by Rosalba Perri
Alla fine degli anni Trenta,
molti platiesi partirono verso l’Australia dove sin dalla fine dell’Ottocento
si erano già stabiliti altri compaesani. A partire per primi furono, in genere,
gli uomini raggiunti poi dalle mogli e dai figli. Gli immigrati della prima
ondata erano quindi riusciti a congiungersi con le famiglie e ad ottenere la
cittadinanza quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale che vide Italia e
Australia su fronti opposti. Gli immigrati degli anni Trenta furono invece
sorpresi dalla guerra prima di poter ottenere la cittadinanza ed il
ricongiungimento familiare. Furono, quindi, considerati “enemy alien” ovvero
“nemico alieno” che a noi farebbe pensare ad un film di fantascienza ma che
semplicemente indicava un cittadino di nazione nemica.
Gli italiani, insieme ai
tedeschi, agli austriaci ed ai giapponesi, furono arrestati ed internati
in campi di detenzione. Grazie
all’intervento di figure rispettabili come l’Arcivescovo di Melbourne, non tutti gli italiani vennero internati. Benché solo
gli uomini dai sedici anni in su venissero rinchiusi, le autorità dei vari
stati si videro costrette ad ammettere nei campi anche alcune famiglie poiché
non riuscivano a sopravvivere senza l’uomo come principale sostegno.
Molti prigionieri catturati dagli
Alleati sui campi di battaglia del Nord Africa furono trasferiti dagli inglesi
in India o in Australia. Coloro che finirono in Australia furono i più
fortunati e spesso incontrarono “paesani” proprio nei campi di internamento. I
militari catturati sui campi di battaglia, al loro arrivo, ricevevano un
cappotto militare ed una gavetta. Molti di loro si dichiararono non fascisti e
leali al re. Dichiarazioni accolte con un certo scetticismo dagli australiani
(Video “Italian prisoners down under 1941”). Mentre i soldati tedeschi e
giapponesi furono internati in campi di massima sicurezza, i prigionieri
italiani entrarono in quelli a più bassa sicurezza e spesso venne dato loro il
permesso di lavorare nelle fattorie (Video: “Australian prisoners of War, part
1”). Lì i prigionieri provenienti da Platì, Cirella, Careri, Benestare,
Siderno, Casignana, Reggio ed altri paesi della costiera jonica si incontrarono
con i “paisani” poiché non si fece distinzione fra “Internee” gli immigrati con
cittadinanza di paese nemico e “Prisoner of War” (prigionieri di guerra).
Questi ultimi rimasero a lungo in Australia anche dopo l’armistizio
contribuendo alla costruzione di strade e di altre opere pubbliche. Fra i
rimpatriati molti fecero richiesta di emigrazione una volta in Italia.
Oltre 25000 militari ed un
imprecisato numero di civili vennero internati in campi improvvisati. I
principali campi di prigionia per gli italiani furono Cowra nel Nuovo Galles
del Sud (NSW) e Loveday nell’Australia Meridionale (S.A.).
I campi di detenzione non erano
duri campi di concentramento come gli stalag
tedeschi. Né assomigliavano a quelli giapponesi descritti in film come Il ponte sul fiume Kwai, né gli
internati vennero mai alle prese con carcerieri come Takeshi
Kitano in Merry Christmass Mr Lawrence,
ragion per cui i nostri emigranti vi si trovarono abbastanza bene. A parte
qualche convinto fascista, tutti si dichiararono pronti a lavorare per
l’Australia sul fronte interno e alcuni addirittura chiesero di essere
arruolati (non furono accettati).
Molti (ma non tutti) degli
emigrati di Platì furono internati. Sul sito dei “National Archives of
Australia” si trovano le schede relative ad ognuno.
At the end of the Thirties, many people from
Platì emigrated towards Australia where, since the end of 1800s, already many
others from the same town had settled. Generally, man would leave first to be
joined later by wives and children. Most people from first migration wave were
naturalized by the time Second World War, in which Italy and Australia were on
opposite sides, broke out. Thirties were caught up buy the Second World War as
“alien enemies” since Australia and Italy were engaged on opposite sides. Migrants
who had arrived around the Thirties were caught by the war in a situation in
which they were considered “enemy alien” as citizens of an enemy Country.
Italians, together with Germans and Japanese,
were captured and sent to makeshift internment camps. Thanks to the action of
some people such as the Archbishop of Melbourne, not all Italians were sent to camps.
Although only men from the age of sixteen would be arrested, State Authorities had
to admit also some families who were not able to cope without the breadwinner.
Many prisoners
captured by the Allies in North Africa’s battle fields were transferred by the
British to India or Australia. Those who arrived in Australia were more
fortunate and often met with townsfolk in the internment camps. On disembarking
they would receive a military coat and a mess tin. Many of them declared they were
not fascists but rather loyal to the King, Australians were rather sceptical
about this (Video
“Italian prisoners down under 1941”). While German and Japanese prisoners were
sent to high security camps, Italians entered in low security camps and often had
the permit to work in farms (Video: “Australian prisoners of War, part 1”).
Prisoners coming from Platì, Cirella, Careri, Benestare, Siderno, Casignana,
Reggio and other towns of the Ionian coast met with their townsfolk since there
was no distinction between “Internees” and “Prisoners of War”. The latter
remained in Australia for some years after the armistice and contributed in
road constructions and other public works.
After repatriation some applied to migrate to Australia.
Over 25000 prisoners and an unspecified number
of civilians entered makeshift internment camps. Main camps for Italians were
Cowra in NSW and Loveday in SA.
Internment camps were not hard concentration
camps like the German stalags. Nor were they similar to the Japanese
ones as seen in the movie “A bridge over the river Kwai”, nor internees
were ever confronted with guards such as Takeshi Kitano in “Merry Christmass Mr Lawrence”. Therefore, our migrants were in a
relatively good condition. Except for very few unrepentant fascists, all
migrants volunteered to work for the Australian home front and some even asked
to be enrolled in the Army (but were not accepted).
Many Platì’s
migrants (but not all) were sent to internment camps, their records can be
found on The National Archives of Australia.
by Rosalba Perri
In apertura Vito Scotti e Micky Dolenz in un frammento uscito da Head di Bob Rafelson del 1968.
FINE
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