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lunedì 2 maggio 2011

Tell me that it isn't true - Bob Dylan


 I nostri corpi sono diventati marginali; stanno diventando sempre più inutili come le nostre terre "marginali" perché ne facciamo sempre meno uso. Dopo i giochi e i frivoli pavoneggiamenti della moderna giovinezza, li usiamo soltanto come scatole per trasportare avanti e indietro dal lavoro i nostri cervelli e quei pochi muscoli che si usano.
Quanto ai nostri spiriti sembra che traggano sempre più conforto nel comprare le cose. Non più immersi nell'elevato dramma del dolore e della gioia, si alimentano di piccole emozioni, di avidità, scandalo e violenza.
Il Corpo e la Terra, Wendell Berry

3 commenti:

  1. L’animale
    Dovrei passare al football, ma forse una puntata di precisazione sul senso di quello che stiamo facendo non guasta. Provo.
    Dice: il mondo frana e quello si occupa di calcio, e di vino. Esatto. È come quando il massaggiatore ti tocca un dito del piede e ti chiede Fa male? A te fa male e quindi rispondi Sì, e pensi che ti sei rotto il dito. Problemi ai reni, dice lui.
    Dal vino, ad esempio, si impara un’ipotesi importante: quando percepiamo un’evidente perdita d’anima, lì stanno lavorando, sotto la superficie di un’evidente barbarie, eventi di natura diversa che è possibile riconoscere ad uno ad uno. Io ci ho provato, a riconoscerli: commercializzazione spinta, linguaggio moderno, adesione al modello americano, scelta della spettacolarità, innovazione tecnologica, scontro fra potere vecchio e nuovo. Facile pensare che si possa fare di meglio, ma adesso aprite bene le orecchie. Il punto è questo: noi, in genere, non abbiamo voglia di fare di meglio. Di solito, quando sentiamo puzza di barbari, tendiamo a collegarla con uno, al massimo due, di quegli eventi: scegliamo quello che più ci infastidisce, o quello più evidente, e ne facciamo il nostro bersaglio. (Quel vino è troppo semplice, il calcio è schiavo dei soldi, i giovani ascoltano solo musica facile e spettacolare.) Bè: c’è qualcosa, in questo atteggiamento, che ci terrà sempre lontani da una comprensione vera. In realtà è probabile che nessuno di quegli eventi sia isolabile dagli altri, né giudicabile in sé, né tanto meno condannabile. Sarebbe come cercare di capire il movimento di un animale studiando solo le zampe anteriori, o la coda. È ovvio che, una volta isolato, qualsiasi movimento del corpo risulta fragile, immotivato, e perfino ridicolo. Ma è il movimento armonico di tutto l’animale, che bisognerebbe essere capaci di vedere. Se c’è una logica, nel movimento dei barbari, è solo leggibile e uno sguardo capace di assemblare i diversi pezzi. Altrimenti è chiacchiera da bar.
    (segue)
    I BARBARI – Alessandro Baricco, saggio sulla mutazione

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  2. Pensate alla musica, alla grande musica. Da Bach a Beethoven si può dire che lavorarono indefessamente a una furba semplificazione del mondo musicale che avevano ricevuto in eredità. Contrassero i suoni, le armonie, le forme. E simultaneamente accelerarono sulla via di una spettacolarità che nessuno, prima, si era mai sognata. Se ascoltate un madrigale di Monteverdi e poi, di seguito, il finale della Quinta di Beethoven, vi appare subito chiaro dove sta il bottegaio, l’incivile, il barbaro. E questo spiega come fosse possibile che, ai tempi, gente avveduta scambiasse Beethoven per un compositore da pubblico bue (…). Eppure, in quella innegabile perdita di ricchezza, in quella volontaria riduzione di possibilità, in quella ritirata strategica geniale, gli uomini trovarono la strettoia attraverso cui arrivare a un mondo nuovo, che tutto sarebbe stato tranne una perdita di anima. (…) O pensate quando, dopo secoli di madonne, deposizioni e annunciazioni, gli artisti iniziarono a dipingere scene di vita quotidiana: uno che legge una lettera, un mercato, delle oche, cose così: che vertiginoso salto verso il basso. Dalla madonna ai fagiani eppure anche lì, quale immenso flusso di energia, di forza, di anima, se volete, si sprigionò da una mossa così barbara? E quando scegliemmo l’automobile al posto dei cavalli? A stretto rigore di logica, chi ce l’ha fatto fare di abbandonare un mezzo di locomozione che si ricaricava mentre tu dormivi, provocava scarichi che concimavano la terra, quando fischiavi correva da te e, meraviglia!, quando era vecchio provvedeva da sé a generare un modello nuovo, senza significative spese aggiuntive. (D’accordo questo esempio è un po’ stiracchiato, ma gli altri due no, quelli valgono.)
    Erano mosse apparentemente suicide. Ma erano il movimento di una zampa, o la flessione della schiena, o l’angolo di uno sguardo: intorno c’era l’animale, e aveva un piano, ed era l’animale, l’unico, che sarebbe sopravvissuto. Magari mi sbaglio, ma secondo me bisogna guardare l’animale, tutto, e in movimento. Allora qualcosa si potrà capire. Bisogna concedere ai barbari la chance di essere un animale, con una sua compiutezza e un suo senso, e non pezzi del nostro corpo colpiti da una malattia. Bisogna fare lo sforzo di supporre, alle loro spalle, una logica non suicida, un movimento lucido, e un vero sogno. E questa è la ragione per cui non basta deprecare la pinna (effettivamente inutile in un quadrupede), ma è necessario capire che essa forma un’unità organica con le branchie, le squame, quel modo di respirare, quel modo di vivere. Il braccio che è diventato pinna, forse non è un cancro, ma l’inizio di un pesce.

    I BARBARI – Alessandro Baricco, saggio sulla mutazione

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  3. Non mi era sfuggito questo libro di Baricco sul tavolo, di fronte al divano, di fronte alla televisione sotto il fantasy di Jacopo. Lui è un mago, una specie di re Mida trasforma in oro ogni suo pensiero e come lettore davanti a lui mi sento un nulla.

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