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lunedì 16 dicembre 2019

Racconti dalla tomba [di Freddie Francis,1972]




PAROLE SULL’ESTINTO
Dottor Domenico Zappia
DEL
Dottor Vincenzo Papalia

GERACE MARINA
Tip. Del Progresso

Al Sig. Carmelo Zappia
Compare ed amico stimatissimo
La morte del vostro Sig. Padre, matura come l’età, non come intelligenza, la quale ultima, non ostante quella, era giovane ancora, non poteva nel dolore che me ne ha colpito, non impormi a scrivere queste poche pagine, che sono un segno, come tributo di devozione alle sacre sue ceneri, dell’autore che io serbavo e serberò sempre per sì illustre collega.
All’urna, che custodisce le venerande sue spoglie, sarà conforto imperituro l’Eden; al vostro eterno dolore, la virtù d’un padre, padre adorato, che spirò tra il culto della scienza e la preghiera dei nostri antichi avi.
Vi riverisco.
Vostro Devotissimo Compare
V. PAPALIA
Platì, 7 Marzo 1894

Le foto si riferiscono a quel che rimane dei coniugi Giuseppe Morabito (1845-1925) e Maria Filomena Luscrì fu Rocco (1876-1947).


Siamo innanzi ad una tomba matura che accoglie il cadavere d`un vecchio spento, venerando. Se dentro vi aleggiasse lo spirito e informasse con la sua virtù incognita, sovra intellegibile, eterna eccitatrice, nervi, sangue ed ossa, di quel corpo illustre, che ricorda la polve dei nostri avi, dei nostri estinti, la vostra e la nostra miseria; se questo spirito, che da Anassagora agli ultimi filosofi moderni, come Mamiami, Trezza, Grimrn, Steintal ed altri, qualunque fosse il sistema speculativo, rivela il Gesù di San Paolo e di San Tommaso, potesse, a guisa del Surge et ambula, animare una seconda volta quella salma insigne, avremmo ancora con noi l’onoratissimo competitore di Sacy, il Dottor Domenico Zappia. Ma il risorgere non importa immortalità: il tempo domina le risurrezioni, in quanto che queste, attuate, come quelle di Lazzaro, trovano sempre il thanathos dell’autore di Nerina, militando all’ultimo premio ch'è Iddio.
E questo premio, dopo 87 anni di lotte con le pagine della scienza ebbe questo mio spettabile collega. Attraverso di quel feretro, onorato da degni sacerdoti, da, uomini, da uomini, donne e fino fanciulli, spira come dagli Upanisadì dei Vedi il sistema Panteistico, il sentimento della vera religione. Ogni uomo, che abbia avuto in vita una virtù, anco unica, scendendo nella fossa, è degno del compianto dell’uomo: mentre i difetti, gli errori restano col limo estinto, da questo la virtù, lasciando le condizioni somatiche s’eleva su uomini e cose, rendendosi tradizionale. Le virtù dell`estinto, per cui siamo qui radunati, son note a tutti.
Dall`età giovane fin circa al secolo, che egli stava toccando, la sua vita fu un continuo lavoro letterario - filosofico, una fede, una religione continua a Dio; un amore indefesso, un animo forte, tenace nei suoi principii cristiani; un ingegno in continuo esercizio negli studi biblici, in cui era profondo, dotto, grande
scienziato, da meritare senza né pur l`ombra di esagerazione, una cattedra universitaria, se cattedra vi fosse di Genesi.
L’Eden, l’opera sua colossale, che conta ventisei anni di studio, e che è l’istorosofia del Genesi, contiene quasi tutto lo scibile. Essa, pubblicandosi, non potrà non apportare una rivoluzione d'idee nell' ordine biblico; dopo dappoiché il principio che la informa, il seminio, non è contrario, discordante con la causa suprema, a cui l’autore non si stancò mai di prestare' il doppio culto, interno e esterno. Dal seminio, informatore e trasformatore di questa produzione biblica, scendono tutte quelle conseguenze scientifiche che rivelano dell’autore medesimo la vasta dottrina nelle cognizioni filosofiche in rapporto elazione alle scienze naturali. Versato nelle lettere latine e italiane, non che nei pochi frammenti rimastici dell’idioma ebraico, di cui, con coscienza filologico-letteraria, possedeva il significato diverso dei diversi geroglifici fino ai caratteri cuneiformi dell’epoca paleolitica, il sentirlo parlarne, discorrere, innamorava, affascinando e inducendo nell’animo il piacere immenso d’udirlo. Sortito da natura lo privilegio, che è di pochi, della spontaneità della favella, la quale è sempre l’espressione della grande e pronta conducibilità delle idee risolventesi, col linguaggio, in rapidi giudizii, egli, a parer mio, era veramente oratore, fecondo ed eloquente.
La forma facile, leggiadra, nitida del suo stile, che si accompagna costantemente con la dialettica dell’analisi e della sintesi, rivela in lui l’uomo che fu d’ingegno e di spirito. Una rosa, surta in una valle o brullo terreno delle Alpi, portata sulla nera treccia d’una bella fanciulla, ha maggior valore estetico, brilla più d’un fiore vegetante tra rovi. Se tanto ingegno, che, come il fabbro di Iuterbock batte il demone sull`incudine, batteva il tempo con lo studio, non mai interrotto, avesse avuto un orizzonte più ampio, altro cielo che non questo, che ci pesa come cappa di piombo; avrebbe conseguito, senza dubbio, la rinomanza d’un centro storico. Mi diceva l’illustre Prof. Amicarelli (figlio) allora che io era studente Napoli, che suo padre, il quale insegnava medicina all’epoca della scuola umorale, ammirava la versatilità dell’ingegno dello Zappia. Tutto ciò vien confermato da altri molti scritti, oltre l’Eden, come poesie, recensioni o componimenti, in prosa e così via, che eziandio giacciono sepolti, inediti, nel silenzio.
Dov`è ito, estinto collega, il desiderio indefinibile onde t’agitavi un giorno di veder pubblicati tutti questi tuoi lavori? Che piacere immenso non sarebbe stato il tuo se l’Eden, prima tu morissi, avesse avuto l’onore della stampa? Egli ci commuove con la sua morte, perché l’età non l’ha spinto sotterra, non era quella del pieno fior della vita: ci commuove questo suo santo desiderio, che è rimasto non altro che desiderio! Ci commuove altresì il suo lungo infortunio, che egli seppe sfidare con la sua fibra d’acciaio e che attraversò per la morte di suoi non pochi cari, nell’aprile degli anni e per vicenda politica al 1860. Denunziato, qual borbonico aderente alla banda Mittiga, come il Reverendo e non mai compianto sacerdote Carmelo Zappia, caro ai suoi e ai conterranei, che spirò in mezzo ai projettili dei bersaglieri in Casignana, avrebbe subito la stessa sorte di questo degno ministro di Dio, se un sonetto da lui fatto allo indirizzo del Re Vittorio Emanuele II, non l’avesse salvato. Ci commuove, in una parola, il totale abbandono in cui egli fu messo dopo 66 anni di policlinica. Egli, che, ai tempi suoi, figurava tra la sua numerosa clientela, per essere stato degno collega dei primarii medici suoi contemporanei; che continuò, per tutto quel periodo di tempo, l’esercizio professionale con sensi di somma generosità e di abnegazione e di pazienza e di energia e di decoro e di incorrotti costumi; che, irato sempre e non maligno mai, seppe soffrire il travaglio della sua carriera, alternando la vita tra tempio ed infermi, ebbe, per compenso, ingratitudine e noncuranza.
E pur egli, non abusando del suo sapere, della sua estesa dottrina, e seguendo le orme dell'EvangeIo, non senza scolpir nel proprio cuore la sentenza ai Corinti dell’apostolo Paolo, scientia inflat, charitas vero aedificat, perdonò ai suoi ingrati. Tre cose formarono I‘obbietto della sua esistenza, tempio,
studio artigiano, e cura degli ammalati. Però, come Massimo d’Azeglio non volle ricusare mai il nome di pittore bohémien de colli di Albano, egli non si sdegnò mai di assistere, accudire, spesso, spesso lo si vedeva, qual vecchierello canuto e stanco, venire, ritornar dalla campagna, onde l’anima sua, travagliata dagli anni trovava, col lavoro, qualche giorno di riposo.
Ora caro collega sepolto, degno di Dio e di questo popolo qui ragunato per la tua perdita immensa, non ti vediamo più, a piè dell’altare, cantare assieme ai Ministri di Dio, gli inni del Signore! La tua vita, che fu un continuo sacerdozio, la vita dei templi, l’ossequio sincero, magnanimo, la fede ferma, illuminata a Dio, oggi, spente le tue care sembianze. si fa sentir più bella, più candida nei nostri cuori, più feconda di ammirazione per le virtù che t’adornavano, e che a noi son rimaste e rimarranno sempre vive, sempre modello di morale, come esempio di uomo religioso e di perfetto gentiluomo. Oh quanto vorrei dire su ciò, se il tempo non mi venisse meno!
Per cui Iddio t’accompagni là, dove dobbiamo rotolar tutti, I’un dopo l’altro; dove l’orgoglio, la invidia e la calunnia, tutte le passioni, della natura umana muoiono con la polve a cui esse sono inseparabili. Se la
tua terra natia ti fu ingrata; se essa non volle o non seppe conoscere la grandezza della tua coscienza morale e il merito non lieve letterario – filosofico, onde uscì l`opera universale biblica, suesposta›, ciò non fa caso; anco il divino Vico visse oscuro e non calcolato da coloro che non seppero apprezzare il suo merito. Laonde, ti compensi Iddio: mentre quatto nude tavole racchiudono un atomo della terra il quale si risolve nelle isterilite tue ossa, l’Eden, che non e né pur una pagina della tua spenta carne, racchiude il mondo, l’universo, l’infinito! Ti sia, adunque, lieve la fossa, caro tanto, quanto cara sono le tue ceneri!
Ma, prima tu muova, abbiti, assieme a questo reverendo clero ed a questo popolo, onde se onorato, l`ultimo mio saluto, mentre i tuoi figli superstiti, figli derelitti, Carmelo e Pompeo, Marcello e Rosario, versano lagrime non solo per aver perduto un vecchio padre, ma un antico esemplare di virtù.
Platì, 7 Marzo 1894


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