PAROLE
SULL’ESTINTO
Dottor
Domenico Zappia
DEL
Dottor
Vincenzo Papalia
GERACE MARINA
Tip. Del Progresso
Al Sig. Carmelo Zappia
Compare ed amico stimatissimo
La morte del vostro Sig. Padre, matura come l’età, non come
intelligenza, la quale ultima, non ostante quella, era giovane ancora, non
poteva nel dolore che me ne ha colpito, non impormi a scrivere queste poche
pagine, che sono un segno, come tributo di devozione alle sacre sue ceneri,
dell’autore che io serbavo e serberò sempre per sì illustre collega.
All’urna, che custodisce le venerande sue spoglie, sarà conforto
imperituro l’Eden; al vostro eterno dolore, la virtù d’un padre, padre adorato,
che spirò tra il culto della scienza e la preghiera dei nostri antichi avi.
Vi riverisco.
Vostro Devotissimo Compare
V. PAPALIA
Platì, 7 Marzo 1894
Le foto si riferiscono a quel che rimane dei coniugi Giuseppe Morabito (1845-1925) e Maria Filomena Luscrì fu Rocco (1876-1947).
Siamo innanzi ad una tomba matura che accoglie il cadavere
d`un vecchio spento, venerando. Se dentro vi aleggiasse lo spirito e informasse
con la sua virtù incognita, sovra intellegibile, eterna eccitatrice, nervi, sangue
ed ossa, di quel corpo illustre, che ricorda la polve dei nostri avi, dei nostri
estinti, la vostra e la nostra miseria; se questo spirito, che da Anassagora
agli ultimi filosofi moderni, come Mamiami, Trezza, Grimrn, Steintal ed altri,
qualunque fosse il sistema speculativo, rivela il Gesù di San Paolo e di San
Tommaso, potesse, a guisa del Surge et
ambula, animare una seconda volta quella salma insigne, avremmo ancora con noi
l’onoratissimo competitore di Sacy, il Dottor Domenico Zappia. Ma il risorgere non
importa immortalità: il tempo domina le risurrezioni, in quanto che queste,
attuate, come quelle di Lazzaro, trovano sempre il thanathos dell’autore di Nerina, militando all’ultimo premio ch'è
Iddio.
E questo premio, dopo 87 anni di lotte con le pagine della
scienza ebbe questo mio spettabile collega. Attraverso di quel feretro, onorato
da degni sacerdoti, da, uomini, da uomini, donne e fino fanciulli, spira come
dagli Upanisadì dei Vedi il sistema Panteistico, il sentimento della vera religione.
Ogni uomo, che abbia avuto in vita una virtù, anco unica, scendendo nella
fossa, è degno del compianto dell’uomo: mentre i difetti, gli errori restano
col limo estinto, da questo la virtù, lasciando le condizioni somatiche s’eleva
su uomini e cose, rendendosi tradizionale. Le virtù dell`estinto, per cui siamo
qui radunati, son note a tutti.
Dall`età giovane fin circa al secolo, che egli stava
toccando, la sua vita fu un continuo lavoro letterario - filosofico, una fede,
una religione continua a Dio; un amore indefesso, un animo forte, tenace nei suoi
principii cristiani; un ingegno in continuo esercizio negli studi biblici, in
cui era profondo, dotto, grande
scienziato, da meritare senza né pur l`ombra di esagerazione,
una cattedra universitaria, se cattedra vi fosse di Genesi.
L’Eden, l’opera
sua colossale, che conta ventisei anni di studio, e che è l’istorosofia del
Genesi, contiene quasi tutto lo scibile. Essa, pubblicandosi, non potrà non
apportare una rivoluzione d'idee nell' ordine biblico; dopo dappoiché il
principio che la informa, il seminio,
non è contrario, discordante con la causa suprema, a cui l’autore non si stancò
mai di prestare' il doppio culto, interno e esterno. Dal seminio, informatore e trasformatore di questa produzione biblica,
scendono tutte quelle conseguenze scientifiche che rivelano dell’autore
medesimo la vasta dottrina nelle cognizioni filosofiche in rapporto elazione
alle scienze naturali. Versato nelle lettere latine e italiane, non che nei
pochi frammenti rimastici dell’idioma ebraico, di cui, con coscienza
filologico-letteraria, possedeva il significato diverso dei diversi geroglifici
fino ai caratteri cuneiformi dell’epoca paleolitica, il sentirlo parlarne,
discorrere, innamorava, affascinando e inducendo nell’animo il piacere immenso
d’udirlo. Sortito da natura lo privilegio, che è di pochi, della spontaneità
della favella, la quale è sempre l’espressione della grande e pronta
conducibilità delle idee risolventesi, col linguaggio, in rapidi giudizii, egli,
a parer mio, era veramente oratore, fecondo ed eloquente.
La forma facile, leggiadra, nitida del suo stile, che si
accompagna costantemente con la dialettica dell’analisi e della sintesi, rivela
in lui l’uomo che fu d’ingegno e di spirito. Una rosa, surta in una valle o
brullo terreno delle Alpi, portata sulla nera treccia d’una bella fanciulla, ha
maggior valore estetico, brilla più d’un fiore vegetante tra rovi. Se tanto
ingegno, che, come il fabbro di Iuterbock batte il demone sull`incudine,
batteva il tempo con lo studio, non mai interrotto, avesse avuto un orizzonte più
ampio, altro cielo che non questo, che ci pesa come cappa di piombo; avrebbe
conseguito, senza dubbio, la rinomanza d’un centro storico. Mi diceva l’illustre
Prof. Amicarelli (figlio) allora che io era studente Napoli, che suo padre, il
quale insegnava medicina all’epoca della scuola umorale, ammirava la
versatilità dell’ingegno dello Zappia. Tutto ciò vien confermato da altri molti
scritti, oltre l’Eden, come poesie,
recensioni o componimenti, in prosa e così via, che eziandio giacciono sepolti,
inediti, nel silenzio.
Dov`è ito, estinto collega, il desiderio indefinibile onde
t’agitavi un giorno di veder pubblicati tutti questi tuoi lavori? Che piacere immenso
non sarebbe stato il tuo se l’Eden,
prima tu morissi, avesse avuto l’onore della stampa? Egli ci commuove con la
sua morte, perché l’età non l’ha spinto sotterra, non era quella del pieno fior
della vita: ci commuove questo suo santo desiderio, che è rimasto non altro che
desiderio! Ci commuove altresì il suo lungo infortunio, che egli seppe sfidare
con la sua fibra d’acciaio e che attraversò per la morte di suoi non pochi
cari, nell’aprile degli anni e per vicenda politica al 1860. Denunziato, qual
borbonico aderente alla banda Mittiga, come il Reverendo e non mai compianto
sacerdote Carmelo Zappia, caro ai suoi e ai conterranei, che spirò in mezzo ai
projettili dei bersaglieri in Casignana, avrebbe subito la stessa sorte di
questo degno ministro di Dio, se un sonetto da lui fatto allo indirizzo del Re
Vittorio Emanuele II, non l’avesse salvato. Ci commuove, in una parola, il
totale abbandono in cui egli fu messo dopo 66 anni di policlinica. Egli, che,
ai tempi suoi, figurava tra la sua numerosa clientela, per essere stato degno
collega dei primarii medici suoi contemporanei; che continuò, per tutto quel
periodo di tempo, l’esercizio professionale con sensi di somma generosità e di
abnegazione e di pazienza e di energia e di decoro e di incorrotti costumi;
che, irato sempre e non maligno mai,
seppe soffrire il travaglio della sua carriera, alternando la vita tra tempio
ed infermi, ebbe, per compenso, ingratitudine e noncuranza.
E pur egli, non abusando del suo sapere, della sua estesa
dottrina, e seguendo le orme dell'EvangeIo, non senza scolpir nel proprio cuore
la sentenza ai Corinti dell’apostolo Paolo, scientia
inflat, charitas vero aedificat, perdonò ai suoi ingrati. Tre cose formarono
I‘obbietto della sua esistenza, tempio,
studio artigiano, e cura degli ammalati. Però, come Massimo
d’Azeglio non volle ricusare mai il nome di pittore bohémien de colli di Albano, egli non si sdegnò mai di assistere,
accudire, spesso, spesso lo si vedeva, qual vecchierello canuto e stanco,
venire, ritornar dalla campagna, onde l’anima sua, travagliata dagli anni
trovava, col lavoro, qualche giorno di riposo.
Ora caro collega sepolto, degno di Dio e di questo popolo
qui ragunato per la tua perdita immensa, non ti vediamo più, a piè dell’altare,
cantare assieme ai Ministri di Dio, gli inni del Signore! La tua vita, che fu un
continuo sacerdozio, la vita dei templi, l’ossequio sincero, magnanimo, la fede
ferma, illuminata a Dio, oggi, spente le tue care sembianze. si fa sentir più
bella, più candida nei nostri cuori, più feconda di ammirazione per le virtù
che t’adornavano, e che a noi son rimaste e rimarranno sempre vive, sempre
modello di morale, come esempio di uomo religioso e di perfetto gentiluomo. Oh
quanto vorrei dire su ciò, se il tempo non mi venisse meno!
Per cui Iddio t’accompagni là, dove dobbiamo rotolar tutti, I’un
dopo l’altro; dove l’orgoglio, la invidia e la calunnia, tutte le passioni,
della natura umana muoiono con la polve a cui esse sono inseparabili. Se la
tua terra natia ti fu ingrata; se essa non volle o non seppe
conoscere la grandezza della tua coscienza morale e il merito non lieve
letterario – filosofico, onde uscì l`opera universale biblica, suesposta›, ciò
non fa caso; anco il divino Vico visse oscuro e non calcolato da coloro che non
seppero apprezzare il suo merito. Laonde, ti compensi Iddio: mentre quatto nude
tavole racchiudono un atomo della terra il quale si risolve nelle isterilite
tue ossa, l’Eden, che non e né pur una pagina della tua spenta carne, racchiude
il mondo, l’universo, l’infinito! Ti sia, adunque, lieve la fossa, caro tanto,
quanto cara sono le tue ceneri!
Ma, prima tu muova, abbiti, assieme a questo reverendo clero
ed a questo popolo, onde se onorato, l`ultimo mio saluto, mentre i tuoi figli
superstiti, figli derelitti, Carmelo e Pompeo, Marcello e Rosario, versano
lagrime non solo per aver perduto un vecchio padre, ma un antico esemplare di
virtù.
Platì, 7 Marzo 1894
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