Powered By Blogger

lunedì 29 settembre 2014

Il principe folle (re. Harold Braun - 1957)


La morte del Principe
Odo lenti rintocchi,
morto è qualcun co’ fiocchi,
un agitarsi vario,
anzi straordinario
di sarti e calzolai ,
e di fabbri-ferrai,
e di candele e fiori
d’incensi, fumi e odori,
di falegnami chini
su cassa da becchini,
di priori e fratelli,
di chericotti belli,
di sacerdoti e croci,
di lacrime e di voci,
per funebri apparati
son tutti affaccendati.
Ecco ch'é preparata
la cassa sospirata:
aperta, vi si serra
un corpo, che la terra,
ove per sempre giace.
accoglie; e si dispiace
del puzzo che esso spira
che a vomitar ti tira,
dai pochi denti guasti
dal tempo, già rimasti;
da bianca testa e calva;
da grinze de la malva
del colorito cupo;
da le labbra di lupo;
da l'occhio che s'incava
ne l'orbita che scava;
dal padiglione acustico
od asinino e rustico;
dal pendolo evirato
da moto esagerato,
che sempre de la volpe
ricorda molte colpe.
La bara parte, un'onda
di gente la circonda;
l'olla di traditori,
di ladri e adulatori,
di adultere deluse
e vergini contuse,
di sordidi usurai,
del mondo eterni guai;
di prepotenti tristi,
di vili camorristi,
di bastardi parecchi,
di paraninfi vecchi,
di tutta la plebaglia
che ha nome di canaglia.
Ahi! non si vede il povero
che nel suo vil ricovero
va.. mentre vi si reca,
contro la salma impreca;
il giusto in casa fugge.
di gaudio si strugge;
la donna egregia, onesta.
come ne' dì di festa,
di nastri cinge il crine;
la popolana in trine
si para, pur s'adorna,
impreca e dice corna
al suono della squilla:
il ciel, l'aria brilla;
foresi e forosette
in su le collinette
cantando, in ogni loco.
fanno falò, va in foco
del misero massajo
qualsiasi pagliajo;
ruggir di gioia s'ode
la vampa, che pur gode;
gli uccelli pure inneggiano
di libertà gorgheggiano;
tripudio si arriso
nè anco è in paradiso;
mentre l'inno di morte
intuona la coorte
di preti rallegrati,
financo ai morti ingrati.
Durante il lutto un moto
di servi, non ignoto,
di serve e concubine,
dì cugini e cugine,
e d'altri in parentezza
si svolge con destrezza,
si svolge con la mani,
frugando in ogni vano
casse, cassette, scrigni,
stipi, tutti gli ordigni,
di giorno e pur di notte,
rubando fln ricotte.
Il lutto terminato,
va tutto suggellato;
e, fatto' l’inventario,
cosi cala il sipario.
Ad onorare l’ossa
si scrive in sulla fossa:
Qui senza lividure,
ma pieno di lordure;
di Dio e dei diavoli
non degno, sterco ai cavoli,
qui giace sua Eccellenza;
finì la penitenza!
 Vincenzo Papalia, op. cit.

domenica 28 settembre 2014

Bianco e nero (reg. Paolo Pietrangeli - 1975)


Bianco
(con una nota su Ferdinando Mittiga, partigiano
ed il testamento di Padre Bonaventuta da Casignana)
E’ una delle più cospicue e antiche terre della diocesi ed occupava il quinto posto nella gerarchia ecclesiastica.
Col terremoto del 1783 il paese rimase totalmente distrutto compresa la Chiesa parrocchiale e per sovrana disposizione il popolo passò a trapiantare la patria nell’amenissimo suolo di Pugliano dove in virtù del Reale Decreto 1788 vi trasferì l’Arcipretura e l’amministrazione comunale.
Per officiare provvisoriamente si eresse dalla pietà dei fedeli una capanna, mentre con una elargizione della Cassa Sacra si diede principio alla Chiesa Arcipretale. Già la costruzione era molto avanzata quando vennero meno i mezzi, e già si era ottenuto il mandato di altre somme  per il compimento di essa, ma per cavilli degli impiegati, le somme non furono pagate. Successero intanto le vicende calamitose dell’occupazione militare francese che portava spese enormi, continui alloggi e saccheggi, sicché la popolazione restò esaurita e immiserita per quattro anni. Ristabilita la pace il Decurionato ottenne 600 ducati dal Sovrano perché abolita la Cassa Sacra, e con quella somma si portò la chiesa a compimento. Vi era la parrocchia detta di Santa Marina che fu soppressa dal Vescovo Scoppa nel 1791 e la popolazione fu aggregata alla matrice.
In detta chiesa vi era il beneficio di San Giacomo, di patronato della famiglia Medici, fondato nel 1693, quello di S. Maria della Stella della stessa famiglia; quello della Concezione della famiglia Mediati, col peso di una messa settimanale; quello di S. Antonio di Padova della famiglia Saporito, con due messe settimanali; quello di S. Michele Arcangelo della famiglia Medici; quello di S. Francesco di Paola, della famiglia Staiti; quello di S. Giov. Battista, della famiglia Palizzi, con l’onere di 4 messe settimanali; quello di S. Giuseppe della famiglia Ceratti, poi Mesiti; quello di S. Caterina, che fu poi aggregato alla teologale di Gerace; quello di S. Giacomo e S. Nicola De Muscolis, fondato dai fratelli Abate Diego Muscolo, Medico Francesco Muscolo e Ignazio, dotato il 7 Maggio 1677. Inoltre quello di S. Domenico, dell’Annunziata e quello di S. Mercurio di patronato del Principe di Roccella e quello del Sacramento.
Vi erano pure i seguenti altari: Del S.S. Crocefisso di patronato della famiglia Saporito; del Carmine della famiglia D’Andrea con l’onere di due messe settimanali poi passato alla famiglia Medici e quello di S. Gregorio della famiglia Albanese con l’onere di due messe settimanali; quello di S. Maria della Stella della famiglia Napoli e Pittari e quello dell’Immacolata della famiglia Medici; quello didel carmine e di S. Giuseppe eretto da Prassede D’Andrea.
Nell’ambito della cura vi era la chiesa di S. Francesco di Paola situata nel rione Bombile di patronato della famiglia Ielasi e si celebrava la sola festa di S. Francesco. Con l’andare del tempo distrutta la chiesa gli eredi Ielasi in memoria del Teol. Ielasi la costruirono nuovamente nel rione Marina aderente al proprio palazzo. Vi era pure la chiesa campestre di S. Nicola col beneficio omonino distrutta prima del 1750 e il beneficio fu aggregato alla matrice. Vi era ancora la chiesa di S. Giov. Battista e quella dell’Annunziata nella quale vi era la cappella di M. S. S. di Loreto di patronato di Laura Ciranta. Vi era un conservatorio di vergini fondato nel 1632 da Suor Maddalena Lucà per legato fatto da Giovanni Lucà. Le vergini convivevano a propriie spese ed avevano la Chiesa propria sotto il titolo di S. Giov. Battista dove l’economo celebrava messa e amministrava i sacramenti della Penitenza e della Eucarestia. Questo luogo non solamente fu rispettato dal Sovrano ma bensì con reale decreto venne dichiarato sotto la sua protezione. Verso lo scorcio del 1700 i beni furono usurpati da varie persone del luogo. Vi era pure un monte dei Pegni.
Nel 1875 esisteva una confraternita sotto il titolo di Pugliano e sciolta questa dall’Arcip. Dama nel 1912, ne istituì quella del Carmine ed il suo successore Arcip. Raschellà compilò lo statuto che venne approvato dal Vescovo Del Rio.
Titolari della parrocchia sono “ Tutti i Santi “, patrono è S. Leonardo. La Chiesa non fu consacrata né vi ha canonica. La popolazione della parrocchia ascende a 3.500abitanti. Hanno luogo durante l’anno le seguenti processioni: Pugliano, del Carmine, S. Francesco, S. Antonio. Poco lontano era la chiesa sotto il titolo di S. M. di Pugliano che apparteneva alla celebre badia sotto lo stesso titolo, le cui rendite ascendevano a 700 scudi annui ed ebbe quale Abate Commendatario il Cardinale Enrico Enriquez. Vi era inoltre il convento dei riformati, sotto il titolo di S. M. della Vittoria fondato nel 1622. Sorgeva in uno dei tre villaggi che formavano la “ terra di bianco “ detto Crocefisso, forse perché si venerava ivi la miracolosa ed antica Immagine del S. S. Crocefisso. Questo convento non patì detrimento dal terremoto del 1783 e viene diretto con somma cura da un numero di morigerati esemplari Padri che vivono di elemosina. Si rende eziandio di somma utilità per le due fere che si fanno nel piano del convento una alli 3 di Maggio per tre giorni continovi e similmente un’altra alli 14 di Settembre ove vi concorrono compratori di più luoghi della provincia. Il Principe Carafa si dice che era lui ad ordinare da una finestra del Convento l’incominciamento delle fiera. Esercitava tale diritto perché forse era stato il fondatore del Convento, come lo fu di tanti altri.
In detto convento visse quasi tutta la sua vita Padre Bonaventura da Casignana religioso di santa vita che era stato confessore della Regina di Spagna, la beata Maria Cristina ( di cui si conservano alcune lettere dirette allo stesso). Egli fu valente oratore ( un volume delle sue prediche esiste), predicò a Roma, Corfù, Venezia ed in molte città, col ricavato delle sue prediche arricchì il Convento di suppellettili preziose e di sette statue. Nel 1860 il Convento fu bruciato per rappresaglia dei bersaglieri comandati dal tenente Rossi e dal tenente Quadri i quali seguivano le peste dei 22 ufficiali e del Generale Boryers mandati dalla Spagna ad inquadrare e comandare il grosso brigantaggio di Ferdinando Mittiga da Platì. Il Padre Samuele da Siderno, al secolo Antonio Vincenzo Mercuri fu Pietro, era in quell’epoca il Guardiano del Convento ed avendo dato alloggio alle truppe spagnuole, diede motivo alla rappresaglia per cui il convento fu bruciato. Il 21 Settembre 1861 P. Samuele fu proditoriamente ucciso. Durante l’incendio è andato distrutto il celebre, antico e artistico Crocifisso che vi si venerava e si vuole che nel cadere a terra abbia lasciata l’impronta della mano del Cristo.
Vi era inoltre il Convento dei P. P. Osservanti di S. Francesco di Assisi fondato nel 1576 e soppresso nel 1789 di cui nulla resta. Di quello invece di Riformati esistono le mura, fu adibito ad uso di cimitero comunale sino a poco tempo fa, oggi chiuso per ordine del Prefetto della Provincia.

Sac. Ernesto Gliozzi, il vecchio


Testamento di Padre Bonaventura da Casignana al secolo Giuseppe Nicita

Avendo io qui sottoscritto dal mio superiore Generale nel 1827 il permesso da potermi conferire in Napoli e dimorar colà tra frati del mio ordine del convento di S. Pietro ad Aram, subito mi son conferito colà, ed ivi cominciai a far parte di quella comunità, ma non potei sanzionar nel luogo  conto per lungo tempo, perché spesso disturbato da due vizi capitali ambizione ed invidia. Col permesso del suo successore Padre Ferdinando da S. Bartolomeo ottenni e passai ad altra famiglia dei PP. Osservanti di S. Severo Maggiore ove dimorai per il corso di anni 22, ed in questa lunga dimora mi applicai nell’esercizio della santa predicazione, e cavalcai quasi tutti i pulpiti rinomati del regno non esclusi quelli di Corfù Venezia Benevento, da quali ricavai molto lucro, che applicai all’acquisto di sacri arredi, mobilia ed ornamenti di chiese, e molte statue di santi, che comperai per ornarci la chiesa del convento del Sant. Crocifisso di Bianco, ove a mie spese feci fabriche, riformai la chiesa, , ma ritenni per uso mio libri, ed arredi sacri, che per gratitudine lascio al mio pronipote Giuseppe Nicita per consegnarli al suo figlio Francesco Nicita essendosi iniziato per ascendere al Sacerdozio. Detti oggetti li lascio anche col permesso del Sommo Pontefice a me comunicato per mezzo della Sacra (…..), e per gratitudine verso lo stesso il quale per il corso di anni dodici mi mantenne in convento e fuori a sue proprie spese, e mi salvò come è noto al pubblico ed al chiesaro  da fiera persecuzione, per cui son vivo per miracolo. Così voglio, e così lascio, poiché niuno da chiesaro e di fuori, potrà domandar veruno oggetto, né libri, né calici, né camici, né pianete. A questo permesso si unisce u  fondo di vari decreti reali, i quali accordano al religioso la facoltà di disporre degli oggetti da lui acquistati e che conserva a suo uso e comodo. Lascio questa mia volontà in scritto per cautela a cui ho tutto lasciato.
Casignana oggi 23 7bre 1859
P. Bonaventura da Casignana lascio come sopra

Da un altro atto testamentario quasi identico risulta che il padre Bonaventura avesse in Platì una sorella, Elisabetta Nicita, moglie di Domenico Portulise. I quali ebbero quattro figli di cui il primo, Rocco nacque nel 1811, come risulta dal lavoro compiuto dello zio Ernesto, il giovane


venerdì 26 settembre 2014

Dies irae (reg. Carl Theodor Dreyer -1943)





Innocens manibus, et mundo corde
Qui non accepit in vano animam suam,
nec iuravit in dolo pròximo suo.
                                                           (SALMO XXIII 4)

             NEI TRIGESIMI
             DELLA MORTE
            DELLA
CONTESSA MARIA OLIVA – LENTINI
PLATì’ 27 AGOSTO 1927
 Una Prece


V. S. è pregata di intervenire
al funebre officio di Trigesimo, in
suffragio del fu
   Arciprete Don SAVERIO OLIVA
che sarà celebrato nella Chiesa Par-
rocchiale, alle ore 9 del 20 del m. c.
          Con anticipati ringraziamenti

Platì, 18 – 1 – 1920

                             GIACOMO TASSONI OLIVA


Le famiglie Morabito Mercurio pregano V. S. di voler intervenire ai funerali
che si celebreranno nella Chiesa Matrice domani 3 Novembre,
in occasione della morte del loro caro congiunto Ferdinando
                               Anticipano ringraziamenti
                Platì, 2 – 11 – 27.



Mercurio Mariannina vedova Morabito e cognato pregano la S. V.
a volere intervenire ai solenni funerali che saranno celebrati
nella Chiesa Matrice domani 3 ottobre in ricorrenza
del I° della morte del loro compianto Ferdinando.
                               Anticiano ringraziamenti









giovedì 25 settembre 2014

L'implacabile condanna (reg. Terence Fisher - 1961)




In nome di sua Maestà Vittorio Emanuele secondo per grazia d’Iddio e per volontà della Nazione Re d’Italia
La giustizia conciliatrice del comune di Platì ha reso la seguente sentenza
Nella causa tra Mastro Francesco Mittiga di Rocco calzolaio domiciliato in Platì, attore e comparente di persona
Contro Mastro Antonio Ciampa fu Vincenzo muratore di anni quaranta domiciliato e residente in questo comune di Platì convenuto contumacia L’attore Mastro Francesco Mittiga con citazione del messo comunale Romeo in mano propria ha domandato il pagamento di lire venti dovutegli per scarpe fattegli ha credito ed ha conchiuso per le spese. Il convenuto Ciampa non è comparso di persona ne per mezzo di suo procuratore.
L’attore in conformità di provvedimenti emessi nella precedente udienza ha domandato alla giustizia sentire le prova in persona di Catanzariti Francesco macellaio di anni cinquanta residenti in Platì e Don Giuseppe Mittiga fu Domenico di anni quaranta indrustiante residente in pari in questo comune, ai quali
Fatti palesi le ritualità riflettente la prestazione del giuramento e dietro averlo prestato hanno unanime deposto che l’attore gli ha fatto ma ignorano se il loro ammontare di lire venti ho meno. Domandate all’attore altre prove questi ha offerto la persona di Giuseppe Morabito fu Domenico di anni trenta e il suo giuramento supletorio e ripetute le formalità del giuramento ha deposto che l’ammontare delle scarpi fatte a credito al convenuto Ciampa è di lire venti giusto la dimanda considerando che le prove assunte da questo ufficio bastantemente fanno gravare la dimanda  Considerando che la contumacia del convenuto ci fa presumere la reltà del dare Ritenuto che chi soccombe è tenuto a pagare le spese per tali motivi Dichiariamo la contumacia del convenuto Antonio Ciampa fu Vincenzo e lo condanna al pagamento in favore dell’attore Mittiga della richiesta somma di lire venti, alle spese che si tassano in centesimi novanta più quelli bisognevoli per la presente spedizione e sua notifica
Fatta a Platì addì sette settembre milleottocento settantasei = Il Giudice conciliatore firmato Fortunato Furore 0 Il cancelliere firmato Rosario Fera  = Letta e pubblicata dal sottoscritto cancelliere all’udienza di oggi suddetto giorno mese ed anno alla presenza del solo attore = Diritto riscosso sessanta
Il cancelliere
Comandiamo a tutti gli usciere che ne sieno richieste di porre in esecuzione la presente, Al Ministero pubblico darvi mano, a tutti i comandanti ed uffiziali della forza pubblica di concorvi con essa quando ne sieno legalmente richiesta
Spedita questa prima copia a quattordici settembre 1877 a richiesta dell’attore Francesco Mittiga
Il cancelliere
Fera
Specifica
Carta bollata                                     L  0,30
Scritturazione per facciate sei                 1,20  
Diritto di spedizione                               0,25
Totale lire una e cent. settanta 5             1,75

Il cancelliere
Fera

Vista la soprascritta dimanda fatta da Mastro Francesco Mittiga di Rocco Ritenuto il probabbile trafugamento dei mobili ed oggetti mobiliari di pertinenza di Antonio Ciampa fu Vincenzo il ritardo del pagamento attesa la sua condizione infelice. Visto il titolo in base al quale si vuole procedere ed essendo in piena regola. Visto l’articolo 575 P. C. invocato dallo esponente   Noi Francesco Oliva giudice conciliatore del Comune di Platì autorizziamo col presente decreto l’usciere Comunale Sig. Filippo Zappia a procedere immediatamente alla ….


Nota: Per dirla sincera dopo tutto questo tempo l'implacabile mastro Francesco Mittiga di Rocco era il padre del nonno Rosario. Un'altra considerazione che mi viene da evidenziare riguarda chi teneva le redini del potere in paese e cioè le famiglie Furore, Fera, Oliva, Zappia tutte presenti nel redigere l'atto.

mercoledì 24 settembre 2014

Papà ma che cosa hai fatto in guerra? Pt.8



22 Agosto 917
Soldato Gliozzi Luigi
3° Fanteria  10° Compagnia
a Messina per
CAMPO INGLESE

Reclama tuoi baci bambina nata felicemente ieri ore 18
Tutti bene            Gliozzi




 Platì 25 – 8 – 1917
Mio carissimo
Ieri non ti ho scritto, perché in seguito al telegramma annunziate la nascita della cara e bellissima bambina – credevo che ti accordassero la brevissima licenza, tanto per baciarla. Mi accorgo che trovi difficile la cosa, e non mancherò di interessare la Benemerita  Arma perché telegrafassero di ufficio. Ma se anche questo non si effettuerà, ti prego di non darti pensiero, giacché Bettina sta bene e da un giorno all’altro lascerà il letto. In quanto al nome, mi piace chiamarla col nome della sorella e di lei faccio voto che pigli solo le virtù e non la fortuna.
Il battesimo lo faremo quando sarà finita questa tempesta di sangue e ci potremo dare il lusso di una giornata contenta. Per ora basta così. L’Arciprete è andato a Siderno e mi lasciò l’incarico di ossequiarti per lui. Lo stesso fa il su Rosario. Sento che si apriranno le licenze per gli ulivi e che dureranno tre mesi. Tutti i proprietari di macchine e di ulivi potranno approfittare: ma non so quali sono le formalità per ottenerla. Non appena verrà al municipio cercherò di apprendere che bisogna fare e lo farò subito. Se tu lo saprai prima scrivimi minutamente. Mi pare di averti detto che il garzone lavora e che l’affare del figlio fu risolto. Oggi fu qui G. Cosenza e starà tre giorni egli ti ossequia. I mussobello anche ti ossequiano ed accudiscono ai maiali e al granturco alla Agliastretti, però l’orto gli è fallito. Cianciana anche ti saluta ed è continuamente agli Sfalasi dove lavora sempre e si porta bene. Solo è da riprovarsi Perri il quale ha la faccia tosta di pretendere le terre anche di Serafina, ma io gli ho negato anche le altre. E con i saluti di questi dipendenti, unisco anche quelli dello zio, ancora ammalato, della zia Nunziata e della zia Betta. Baci tenerissimi da parte di Ciccilo. Rosina Caterina ed Ernestino – Serafinuzza, non potendoli dare te li chiede. E tu baciandoli e benedicendoli tutti pensa con affetto a loro ed anche a noi che ti amiamo.
Abbracciandoti con Bettina, Serafina ed Antonio
                                                                                              Ernesto

lunedì 22 settembre 2014

Il canto dei nuovi emigranti (reg .Felice D’Agostino/Arturo Lavorato - 2005)

Oggi in contemporanea col nuovocinemaloretodiplatì



Ce ne andiamo. Ce ne andiamo via. Dal torrente Aron Dalla pianura di Simeri.Ce ne andiamo con dieci centimetri di terra secca sotto le scarpe con mani dure con rabbia con niente.
Vigna vigna fiumare fiumare
Doppiando capo Schiavonea.
Ce ne andiamo dai campi d'erba tra il grido delle quaglie e i bastioni. Dai fichi più maledetti a limite con l'autunno e con l'Italia. Dai paesi più vecchi più stanchi in cima al levante delle disgrazie.
Cropani
Longobucco
Cerchiara Polistena
Diamante
Nao
Ionadi Cessaniti
Mammola
Filandari...
Tufi. Calcarei immobili massi eterni sotto pena di scomunica.
Ce ne andiamo rompendo Petrace con l'ultima dinamite. Senza sentire più il nome Calabria il nome disperazione.
Troppo tempo siamo stati nei monti con un trombone fra le gambe. Adesso ce ne scendiamo muti per le scorciatoie.
Dai Conflenti
dalle Pietre Nere da Ardore.
Dal sole di Cutro
pazzo sulla pianura
dalla sua notte, brace di uccelli.
Troppo tempo a gridarci nella bettola il sette di spade a buttare il re e l’asso.
Troppo tempo a raccontarci storie chiamando onore una coltellata e disgrazia non avere padrone.
Troppo troppo tempo a restarcene zitti quando bisognava parlare, basta.
Noi vivi e battezzati
dannati.
Noi violenti sanguinari con l'accetta conficcata nella scorza dei mesi degli anni.
Noi morti ce ne andiamo in piedi sulla carretta.
Avanzano le ruote cantano i sonagli verso i confini.
Via!
Via dai feudi dagli stivali dai cani dai larghi mantelli.

Ussahè…

Via Via!
Via dai baroni.
I Lucifero
I conti Capialbi
I Sòlima gli Spada
I Ruffo
I Gallucci.
Usciamo dai bassi terranei dal sudario dei loro trappeti dai parmenti della vendemmia profondi
a lume di candela e senza respirazione.
Via
dai Pretori dalla Polizia dagli uomini d'onore.
Non chiamateci. non richiamateci.
È scrittonei comprensori
È scritto nei fossi nei canali
È scritto in centomila rettangoli
alto su due pali
Cassa del Mezzogiorno
ma io non so che cosa si stia costruendo se la notte o il giorno.
Ci sono raffiche su vecchie facciate che nessuno leva: l'occhio del Mitra è più preciso del filo a piombo della Rinascita.
Addio, terra. Terra mia  lunga  silenziosa.
Un nome non lo ebbe  la gioventù
non stanchiamoci adesso
che ci chiamano col proprio cognome
Noi Noi ce ne siamo  già andati.
Dai catoi dagli sterchi orizzonti.
Da Seminara
dalle civette di Cropalati.
Dai figli appena nati inchiodati nella madia calati dalle frane dall'Aspromonte dei nostri pensieri.
Spegnete le lampadine della piazza. scordiamoci delle scappellate dei sorrisi dei nomi segnati
e pronunciati per trentasei ore.

Cassiani
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Foderaro Galati
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
Cassiani
Cassiani

La croce sulla croce,diceva l'arciprete.
E una croce sulla croce,
segnavano le donne.
andavano e venivano.

Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi

È stato sempre silenzio. silenzio duro della Sila delle sue nevicate a lutto.
È stato il pane a credenza portato sotto lo scialle all'altezza del cuore.
Sono stati i nostri occhi stanchi guardando le finestre illuminate della prefettura.
Carabinieri,fermatevi.  giratevi non c'è nemmeno un cane.
Siamo tutti lontani latitanti.
Fermatevi.
Restano gli zapponi dietro la porta, i cieli, i vigneti. La pietra di sale sulla tavola.
I vecchi che non si muovono dalla sedia, soli con la peronospera nei polmoni.
Le capre
la voce lunga
degli ultimi maiali scannati.
L'argento a forma a forma di cuore, nella chiesa.
Le ragnatele dietro i vetri, le madonne.
la ragnatela del Carmine
la ragnatela di Portosalvo
la ragnatela della Quercia
Restano le donne consumate da nove a nove mesi con le macchie della denutrizione della fame.
Le addolorate Le pietà di tutti gli ulivi, Lavando rattoppando cucinando su due mattoni raccogliendo spine e cicoria.
Cancellateci dall'esattoria Dai municipi dai registri dai calamai della nascita.
Levateci il I giorno di scuola senza matita senza quaderno senza la camicia nuova.
Toglieteci dalle galere.Non ubriacateci. Liberateci dai coltelli di Gizzeria dal sangue dei portoni.
Non chiamateci da Scilla con la leggenda del sole del cielo e del mare.
Siamo ben legati a una vita
a una catena di montaggio
Scioglieteci dai limoni dai salti del pescespada.
Allontanateci da Palmi e da Gioia.
Noi vivi
Noi morti
presi e impiccati cento volte ce ne siamo già andati staccandosi dai rami, dai manifesti della repubblica.
Di notte come lupi come contrabbandieri come ladri.
Senza un'idea dei giorni delle ciminiere degli altiforni.
Siamo in 700 mila su appena due milioni.
Siamo i marciapiedi più affollati.
Siamo i treni più lunghi.
Siamo le braccia le unghie d'Europa. Il sudore Diesel.
Siamo il disonore la vergogna dei governi.
Il Tronco di quercia bruciata
il monumento al Minatore Ignoto
Siamo l'odore di cipolla che rinnova le viscere d'Europa
Siamo un'altra volta la fantasia degli dei.
Milioni di macchine escono targate Magna Grecia.
Noi siamo le giacche appese nelle baracche nei pollai d'Europa.
Addio, terra.
Salutiamo,  è ora.

Franco Costabile


domenica 21 settembre 2014

Umano, troppo umano (reg. Louis Malle - 1975)




Milano lunedì 20 settembre 1991

  Reverendo Padre ho ricevuto già da alcuni giorni la vostra gradita lettera.
sono contento che la tromba che vi ho inviato vada bene per l’impianto della nostra chiesa
Nei giorni scorsi vi ho inviato con vaglia postale la somma dio L. 500.000 per contribuire per quanto possibile alla riparazione della chiesa, che in occasione della mia venuta a PLATI’ ho trovato alquanto dissestata mi auguro che dietro vostra sollecitudine altri nostri concittadini facciano altrettanto affinché la chiesa possa sempre svolgere la sua funzione educativa e pastorale.
Per quanto graditi mi sono i vostri ringraziamenti tengo a farvi sapere che quanto finora ho fatto  è stato per me una grande gioia anche se purtroppo non basta a risolvere il problema anch’io sarei stato felice di incontrarvi e scambiare con voi quattro parole ma purtroppo ciò non è stato possibile spero in futuro
prima di lasciarla vorrei chiederle un favore personale, desidero che una Domenica delle prossime venga celebrata una messa di suffragio per i defunti che mi affretto a elencarvi in calabrese
fu gnura Elisabetta a sciampagna
“  gnura Maria detta a …
“  gnura Maria Antonia Portolesi
    Don Peppino Mittiga detto degli spizzingoli e per sua Moglie Donna Momina
    Don Ciccillo Gelonesi che è stato mio insegnante
    Per vostro Fratello che è stato mio insegnante di Religione alle Medie, per i miei nonni Paterni e Materni e per le anime dimenticate, è mio desiderio che questi defunti vengano ricordati durante una messa domenicale di mattina … ora mi unisco a voi nella preghiera e nella speranza dio poterci incontrare porgo distinti saluti augurandovi ogni Bene

        Vostro affezionatissimo  Sergi Pasquale

Nota
Purtroppo non sono riuscito ad identificare il soprannome della gnura Maria detta a ...

venerdì 19 settembre 2014

James - She's a star




Una donna di Calabria vale quanto l'uomo d'ogni altro paese: i fianchi vigorosi, gli occhi arditi, i polsi robusti, le gote floride, la ricca capigliatura, e l'accento minaccioso la dicono nata nel paese dei terremoti e dei vini forti. Vive sulle montagne? gonna di colore vermiglio, come i gruppi dei lampi che saltellano per le montagne. Vive presso il mare? gonna azzurra come gli olivi, sotto cui mena la vita. Maneggia la conocchia ed il fucile, la spola e la scure, ed il suo sguardo è infallibile come il suo fucile. Ti fissa sopra lo sguardo? Ti raddoppia la vita. Ti fissa sopra il fucile? Te la toglie. Nondimeno, la donna fu considerata ovunque come un essere decaduto, e tale si stima pure in Calabria. Il pastore che caglia il latte, deve avvolgere il presame in un pezzo di tela appartenente ad uomo e non a donna; altrimenti è sicuro che il latte non cagli. La parte inferiore della camicia della donna si dice musto: coi fili di questo musto se si fa un lucignolo per la lucerna, il lucignolo non arderà. Ma se la donna è zitella, l'opinione sul conto suo e tutt'altra. Il tocco delle dita di lei si crede portentoso, profetica la parola, ispirato lo sguardo. La zitella fabbrica il pane? Esso le cresce nelle mani, ed anche senza lievito riuscirà gonfio, alluminato e spugnoso più del pane fermentato. La famiglia compra un bicchiere, una bottiglia, un orciuolo? Perché acquistino buono odore, la prima a porvi su le labbra deve essere la zitella. Vanno le donne a raccorre i covoni e spigolare? Se nel campo vi è uno stelo a doppia spiga, colei che lo trova è certamente zitella. Avete un'infiammazione negli occhi? L'unico farmaco che può guarirvi è la saliva della zitella. Ella riceve il più delicato rispetto nella famiglia, e la donna più corrotta e l'uomo più dissoluto non osano in Calabria profferire una parola meno che onesta innanzi a lei. Quanto son belli e poetici i seguenti proverbii, e quant'altezza di sentire manifestano in Calabria! La zitella e` Santa come un altare. L'uomo che gitta un cattivo pensiero nell'anima di una zitella è simile al Demonio che versò il male nel paradiso terrestre. Tre sole cose hanno fragranza in questo mondo, il fiato del fanciullo, della zitella e del vitellino lattante.
Vincenzo Padula, Persone in Calabria


giovedì 18 settembre 2014

Sole rosso ( reg. Terence Young - 1971)









Foto shootate a margine di una visita lampo in Platì, subito dopo ferragosto, mercé Francesco, Michele e Pasquale. Il sole cocente, l’amicizia fresca come l’acqua dei Cromatì.
Le prime sono particolari della villa appartenuta a Vincenzo “Istorosofia” Papalia in contrada Lacchi.

Il prospetto con un particolare,, se non ricordo male, è del palazzo che fu della famiglia di Ferdinando Mittiga, partigiano, gli amici citati sopra mi correggano, ma non vi sorga l’idea che sono filoborbonico. Le altre, particolari del portone della casa che fu di Gino Zappia, che come potete vedere ha compiuto i cento anni.

mercoledì 17 settembre 2014

Settembre (reg. Woody Allen - 1987)

ancora da Maria
Settembre

Allora a settembre era ancora estate ed era bello la mattina restare ancora nel letto nel dormiveglia dolce sapendo che l’inizio della scuola era ancora lontano e nell’attesa che la mamma, la mattina del dodici, sarebbe entrata in punta di piedi per darmi un bacio e poggiare sul comodino un mazzolino di fiori di erba cipollina, di gerani e di piccoli bocca di leone , era un rito ed una certezza come il bacio che ci dava per la buonanotte facendo il gesto di mettere qualcosa sotto il cuscino: un dono immaginario che ci accompagnava per la notte.
Settembre: due feste, il compleanno della nonna  e l’onomastico della nonna e mio, due feste Mariane che ricordo sempre come le feste della casa che mai nessuno dimenticava.
Nel solaio si preparava per le prossime stagioni, i fichidindia erano allineati colorati e profumati con accanto le sorbe sode come piccole mele e le pere dure e marroni che avremmo mangiato, maturate, in inverno, il tutto creava un profumo intenso ed equilibrato.
Settembre col suo sole dolce ci accompagnava verso un nuovo anno di scuola ,un nuovo futuro che non ci faceva paura.

Nella foto La nonna Mariuzza col nonno Rosario


martedì 16 settembre 2014

Il colosso d'argilla (reg. Mark Robson . 1956)

I colossali proprietari di Platì

Cavaliere Ufficiale Sindaco Francesco Oliva fu Arcangelo
Michelino Oliva fu Stefano
Luigi Oliva fu Giuseppe
Fortunato Furore fu Giosofatto
I primi due con cinquecento mila ducati di proprietà
Gli ultimi con cento mila ducati di proprietà


Come riportato dal dottor Vincenzo Papali Medico Chirurgo, nella sua Istorosofia di lividure eteroclite del 1896

lunedì 15 settembre 2014

Dottore nei guai (reg. Ralph Thomas - 1963)


Viaggio al termine di Plati

Il migliore dei modi per riprendere il lavoro, dopo la consueta pausa estiriflessiva, è rendendo omaggio ancora una volta all’unico scrittore nato e vissuto in terra di Platì: Vincenzo Papalia, autore di Istorosofia di lividure eteroclite per Vicenzo Papalia   Medico Chirurgo   Platì 1896. Un lettore comune lo può a ben diritto bollare come libello, tale lo definì il suo autore; ma per quei quattro che l’hanno letto è ben altro.
In mancanza di un affidabile critico letterario che scandagli a fondo il suo contenuto come la sua scrittura si tenta qui di riportare delle impressioni, assolutamente di parte, a seguito di un attenta rilettura.

La scoperta del libro risale all’epoca del mio ritorno da profugo a Platì. Erano i giorni in cui andavo alla ricerca del passato ma soprattutto della casa dei nonni materni che mi aveva visto gattonare dapprima, quindi sbattere, nella corsa, nel saio nerissimo dello zio Ciccillo. Passavo dalla parte bassa, dove erano riposti oggetti e mobili non più in uso, la cui gloria passata nessun Napoleone o statista odierno eguaglierà mai, allo studio dello zio Ernesto con la sua libreria in ciliegio che era appartenuta all’arciprete don Filippo Gliozzi, il quale la lasciò nel testamento al nonno di mia mamma: Francesco Gliozzi garibaldino. Oltre i libri antichi appartenuti al citato don Filippo vi erano anche le raccolte di don Ernesto Gliozzi senior, fratello del nonno Luigi ed arciprete in Casignana, che come ormai sapete fu poeta e scrittore anche lui. Apparteneva a lui la istorosofia papaliana che lì era custodita e dimenticata, la quale ritornando alla luce ebbe bisogno della solerte mano del rilegatore messinese.
Come è riportato sulla copertina del libro Vincenzo Paplia fu un medico chirurgo che prestò la sua opera dapprima in zone  anche molto distanti da Platì per poi farvi ritorno e li restarvi. In anni alterni, causa l’avvicendarsi delle personalità che assumevano l’incarico di sindaco, egli fu medico condotto,  ufficiale sanitario del paese e giudice conciliatore del Comune. A cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento fu il medico della famiglia Gliozzi e redasse anche il certificato per la domanda di pensione del mio bisnonno garibaldino.
L’occasione per scrivere il libro, stampato poi a sue spese a Gerace, fu un episodio che dire lo sconvolse è poco: fu accusato dai parenti di una sua serva di averla percossa causandone la morte. Un novizio nonché sollecito medico, avversario-concorrente per le cariche pubbliche che ricopriva il dottor Papalia, redasse un certificato poco felice che servì ai parenti della donna per muovergli contro una causa penale. Fortunatamente l’autopsia sul corpo della morta portò alla luce il vero motivo del decesso scagionando il medico definitivamente.
La causa del trapasso della serva, già avanti con l’età, il dottor Papalia l’aveva diagnosticata alla stessa sei anni prima, al momento della di lei assunzione, dovendo la moglie del dottore partorire da lì a poco: “ osservata da me, l’ammalata offriva all’esame clinico un riacutizzamento di bronchite cronica, ed un vizio cardiaco, valvolare, in insufficienza della mitrale “. Le lividure diagnosticate dal medico concorrente-compiacente non erano altro che peggioramenti a livello superficiale dovute alle “ alterazioni organiche del cuore per la stasi “.
Quello che a noi oggi interessa dopo circa centoquindici anni e la scomparsa dei protagonisti della vicenda è la consistenza letteraria dell’autore e del libro. Nel avvicendarsi della narrazione, o se volete esposizione dei fatti, Vincenzo Paplia ci rivela di possedere una cultura classica e moderna da enciclopedista, insospettabile oggi per un uomo che proveniva da un paese se non arretrato, distante dai centri culturali del reggino. La sua formazione letteraria certamente fu dovuta principalmente alla frequenza dell’università di Napoli e successivamente con gli incarichi in diversi centri tra cui L’Aquila e la provincia di Reggio Calabria. Ritornato a Platì ebbe modo di frequentare quei pochi letterati che lì si trovavano, tra cui citiamo, rivelatoci dal libro in questione, un altro medico, Domenico Zappia autore di un’opera colossale intitolata L’Eden, andata perduta.
Ne viene fuori di Vincenzo Papalia una figura controversa. Mosso da una passione indignata con la sua esplorazione tenebrosa e scettica della natura umana e delle sue cagionevolezze quotidiane ci appare un rigoroso moralista e qui egli si accomuna ad un altro medico-scrittore che verrà dopo, molto più famoso, Luis-Ferdinand Céline. Discostandosi, altresì, dalla narrativa calabrese dell’epoca come da quella futura, egli non ha nulla degli ardori esistenziali che soggiogheranno Corrado Alvaro, il quale muoveva i primi passi negli anni che videro la pubblicazione della Istorosofia. Quella che può sembrare una discesa negli inferi oppure  un’invettiva personale contro un’intera comunità è un’indagine sulle condizioni di un intero popolo vessato da poche  famiglie nelle posizioni di comando.
A questo punto ci rammarichiamo del fatto che l’avversario non abbia risposto con una pubblicazione  anch’egli, forse intimorito dall’avviso di Vincenzo Papalia: “ Ma se a voi verrà il desiderio di rispondere, ed una risposta avrò avuto intorno  quanto v’ho detto e vi dirò in appresso, io mi sentirò obbligato a raccoglierli tutti, tutti sostenuti da documenti di fatto, e stampare per essi, un libro di mole più grande di quello presente a cui ne seguirà un terzo, un quarto, un quinto, e via discorrendo ogni qual volta continueranno e vostre risposte “. Ma sappiamo, per averlo divulgato il dottor Papalia con la sua Istorosofia, che l’avversario in questione era restio ai duelli, con qualsiasi arma offensiva come con … pennino e calamaio.