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giovedì 23 febbraio 2017

Anno Domini



Il discepolo ignoto
di  Francesco Perri

( … combatte la sua bella battaglia contro le smilze letterature amorose dei salotti e degli alberghi …)

Francesco Perri, l’autore di quel romanzo Emigranti che rappresentò anni or sono la ribellione contro la letteratura ammalata di salotto provinciale e di albergo internazionale, ritorna dopo un lungo silenzio al pubblico con un altro romanzo Il discepolo ignoto pubblicato per la Casa Editrice Garzanti di Milano. Il romanzo, per tempo, colore e respiro è diverso dal primo che ha dato la fama al Perri: ma la sua ribellione continua.
Il tenace e sereno scrittore calabrese cammina lento e duro nel solco già tracciato, scavando più profondamente e guardando al cielo che si inazzurra, come i vecchi padri della sua terra ripassavano con l’aratro sul solco dei maggiori, pregando ed aspettando l’alba. In queste pagine, ora lente, ora impetuose, ma sempre dritte e precise, in questo tumulto di popolo nuovo, balzante dal vecchio mondo e dalla morente grandezza d’un popolo antico, il sapore acre di terra, il calore vivo del cielo, il respiro profondo che viene dal mare lontano, vivono ancora come nelle pagine degli Emigranti, e provano che lo scrittore continua nella sua opera di ribelle – letteralmente parlando – e di fedele alle tradizioni spirituali del nostro popolo. Perché da noi, il popolo che viene chiamato, quando si è sinceri, protagonista e, quando dà qualche disturbo, comparsa, è stato escluso da troppo tempo dalle pagine dei nostri romanzi. Per ritrovarlo e sentirne la voce lontana, bisogna risalire al vecchio ottocento e passare dai lavori guerrazziani – sferraglianti a gran furia contro le ingiustizie – a quelli miti e ben educati dal D’Azeglio, per riposare poi nella vasta zona creata dai Promessi Sposi e da lì, tendere l’orecchio al brusio del popolo del Verga e del De Roberto. Dopo ciò, il silenzio.
La folla con il suo dramma eterno che la sconvolge e la placa, cede il posto di protagonista alla piccola borghesia incerta tra il peccato d’amore di marca italiana e le variazioni dell’amore di marca internazionale, alle figure solitarie di uomini-simboli e di donne complicate che soffrono senza molti disturbi veri: escano essi dalla passione generosamente teatrale di Gabriele D’Annunzio o da quella devotamente contrita di Antonio Fogazzaro. Il romanzo italiano, dall’ultimo ottocento al primo novecento, chiude la porta in faccia alla folla sonnolenta e stracciona, per girare intorno al giovin signore e alla moglietta in cerca di problemi afrodisiaci e religiosi, riducendo tutta l’esistenza a un giro di valzer, tetro come quello di Sibelius o languido come quello di Strauss.
Per ritrovare la folla, balenante di volti e di passioni, bisogna proprio piegarsi sulle pagine di questo tenace scrittore calabrese, e dal mondo rozzo e fiero degli Emigranti risalire verso le vette ancora oscure di questo Discepolo ignoto. Siamo ancora nel solco dei suoi padri aratori: e, come essi, con gli occhi fissi sul cielo che oramai s’azzurra. L’alba è vicina.
Il romanzo ci riporta ai tempi di Gesù e rievoca il morente impero romano nato all’ombra della spada, mentre dal profondo delle anime nasce l’impero di Cristo, all’ombra vicina della croce. Protagonista del lavoro è il popolo. Non importa che il vasto racconto e le vicende drammatiche che lo compongono mettano in prima linea la giovinezza di Marco Adonia, la sognante figuretta di Varilia e numerose altre figure di patrizi, di consoli, di cavalieri, di matrone: cioè di tutto quel mondo decrepito neppure ancora pugnace che è la Roma di Tiberio. E non importa se nella prima parte del romanzo – degna di un grande scrittore – Tiberio, il solitario di Capri, domini cupamente e sconvolga con il suo respiro gagliardo, il gaudente e sospettoso mondo romano. Il vero protagonista del Discepolo ignoto è il popolo. Sempre il popolo.
Come, lungo i tratti della costa ligure, passa sotto gli archi sonori delle gallerie, rombando, lampeggiando il piccolo treno, protagonista della corsa;  e il mare – entrando impetuosamente dalle arcate – lo segue, lo avvolge, lo sommerge nella sua luce, nelle sue collere, nel suo continuo balenio facendolo diventare a poco a poco un dettaglio qualunque; così intorno ai protagonisti del Discepolo ignoto appare, scompare, vive, freme e si ribella il popolo: il popolo senza Dei, perché sotto l’impero, gli dei erano patrizi; il popolo senza Dio, perché _ per i credenti nei profeti _ Dio non era ancora apparso sulla terra. Marco Adonia e Varilia scompaiono perciò con il loro dramma; scompare Roma dominatrice davanti alla ignota capanna di Bethlemme; scompare il volto truce del solitario di Capri davanti al viso ineffabile di Gesù; l’ombra della corta spada romana viene sopraffatta dall’ombra lunga della Croce e protagonista vero rimane il popolo, la fede del popolo, la ribellione del popolo.
Francesco Perri cammina ancora sul solco tracciato, a notte, con gli Emigranti, scavando più profondo.
Raccontare il romanzo? Seguirlo nella sua vasta vicenda come il mare segue il convoglio lungo le coste liguri? Secondo me è inutile. Ciò che conta in un lavoro di grande respiro come questo è l’impressione che lascia nell’anima man mano che procede, e l’impressione definitiva quando si giunge all’ultima pagina- Se il lavoro è mediocre, dopo l’ultima pagina, rimangono in noi pochi lampi come quelli di un uragano che muore a poco a poco. Ma se il lavoro è vivo, anche tra le manchevolezze inevitabili, risale dall’ombra un flotto ancora confuso di figure e di sagome che si riallacciano per vie ignote sotto i lampi insistenti delle pagine più belle, così che tutto il lavoro si ricompone sotto i nostri occhi come un panorama lontano, ma presente. Nel Discepolo ignoto questo avviene. Pagine bellissime, pagine magre, capitoli che potrebbero trovare posto in un’antologia e capitoli che anche se non ci fossero non guasterebbero, scene come quelle del battesimo di Gesù di una bellezza pura e perfetta e scene incerte come quelle che tentano di afferrare la sfuggente figura di Giuda, espressioni sobrie e incisive come quelle che sfiorano le parabole, e vocaboli spaesati usciti dalla consuetudine della nostra modernità, si alternano in una continua successione, avvincendo però sempre, non stancando quasi mai, anche quando la fantasia dello scrittore si lascia portare dal suo stesso impeto sfiorando l’artificio e facendo pensare – per un attimo – a un lavoro d’intreccio. Attimi d’incertezze che ogni artista lascia nella sua opera, anche quando è veramente artista. Ma attimi.
Il Discepolo ignoto rimane con la sua struttura, col suo respiro possente, con il suo generoso e appassionato impiego del popolo uno dei romanzi italiani più tipicamente italiani del nostro tempo, combatte la sua bella battaglia contro le smilze letterature amorose dei salotti e degli alberghi e riafferma in Francesco Perri uno scrittore dal quale si può aspettare domani l’opera che lo completi e lo riveli interamete.
ARTURO ROSSATO
LA GAZZETTA,  4 maggio 1940 XVIII

Nota
Manca poco meno di un mese all'entrata dell'Italia in guerra ... bah ... vorrei scrivere quello che penso ma forse è meglio tenere a freno il fastidioso brontolio di fondo che potrei germinare.

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