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LETTERA APERTA AI PLATIOTI
Cari
PLATIOTI,
Questa lettera non ha alcuna pretesa se non quella di comunicare
con voi. Tutti, oggi, scrivono su Platì. Perché un platiota non può scrivere, pubblicamente,
ai suoi concittadini, da platiota a platiota?
Ormai di privato su Platì non c'è più niente: dal 3
agosto, u.s., è sempre sulle prime pagine di tutti i quotidiani con titoli
cubitali dove la frase più innocua è la seguente: " Tutte le strade
portano lassù, a Platì".
Ormai dai mass-media viene citato come una grande
capitale: "qui Platì", come dire "qui Roma", "qui New
York". Gli inviati speciali della grande stampa nazionale parlano di Platì
come della capitale dei rilasci di persone sequestrate, con 150 diffidati, 8O
sorvegliati speciali, 4OO pregiudicati, 18 latitanti, dove "la gente
detesta i giornalisti, le forze dell'ordine, i magistrati, tutti responsabili, a
loro dire, di calunnie che piovano sullo stesso paese e sui suoi
abitanti." `
Ormai Platì significa per tutti " tornare
indietro nel tempo, nella storia, nella civiltà. Segna uno spaccato: fuori
Platì la civiltà, dentro Platì la barbarie.
Ormai ci siamo dentro tutti: chi è rimasto e chi è
andato via; chi riposa in pace e chi vive; chi è scappato con qualche foglio di
carta in tasca o con le sole braccia e chi è rimasto; tutti ormai abbiamo un
marchio impresso a fuoco sulla carne: il sequestro di persona.
La strada del più turpe dei reati, affermano tutti, passa
per Platì.
Se è vero, è una nuova strada di sangue tracciata da
mano sacrilega tra le tante croci del Sud. E' un marchio impresso a fuoco su
carne da macello, in guerra; su carne d'esportazione, in pace, su carne, da sempre
pressata e surgelata, per i banchetti elettorali.
E' un'infamia che deturpa l'anima e ridesta il pianto
delle Coefore.
Ormai " U 'NCASATU", il mostro dalle cento
braccia e dalle mille teste, che si nutriva delle carni tenere dei bambini, non
è più una leggenda popolare, si identifica con tutti i platioti in qualunque
latitudine si trovino. Tutti siamo indicati come i torturatori di Marco Fiora.
Ma è vero? E' possibile?
Dov'è Plati di don Giacomo Tassone, dell'avocato Fera,
del maestro Gelonesi, del generale Gelonesi, luminare della medicina tropicale,
dei Peroni, degli Zappia, degli Spadaro, dei Mittiga, del colonnello Fera, di
massaru Peppe Delfino, di Ciccillo Prestia, della saggezza di massaru Cicco di
Furnari, di massaru Jelasi, di massaru Cicco Barbaro, di Pasquale Agresta e degli
artigiani (Sarti,barbieri, calzolai, falegnami, carpentieri, fabbri, tornitori,
le cui botteghe erano per i giovani scuola di vita)?
Dov'è Platì di mastro Micuzzo di donna Grazia, l'anarchico
gentiluomo, maestro di alfabetizzazione per centinaia e centinaia di pastori e braccianti?
Dov'è Platì dei centinaia di morti sul Carso e dei
quali le innumerevoli strade del paese ci ricordano il loro sacrificio per la Patria?
Dov'è Platì della camera del lavoro di Michele Crea, dove
nell'immediato secondo dopoguerra i giovani apprendevano le prime lezioni di democrazia?
Dov'è Platì delle civili battaglie elettorali tra
" Spiga" e "Croce" e delle serenate consolatrici dei
vincitori ai perdenti?
Dov'è il progetto per il quale Platì doveva diventare
un paese pilota per l'agricoltura, la pastorizia e il turismo?
E' possibile che sia scomparso? E' possibile che
l'alluvione del 1951, oltre a portare via i giardini più belli dell'Aspromonte,
ha portato vi i valori di intere generazioni?
Forse l'alluvione vera è quella verificatasi negli
anni cinquanta con la rovinosa e totale emigrazione dei giovani artigiani verso
l'Australia, l'America e il Canada; seguita, poi, negli anni '60 da quella dei giovani
intellettuali verso il Nord.
Quelle alluvioni non sono apparse sulle prime pagina
dei quotidiani.
Sono rimaste nel silenzio di chi l'ha subite e di chi
non ha fatto niente per evitarle. Chi è partito si è sentito forte e
coraggioso, perché consapevole di affrontare l'ignoto. Chi è rimasto, oggi, rimprovera,
con severa coscienza:"La colpa è vostra perché siete scappati e non siete
rimasti a dare il vostro contributo!"
Qualcuno rileva che a Platì negli ultimi quindici anni
è avvenuta una rivoluzione economico sociale, realizzata da una cultura della morte
e del carcere e ciò ha determinato l'attuale degrado umano dell'intera comunità. E' possibile?
Morte e carcere non sono valori e, quindi, non possono
originare una civiltà, né possono dare continuità storica; rifiuto
categoricamente questa analisi mostruosa.
Rifiuto, altresì, che lo stato repubblicano, nato
dalla Resistenza, voglia risolvere il problema Platì Aspromonte con l'esercito
e con i blitz di polizia, come un secolo fa; tale provvedimento è la denuncia
amara dello Stato di essere stato latitante, per decenni: in quelle zone, con
le sue istituzioni democratiche.
Sono stato tra voi nel periodo più " caldo"
dell'anno e ho assistito all'accerchiamento di Platì da parte delle forze
dell'ordine. Mi sembrava di essere in Libano o in qualunque località di
frontiera.'
Per la prima volta non mi sono sentito sicuro nel mio
paese e ho cercato, rientrando in Abruzzo, di chiedermi il perché.
La lettura dei quotidiani e dei loro bollettini di
guerra mi hanno " coinvolto" in prima persona, come del resto tutti i
platioti alla diaspora, e, nello stesso tempo, mi hanno fatto sentire responsabile
di tutta la "querelle" Platì.
Mi auguro che la magistratura possa fare luce e, nel
contempo, possa ridare a Platì la sua reale dimensione umana e culturale.
Se, eventualmente, tutte le strade portano a Platì,
sotto processo dobbiamo andare tutti perché le colpe sono di tutti noi, sia chi
è rimasto, sia di chi è scappato, contribuendo, così, a determinare squilibri sociali,
politici, etici.
Non vogliamo rispondere all'attuale situazione come
vittime. Le colpe nostre sono nostre.
Lasciamo a chi ha colpe maggiori, perché maggiori
responsabilità politiche, di analizzare lo sfascio, l'alluvione umana e il
degrado sociale denunciati dalla stampa.
Ci sia permesso, però, ribellarci, con alto senso di
civiltà, e denunciare all'opinione pubblica che Platì, Aspromonte e Calabria
assurgono a cronaca cubitale nazionale solo per terremoti, alluvioni, sequestri
di persona, 'ndrangheta, ma mai si affrontano con serietà e serenità le condizioni
che hanno determinato l'attuale degrado fisico, sociale e umano.
La situazione attuale non è certo la risultante di un
processo a breve termine né la risultante di un processo a lungo termine determinato
dalla non volontà politica di indicare ipotesi di soluzione allorquando agli
antichi mali, aggravandosi per l'incuria della classe dirigente, non si è
risposto con provvedimenti ordinari capaci di reciderli alla base e, cioè, capaci
di dare soluzioni definitive alle ataviche aspettative del profondo Sud.
Non è sufficiente gettare il mostro in prima pagina e
mettere sotto accusa un'intera comunità e additarla all'opinione pubblica.
Sarebbe utile e necessario rispondere, con civile
senso di responsabilità umana e culturale, alle domande di occupazione e di
tranquillità sociale dei giovani, costruendo non caserme per "incrementare
la presenza permanente dello Stato in Calabria", ma scuole, servizi
sociali, strutture sanitarie e turistiche e tutto ciò che può contribuire a mettere
Platì e la Calabria nel grande circuito nazionale ed europeo.
E' questo il modo primario per segnare la presenza
dello Stato nella regione che ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile,
il più alto tasso di disservizi sanitari, il più alto tasso di isolamento sociale,
economico e culturale, il più alto tasso di degrado geofisico.
Vengano pure le forze armate ma con esse vengano anche
tutte quelle scelte politiche e tutti quei provvedimenti ordinari capaci di
rimuovere le condizioni ataviche di abbandono e di sfiducia.
Per infondere maggior fiducia e per rompere lo stato
di rassegnazione non sono solo necessari duemila soldati, ma posti di lavoro
per i giovani che vivono da sempre senza prospettiva storica.
Per garantire la Costituzione e per instaurare un
corretto rapporto tra cittadini ed istituzioni, è necessario rimuovere tutte
quelle condizioni interne alle istituzioni che da sempre contribuiscono ad
allontanare il cittadino: clientelismo, lotte intestine tra le varie correnti
dei partiti, giochi di potere, assistenzialismo, spartizione e lottizzazione di
cariche e di finanziamenti pubblici.
Già nel 1971, nelle pagine di "Scuola e
Mezzogiorno", premio "Libro dell'Anno 1971", sezione saggistica
meridionalistica, avvertivo che l'istituto regionale rischiava di essere
defraudato dai principi che l'avevano motivato, perché gli interessi dei gruppi
di potere economico e politico avrebbero avuto il sopravento su gli interessi
della collettività.
La crescita della popolazione urbana nelle città della
regione e nei centri della riviera ionica e tirrenica, avvenuta senza un reale
sviluppo economico, ha creato uno stato di rapporto abnorme tra i diversi
strati sociali sui quali ha facilmente esercitato la propria influenza il
blocco di potere dominante. Per capire ciò è sufficiente prendere in esame, per
tutte, la città di Reggio Calabria, dove drammatiche conseguenze hanno messo a
nudo scottanti realtà che si sono venute a creare per gli errori d'impostazione
della politica meridionalistica, la quale ha ignorato, tra l'altro, totalmente il
rapporto culturale-economico tra agricoltura e industria, favorendo l'esodo
dalle campagne verso una disordinata ed eccessiva urbanizzazione determinata da
speculazione edilizia, sottogoverno, gonfiamento del settore commerciale ,eccessivo
processo di terziarizzazione improduttivo, accrescimento caotico delle strutture
burocratiche, notevole disoccupazione intellettuale, fallimento di piccole e
medie imprese, cancellazione dell'artigianato.
In questo stato di cose la caccia al posto pubblico ha
alimentato pericolosamente il clientelismo politico che, sfruttando la
situazione, ha lavorato non per formare coscienze politiche e classe dirigente ma
agenzie e agenti elettorali.
Su questi binari si è avviata l'azione politica con le
conseguenze che ci stanno di fronte e dalle quali ognuno cerca di prenderne le distanze
riversando, oggi, le colpe su Platì, Ciminà, San Luca: forse gli anelli più
deboli di una catena sui quali tutti, a torto o a ragione, si sentono
autorizzati a fare analisi sociologiche, storiche,
antropologiche, seduti o alla poltrona di una potente
istituzione pubblica,o su una poltrona di un potente mezzo di comunicazione,o
su una poltrona della loro residenza estiva.
Il mio augurio è che Platì e quest'ultima alluvione
che si è riversata sul suo tessuto umano e sociale possano servire una buona
volta per risolvere i gravosi problemi di sempre che hanno pesato e pesano
sull'attuale stato della terra di nessuno.
Mi auguro, altresì, che tutto ciò contribuisca a porre
fine ad analisi, inchieste, leggi speciali, provvedimenti eccezionali pro-Calabria
e si passi ad operare nella nostra regione come si opera in Lombardia,in Alto Adige,nel
Veneto,in Umbria,nelle Marche e in Abruzzo: la questione Calabria è una
questione nazionale e, perciò,è una questione di tutta la comunità politica,culturale
e umana,a meno che non si continui a considerare il profondo Sud come colonia
del più sofisticato colonialismo moderno, l'industrialismo pirata e le sue leggi
di mercato.
E' vero che noi calabresi siamo ancora legati alla
tradizione greca del pianto dei defunti, ma chi, con dovizia di particolari,
oggi addita i mali e le nefandezze di Platì e dei platioti dovrebbe sentirsi
coinvolto, se non altro perché Platì e l'Aspromonte, non si trovano sulla luna,
ma appartengono a questa dimensione culturale e storica che si chiama Italia.
vincitore de "Libro dell'Anno 1971"
sezione saggistica meridionalistica.
Potrebbe essere pubblicata oggi e solo i più attenti si accorgerebbero che è stata scritta quasi trent'anni fa.
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