Una persona, non un personaggio, un artigiano, di cui spesso mi sono
servito inconsapevolmente, e avventatamente, sin dagli albori di queste pagine
è Francesco Barbaro alias Cicciu i Santa -17 febbraio 1917/3 novembre 1999 - fotografo. L’innumerevole quantità di foto che conservo hanno origine,
provenienza, possesso e soprattutto autore ignoti, e tra queste molte
appartengono a lui. Egli è stato il primo professionista fotografo pratiotu di un certo
spessore, con la soddisfazione della scelta dell’inquadratura e dell’angolatura
di cui si servono i grandi professionisti; uno sguardo da etno-antropologo,
inconsapevole di adoperarsi per quanti verranno dopo di lui, ingrati col
servirsi di una creazione artistica, per come è fruita una sua qualsiasi foto.
A recepire è solo la superficie, non lo spessore creativo e il sotto-testo
contenuti. In esse si cercano solo volti e ricordi che non derivano da un
lavoro che coinvolge un passato, un gruppo identificabile da cui si proviene,
un canto idilliaco sulla fine di una dinastia, o di un momento particolare. Questo è un fenomeno che coinvolge
chi sfrutta la tecnologia gratuitamente disponibile soltanto per stare in un
cortile senza confini. La storia della fotografia platiota è ancora tutta da
scrivere e di questo passo non vedrà mai la luce. Con Cicciu i Santa - lo riporto
così perché sono molti e gloriosi i Francesco Barbaro passati attraverso il
fonte battesimale – ci sono stati il professore De Marco, Leone Fera, il già
citato Totu Delfinu e Totu Callipari. Di questi tempi i selfie e il jpeg che non sono altro che polvere elettronica, come queste
pagine.
La foto in apertura,via Francesco di Raimondo, per cortesia degli eredi.
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