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lunedì 6 settembre 2021

Pellegrini d'amore [di Andrea Forzano - 1951]


Affluenza di platiesi al Santuario di Polsi

 
Platì, 2 settembre
(M. F.) — Si è verificata in questi giorni la solita grande affluenza di devoti platiesi al Santuario della Madonna di Polsi.
A differenza dalle abitudini di altri centri vicini al nostro, le comitive che si recano al santuario partono a piedi si trattengono in preghiera per almeno una settimana.
MICHELE FERA
 
 
ANTICHE TRADIZIONI DI FEDE
IL PELLEGRINAGGIO
al Santuario di Polsi
Chi non conosce il sito noi può comprendere la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti
 
Polsi, 2 settembre
Anche quest'anno, una infinità di fedeli, si è spinta fra le forre d'Aspromonte, per rinnovare il tributo d'amore filiale alla Vergine, per deporre ai suoi piedi di Madre, le umane miserie ed averne in compenso, un particolare conforto.
Lunghe teorie di uomini, donne, fanciulli, s'inerpicano difatti, da giorni, per le balze malfide, lungo aerei viottoli che sconfinano in sottostanti burroni paurosi; fra pendii che sanno di fuoco, di balsami e dei sospiri degli umili.
Ma la fatica non conta, quando si ha da sciogliere un voto, invocare una ennesima grazia, per sé, pel congiunto lontano, per l'amico morente. In ogni angolo, qui, e per miglia e miglia all'intorno, insieme con le preghiere più calde, perché commiste di pianto, vi aleggia la leggenda, dolce, cara leggenda, che si perpetua nei secoli e che ha sentore di mistero:
«Conti Ruggeru, cacciandu iva, — cacciandu dassau gran nominata. — E mentri appuntu la caccia faciva, sintiù di lu divreru la chiamata. — Subitu curriu a vidiri ch'aviva: — vitti la santa Cruci scupirchiata, — nc'era lu toru chi la riviriva, — cu li dinocchia l'aviva schiavata».
«II conte Ruggero (dei Normanni), andava cacciando e nel cacciare, lasciò gran rinomanza, e mentre appunto batteva la caccia, avvertiva il latrare del cane. Subito accorso a veder cosa vi fosse, vedeva la santa Croce dissotterrata e il torello, che l'aveva con lo aiuto delle ginocchia, portato alla luce, in preghiera».
Questa leggenda, che sa tomistico e di misterioso insieme, corre più o meno falsata, più o meno abbellita, per le bocche dei vegliardi, di questa ferace Calabria, di questa buona gente dei monti, che veste ancora d'orbace, come qualcosa che interessi più direttamente questo popolo, la sua sentita religiosità, lo attaccamento alla miracolosa Madonna della Montagna, come meglio preferiscono chiamarla.
E' questa, la festa che registra una maggiore affluenza di pellegrini, e che più di ogni altra, presenta delle attrattive difficilmente raggiungibili. Ma più ancora è un mistico appuntamento dei pastori, dei cosiddetti massari, di tutta la gente più vicina alla Vergine.
Alla vista di tanti pastori, portanti i più una candida agnella, e dei pifferai in ciocie, modulanti agresti note all'ombra di secolari elci; delle madri, delle spose in preghiera, ci sembra di rivivere visioni d'altre epoche, ore di accentuato misticismo. La Montagna. Si, la Vergine che il popolo tutto proclama a gran voce regina e che ad Essa confida i riposti segreti del cuore. La Madonnina, sul cui altare i montanari formulano, sovente nel grigiore di una serata invernale, una promessa e dove si realizzano molto spesso i sogni più belli d'un amore talora contrastato, fra la rustica gente.
E' il crepuscolo. Nell'aria algente e fortemente ossigenata è un acuto odore di resine. Intorno, e giù da noi, all'ombra di annosi timi è tutta una tendopoli, un esercito di gente, d'ogni età e condizione e dai dialetti più vari ed impensati. Poco discoste da queste intere mandrie di pecore, guidate da una centuria di cani, ed infine i pastori, sorridenti, pacifici, quasi antichi patriarchi.
Chi non conosce questi siti, non può pienamente avvertirne il fascino che da essi si sprigiona, né comprendere sia pure «grosso modo» la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti.
V. VERDUCI
GAZZETTA DEL SUD 3 settembre 1956

 

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