martedì 14 ottobre 2025
La strada della vergogna [ Kenji Mizoguchi, 1956]
Il testo di cronaca non porta firma. Le inadempienze dello Stato sono testimoniate dalle immagini d'apertura: la prima del 1954, la seconda di qualche mese fa. Come di qualche mese fa è il rilancio sul piano economico della "112".
lunedì 18 agosto 2025
La Minaccia [Alain Corneau, 1977]
PER
INFILTRAZIONI D’ACQUAMinacciate
le fondamenta di alcune abitazioni a PiatìIn
via 24 Maggio le cunette di scolo non rispondono allabisogna
per cui si verificano conseguenze molto dannose
Platì, 30 giugno
(M.F.) - A seguito di
segnalazione di molti cittadini Interessati, rendiamo noto che lungo il tratto
della stradale 112 che attraversa Piati e che viene denominato: «Via 24 Maggio»,
si verifica da molto tempo una situazione del tutto contraria alla Pubblica Utilità.
Molte abitazioni situate su detta strada, hanno il piano terreno sotto il
livello della medesima e il primo piano sopra. Le cunette di scolo costruite ai
margini della strada da parte dell'A.N.A.S., cunette cosiddette «alla francese»
sono costruite così male, e servono così male al loro scopo, che nei plani
delle abitazioni che sottostanno al livello stradale, si verificano continue e
dannosissime infiltrazioni d'acqua, che fanno imputridire le travature dei
pavimenti, con conseguenti minacce di crollo dei medesimi.
Più volte i cittadini si sono rivolte
agli organi competenti dell'A.N.A.S. per chiedere la costruzione di canali più
razionali, o la drenatura del fondo stradale in prossimità delle abitazioni, ma
non hanno ottenuto niente di niente.
La cosa è gravissima di per se
stessa; ma diventa ancora più grave se si pensa che per fabbricare queste inutili
e irrazionali cunette «alla francese», sono state demolite le vecchie cunette «all'italiana»,
che anche se non avevano una affascinante denominazione esotica, tuttavia
raggiungevano benissimo lo scopo per le quali erano state costruite.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 1 luglio 1956
In apertura l’ingresso della
nostra CASA in via XXIV maggio n° 25, di seguito un particolare delle cunette
in questione. Demolita la casa, demolite le cunette.La pubblicazione serve anche per ricordare la nascita di papà, 19 agosto 1908.
GAZZETTA DEL SUD, 1 luglio 1956
In apertura l’ingresso della nostra CASA in via XXIV maggio n° 25, di seguito un particolare delle cunette in questione. Demolita la casa, demolite le cunette.
domenica 3 agosto 2025
Salita al Cielo - True Stories about Amalia Gliozzi (1925/2025) #2
Charles Dickens, A Tale of Two Cities, 1859
La zia
Amalia in realtà si chiamava Maria Amalia. Ecco come andò. Maria Amalia Gliozzi
nacque il 7 agosto del 1925, un venerdì. Il nonno Luigi per tempo si fece una
bella pensata e convinto che il nascituro probabilmente sarebbe stato l’ultimo
della sua progenie, allo stato civile ne aveva registrati già sette, tutti con
nomi familiari a lui o alla sua diletta sposa, la nonna Lisa che di cognome
andava Mittiga. Rimaneva ancora la mamma di sua mamma, Maria Amalia. Quest’ultima era figlia di Don
Rosario Zappia e Donna Rosa Lenzi, a diciannove anni sposò il trentaseienne Don
Giuseppe Fera. Con i cognomi citati siamo nel pieno del settecentesco Catasto
Onciario platiese e il Don è d’obbligo. Maria Amalia Gliozzi non ebbe una vita
facile e felice. Fin dalla sua adolescenza dovette occuparsi dei genitori, delle sorelle e dei fratelli. Gli anni trascorrevano e le sorelle più grandi andavano
spose, una, Serafina, vergine e sposa di Cristo. Costretta single, alla
morte del padre dovette occuparsi della madre e dei due fratelli sacerdoti, della
casa. In quei tempi, nei paesi dell’entroterra calabrese, governare la casa non
voleva dire fare le pulizie, rammendare o cucinare. Bisognava aver continuamente
cura dell’olio, del vino e del formaggio, che stavano negli angoli più riposti
e freschi della casa. Bisognava fare il sapone con l’olio più vecchio e con i
pomodori che arrivavano da Sfalassi in agosto fare la salsa, riempire le
bottiglie, metterle a bollire in enormi, affumicati calderoni di rame zincato,
che raffreddate bisognava mettere anch’esse in quegli angoli riposti. Prima
della Quaresima, a carnevale, c’era il maiale e i suoi derivati: sangue, cardara
con frittole e sajimi, pulire e riempire le budella con conseguente
stagionatura. Come anticipato, la zia Amalia fu anche al servizio dei due
fratelli preti, da giovane quando questi venivano spediti nei paesi della
diocesi, da grande quando gli stessi ebbero la cura della Parrocchia. Essi,
destinati ad essere gli ultimi parroci nati e vissuti in Platì. Le toccò in
sorte anche di doversi occupare dei predicatori quaresimali, e di quelli
delle feste: Ritu, San Rocco, Madonna del Rosario, Immacolata, San
Nicola, varie ed eventuali. Così, essa diventò la loro sposa e non ebbe
facilità e felicità alcuna. Dopo una vita al servizio di tutti lasciò la Terra lontano
da quella Casa che la vide nascere e sacrificarsi.
In apertura la zia Amalia in abito tradizionale calabrese e l'agendina dove il nonno Luigi il 7 agosto del 1925 fissò: "ore 7 nacque M. Amalia".
sabato 14 giugno 2025
La sconosciuta [Giuseppe Tornatore, 2006]
Except seeds blowin' up the highway in the south wind"
Ancora
una volta qualcosa di “Ignoto”, frutto di una fortuita visita in un vivaio
nella vallata del Careri: il fagiolo Platì. Naturale l’accostamento ai
Catasti Onciari della Motta Platì. Notizie sull’origine di questa pianta non si
trovano, bisogna affidarsi all’inventiva: certamente è una pianta coltivata nei
tempi andati, gradualmente dispersa, risorta per merito di un’azienda della
Campania. Come i citati Catasti sono conservati a Napoli, i semi Platì sono un
prodotto della valle del Sarno. Essa ha tutte le caratteristiche del paese di
cui porta il nome: generosità e calore, adattandosi a qualsiasi territorio in
cui migra.
Le foto ritraggono esempi di ciurramesca coltivazione.
lunedì 9 giugno 2025
Zangiku Monogatari (残菊物語) Storia dell’ultimo crisantemo [Kenji Mizoguchi, 1939]
Signori,
L’imponente corteo mi dice che scende nella tomba un uomo dabbene. Oh, il fascino irresistibile della carità di Cristo! Un uomo che possegga tutte le lingue, un dotto e arcigno, un uomo insomma, per così dire, di lettere - senza la carità - non è altro se non un cembalo, un campanello squillante... e ce lo dice San Paolo.
Veramente, ai giorni nostri, gli sguardi delle masse si fermano meglio sopra i cuori che amano, anziché sulle teste che pensano.
La carità è tutto: è il sole che illumina, rianima, riscalda tutte le creature vive; e l’astro maggiore dell’universo: cieco chi non vede! Quando un uomo, da cui emana questo sole di carità, si oscura o si ecclissa, si sente come un sintomo di freddo nelle ossa, si vedono grandi ombre proiettarsi sui vicini e sui lontani, un sentimento di malinconia e di malessere invade tutti. Ecco - dicono i superstiti - era pur buono! e piangono ...
Il pianto che fu dato all’uomo per distinguerlo dai bruti; il pianto che esalta le creature umane sino a renderle divine; il pianto non e l’esponente dei cuori deboli e fiacchi, ma dei cuori nobili e forti.
Voi piangete, o popolo di quattro comuni riuniti, voi siete grandi e civili.
Ma perché piangete? Forse, perché un signore, avanzato negli anni, scende nella tomba, assistito da una siepe di parenti e munito dei conforti della nostra santa religione? 0, non pure perché quest’uomo era il padre del nostro Podestà, la figura magnifica, la più nobile e rappresentativa di Samo di Calabria?
Non è per questo, mi dite. Ah, comprendo! Qualche cosa ci viene dunque a mancare, qualche cosa a cui ci eravamo abituati per lunga teoria di anni, che ci arrecava un sollievo, senza che noi lo sapessimo!
Questa esistenza che s‘inabissa, o meglio, che passa dalle tenebre per camminare nella perpetua luce - questa esistenza era come un faro che risplendeva di luce propria. Chi si avvicinava a lui, scorgeva in quell'anima come una lampada quieta, serena, ardente - e questa lampada era la sua bontà.
Quella bontà non negativa, ma fattiva; bontà fatta di disinteresse, di amore vero per tutti, di beneficenza occulta, di compiacimento per il bene degli altri, una bontà schietta, senza infingimenti, senza sottintesi, senza ombre.... ecco quello che brillava in lui e faceva del nostro amico un uomo buono val quanto dire un galantuomo.
«Ma vale proprio la pena» mi dirà qualcuno «venirci a dire che Don Giulio era un uomo buono; sia pure un uomo santo ... quasiché la bontà, la santità non dovesse formare per un gentiluomo che si rispetta, la parte integrale del suo galantomismo?»
«Si, basta» rispondo io «quando la bontà è tutta di un pezzo, il galantomismo é a tutta prova ed una vita intemerata sia coronata da una morte edificante.»
Voi conoscete bene la sua vita - io conosco bene la sua anima. - Quell‘uomo pacifico, buono, sereno, sorridente - galantuomo del vecchio stampo – che aveva sempre un consiglio, o un sorriso da regalare - amava la Religione e la Patria, credetemi. Anni fa venne tra voi un missionario zelante. Non ricordo il nome, né l’ordine a cui il buon padre apparteneva; questo ricordo: che il nostro Cavaliere Don Giulio Mezzatesta era in quei giorni animato di giovanile e santo entusiasmo. Seguiva le prediche con desiderio crescente, con gioia di sentire le bellezze ed i trionfi della fede e serrava nell’anima l’augurio che la missione fosse apportatrice di un miglioramento civile, morale e religioso di un popolo affidato alle cure del suo diletto figliuolo.
Non so se ne sia rimasto deluso.
A me, qualche volta, è riuscito pure di sondare la sua bell’anima, materiata di religiosità. Avrebbe voluto che non ci fossero il fariseismo e neppure il rispetto umano - cose d’altronde che spiacciono.
Dall’amore di Dio scaturisce l’amore della famiglia e della Patria. Non credete a coloro che asseriscono e dicono di praticare il contrario.
Giulio Mezzatesta oltre che il sangue purpureo, sgorgato dalle ferite del figlio Capitano Rocco (minorato di guerra) offrì alla grande causa della libertà dei popoli il suo censo e il suo consenso.
Mi fu detto con quale ansia seguiva le notizie dei giornali, in quegli anni di guerra; le tappe gloriose dei nostri eroici fanti nella conquista immancabile dei naturali confini.
E mentre - altrove - i disfattisti, i Graiano d’Asti*, gioivano alle notizie funeste dopo Caporetto - il Cavaliere Don Giulio Mezzatesta non disperò, non cadde, ma ebbe a dire solamente «Noi vinceremo lo stesso!» Vennero poi le giornate del Piave e di Vittorio Veneto, venne pure il bolscevismo controbattuto dalla costituzione dei fasci; venne infine l’ordine, mantenuto da una muraglia di camicie nere - e quella di Don Giulio - lo sapete - fu una delle prime.
Oggi è morto!
Non resta. di lui che la mortale spoglia – contesa alle braccia affettuose delle figlie, del figlio, della moglie e d’ una siepe di parenti, che si stringono intorno alla bara come un mucchio di naufraghi.
L’anima è volata via, verso il cielo, verso altri orizzonti, verso la patria dei buoni.
Che Dio l’ammetta nella perpetua luce!
Pregate!
Ma intanto, dinanzi a salma di questo galantuomo emerito, di questo padre affettuoso, di questo cittadino integerrimo, scopriamoci riverenti, gettiamo sopra di lui i fiori del nostro affetto, l’edera della nostra riconoscenza perenne ed i crisantemi pallidi del nostro dolore sincero.
Signori,
Ha dovuto seminare il Morto grande copia di bene se raccoglie - in questo giorno - si grande messe di lacrime.
Inchiniamoci!
Arciprete ERNESTO GLIOZZI
lunedì 2 giugno 2025
Salita al Cielo - True Stories about Amalia Gliozzi (1925/2025)
Tutta questa fantasiosa introduzione serve a un serial, come va di moda oggi, di pubblicazioni per commemorare il centenario della nascita della zia Amalia (1925 – 2017), l’otto agosto prossimo venturo.
martedì 6 maggio 2025
L'ascesa [Larisa Shepitko, 1977]
Ode
Salve,
Divinità del Tevere, creata
In
questo giorno, mai ricordato, in cui
Vedi
gli anni di Pietro, e salve ancora,
O
Sommo dei Devoti!
I
popoli che vedono questo giorno esultano,
Poiché
credono che proprio allora per Te
Trasformi
le lacrime in riso, e in alma
Pace
la guerra.
Tu
per cinque lustri illimitate,
Barbaramente
preparate contro tanti figli,
Nel
corpo a malincuore sopportasti tollerante
Nel
cuore fatiche.
Donde
tanti eventi, se non per il fatto che fosti
L’integro
custode delle Tradizioni e della Fede?...
Che
tu insegni con la tua parola e la tua penna accorte,
Con
la morte proteggi!...
Di
qua ferve la Potenza di questo secolo putrido,
E
ferve il Principe che giace nelle Tenebre,
Stridono
con i denti e stolti tentano
Di
rovinare il Sacro[1]!
Ma
contro la Fede potranno pochissimo
Le
porte degli Inferi, come un’alta canna,
Subito,
anzi, spezzate periranno,
Testimone
il Maestro.
Come
il cane morde la pietra gettata,
Quando,
rabbioso, non può mordere la mano di chi gliela scaglia,
Così
fanno anche quelli che vedono il dono della Fede,
Ma
non possono toccarlo.
I
perfidi insultano il trono di Pietro e quella
Che
in tutto il mondo è venerata con pia devozione,
La
tua vecchiaia, la insultano tra la gente,
Dicendo
il falso!...
E
Dio stesso, per confondere gli ingiusti,
E
garantirti di nuovo cari fedeli,
Questo
Sole con nuova e insolita luce
Fece
sorgere.
L’ascesa
al soglio in questo giorno manifesta al Mondo
Che regni
col cuore, con l’anima, sui tuoi,
Che
s’impegnano tutti insieme per pagare il tributo
D’un tenero
amore.
Da qui
celebrano felici la tua vecchiaia,
Ti
salutano a gran voce, con le mani piene
Di corone
il seggio reale del duplice diritto[2]
Ornano di
fiori.
Testimonino
la loro gratitudine per un favore così grande,
Di qui si
dirigono in chiesa e chiedono calorosamente
Che il
Signore almeno fino a un secolo di vita
Ti
protragga gli anni.
Li
protrarrà!... verrà il tempo in cui i ribelli
Tristi
vedrai coi tuoi occhi
Implorare
il perdono ai tuoi piedi, con la fronte
Cosparsa
di polvere.
O Padre
benevolo, gioisci di una grande felicità,
Dio
prepara allori trionfali[3]
Per la
nave dei misteri e per te che la governi,
Percossi i
flutti[4].
Allora la
gioia sarà piena per il popolo e per Te,
Che
l’avrete ottenuta, con lo stupore delle persone,
Allora
“PIO NONO” e “salve” ripeteranno
Entrambi i
Mondi!
………………………………………………………………………………………………………………......
Vincenzo Fragomeni, Canonico Penitenziario della
Chiesa Cattedrale di Gerace
Il
celeberrimo Don Antonio Pujia, Arcipresbitero di Filadelfia, una volta che ebbe
letta quest’Ode, onorò molto l’autore, che era un suo Amico, con i seguenti
versi, composti secondo lo stesso schema metrico:
Modulando
la strofe saffica, o amico,
Prepari
innumerevoli allori,
Oh!
voglia il cielo rendere realizzati
Gli auspici formulati.
La
Volontà della Provvidenza divina, del Vecchietto sacro che indossa l’emblema
della dignità sacerdotale,
Che
conserva le chiavi del fedele Pietro,
Finché
supererà i colpi ostili
Protrarrà
l’esistenza[5].
[1] Il punto dopo Sacra andrebbe eliminato per recuperare il senso del periodo, che
così torna (stolidi, nominativo
plurale maschile, si riferisce sia a Potestas
che a Princeps e la concordanza viene
rispettata). Un’ipotesi più indolore potrebbe essere quella di tramutare il
punto in virgola, anche se in linea di principio qualsiasi modifica al testo
tràdito per me risulta sempre dolorosa. Notevole la frequenza delle iniziali
maiuscole, che ho cercato di mantenere, compatibilmente con le esigenze della
traduzione.
[2] Chiaramente umano e divino.
[3] Endiadi.
[4] Le virgole nel testo sono un po’
libere, ma questo è il caso più particolare: nell’ablativo assoluto fluctibus ictis, stando almeno a questa dispositio verborum, non dovrebbe
esserci alcun elemento separatorio.
[5] Ho mantenuto la
disposizione dell’originale latino, ma in realtà il periodo andrebbe riordinato
nel seguente modo, per una sua migliore fruibilità: «La Volontà della
Provvidenza divina protrarrà l’esistenza del Vecchietto sacro che indossa l’emblema
della dignità sacerdotale e conserva le chiavi del fedele Pietro, finché
supererà i colpi dei nemici».
Il Canonico Vincenzo Fragomeni (16 dicembre 1814 - 10 maggio 1884), geracese, compose l'ode in occasione del faustissimo giorno 23 agosto 1871 in cui Pio IX raggiunse gli anni ed i giorni del supremo pontificato di San Pietro in Roma.
Don Antonio Pujia (Filadelfia, 1818 -1886), fu arciprete di Filadelfia (VV)
Il documento originale apparteneva al sacerdote Prof. Rosario Oliva di Platì, ceduto dallo stesso ad Ernesto Gliozzi il vecchio.
Questo post è un'occasione per ricordare Larisa Yefimovna Shepitko (1938 - 1979) "one of the most prominent Soviet filmmakers".
sabato 26 aprile 2025
La forma dell'acqua [Guillermo del Toro, 2017]
IN
CALABRIA È TORNATA LA PIOGGIALa tragica sorte di Platìun paese destinato a sparireE
come Platì, spariranno sotto le frane Mammola, Caulonia, Grotteria, Africo e
anche S. Caterina d’Aspromonte se non si iniziano lavori di grande portata.
DAL
NOSTRO INVIATO SPECIALE
REGGIO CALABRIA, 7
Per
farsi un’idea dei disastri che l’alluvione ha provocato in Calabria, bisogna
andare a Platì.
Non è facile raggiungere, Platì un piccolo
presepio di seimila anime a trecento metri sul mare, e annidato in una gola di
montagna, ma è interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni
dell’alluvione sono stati, in questa zona enormi, poi perché a Platì, come in
tutti questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento
di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella
che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estatica
contemplazione degli avvenimenti i quali si seguono per loro conto senza che
queste popolazioni si affatichino a rincorrerli.
Andiamo
dunque a Platì. Il treno ci porta sino a Bianconovo. Da Bianconovo a Bovalino –
9 chilometri – la linea è interrotta per il crollo del ponte.
Nei
primi giorni si trovavano pronti a Bianconovo dei camion e dei calessini che si
incaricavano di eseguire il trasbordo, non avendo le ferrovie dello Stato
provveduto ad istituire un qualsiasi mezzo che raccogliesse i viaggiatori; ma
da qualche giorno un povero diavolo, più per bisogno di fare qualche soldino
che per amor del prossimo, ha tirato fuori da chissà mai quale deposito di cose
fuori in uso, un vecchio arnese che un tempo doveva esser stata una corriera.
Del resto date le condizioni della strada che bisognava percorrere essa è
ancora in buono stato.
Spettacolo
desolante
La
corriera ansima, traballa e pare che voglia rovesciarsi ad ogni scossa. Ai lati
lo spettacolo comincia a diventare desolato: le campagne sono ridotte ad un
letto di torrente e, in qualche punto, il rilevato stradale è stato asportato
dalle impetuosità delle acque. Il Genio Civile ha provveduto a costruire due
passerelle ma esse non sostengono più di tre tonnellate per cui per rendere più
variato il viaggio, bisogna scendere dalla corriera due volte e fare, per due
volte, qualche centinaio di metri a piedi, cercando di evitare i materiali di
risulta ed il fango che vi giunge sino alle caviglie.
Giunti
a Bovalino i viaggiatori che debbono proseguire per Taranto trovano, quando Dio
vuole, un treno; ma per Platì che è nell’interno non c’è altro mezzo che
scegliere che l’automobile. Ed anche qui bisogna raccomandarsi a Dio e
all’autista perché la strada è spesso interrotta da frane ed i monti che la
fiancheggiano hanno tutta l’aria di voler, da un momento all’altro, giocare un
brutto scherzo, che potrebbe essere per esempio quello di lasciarvi cadere
sulla testa dei grossi sassi che sembrano a stento sostenuti dalla roccia.
A Platì
troviamo, come accade in tutti i disastri qualcuno che è sempre pronto a fare
da guida e ad enunziare le distruzioni.
Più che
il dolore in questa gente ciò che colpisce è la prostrazione. Platì ha il
triste primato dei morti: 15 su 85 che si sono avuti in provincia. La nostra
guida ci mostra il torrente che ha operato tanti danni: un filo di acqua che
scorre ribollendo tra il fango e le pietre. La gente di Platì si chiede come
sia stato possibile ad un torrente così magro e di solito tanto tranquillo di
infuriarsi in quel modo: eppure è un fenomeno naturale di questi torrentelli a
breve corsi in pendio rapidissimo.
Essi si
impennano in un baleno e già dalle sorgenti prima di defluire a valle
acquistano una violenza spaventosa così da riversare milioni di metri cubi di
acqua nell’alveo che poco prima era asciutto o percorso da un rigagnolo.
In tal
modo si spiega come in queste alluvioni vi sono stati dei contadini che, mentre
attraversavano col somarello il torrente ancora asciutto, investiti dalla furia
delle acque non hanno fatto in tempo a salvarsi e sono annegati: perché data la
tortuosità di questi torrenti e la rapidità con la quale si sono ingrossati,
quei contadini hanno avuto sentore della piena quando essa era già vicinissima,
come se d’improvviso si fossero spalancate due paratie e, nel loro varco fosse
apparso l’enorme mostro delle acque che si avviava verso il mare. Qui usano
chiamarla le «teste del torrente» ed esse sono caratteristiche dei fiumi del
torrente.
Case
nel fango
Se ci
guardiamo intorno vediamo il paese o la parte del paese che è rimasta in piedi
non sono che povere cose che stringono il cuore, e interamente circondate dal
fango: il fango subito dopo l’alluvione era così alto che non permetteva di
entrare nelle case.
Ora nel
paese il fango è stato in gran parte rimosso ma dove erano i seminati nessuno
ha pensato di toglierlo. Sarebbe una pazzia il tentarlo; il fango ha
inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più
nulla; anche una piccola centrale elettrica che era stata costruita ad opera di
un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio.
Tra
qualche ora mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà
più nulla che ricordi la vita.
Anche
il sonno dei morti a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha
attraversato il Cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si è ritirata si sono
visti – o spettacolo pieno di orrore – tibie, femori, crani che la corrente
portava alla deriva; e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti.
Oggi la pietà dei rimasti ha tentato di ricomporre le loro povere ossa nei loro
avelli.
E
questa è la tragica sorte di Platì un povero paese che come Mammola, come
Caulonia, come Grotteria, come Africo, è destinato a sparire dalla faccia della
terra perché sotto di lui il terreno
frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte: ed è la sorte di S. Caterina
d’Aspromonte che, oltre ad avere perduto l’acquedotto, ha avuto quasi tutte le
case distrutte ed è sotto l’incubo di due frane che minacciano l’abitato: la
sorte di Condofuri anch’essa in pericolo per una frana: la sorte di tante
piccole frazioni dove, se ricomincerà a piovere, comincerà a farsi sentire il
pericolo dei torrenti in piena. È una situazione che di giorno in giorno appare
più angosciosa e allarmante.
Da Roma giungono notizie sul fervore col quale
si formulano progetti e disegni di legge, decisioni e programmi; ma i calabresi
alzano le spalle. È un pessimismo indubbiamente non giustificato o per lo meno
prematuro. Ma come volete dare la croce addosso a questa gente se sorride
sentendo parlare di miliardi che saranno spesi per la Calabria? Il calabrese
non conosce la ribellione: secoli di sottomissione lo hanno abituato ad essere
cupamente rassegnato, ma non apre facilmente il suore alla speranza. La sua
stessa storia gli ha insegnato a non credere al dilà di ciò che vede e tocca
con mano.
Si
aspetta un miracolo
Ed allora? Solo un miracolo potrà rendergli la
fiducia, la speranza che i suoi paesi saranno assicurati stabilmente alla terra
ed i fiumi apporteranno prosperità, invece di essere un pericolo di morte; e il
terreno tornerà ad essere umido ed acre e idoneo a ridare i suoi frutti. Questo
miracolo sarà possibile se il problema della Calabria sarà guardato con occhio
diverso e con decisa volontà d avviarlo alla soluzione. Io ricordo di aver
veduto lasciando Platì, due donne che scendevano a valle. Si erano caricati
sulle teste, ciascuna di esse, un materasso ed una coperta e camminavano l’una
rasente l’altra con la stessa grazia che, di solito, si riscontra in loro
quando tornano a casa portando le anfore e cantando. Lasciavano il paese ed
andavano a chiedere un posto per dormire a chi aveva la fortuna di possedere
una casa. Si sono fatte appena da parte per lasciar passare la nostra
automobile ma non si sono nemmeno voltate ed hanno proseguito senza chiedersi
se da noi potesse venire loro un aiuto.
Questa tragedia di sentirsi soli è il grande
sconforto nel quale gli uomini possono cadere. Ma, purtroppo. È una realtà in
questi paesi che non hanno più niente che li avvicini alla vita; dove nemmeno
il sonno dei morti è rispettato ed anche l’acqua, questa grazia di Dio che
dovrebbe essere la ricchezza dei paesi, si trasforma in un castigo.
Questa sera ha ricominciato a piovere e la
pioggia, se dovesse durare, renderebbe più angosciosa la situazione dei paesi
colpiti; la situazione soprattutto degli sfollati ai quali non si è potuto
dare, né si potrà dare per adesso, una sistemazione conveniente:
Vittorio
Ricciuti
IL MATTINO, 8
novembre 1951
*https://iloveplati.blogspot.com/2011/10/have-you-ever-seen-rain-creedence.html
https://iloveplati.blogspot.com/2018/09/riders-on-storm-doors.html
venerdì 11 aprile 2025
mercoledì 22 gennaio 2025
Inviati speciali [Romolo Marcellini, 1943]
Sacerdoti di Platì che hanno svolto il loro incarico in altra sede
Gliozzi Filippo, S. Nicola dei Canali frazione di Ardore 1882 – 1885
Natile 1885 – 1889
Gliozzi Ernesto di Francesco, Casignana 1926 – 1948
Marando Francesco, Casalnuovo 1917
Mittiga Francesco di Nicola (2), S. Ilario 1896 – 1907
Mittiga Giosofatto, Polsi 1906 – 1927
Oliva Filippo, Ciminà 1921 – 1924
Oliva Francesco, S. Luca 1819 – 1823
Oliva Rosario (4), Siderno Sup. 1881
Pangallo Diego, Bruzzano Zeffiro 1920 – 1931
Gioiosa Sup. 1931
Pangallo Francesco (3), Polsi 1927 - 1939
(1) https://iloveplati.blogspot.com/2020/05/fatti-corsari-praebens-firma-argumenta.html
(2) https://iloveplati.blogspot.com/2022/06/il-dono-di-dio-di-gaston-kabore-1982.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2021/01/e-permesso-maresciallo-di-carlo.html
(4) https://iloveplati.blogspot.com/2014/03/storia-immortale-pt-3.html
L’elenco originale (molto parziale) è del Canonico Protonotario Antonio Oppedisano (1866 – 1964).
La foto di apertura è del 1929: seminaristi (c'è pure lo zio Ernesto di Luigi), docenti e vescovo presso il Seminario Vescovile di Gerace.
L'odierna pubblicazione è dedicata a tutti i reverendi citati.





















