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giovedì 30 maggio 2019

Winning [di Jacqueline Joseph 2016]


Terza edizione del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi"
Platì 31 maggio 2019
presso 
l'istituto comprensivo "E. De Amicis"

mercoledì 29 maggio 2019

Fatti corsari - Varapodio addio



-Laria Rocco (16.8.1879/28) di Domenico e di Galloni Francesca, da S. Cristina.
-Sisinni Girolama (16.1.1880/4) da Messignadi - vedova di Mittiga Saverio.
-Reale Domenico (Mo.31.3.1880/14) da Delianuova.
-Tripepe Giuseppe (19.9.1880/56) di Domenico e di Eugenia...
-Oliva d. Girolamo (28.10.1880/60) di d. Giuseppe e di d. Teresa Barletta, sacerdote.
-Mittiga d. Carolina (19.11.1880/62) di d. Ferdinando e di d. Giulia Leuzzi- ved. di d. Francesco Gliozzi.
Oliva d. Stefano (26.12.1880/72) di d. Arcangelo e di d. Rosa Romeo, marito di d. Vittoria Spagnolo, medico (doctor phisicus).
-Pangallo mf Francesca (Mo.1.1.1881/1) di Giuseppe e Lentini Maria.
-Mittiga mf Teresa (Mo.24.1.1881/5) di Dom. e Morabito Angela- uxor Portolesi M.
-Puzzo Giuseppe (Mo.29.4.1881/23) di Pasq. -v. Carbone Anna
-Morabito d. Rachele (Mo.25.5.1881/30) di d. Franc. e d. Rosa Oliva- marito Lentini Raffaele.
-Spagnolo d. Maria Vittoria (Mo.2.7.1881/37) di d. Gius. e d. Rosaria Sculli, da Bovalino, ved. del dott. fisico Stefano Oliva.
-Garreffa Francesca (Mo.17.8.1881/43) di Franc. uxor d. Giuseppe Gliozzi.
-Oliva d. Luigi (Mo.21.10.1881/53) di d. Mich. e d. Gaetana Empoli.
-Rinaldo Giuseppe (Mo.23.12.1881/71) di Dom.  v. Spagnolo Rachele
-Pillingò Domenico (Mo.28.3.1882/13) di Vincenzo da Varapodio e di d. Domenica Zappia - era venuto qui per vedere la suocera d. Domenica Zappia, ved. del mf Giuseppe Zappia, morì improvv. all' entrare in casa. Era nato il 1858.
-Caruso Elisabetta (Mo.12.5.1882/27) di Nicola, da Ciminà - ved. Romeo Gius.
-Zappia d. Carmela(Mo.25.8.1882/49) di d. Rosar. e Lenzi Rosa ved. Mittiga G.
-Morabito mf Giuseppa (Mo.1.12.1882/65) di Dom. Ant. e di Mittiga Teresa, ux. mf Carlo Zappia.

Nota. Molti nomi sono già apparsi su questo elenco come su queste pagine. Vi faccio notare che d. vale don o donna, intesi come appellativi onorifici. Di rilievo sono i luoghi, aspromontani, di origine di molti, il cui collegamento oggi è interrotto a causa dell'incuria dello Stato Sovrano. Il doctor phisicus D. Stefano Oliva era fratello di Filippo sposo della napoletana contessina Luisa Ricciardi. Il registro è quello dei morti Vol. V°. Il lavoro è per Ernesto Gliozzi il giovane.

lunedì 27 maggio 2019

Blood Story [di Amasi Damiani,1972]



Riganò Giuseppe fu Antonio e Mittiga Carolina, di anni 20, sposò il 17/08/1973 Cinneri Grazia fu Giuseppe e Marando Francesca di Rosario

Zappia Pasquale fu Filippo e Virgara Elisabetta sposò Riganò Maria fu Antonio e Mittiga Carolina il 21/04/ 1875

Riganò Antonio e Mittiga Carolina ebbero anche Giuseppa che sposò Marando Rosario da cui nacque anche Giuseppa da loro nacque Francesca sposa di Cinneri Giuseppe da cui nacque Grazia

Zappia Pasquale (su pascali) e Virgara Elisabetta ebbero Antonio che sposò Gliozzi Serafina (zia Serafina)

Mittiga Francesco di Rocco e Buccafurni Rosa, di anni 25 sposò Riganò Rachele fu Antonio e Mittiga Carolina di anni 20… da questi nacquero tra gli altri Antonino, Rosario, Angela e Carolina.
Angela andò sposa di Lentini Giuseppe da cui nacque Ciccina (Francesca) sposa di Peppino, muttuiu, Caruso.
Antonino andò sposo di Creazzo Francesca da cui nacquero Francesco, Rosario e Antonino che nacque dopo la sua prematura morte violenta.
Carolina rimase nubile.
Rosario sposò Trimboli Maria e nacquero: Francesco, Giuseppe, Rachele, Rosa e Giuseppina ...

e quindi 
Pino, Angelina, Saro, Gaetano, Lia, Saro, Maria, Gino e Gianni.

Nota. Questa genealogia a me sconosciuta la compilò lo zio Ernesto il giovane, prima di scoprirla  avevo noto solo il mio sangue Riganò. La polaroid è una delle poche immagini in cui appare la zia Angeluzza - la prima alla vostra destra - assieme alla nonna Lisa e alle sue spalle la zia Amalia, lo zio Pepé e lo zio Ciccillo. Sulla zia Serafina e di suo marito Antonio Zappia ho scritto qualche post addietro.

domenica 26 maggio 2019

Strade di fuoco [di Walter Hill,1984]

La mafia è un problema, non il problema del Mezzogiorno. Un partito che riduce la realtà alla sola questione criminale commette un doppio errore. Un errore di analisi, e un errore politico”. Francesco Renda

That’s the press, baby, the press. And there is nothing you can do. Nothing”. Humphrey Bogart in L'ultima minaccia (Deadline - U.S.A.),1958 di Richard Brooks


Paese feudo della 'ndrangheta
A Platì, dove chi non è con la mafia è un «morto vivo»
Efferati omicidi, ma la paura cuce le bocche - Greggi «sgarrettate»

Dal nostro inviato

PLATÌ (RC) — Mentre cammini sulla strada che appena fuori il paese porta all'Aspromonte, all'improvviso ti accorgi che non sei più solo. Ti seguono. Da vicino, con le macchine nuove e luccicanti e i vestiti buoni della domenica, i gregari ed i capi mafiosi sorvegliano «l'estraneo». Qui niente sfugge, tutto deve essere «sotto controllo», magari con spavalderia e arroganza.
Platì, quattromila abitanti, è un paese arroccato sulle prime falde dell'Aspromonte. Ci si arriva lasciando la statale Ionica 106 all'altezza di Bovalino, per la strada che costeggi il torrente Bonamico. Oltre la montagna c'è già la Piana di Gioia Tauro. È la Calabria più interna e chiusa, dove la miseria e la povertà ricordano veramente altri tempi, quelli descritti da Corrado Alvaro che non a cosa era nato da queste parti, a San Luca.
Chi non è con la mafia è praticamente un morto vivo, non campa più, non esce più di casa e, se lo fa, diventa un morto effettivo. Tutto passa per le mani della 'ndrangheta. Alle sei di sera, quando il sole scompare oltre le montagne, Platì diventa praticamente un deserto
Per le strade del piccolo centro, in alto, verso la chiesa, o giù dove c'è la scuola elementare, non circola più anima viva. Una decina di giorni fa hanno ucciso un vigile urbano, un ragazzo di trenta anni, padre di tre bambini, si dice, perché aveva fatto un torto ad una famiglia mafiosa.
Da pochi giorni il sindaco di Platì è stato sostituito: hanno chiamato un altro democristiano perché il precedente, anche lui della DC, era stato condannato ad un anno e mezzo di carcere per favoreggiamento
In un processo per duplice omicidio conclusosi con tre ergastoli.
Domenico De Maio – questo il nome del sindaco sospeso — aveva appoggiato la tesi difensiva di tre noti mafiosi del paese accusati di un tremendo fatto di sangue avvenuto a luglio di due anni fa. Un brigadiere di Pubblica sicurezza e suo nipote erano stati barbaramente trucidati da un commando mafioso solo per il fatto dì avere leggermente investito una autovettura. Nel processo — tenutosi due settimane fa a Locri — si è accertato che i tre mafiosi hanno fatto inginocchiare il brigadiere e suo nipote e poi — con la pistola del poliziotto — hanno fatto fuoco senza pietà, a bruciapelo.
Un episodio efferato, emblematico, in un ambiente — così lo ha definito il PM a quel processo, il dottor Carlo Macrì - intriso di spavalderia e dì barbarie».
Un paese, Platì, dove la mafia è ormai tutt’uno col potere pubblico, al punto che qui non si fa mistero sui reali «personaggi» che stanno dietro il sindaco e il Comune che comandano i «burattini». Del resto, non più tardi di due mesi fa, Platì fu teatro di una clamorosa protesta di cinquanta donne, mogli o parenti di altrettanti presunti mafiosi, che occuparono il Municipio e quindi, con alla testa il sindaco ed il deputato democristiano Ludovico Ligato (800 voti di preferenze nel paese), protestarono dal prefetto per l'arresto dei loro congiunti accusati di associazione a delinquere e di molti altri reati.
Impunità, spavalderia, arroganza e oppressione fanno dunque tutt'uno, combinando alla perfezione vecchi ritualismi della «onorata società» e nuovi interessi dei mafiosi imprenditori. Qui infatti la 'ndrangheta è cresciuta in fretta, ha subito conquistato un ruolo «autonomo» rispetto alle cosche più importanti del Reggino, ora in prima fila nei sequestri di persona — in Calabria o in Lombardia — e tira le fila di un avviato traffico di droga con l'Australia.
Attraverso i gregari mafiosi passa tutto; finanche la pastorizia, l'unica misera risorsa che offre un territorio avaro di tutto fuorché di disastrose alluvioni, è in mano loro. Raccontano di intere greggi messe su senza i consensi «dovuti»: gli animali sono stati ritrovati dopo pochi giorni «sgarrettati», con le zampe tagliate. Attraverso il Consorzio di bonifica passano le assunzioni come guardiani e come capi squadra nella Forestale, l'ufficio di collocamento è praticamente legge privata.
A Platì l'antica miseria non è stata cancellata. I «nuovi ricchi» dell'accumulazione mafiosa hanno preferito il trasferimento a valle, nel centri della vicina costa ionica, a Bovalino, a Bianco, dove in fretta sono divenuti imprenditori di prim'ordine, proprietari di terre, di appartamenti, di palazzi interi. Nel paese, dove l'emigrazione (dal '51 a oggi ci sono cinquemila abitanti in meno) ha lacerato nel profondo il tessuto umano e sociale, sono rimasti in pochi. Le pensioni e l'assistenza rappresentano l'unica entrata «pulita». Per chi tenta di infrangere questo muro di violenza e di sopraffazione c'è la risposta più decisa: intimidazione e bombe. O, come è successo alla sezione comunista tre anni fa, colpi di pistola sparati ad altezza d'uomo. E del resto, dicono i più decisi, se non ci fosse questa paura e questa sopraffazione, «loro» non sarebbero niente.
La risposta dello Stato democratico nel microcosmo di Platì, dove la convivenza civile è, come si è visto, ormai inesistente, è racchiusa in poche raggelanti cifre: tre carabinieri in tutto, di cui due in servizio di leva, e un brigadiere; neanche un pretore. Ogni commento è veramente superfluo.
Filippo Veltri
l’UNITA’, Domenica 21 febbraio 1982

NOTA. L’epigrafe in apertura, già riportata come citazione, basta da sola a rispondere all'articolista di un giornale voce di un partito su cui si riponevano le speranze di numerosi suoi lettori/elettori molti dei quali platiesi che per diverse legislature lo sostennero. La visione è unitaria con gli altri fogli nazionali. L’astuto giornalista avanza addirittura sospetti sull’integrità morale di Corrado Alvaro “che non a cosa era nato da queste parti”. A Platì, lo ricordo, misero piede solamente Alcide De Gasperi nel 1952 e più recentemente un ministro di social fam(e)a. Del partito leader d’opposizione non si vide mai nessuno eccetto l’on Francesco Catanzariti e Michele Crea.

mercoledì 22 maggio 2019

María llena eres de gracia [di Joshua Marston, 2004]




SURSUM CORDA

Ecco il bel mese dei fiori, il soave e tiepido Maggio. Ritornata è con esso la giovinezza nei cuori, negli occhi si riflette il fior de la speranza, ne le menti risuonano i cantici sublimi de la felicità e de la gioia.
Dai prati smaltati di variopinti fiori, da le valli echeggianti per mille gorgheggi, da l'alture, donde scendono rumoreggianti le acque, - come festante allodola – s’eleva giuliva la nota di plauso, la strofa alata e profumata al Maria.
A questo coro festivo di palpiti e di preghiere s'unisca la nostra voce o fratelli. D'intorno a noi ferve minacciosa la lotta; il campo sociale è invaso dai combattenti; molte bandiere s’agitano svolazzanti al vento. Anche noi abbiamo la nostra da difendere coraggiosamente: - E’ l’insegna papale – Siamo giovani; il sangue ci scorre, forte ne le vene, e l'alto dovere c' incombe di pugnare e vincere ne le feconde lotte de la vita. Spetta a noi - speranza e riscossa de la bianca bandiera - scendere tra le masse ammutinate e spezzare il pane del Vangelo, la parola novella de la Santa Democrazia Cristiana. Avanti, dunque, o fratelli a la riscossa: «chi non pugnò non vinse».
Lassù, in alto, cinta di stelle, folgorante di luce, sta il nostro Ideale: Maria. A Lei il nostri canti in questo mese, i nostri palpiti, le nostre aspirazioni. Ella possiede una forza magnetica che ci attrae; ci attira con la bellezza de le sue forme, ci chiama con la bontà de la sua virtù, con la potenza dinamica de la sua grandezza. Andiamo a Lei. Maria ci porgerà un'arma potente per vincere ne le battaglie vitali, ci darà la chiave prodigiosa per risolvere la grande ed intricata quistione sociale; e questa chiave è l'Amore. – E qual potenza mai se non l’amore ispirato da Lei, potrà disarmare il braccio de l'affamato ed illuso operaio che conculcato ne la miseria e nel fango – si leva minaccioso per vendicare i suoi dritti? Chi potrà mai far comprendere a quel vampiro de l'usuraio che è fratello de l’abbattuto e conculcato nel fango? Eh! via, disinganniamoci, non c'è via di mezzo: o nel campo sociale torreggi Maria, o la lotta sarà aspra, sanguinosa, terribile: scegliete. Fratelli, io ivi esorto con tutte le potenze de l'anima, andiamo e Maria.
Noi abbiamo bisogno d'amor vero, santo, immacolato vien da l’alto. Un deserto sconfinato ci circonda: è il tetro egoismo regnante; l'oceano rumoreggiante d'intorno è l’accanita lotta per l'esistenza; il cielo nuvoloso senza  luna e senza stelle che ci copre è la cecità de l’anima nostra, fratelli.  
Ma, tra gli strappi di nuvole un lembo azzurro di cielo ci sorride su l’oceano lontano, brilla da lassù: è la Stella del Mare in alto i cuori! …
A lei drizziamo la vela de la nostra nave; verso quel lembo azzurro di cielo spingiamoci arditi. Maria da l'alto ci sorriderà, amorevole, ci stenderà la mano, c'ìnfonderà la forza, la fede, l’amore e vinceremo: Sursum Corda.
E. GLIOZZI-FERA
LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 18  MATERA 3 MAGGIO 1903

NOTA - Tra il film citato e l’articolo di Ernesto Gliozzi il vecchio – nelle pubblicazioni giovanili Gliozzi-Fera –sono scivolati via cento anni. La realtà in cui il film ci addentra è delle più tremende, di seguito il coltello nella piaga lo affonderanno Clint Eatwood con The Mule e più recentemente Steven Craig Zahler con Dragged Across Concrete; cosa aggiungere quando nel testo in questione si arriva a “Un deserto sconfinato ci circonda: è il tetro egoismo regnante; l'oceano rumoreggiante d'intorno è l’accanita lotta per l'esistenza; il cielo nuvoloso senza luna e senza stelle che ci copre è la cecità de l’anima nostra, fratelli” … chi non pugnò non vinseDa difendere non è più l’insegna papale o la parola novella de la Santa Democrazia Cristiana. Ma, tra gli strappi di nuvole un lembo azzurro di cielo ci sorride … Tra voi chi ricorda un maggio come quello corrente?


lunedì 20 maggio 2019

Capriccio passeggero [di Yasujirō Ozu, 1933]



Da Gallico si fa prima

Sambatello è un grappolo
di strade, la riserva animale
di un secolo.
                   Rosa l'esemplare
più raro vive nella casa
della chiesa. A terra tiene
saletta da ballo a nuovo
e teatrino parrocchiali, mentre
l'edera del giardino è sul terrazzo,
si contano le fila trai muri
scalcinati.
                         Dimmi Rosa se sei
sopravvissuta agli antenati
tuoi gli:
non c'è a morire
per prima nessuna metafora.

(Ottavio, Mema e Zio Arciprete)

Conosco dalle foto a Sambatello
un loro sembiante
(e i nomi ripetuti da mia madre).
Rosa invece si guarda allo specchio
specchiandosi li forma la polvere.

DEMETRIO MARRA

Quello che avete letto lo devo a Nina (A.) Balena che si è ricordata, leggendole, di quanto vado facendo. L'autore, reggino, è forse il livello più alto delle calabre arti, come pure l'autore della foto in apertura, Enzo Penna. Leggere e vedere non vi costa tempo e per una volta tanto vado fuori strada. Forse! L'unico a cui è lecito accostarsi in questi casi è il maestro giapponese.
Gli originali li trovate qui:

e qui Demetrio Marra conversa con Enzo Penna:
https://inchiostro.unipv.it/2017/09/27/intervista-enzo-penna-fotografo/

domenica 19 maggio 2019

L'ombra del passato [di Edward Dmytryk, 1944]


Gente, il passato è disordinato.
Si intromette come un parente indesiderato rovesciando vino e sugo al tavolo della cena.
Ma non possiamo crescere come città o popolo senza l'onesta contemplazione del nostro passato disordinato.
Inoltre, le rinominazioni delle strade sono costose e deleterie.
Se nascondiamo tutto, si mette in discussione non tanto che siamo la città a cui importa dimenticare ma più che altro, siamo la città che ha dimenticato.
Con gli occhi spalancati dovremmo veramente ricordare il nostro passato e non creare una versione falsa di esso.
William Faulkner lo ha detto meglio, ha detto, "Il passato non è morto, non è nemmeno passato."

Gente, non sono parole mie, sono rubate al film, niente di che, l’unico per cui vale la pena vederlo è James Caan, di Carol Morley, Out of the Blue del 2018 ma William Faulkner ancora parla, e spara, chiaro! Il titolo d'apertura rimanda a Chandler e il posto dove si trova la foto, rubata, lo trovate citato in precedenza.

giovedì 16 maggio 2019

L'oro di Napoli [di Vittorio De Sica - 1954]



Se l’umanità progredisce, se la libertà anziché soccombere al tutto si fa strada di continuo …” Giuseppe Ricciardi, Memorie

Tutto poteva accadere a questo “outsider – ribelle – romantico – populista – propugnatore di giustizia e libertà – attento alla questione femminile”, Giuseppe Ricciardi, antiborbonico dapprima, repubblicano europeo dopo il 1860, educato dalla madre Luisa Granito dei marchesi di Castellabate, dissidente col padre Francesco, giurista e Ministro di Grazia e Giustizia al tempo di Gioacchino Murat e di Ferdinando I, che dare in sposa la sua diletta primogenita ad un rampollo di una famiglia come gli Oliva di Platì, filo borbonici di razza per dirla con Michele Papalia.
E’ quanto si apprende da questa illuminata tesi di dottorato scritta dalla dottoressa Angela Russo: - Nel desiderio delle tue care nuove” Scritture private e relazioni di genere nell’Ottocento risorgimentale - dell’Università Federico II di Napoli, disponibile anche presso Franco Angeli editore. Lavoro scoperto da Pina e Rosalba a seguito di un colloquio con Tota Oliva.
Ancora inedite allo studio sono le connessioni tra il paese di Platì e la capitale del Regno delle due Sicilie e il capoluogo campano, tra gli anni successivi al 1860 e la Grande Guerra: Napoli.
Varcato il XXI° secolo il paese di Platì sembra ritornato in località Santa Barbara, i segni del progresso, che pure hanno servito per molti, sono ancora ignorati se non sono facili macchine ruba-pensieri. A questo si cerca si sopperire con le periodiche pubblicazioni che scaturiscono dalla sede in cui state ora e che serviranno a chi verrà non si sa quando.
A Luisa Ricciardi il titolo nobiliare le derivava da editto di Gioacchino Murat conferito al nonno Francesco con Decreto Legge nel 1813, con diritto di trasmetterlo alla primogenitura. Essa era nata il 31 dicembre 1840 negli anni che vedevano il padre Giuseppe e la madre Clorinda Not girovagare in esilio tra la Francia e la Svizzera. Così Luisa e la sorella Elisabetta furono allevate con la lingua francese, apprendendo successivamente quella italiana. Luisa era un ”diavolo in carne” come il padre.
A Napoli la vita della famiglia Ricciardi si svolgeva tra la residenza del Vomero e la villa di Posillipo. E’ da quest’ultima (Posilipo) che provenivano a don Filippo Gliozzi le missive con le massime per amministrare i beni di Filippo Oliva e di già pubblicate in queste pagine. C’è da ritenere che l’unione tra Luisa e Filippo, avvenuta il 18 aprile del 1865, fu motivata dalle ristrettezze economiche in cui versavano i Ricciardi a seguito dei continui spostamenti dovuti all’esilio di Giuseppe. Filippo venne a mancare prematuramente nel 1868 lasciando a Luisa i figli nati dalla loro unione: Filippo e Maria. Essa si è poi sposata in seconde nozze con il marchese Salvatore Spiriti di Casabruna, da cui ha avuto altri due figli.
Questa breve storia la sospendiamo qui lasciando ad altri volenterosi il suo sviluppo.
Su Giuseppe Ricciardi e le sue vicende il testo citato ed il web vi potranno aiutare non poco. 

Qui di seguito i temi riguardanti Filippo e Luisa


mercoledì 15 maggio 2019

Fango sulle stelle - riusciremo mai a mettere insieme l’Italia di Platì



Squarci e voragini                                                                               
E soprattutto c’era Badolato, vista proprio il giorno avanti a Platì, Badolato letteralmente squarciata dalle frane, ché il monte che gli sta sotto, già sfaldato nelle sue interne stratificazioni dal secolare lavoro delle erosioni, si aperse sul fianco, facendo una sola vittima per la prudenziale decisione del giovane sindaco Tolotta, il quale ordinò che, sotto la pioggia torrenziale, l’intera popolazione si disperdesse nei campi: e anche di là parlava lo spettacolo di intere contrade in rovina, quasi colpite da un bombardamento, e dove si passa tra mura crollate, su strade piene ogni tratto di  squarci e voragini, girando angoli di case che hanno subito strane torsioni, quasi si fossero girate su se stesse tanto che gira l’amara storiella di quei due vicini che da anni litigavano perché uno aveva abusivamente aperta una finestra sulla proprietà dell’altro, e che ora hanno fatta la pace, perché spostandosi la casa, la finestra ha cambiato direzione. E anche qui dei cinquemila abitanti, millecinquecento sono rimasti senza tetto, e si accatastano sugli altri. In questi giorni l’on. De Gasperi ha appunto inaugurato alla Marina di Badolato i primi ottanta alloggi che permetteranno di metterne a posto quattrocento.
Adesso forse è più facile capire perché quella sera, arrivando sul Corso a Reggio, io avevo avuto l’impressione di piombare in un altro mondo. E da allora questa è la domanda che ancora mi porto dentro “Riusciremo mai a mettere queste case insieme?”, riusciremo mai a mettere insieme l’Italia di Platì e l’Italia delle luci al neon? L’Italia borghese e cosmopolita e l’Italia della fame congenita? E se non riusciamo a metterle insieme, che cosa faremo?
Filippo Sacchi  La Nuova Stampa, 28 marzo 1952

Nota. Mi sembrano del tutto appropriate le domande che si poneva Filippo Sacchi 67 anni addietro con i recenti exploits che hanno coinvolto il paese, ma non i paesani. Forse è svanito pure il vizio della speranza!
La foto deriva da qui:

lunedì 13 maggio 2019

Fango sulle stelle - Le scuole di Platì e i vezzi di Reggio



La Broadway reggina

Ebbene quel giorno io l’avevo proprio vista da vicino, questa fame congenita. L’avevo vista nelle scuole di Platì. Le scuole di Platì! Una casupola di fango, a cui si arriva ciampicando per una viuzza che è tutta una fetida pozzanghera, piena di buche, di detriti e di spurghi. Si sale una scaletta buia, e sopra, nell’unico piano, ci sono le aule, tre stanze soffocanti, che quasi si tocca con la testa, senza vetri alle finestre (erano giorni freddissimi), con i pavimenti divelti, naturalmente senza luce, e già alle tre del pomeriggio quasi non si vedeva. Pigiati a cinque a cinque stavano gli scolaretti nei rozzi e miseri banchi. Era la mostra della denutrizione. La maestrina (eroiche maestre, eroici maestri italiani, sono essi ancora il midollo della Patria) me li chiamava fuori, bimbette e ragazzi, perché vedessi meglio da vicino quei visini patiti, quelle braccine, quei piedini nudi e scarni incrostati di mota. Non mi diceva niente, solo li chiamava fuori ad uno ad uno per nome, così semplicemente come se fosse la presentazione di un campionario, come fanno nella presentazione dei modelli. Era la sfilata della fame congenita.
Ed ecco, dopo poche ore di treno, di colpo mi trovavo sul Corso a Reggio Calabria. Non è il solo corso, quello di Reggio, Cosenza ha il suo, però spoglio e deserto la sera, in accorso al suo carattere segregato e montanaro. E il Corso di Catanzaro, animatissimo da mattina a notte, è ancora il vecchio nobile Corso di andamento serpeggiante e provinciale. Ma il Corso di Reggio è il primo tentativo di arteria moderna di tutta la Calabria. Un solo rettifilo di quattro chilometri, fiancheggiato da vetrine, esso si accende la sera, da cima a fondo, di insegne colorate e di guizzi al neon. In questa settimana poi, Reggio sfoggia più che mai tutti i suoi vezzi, perché si è aperta la Fiera Agrumaria Internazionale, una pera riuscitissima che chiama, sotto gli alberi del suo bel parco, il campionario dorato di tutti gli agrumeti del Mediterraneo. Il contrasto tra lo spettacolo di miseria e segregazione che avevo contemplato a Platì e questa minuscola Broadway reggina, che dispiegava davanti a me tutte le sue innocenti ambizioni e civetterie stracittadine, fu per me, lo confesso, un forte colpo. Era un sentimento misto di tante cose, di tristezza e anche un po’ di sollievo, di sconforto e anche un po’ di coraggio. Ma era soprattutto un senso generale di incredulità. Un po’ come dire: “Riusciremo mai a mettere queste cose insieme!”.
La Calabria è tutta in questo contrasto. Se percorrete la costa da Reggio fino alla vispa e industriosa Crotone, trovate lungo tutta la frangia scaglionate le Marine, piccoli centri venuti su intorno alle stazioni della ferrovia, con quel carattere di costruzioni casuali e frettolose come i baraccamenti nei Paesi pionieri. Poveri e scadenti anch’essi, con piccole case, anch’essi formicolanti di bimbi cenciosi e di asinelli. Però c’è il mare vicino, col suo colore d’Egeo, con i suoi stupendi golfi lunati; qualche volta oltre alla stazione c’è anche un porticciolo; e poi ci sono barche, e pesci nella stagione propizia. Vi si fa il commercio, modesto commercio, però commercio: e dai treni in arrivo sbarcano viaggiatore di Puglia e casse da Milano e da Torino.
Ma appena si lascia la costa, appena dalle Marine si sale verso i grossi paesi che stanno a dieci, magari a venti, qualcuno addirittura (Roccabernarda) a quaranta chilometri dallo scalo, verso queste grosse, vetuste, imponenti borgate e cittadine, che furono quasi tutte delle Acropoli, e quindi sacre alla cultura del mondo, tutte rannicchiate sulla cima di colline sospese: allora, rapidamente cambiamo la scena l’atmosfera. Stupende a vedere di sotto, con la loro grigia fronte di mura, spesso arrotondate da antichi bastioni, esse si presentano, appena salite, angusti e impenetrabili labirinti di miseria e di abbandono. E appunto in questi paesi sfiniti, malfabbricati dall’antico sopra formazioni argillose ed arenose, alcuni dei quali già fortemente provati da terremoti e alluvioni precedenti, che il diluvio dell’ottobre ha fatto scempio. E quella sera sul Corso di Reggio non c’era solo Platì nel mio ricordo, ma tutta quest’altra Calabria che avevo percorso in quei giorni, la sconsolata Calabria dell’interno, la sinistra Melissa, il duro Marchesato, da Santa Severina, bella e remota, alle desolate ondulazioni di Capo Rizzuto. E c’era Africo, completamente demolita anzi ormai inaccessibile, perché non c’è più strada, sì che si discute adesso dove rifabbricarla, perché la popolazione è stata evacuata in massa, e se volete vederne i pietosi brandelli basta che andiate alle porte di Reggio, nel Lazzaretto in quella terribile caserma PS dove gli sfollati di Africo sono confusi sugli sfollati della guerra. E c’erano tutti i paesi che vivono sotto il continuo pericolo di frane, Palizzi, Bisignano, Casignana, e tanti altri, per i quali da sedici, da vent’anni sono pronti elaborati progetti di consolidamento. Costruzioni di muraglioni, di briglie, di opere idrauliche e forestali, progetti di cui non si è fatto nulla, mentre adesso con l’alluvione questi disgraziati paesi hanno veduto aprirsi nuove crepe e spostarsi altre tonnellate di terreno. Un geologo, il professor Ducci, che ha visitato recentemente la Calabria, ha trovato che ci sono dodici paesi che camminano … (continua)
Filippo Sacchi, LA NUOVA STAMPA, 28 marzo 1952