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mercoledì 18 dicembre 2019

Al diavolo la celebrità [di Steno e Monicelli,1949]

Questa storia la scrivo di fretta così come l’ho scoperta. Stavo lavorando ad un mio progettino quando rileggendo la lettera di Pasqualino Perri ai platiesi mi fermo su un nome che in un primo tempo mi era sfuggito: generale Gelonesi luminare della medicina tropicale. Incuriosito e senza nessun documento a portata di mano mi affido al web. E questo è quanto ho scoperto.
Il generale di nome andava Gregorio ed era nato a Cirella il 15 dicembre 1882, il registro di quell’atto riporta ancora Cirella come frazione di Benestare. I suoi genitori erano Francescantonio di anni trenta contadino e Maria Mavrelli levatrice. All’infante viene posto il nome di Gregorio Natale. Testimoni dell’atto sono Antonio Mediati di anni cinquanta, bovaro e Matteo Varacalli di anni trentotto, pecorajo. Malgrado l’umile origine Gregorio raggiunta la maturità nel 1907 si iscrive in Medicina all’Università di Napoli. E lì probabilmente ebbe come compagno di studi lo zio Giuseppino, al secolo Giuseppe Mittiga figlio di Rocco e Caterina Fera. Nel 1908 lo troviamo come soccorritore tra Reggio Messina subito dopo il disastroso terremoto. Prese parte alla guerra italo turca del 1911-1912 e alla Grande Guerra imbarcato sulla Caio Duilio. Al termine del conflitto abitava a Napoli in via Margellina al numero 205 e sempre in quella città si specializzò in batteriologia per cui fu destinato dapprima a varie aziende agricole coloniali e successivamente ricoprì incarichi di primo piano presso Ospedali Militari e diverse Facoltà di Medicina tra cui quella dell’ateneo Messinese, ma qui siamo già sotto il “Regime Nero”. A cui egli prese parte facendovi carriera ed ottenendo diverse onorificenze tra cui la medaglia d’oro della Sanità Pubblica e Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia.
L’11 settembre 1942 si trovava a bordo della nave ospedaliera “Arno” quando questa fu silurata e abbattuta dagli inglesi. Tratto in salvo, dopo due giorni e due notti in mare, fece ritorno in patria e reintegrato nei corpi della marina e lì lo ritroviamo come Tenente Generale medico della disciolta regia marina che prese parte alla Repubblica Sociale di Salò. Fatto ritorno a Napoli dopo il 1945 vi rimase fino al 29 giugno 1954 giorno della sua morte. All’attivo ha diverse pubblicazioni inerenti la sua specializzazione universitaria riconosciute a livello mondiale.
Una curiosità: i giapponesi il nostro l'hanno tradotto così 格雷戈里奥·格隆内西,ma lui non è arrivato a scoprirlo!*
 http://juntuanwang.com/general/21811

lunedì 16 dicembre 2019

Racconti dalla tomba [di Freddie Francis,1972]




PAROLE SULL’ESTINTO
Dottor Domenico Zappia
DEL
Dottor Vincenzo Papalia

GERACE MARINA
Tip. Del Progresso

Al Sig. Carmelo Zappia
Compare ed amico stimatissimo
La morte del vostro Sig. Padre, matura come l’età, non come intelligenza, la quale ultima, non ostante quella, era giovane ancora, non poteva nel dolore che me ne ha colpito, non impormi a scrivere queste poche pagine, che sono un segno, come tributo di devozione alle sacre sue ceneri, dell’autore che io serbavo e serberò sempre per sì illustre collega.
All’urna, che custodisce le venerande sue spoglie, sarà conforto imperituro l’Eden; al vostro eterno dolore, la virtù d’un padre, padre adorato, che spirò tra il culto della scienza e la preghiera dei nostri antichi avi.
Vi riverisco.
Vostro Devotissimo Compare
V. PAPALIA
Platì, 7 Marzo 1894

Le foto si riferiscono a quel che rimane dei coniugi Giuseppe Morabito (1845-1925) e Maria Filomena Luscrì fu Rocco (1876-1947).


domenica 15 dicembre 2019

Messaggero d'amore [di Joseph Losey,1970]


La speranza e i suoi gesti
Il messaggio e i messaggi

di P. GIANCARLO BREGANTINI

A Platì, durante la novena che si svolge prestissimo, alle 5.00, secondo la più fedele tradizione, in una chiesa gremitissima ogni mattina, è stato posto nel cuore della chiesa un grande albero spoglio e nudo. Colpiva la sua nudità. Esistenziale. Altamente simbolica per attese di giustizia, gridi di pace, speranze nascoste nel cuore di tutti... Tutto vi era rappresentato. A Natale, il miracolo. L 'albero “nudo” ' è stato sostituito da un grande olivo verdeggiante. Non da un albero di abete, che non appartiene direttamente alla nostra cultura, ma da un albero di olivo, quell'albero cioè che orna le nostre colline e ricrea il cuore nel vederlo argenteo al sole, pur nella dura fatica, quest'anno, di un raccolto sotto la pioggia insistente.

A San Luca protagonisti del messaggio natalizio sono stati i ragazzi della Scuola elementare guidati dalle maestre e sostenuti entusiasticamente dal parroco. Hanno ricostruito luoghi e ambienti del tempo di Alvaro, hanno lanciato un messaggio di riscoperta delle tradizioni più genuine del popolo calabrese, pur nella consapevolezza che è “dura la vita dei pastori in Aspromonte”. L ‘intero paese si è mosso, rispondendo con favore alle sollecitazioni e agli stimoli offerti. “Un Natale con i fiocchi”, appunto, anche se di neve non c 'era l 'ombra.

Da Africo è partito invece un chiaro messaggio di impegno ed una proposta decisa. L 'hanno rilanciata i ragazzi, i docenti e soprattutto la coraggiosa preside della Scuola Media. Chiedono un edificio per la scuola. Per capirli, basta visitare un attimo l'attuale sede della scuola, alloggiata in una angusta casa popolare. Le aule, soprattutto del piano inferiore, strette e buie, con una rigida (e purtroppo necessaria!) inferriata alle finestre, danno a tutti un immediato sapore di tristezza. Lì non si coglie il sorriso della vita che dovrebbe accompagnare la voglia di studiare. Eppure, all'ingresso del paese, le fondazioni e i pilastri della scuola ci sono. Svettano verso il cielo, quasi mani imploranti ascolto, ormai stanche per la ruggine e l 'abbandono. La recita in dialetto ha dimostrato, lì come a San Luca qualche giorno prima, che nelle scuole i ragazzi nascondono spesso talenti impensati. Sono un po' tutti attori in questi paesi. A noi adulti, alla scuola soprattutto, la gioia di scoprire che, “dentro il marmo, la statua già c 'è e che va solo liberata dal marmo che la stringe”.
Testo e foto: L'Avvenire di Calabria, 6 gennaio 1996




giovedì 12 dicembre 2019

Effetti collaterali [di Steven Soderbergh, 2013]







Certifico io sottoscritto Ingegnere Civile, residente e domiciliato in Reggio Calabria, che il fabbricato urbano del Signor Francesco Gliozzi fu Domenico, sito nell’abitato di Platì e propriamente sulla via principale di esso, subì tali danni per effetto del terremoto del 16 Novembre 1894 da rendere necessaria la spesa di lire tremila circa per potergli ridare le primitive condizioni di stabilità e abitabilità.
Tanto attesto in seguito ad ispezione locale ed a richiesta dell’interessato.
Platì 1° Novembre 1895
L’ingegnere Civile
Rodolfo Zehender



L’Ingegnere Civile Rodolfo Zehender (in apertura), nacque a Reggio Calabria il 14.07.1862.
L’origine della sua famiglia è svizzera. Il padre Giovanni, proveniente dalla Spagna dove era presso la Corte del Re, fu trasferito nella Calabria Ulteriore e precisamente nel suo Capoluogo Reggio Calabria dove assunse la direzione dell’Intendenza di Finanza, sposò Maria Grazia Raho ed ebbero molti figli. Quindi crebbe in questa famiglia patriarcale fino alla morte del genitore quando lui era in giovane età assumendo parte del carico di responsabilità. Nel 1906 fondò la “Riunite di Elettricità” e fu precursore in tutto il meridione, a seguito del terremoto del 1908 buona parte degli impianti furono distrutti ma con grande caparbietà li ricostituì. Quindi diede vita alla “Zehender & C.” con sede a Palmi e installazioni anche a Bagnara e Scilla fornendo a queste cittadine energia elettrica per l’illuminazione. Il suo impegno non si fermò a Reggio Calabria ma si espanse in provincia di Salerno precisamente a Casoletto Spartano dove eseguì il complesso della “S.I.E.B.”, fondò in Aspromonte la “Società Idroelettrica Vasì” per l’illuminazione di quella zona. In fine fondò la “Società Tranvie Elettriche Reggine”, fece costruire una centrale termoelettrica in via Possidonea e altra a carbone nella rada Giunchi. Fu presidente della “Società Forestale delle Calabria” fino alla morte che avvenne nel 1930 all’età di 66 anni.
La foto dell'ingegnere Zehender proviene da qui:
https://www.strill.it/rubriche/memorie/2015/02/memorie-rodolfo-zehender-lingegnere-reggino-che-porto-luce-e-progresso/
La breve biografia da qui:
http://www.strettoweb.com/2016/10/reggio-calabria-pillole-di-storia-u-stratuni/466101/

mercoledì 11 dicembre 2019

Il bosco sacro [di Léon Mathot,1939]

Ho avuto la netta impressione che il mio soggiorno fosse diventando un lento viaggio di avvicinamento al grande monolite che vedevo quotidianamente dalla finestra della cucina a casa dei nonni. Avrei voluto raggiungerla, ma un problema ad una caviglia mi ha impedito di camminare a lungo.
Non ero però preparata alla sorpresa che mi aveva riservato Mimmo invitandomi ad una cerimonia religiosa in una chiesetta vicino Pietra Cappa.
Marilisa, la sera prima, mi ha regalato alcune delle sue collane composte da un grosso pendente-fibbia di ceramica Raku ed uno spesso laccio di stoffa elasticizzata. Ne scelgo una da indossare sulla camicia. Incontro Mimmo a Bovalino da dove ci inoltriamo verso Natile sulla sua Panda 4x4 chiacchierando di amicizie comuni e di Panduri che spero diventi in futuro un altro capitolo di questa mia scoperta della Calabria. A Natile torno dopo 58 anni; mia madre vi aveva insegnato non so se per qualche mese o per tutto l’anno scolastico 61-62. Ci andavamo da Platì, lasciavamo la provinciale a Cuccumo attraversando i serri e la fiumara a dorso di mulo. Questa volta saliamo da Natile nuovo e vi incontriamo un interessante gruppo di persone che hanno dato vita alla Pro-Loco ed organizzato l’evento di oggi. Degli escursionisti del CAI di Reggio stanno salendo a piedi e si uniranno a noi sotto Petra Cappa. Riprendiamo la strada in salita verso la nostra meta: a destra ho la vallata della fiumara e Platì, a sinistra splendidi scorci dell’Aspromonte e di Petra Cappa. Dopo un tempo che mi è parso breve per le bellezze dei paesaggi e lungo per lo sballottolamento in auto, ci fermiamo nei pressi di un bosco. Percorriamo a piedi un breve tratto fra castagni, pietre ed un torrentello a secco ed ecco apparire, fra gli alberi, circondati da una distesa di pietre e mattoni sparsi nella boscaglia, i ruderi di un’antica chiesa bizantina. L’emozione è forte. 
Mimmo mi indica i materiali con cui è stata costruita: pietre dell’Aspromonte, mattoni sia del periodo della costruzione, sia di periodo Romano poiché, come sempre è avvenuto nei secoli, i materiali di altri ruderi venivano usati per le nuove costruzioni. A terra ci sono un paio di colonne, una terza sembra sia a Polsi ed una quarta nel giardino di una casa privata a Reggio. Mimmo, Anna Maria Sergi (anima della pro-loco) ed altri che ci hanno raggiunto preparano l’altare ed una croce: due rami incrociati che non si sa come tenere insieme ed allora offro la mia collana così anche Marilisa, che non è potuta venire, sarà con noi. Il gruppo del CAI arriva quando l’altare è pronto e si celebra la messa, in mezzo ad un bosco di castagni, accanto a ciò che resta dell’antica chiesa degli eremiti, mentre Petra Cappa ci osserva dall’alto. 


Dal “Catalogo dei monasteri e dei luoghi di culto fra Reggio e Locri (Domenico Minuto, 1977):
Le fonti ci parlano di una cittadella e di un fiume detti di Pietra Cucca o Pietra Cafcas, di una chiesa di stile Bizantino tra la contrada di San Giorgio e Pietra Cappa (…) Quanto a Btrqûqah (terra) b.t.rqùqah (fiume) e πέτρα καύκας (…) mi sembra giusta l’opinione del Minasi che identifica questa località con Pietra Cappa il cui territorio circostante dovette avere una vita alquanto fervida attorno al Mille se ci presenta resti di una chiesa probabilmente a cinque cupole (S. Giorgio) …

… I ruderi si trovano in una zona montana a 500 metri in linea d’aria a nord ovest della caratteristica rocca di Pietra Cappa. Della chiesa restano brandelli di muri perimetrali che tuttavia mostrano ancora chiarissimo il disegno della pianta quadrata, orientata, triabsidata e, sparsi per terra, monconi di colonne, numerosi frammenti di marmo bianchi e policromi (con alcuni di questi i pastori hanno costruito un casotto) e di tegole. Come si è visto dalle misure della pianta, essa è leggermente più grande di quella di Stilo.”

Testo e foto di Rosalba

lunedì 9 dicembre 2019

Abuna Messias [di Goffredo Alessandrini, 1939]



Finché la Chiesa, il mondo contadino, la borghesia paleoindustriale erano un
tutto unico, la Religione poteva essere riconosciuta in tutti e tre questi momenti
di una stessa cultura. Anche – ed è tutto dire – nella Chiesa: nel Vaticano. I
delitti contro la religione perpetrati dalla Chiesa – se non altro per il fatto stesso
di esserci – erano giustificati dalla Religione. Era possibile prestar credito, cioè,
al qualunquismo umanistico dei suoi prelati secondo cui, appunto, il fine poteva
giustificare i mezzi: un’alleanza col Fascismo per esempio poteva parere un
mezzo giustificato dal fine, consistente nel preservare, per i secoli futuri, la
Religione. D’altra parte niente poteva far pensare che il mondo contadino,
religioso (e la borghesia paleoindustriale di origine contadina) sarebbe così
rapidamente finito.
Pier Paolo Pasolini, Marzo 1974.

Ancora una volta con voce ferma e robusta ripeto: “D’Italia la gioia e l’offesa divide la Chiesa”. Come nelle giornate tristi della Patria in cui le bandiere si alzavano imbrunate, come abbiamo visto, dicevo, affollarsi le chiese di moltitudini piangenti per santificare il dolore di madri e pargoletti! così nelle giornate liete, come questa, la chiesa spalanca le sue porte per fare entrare una moltitudine giubilante.
E cantano a Dio – Ottimo Massimo – il Te Deum del ringraziamento per la grandezza delle grazie ricevute, che sono, per avventura, tali e tante le grazie che non basta la parola umana a enumerarle.
Si Te Deum laudamus, ti lodiamo o Signore, perché hai voluto dare piena, grande, completa vittoria all’Italia da trionfare sulle barbare nazioni più o meno fraternizzate fra loro.
Insegni Ginevra.
Ti lodiamo, o Dio, perché hai voluto che un Re latino, stirpe di eroi e di Santi cingesse la corona di quello impero di Salomone, caduto dopo lunga teoria di anni nella barbarie e nel fango.
Ti lodiamo per il nostro condottiero e Duce che con mano ferma regge i destini della Patria fatta da Lui più bella e più grande.
Ti lodiamo perché hai voluto darci dei generali sommi, degli scienziati che sono l’invidia del mondo, dei soldati che sono semplicemente magnifici.
Si ti lodiamo o Dio degli eserciti Deus Iabahot che fosti presente a Veyhelli, ad Axum, a Macallé, che fermasti il tuo sguardo su Addis Abbeba che è nostra.
Che facesti del tuo sacerdote, il padre Giuliani, un novello martire della Religione e della Patria.
Che nei terribili fiumi impetuosi, nelle zone infocate della Somalia, sulle alture inaccessibili del Tigrai, fosti fortezza nel braccio e nel cuore dei nostri fanti, che si aprivano il passo con la spada e con la zappa per il trionfo di quella Roma, per cui il tuo Cristo è romano.
Si, ti lodiamo o Signore, per l’aiuto che ci desti in mare, in terra in cielo, è piena la terra della tua Gloria. Tu Re gloria e Christe!
E intendo che si associano al nostro canto le innumerevoli schiere degli angioli e dei santi tutti del cielo, come delle anime buone della terra perché in te, Domine, speravi.
Nel Signor chi si confida col Signor risorgerà.
In te Domine speravi, non confundar in aeternum 
ERNESTO GLIOZZI il vecchio, Platì 10/5/ 36

«E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse la preoccupazione della scuola liberale››.
[PIO XI, Discorso ai docenti e agli allievi della Università del Sacro Cuore, 13 febbraio 1929]

L'uomo che la divina Provvidenza fece incontrare a Pio XI, per «restituire l'Italia a Dio e Dio all'Italia››, era un ateo integrale, un bestemmiatore abitudinario di Gesù Cristo, della Madonna e di tutti i Santi, disposto sempre, anche dopo la Conciliazione, a riprendere i temi del più volgare anticlericalismo, in cui aveva battuto ogni primato, prima di passare dal sovversivismo anarchico alla reazione, in difesa del trono, dell'altare e del portafoglio dei «pescecani››.
Ernesto Rossi, Il manganello e l’aspersorio, Kaos edizioni, Milano 2000

Ho indugiato molto a pubblicare questo manoscritto redatto a seguito della conquista della regione del Tigrè da parte dell'esercito italiano nell'ottobre del 1935. Come altre volte mi sono trovato ad un bivio, continuare o smettere le pubblicazioni. Allo stesso tempo non voglio giudicare azioni e fatti passati perché non ho la capacità di mettermi nei panni di chi quelle azioni e fatti li ha vissuti, come mi manca la lucida riflessione di Pasolini. Il senno di poi non basta. E i tempi attuali, recenti e meno recenti, il futuro preparatoci – e su questo lo scrittore e regista ci aveva già anticipato tutto -  non sono affatto dissimili dagli anni in cui lo zio scrisse e lesse in chiesa questa apologia. Ad onestà del vero, e non per minimizzare quanto sopra scritto, riporto che in quegli anni lo zio non era solo: mons. Giosofatto Mittiga fece carriera grazie alla cura fascista, l’avvocato Rosario Fera scrisse fogli di aperto plauso a quel movimento, mons. Minniti esibiva dei baffetti molto Führer, senza contare i vari Podestà che approfittarono, con la gestione personale, della cosa pubblica; nonno Luigi e di seguito don Gustinu Mittiga amministrarono con nomina del Prefetto di Reggio l’ammasso delle olive e del grano. Tutti in men che non si dica, se non passarono a miglior vita, al primo sentore di scricchiolio del Regime fecero un tempestivo volta faccia con allineamento abbracciando lo scudo crociato, e l’anticomunismo ormai di moda. Ancora, cosa strana, l’unico a non trarne nessun beneficio fu il maresciallo Giuseppe Delfino che, rubando il Ciconte, in pieno fascismo rifiutò di iscriversi al partito e questo suo atto di ribellione gli costò la «mancata promozione a maresciallo maggiore», tenendo, per giunta, nel primissimo dopoguerra, sotto l’ombra da spica, le redini del paese.

Per uscirmene vi propongo Bob Marley & The Wailers con il suo inno rastafari

domenica 8 dicembre 2019

Tradizioni di mezzanotte [di Roger Richebé,1939]


LE TRADIZIONI DI PLATI’

 A Platì ci sono molte tradizioni, una di quelle è di accendere il fuoco la notte di Natale. La inventarono i nostri antenati, e noi ancora oggi portiamo avanti. Gli è piaciuto così tanto che hanno deciso di accendere il fuoco anche per la veglia Natalizia che si svolge dall’8 al 24 dicembre. La tradizione del fuoco va avanti anche grazie ai ragazzi che prendono la legna nelle case delle persone “senza chiedere il permesso” ci sono persone che apprezzano e altre che si arrabbiano molto. Nel 2015 hanno acceso un fuoco così alto che tra un poco non bruciavano la chiesa. Questa tradizione va avanti dal 1800. Un’altra tradizione è quella della “cardara” che si svolge nel periodo Natalizio, cioè la carne messa nella brace a cuocere. Un’altra tradizione è quella della lavanda dei piedi, gli uomini vanno in chiesa e il prete gli lava i piedi. Un’altra è quella della festa di Sant’Antonio ed è che le bambine fanno “i virgineji” si vestono di bianco, appena arrivano fanno colazione, poi prendono un giglio e vanno in chiesa a pregare Sant’Antonio, le donne portano il pane, e il prete lo benedice e alla fine le bambine prendono il pane e se ne vanno. Insomma Platì è un paese pieno di tradizioni.
TROPEANO ESMERALDA 5 A

Testo presentato alla seconda edizione (2018) del premio letterario "Ernesto Gliozzi"

venerdì 6 dicembre 2019

L'età giovane [di Jean-Pierre and Luc Dardenne,2019 ]



CONSACRAZIONE SACERDOTALE

Platì (Reggio Cal.) 6 dicembre.

Ieri, in un’atmosfera di santa letizia, questa popolazione ebbe il gradito piacere di assistere ad una celebrazione religiosa mai vista, in questa Chiesa Matrice, del giovane, colto ed intemerato, come ebbe
a definirlo nella sua allocuzione Mons. Vescovo Chiappe, don Ernesto Gliozzi. 
Sin dalla prime ore del mattino un'insolita animazione notavasi pel paese tutto imbandierato e pavesato di serici drappi, nell'attesa del Vescovo della Diocesi, che alle ore 9, atteso in Piazza XXIV Maggio delle Associazioni Cattoliche, con labari, dalla Confraternita, dal Clero, dalle Autorità civili, politiche e militari, oltre che da una folla incontenibile di popolo, arrivava accompagnato da Mons. Macrì Rettore del Seminario di Gerace, dal Can. Oppedisano Cancelliere vescovile e da un numeroso clero dei paesi vicini. Salutato dallo sparo di mortaretti e da un evviva del popolo procedette per la Chiesa Matrice ove ebbe inizio la consacrazione del novello Sacerdote. La celebrazione del rito solenne iniziata alle 9,30 ebbe termine, alle 12, coronata dall'omelia del dotto Vescovo. Indi nella casa ospitale del neo Sacerdote, è stato servito un sontuoso banchetto e alle ore 16, salutato ancora dalle salve dei mortaretti e delle Autorità, Mons., Comm. Giovanbattista Chiappe col seguito, ritornava in sede.
Molti i telegrammi ricevuti dal novello Sacerdote che canterà la prima Messa solenne, il giorno-
dell'Immacolata.
Al giovane don Ernesto Gliozzi, alla famiglia tutta, gli auguri di prospero avvenire.

giovedì 5 dicembre 2019

Vento del sud [di Enzo Provenzale, 1959]


FIUMARE

Pietre chiare,
arse,
accecanti.
Deserto lunare.
E le fiumare
cercano l'acqua.
Scende, torbida,
dalla montagna.
Autunno che bagna,
urta, travolge, ricopre,
cancella.
E le fiumare
cercano l'estate:
sole dei tropici
che asciuga, divora,
inaridisce.
Riemergono accecanti,
arse, chiare,
le pietre delle fiumare.

PAESE MIO

Tante case, chiese, un cimitero,
in una culla di alti monti.
Frane, aspri pendii,
rovinosi torrenti
sotto fragili ponti.
Colline, irridenti di verde;
uliveti fecondi.
Inesauribili fonti.
Così, come il mio paese,
è la mia gente.

Platì, 1959/60

I testi e la foto si trovano sulla rivista curata da Mimmo Marando
PLATI’ GENNAIO 1998

A leggere queste due poesie di Pasqualino Perri la mente mi riporta alle immagini in bianco e nero di Gianni Di Venanzo (1920 - 1966) quando curava la fotografia per i film di Antonioni, Zurlini, Fellini, Rosi (memorabile la sequenza a Portella della Ginestra in Salvatore Giuliano) come per il Provenzale citato in apertura.