; e questa chiave è l'Amore. – E qual potenza mai se non l’amore
ispirato da Lei, potrà disarmare il braccio de l'affamato ed illuso operaio che
conculcato ne la miseria e nel fango – si leva minaccioso per vendicare i suoi
dritti? Chi potrà mai far comprendere a quel vampiro de l'usuraio che è
fratello de l’abbattuto e conculcato nel fango? Eh! via, disinganniamoci, non
c'è via di mezzo: o nel campo sociale
torreggi Maria, o la lotta sarà aspra, sanguinosa, terribile: scegliete. Fratelli, io ivi esorto con tutte
le potenze de l'anima, andiamo e Maria.
Noi abbiamo bisogno d'amor vero,
santo, immacolato vien da l’alto. Un deserto sconfinato ci circonda: è il tetro egoismo regnante; l'oceano
rumoreggiante d'intorno è l’accanita lotta per l'esistenza; il cielo nuvoloso
senza luna e senza stelle che ci copre è
la cecità de l’anima nostra, fratelli.
Ma, tra gli strappi di nuvole un lembo
azzurro di cielo ci sorride su l’oceano lontano, brilla da lassù: è la Stella
del Mare in alto i cuori! …
A lei drizziamo la vela de la
nostra nave; verso quel lembo azzurro di cielo spingiamoci arditi. Maria da
l'alto ci sorriderà, amorevole, ci stenderà la mano, c'ìnfonderà la forza, la
fede, l’amore e vinceremo: Sursum Corda.
E. GLIOZZI-FERA
LA SCINTILLAGIORNALE DELLA DOMENICAANNO IV – N. 18MATERA 3 MAGGIO 1903
NOTA - Tra il film citato e l’articolo di Ernesto Gliozzi il
vecchio – nelle pubblicazioni giovanili Gliozzi-Fera –sono scivolati via cento anni.
La realtà in cui il film ci addentra è delle più tremende, di seguito il
coltello nella piaga lo affonderanno Clint Eatwood con The Mule e più recentemente Steven Craig Zahler
con Dragged Across Concrete; cosa aggiungere quando nel testo in questione si arriva a “Un deserto sconfinato ci circonda: è il tetro egoismo regnante;
l'oceano rumoreggiante d'intorno è l’accanita lotta per l'esistenza; il cielo
nuvoloso senza luna e senza stelle che ci copre è la cecità de l’anima nostra,
fratelli” … chi non pugnò non vinse! Da
difendere non è più l’insegna papale o la parola
novella de la Santa Democrazia Cristiana. Ma, tra gli strappi di nuvole un lembo azzurro di
cielo ci sorride … Tra
voi chi ricorda un maggio come quello corrente?
Everyone is sleeping Shout at the crowd Wake them up This anger's deeper than sleep.
"La Resurrezione di Piero della Francesca, con il suo dio campagnolo che riemerge rosa come l'aurora nella luce grigia del mattino mentre gli esseri umani dormono ancora, è un dio che " è stato adorato fin da quando l'uomo ha appreso che il seme non è morto nel terreno invernale, ma salirà a forza aprendosi una strada nella crosta di ferro".
Kenneth Clark citato daAttilio Brillinella introduzione a "From Ritual to Romance" di Jessie Weston del 1920
Campane di Pasqua
Lanciano le campane il peana trionfale del meriggio di purezza e di
pace sul mondo. E' il canto sonoro dellesperanze che muoiono per risorgere--
scrive il gentile prosatore G. AQuirico
-- dei sogni che s’infrangono-per rinascere, delle fiamme che si spengono per
risplendere ancora; è il poema candido e perfetto di tutte le cose forti, di tutte le cose buona, di tutte le cose pure; è la luce
dello spirito invincibile che si irradia ancora, sempre
sulla Ianda fangosa delle miserie umane. E questa luce vivida e abbagliante
avvolge tutte le cose, incendia l’orizzonte, illumina tutte le anime.
Sia la Pasqua apportatrice di bene per
tutti; per lo stanco operaio e per chi vegliò le notti
sul forte lavoro spirituale, che fu sempre tutto il suo sogno, tutta la sua vita, che scaturì superbamente dai meandri più
ignorati della sua anima, che vive, gioisce piange, spera in qualcosa di più
alto, di più puro di questa miserrima vita quotidiana.
La Pasqua è vita che si rinnovache si
perpetua trionfante e orgogliosa. Noi che abbiamo nel cuorla fucina di mille canzoni, - continua il Quirico -- noi che trasciniamo
per tutte le vie, sopra tutti i dolori, sotto tutte le umiliazioni, sempre
intatte e fiere le nostre fedi; noi che agitammo sempre
arditamente al sole i brandelli delle nostre bandiere lacerate
dal vulgo briaco o invidioso, noi che soffrimmo tutto il dolore pur di
mantenere alta l’Idea che ci cantava nel cuore il suo malioso invito; noi oggi,
in questa novissima Pasqua che viene col sorriso della primavera, noi
dobbiamo alzar la fronte, schiudere il cuore a questo soffio d’aria pura, perché vi porti il saluto augurale di una rinnovazione.
E l'augurio sia anche per tutti voi o lettori di questo quotidiano su
cui scriviamo diuturnamente, forse anche con le lacrime, la parola che incita,
che migliora; che conforta. Il nostro apostolato è denso di bene, come acqua
limpidissima che fluisce invisibile nelle anime, e le lava ele abbellisce e le risana. Su quanti cuori
la nostre parola, portò un sorriso, a quanti occhi terse una lacrima, a quante
anime ridonò la fede.
Se questa festa non fosse una pia illusione d'un giorno solo; ma
restasse indelebile in tutti i cuori come una data santa che s'incide nel
bronzo perché sia intangibile nel tempo, se
veramente l’uomo, negli allegri ghirigori sonori delle campane, ritrovasse le
scaturigini perfette della sua gioia e tutto potesse lanciare nel cielo, inebriato di sole e di profumo della natura che si ridesta,
questa sarebbe la vera Pasqua del risveglio e del lavacro che ci farà schiudere
le labbra a un nuovo sorriso e ci spingerà tutti a un nuovo patto di santa
fratellanza.
Ogni cuore, abbia la sua fiorita alba di risurrezioni e il peana trionfale
delle campane benedette squillano nel gran cielo d’oro, sia il cantico di
giubilo eterno, com’è eterno Dio risorto!
Nota.Testo risalente alla prima/seconda decade del secolo scorso di autore ignoto, non rintracciabili testata e data di
pubblicazione, incluso nell’archivio documenti di E. Gliozzi senior. A rileggerlo sembra scritto proprio per una riscossa della Valle del Ciancio e del Bonamico dove ancora i semi stentano ad aprirsi una strada nella crosta di ferro.