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venerdì 6 maggio 2011

No Compassion - Talking Heads


Se avessi l'anima in pace e fossero troncati per sempre tutti i miei legami col mondo, potrei meglio sentire la pace che traspira e trasuda dalla terra, ma l'anima mia sebbene entra in colloquio con essa non sente la quiete ma una faticosa vicenda di moti che vanno e vengono.
Antonio Fogazzaro, op. cit.

Le foto sono di Maugeri

1 commento:

  1. Esperienza
    (…)
    Sarà banale, ma spesso i bambini insegnano. Io penso di esser cresciuto nella costante intimità con uno scenario preciso:la noia. Non ero più sfigato di altri, era per tutti così. La noia era una componente naturale del tempo che passava. Era un habitat, previsto e apprezzato. Benjamin, ancora lui: la noia è l’uccello incantato che cova l’uovo dell’esperienza. Bello. E il mondo in cui siamo cresciuto la pensava proprio così. Adesso prendete un bambino di oggi e cercate la noia, nella sua vita. Misurate la velocità con cui la sensazione di noia scatta in lui, appena gli rallentate intorno il mondo. E soprattutto: capite quanto gli sia estranea l’ipotesi che la noia covi qualcosa di diverso da una perdita di senso, di intensità. Una rinuncia all’esperienza. Lo vedete il mutante in erba? Il pesciolino con le branchie? Nel suo piccolo è già come la bicicletta: se rallenta, cade. Ha bisogno di un movimento costante per avere l’impressione di fare esperienza. Nel modo più chiaro ve lo farà capire appena sarà in grado di esibirsi nel più spettacolare surfing inventato dalle nuove generazioni: il multiasking. Sapete cos’è? Il nome gliel’hanno dato gli americani: nella sua accezione più ampia definisce il fenomeno per cui vostro figlio, giocando al Game Boy, mangia la frittata, telefona alla nonna, segue un cartone alla televisione, accarezza il cane con un piede, e fischietta il motivetto di Vodafone. Qualche anno e si trasformerà in questo: fa i compiti mentre chatta al computer, sente l’iPod, manda sms, cerca in Google l’indirizzo di una pizzeria e palleggia con una palletta di gomma. Le università americane sono piene di studiosi che stanno cercando di capire se sono dei geni o dei fessi che si stanno bruciando il cervello. Non sono ancora arrivati a una risposta precisa. Più semplicemente voi direte: è una nevrosi. Può darsi, ma le degenerazioni di un principio svelano molto di quel principio: il multiasking incarna molto bene una certa idea, nascente, di esperienza. Suona male, ma cercate di capire: non è un modo di svuotare tanti gesti che sarebbero importanti: è un modo di farne uno solo, molto importante. Per quanto possa sembrare clamoroso, non hanno l’istinto a isolare ciascuno di quei gesti per compierlo con più attenzione e in modo da cavarci il meglio. È un istinto che è loro estraneo. Dove ci sono gesti, vedono possibili sistemi passanti per costruire costellazioni di senso: e quindi esperienza. Pesci, se capite cosa voglio dire.
    C’è un nome per un simile modo di stare al mondo? Giusto una parola da usare per capirsi? Non so. I nomi li danno i filosofi, non quelli che scrivono libri sui giornali. Per cui non ci provo neppure. Ma vorrei che, da questa pagina in poi, almeno tra noi ci capissimo: qualsiasi cosa percepiamo della mutazione in atto, dell’invasione barbarica, occorrerà guardarla dall’esatto punto in cui siamo adesso: e comprenderla come una conseguenza delle trasformazione profonda che ha dettato una nuova idea di esperienza. Una nuova localizzazione del senso. Una nuova forma del percepire. Una nuova tecnica di sopravvivenza. Non vorrei esagerare, ma certo mi verrebbe da dire: una nuova civiltà.
    I BARBARI – Alessandro Baricco- Saggio sulla mutazione, 2006, Fandango Libri

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