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venerdì 12 maggio 2017

In Calabria - Bruzio Glorioso



Quando e perché il Bruzio cominciò ad essere chiamato Calabria

Alcuni storici affermano che i Greci, quando le città principali dell'antica Calabria furono occupate da Romualdo, duca di Benevento, abbiano trasferito il nome della provincia perduta al Bruzio che ancora ad essi restava soggetto. E questa tendenza dei superbi, per quanto inetti, bizantini, si vede chiara dal fatto che restrinsero a poco a poco anche il nome di « Romagna ›› ossia terra dei Romani, all'esarcato che sempre più si andava assottigliando, ma che, nel loro sciocco orgoglio, formava la loro eredità dell'impero occidentale; ed ugualmente diedero il nome di « Sicilia » poi, al tempo dei Normanni, detta « Sicilia cismarina » all' Italia meridionale, quando fu conquistata dagli Arabi l’isola di tal nome; (donde in seguito la denominazione di regno delle due Sicilie) - e similmente in seguito chiamarono Romania la provincia d’oriente che più a lungo continuò a re- star loro soggetta. Ma del tempo preciso in cui per il Bruzio un tale cambiamento di nome sia avvenuto nessuno sa dirci: poiché quegli stessi, che affermano che un tale cambiamento sia stato fatto con gran pompa per un’ordinanza imperiale, fanno vedere la loro esitanza e il dubbio della propria opinione, dicendo che probabilmente quell'ordinanza non aveva data.
Osservo però che tra le firme dei vescovi che, nel Concilio romano, sottoscrivono l'epistola sinodica di papa S. Agatone agli Augusti imperatori d'oriente, per celebrazione del VI Concilio ecumenico, terzo di Costantinopoli, in data del 680, si trovavano anche le firme dei vescovi delle nostre regioni e il nome della provincia a cui essi appartengono. Ma dalle sottoscrizioni pare che quei vescovi non sappiano neppur essi a qual provincia appartengono; cosa certamente impossibile se quel cambiamento di nome fosse avvenuto solennemente per un ordine imperiale. Le sottoscrizioni infatti sono tali che, dei nove vescovi del Bruzio, cinque si dicono della Provincia di Calabria, cioè ; Stefano di Locri, Teofane di Turio, Gregorio di Taureana, Teodoro di Tropea, e Crescente di Vibona - e quattro si di- cono della provincia dei Bruzii, cioè: Giuliano di Cosenza, Abondazio di Tempsa, Pietro di Crotone, e Paolo di Squillace. Mentre dall'altra parte, dei vescovi della penisola Salentina, Giovanni di Otranto si sottoscrive della provincia dei Bruzii, e Germano di Taranto, della provincia di Calabria.
E mentre l occupazione del Duca Romualdo avvenne nel 675, ecco, appena cinque anni più tardi, una tale promiscuità di nomi nelle due provincie che gli stessi vescovi non sanno quale sia il nome di quella a cui essi appartengono; manifesto che il cambiamento di nome non era avvenuto per un rescritto imperiale.
Io penso invece che i Bizantini, non volendo rassegnarsi alla perdita della Calabria, quando essa fu occupata dal duca Romualdo, continuavano ad eleggere i magistrati che continuarono a mandare in Italia col titolo, ormai vuoto di senso, di governatori di Calabria. Ma questi, non potendo più dimorare nell'antica regione, le cui città principali appartenevano al duca di Benevento, cominciarono da quel tempo a risiedere nel Bruzio, ancora sotto la dominazione bizantina, pur ritenendo il nome di governatori di Calabria, e di qua governando il Bruzio e le piccole terre che ancora possedevano nell'antica Calabria. Quando però si cominciarono ad accorgere che il solo titolo poco valeva, giacché il duca Romualdo aveva ben fermato il piede nell'antica loro provincia, cominciarono a chiamare indifferentemente Bruzio o Calabria tutte le terre da loro dipendenti nel mezzogiorno d'Italia, quindi tanto l'antico Bruzio quanto le poche terre che ancora ad essi restavano soggette nella penisola Salentina. Si riferirebbe cosi a questo tempo la lettera sinodica di papa Agatone, da cui si vede che i vescovi non sanno quale sia il vero nome della provincia a cui essi appartengono; e la ragione sarebbe l’indifferente promiscuità dei due nomi, dati in quel tempo, si all’una che all'altra provincia. In seguito però il nome dei governatori passò a poco poco, ma definitivamente, alla regione da essi amministrata: e mentre il Bruzio mutava, quasi insensibilmente, il suo nome in quello di Calabria, nella penisola Salentina si estendeva da Nord a Sud il nome di Apulia (Puglia).
È vero che anche dopo la fine del secolo settimo si continua a trovare testimonianze col nome di Bruzio: non ultima fra le quali la ripartizione geografica dell’ltalia, fatta da Paolo diacono verso il primo decennio del secolo IX, quantunque l’antico nome si trovi in essa corrotto in « Briccia » segno manifesto che quel nome non si pronunziava più; - ma è piuttosto l’ostentazione di un ricordo storico, anziché il vero nome della provincia in quel secolo. Appunto come facciamo ancor noi quando chiamiamo Bruzio e Magna Grecia la nostra terra; o come i nostri vecchi, i quali, per abitudine contratta, continuano a dire ancora « Calabria citra « e « Calabria ultra ›› mentre noi intendiamo invece soltanto i termini geografici di Provincia di Reggio, di Catanzaro, di Cosenza. E tante sono le testimonianze, anche anteriori ai tempi di Paolo diacono, che non se ne può più dubitare. Senza pero che io mi dilunghi per questo in vane citazioni, chi ne avesse voglia veda il Morisani.
Questo in quanto al tempo.
E la causa d’un tale cambiamento di nome? Io penso che la residenza dei governatori bizantini nelle nostre province ne sia stata soltanto la causa occasionale. La causa però intima e sconosciuta, ma causa efficiente io penso che sia stata la vergogna della propria abbiettezza in quel tempo, paragonata alle glorie dell'antichità. E qui cedo interamente la parola al Faccioli. A questo proposito così egli scrive: « Dopo l'annullamento politico delle nazioni italiche la caduta dell' Impero portò seco il cambiamento generale dei loro rispettivi ed antichissimi nomi ; quei nomi che ricordano i fasti, i giorni e di secoli della loro passata grandezza ; nomi dei quali, dopo il medio evo, fu sentito il bisogno di sperdere la memoria, perché i posteri ignorino di qual sangue e di quali padri discendano: e perché anche ignorino di esser dessi nati e di vivere in quel medesimo suolo, sotto quel medesimo cielo, patrie onorate dei loro avi ed illustri per tante grandezze e vittorie.
 La nostra terra, che fu magna pars della Magna Grecia e Bruzio glorioso, quando comincerà ad essere magna e gloriosa Calabria?
 Occhiuto B.
POPSIS, Anno III, fascicolo 1 - 2, 1912



giovedì 11 maggio 2017

In Calabria (reg. Vittorio De Seta - 1993)


Quando e perché il Bruzio cominciò ad essere chiamato Calabria

Fra tante lacune che ingombrano la narrazione degli avvenimenti dei tempi di mezzo, una principalmente ne rimane ancora nella nostra storia « Quando e perché fu dato al Bruzio il nome di Calabria, nome
che designava dapprima la moderna penisola Salentina? 
E interamente discordi intorno a questo sono gli storici, poiché dal III alla fine dello VIII secolo fanno oscillare la data di un tale mutamento di nome; né io, in cosa tanto discussa, vorrei azzardare una mia ipotesi. Faccio quindi soltanto qualche osservazione.
Afferma l`Ughelli (1) che, ai tempi di Costantino imperatore, il Bruzio aveva gia cambiato il suo nome in quello di Calabria; ma troppo debole è l’argomento con cui egli vorrebbe sostenere la sua affermazione: dice infatti che negli atti del Concilio di Nicea, dell'anno 325, si legge che il Vescovo di Reggio vi si recò dalla Calabria. Ho potuto riscontrare però che negli Atti del Concilio di Nicea, nella sottoscrizione dei vescovi presenti, al Concilio, si legge soltanto: “Marcus provinciae Calabriae”.
Si può dedurre soltanto da questo dunque che quel vescovo di nome Marco fosse preposto alla Chiesa di Reggio? L'Ughelli assicura che si: perché intorno a quel tempo il catalogo dei vescovi di Reggio ne riporta uno di nome « Marco ››.
Ma chi assicura che quel « Marco della provincia di Calabria  non sia uno dei vescovi della penisola Salentina: di Brindisi, per esempio, di Taranto o di Otranto alle cui chiese la tradizione assegna origine apostolica, poiché si crede siano state erette da S. Pietro?
Questa ipotesi poi potrebbe venire avvalorata dallo stesso Ughelli, il quale, nel catalogo cronologico dei vescovi di Brindisi, da Dionigi, vissuto verso l'anno 202, salta a piè pari a S. Aproculo, vissuto verso il 350, senza saperci dare i nomi dei vescovi che ressero quella chiesa in quel secolo e mezzo, nel qual tempo appunto fu tenuto il primo Concilio di Nicea.
Nel catalogo dei vescovi della Chiesa di Taranto durante i primi sei secoli l'Ughelli ci sa dire soltanto i nomi di cinque vescovi, cominciando da Amasiano, forse ordinato da S. Pietro, nel 45, senza però saperci dare la cronologia degli altri quattro, né i nomi dei tanti altri che certamente nei primi sei secoli ressero quella Chiesa.
Non poté dunque nella Chiesa di Brindisi o in quella di Taranto trovarsi un vescovo di tal nome, il quale, intervenuto al Concilio di Nicea, più storicamente si potesse sottoscrivere: Marcus provinciae Calabriae?  A me pare che si; e se altro documento storico non ebbe da addurre il diligentissimo Ughelli per dimostrare che quel mutamento di nome era già avvenuto ai tempi di Costantino magno, quell’unico argomento da lui addotto prova nulla.
Al contrario, si hanno documenti certi per dimostrare che ai tempi di Costantino il Bruzio continuava ancora a chiamarsi Bruzio.
Da che l'Italia fu divisa in dipartimenti o province da Augusto, la quale divisione, modificata poi da Adriano, perdurò fino all'esarca Longino, la Lucania e il Bruzio formarono una sola provincia retta da un correttore, residente a Reggio o a Salerno secondo che richiedevano gli affari. Ora esistono tuttavia a Reggio e a Salerno due iscrizioni lapidarie del IV secolo, riportate dal Faccioli, (2) così espresse :
Correctori Lucaniae
et Brutorium inte
gritntis constantiae
moderationis anti
sti ordo populusque
Reginus
e l’altra :
Annio Victorino V. C.
Correctori Lucaniae
et Brutiorum ob
insignem benevolen
tiam eius ordo popu
lusque salernitanus

Come si vede, nell'uno e nell’altra iscrizione i Bruzi si chiamano ancora col loro nome antico.
E poi, nei rescritti di Cassiodoro, uno dei pochissimi, se non l'unico monumento scritto a cui si trova ridotta la storia per tutta la prima metà del VI secolo, nelle ordinanze da quel grande nostro compatriota scritte a nome di Teodorico e dei suoi successori, o a proprio nome, come prefetto del pretorio, nelle cose che riguardano la nostra regione, essa è sempre chiamata « Bruzio; ›› né io ho potuto trovare un passo in cui essa venisse appellata « Calabria ».
Senza dilungarmi in citazioni inutili, mi piace di riportarne soltanto una in cui è lodato il vino prodotto dalle terre, ancora ubertose, che stanno fra Palmi e Gioia Tauro:
  ”Vinum, (3) quod laudare cupiens, Palmatianum nominavit antiquitas, non stipsi asperum sed gratum suavitate, perquire ; nam licet inter vina Brutia videatur extremum factum, tamen est pene generali opinione praecipuumi ibi enim requiritur et Gazeto et Sabino simile, et magnis odoribus singulare. Quod ita redolet ut merito illi a palma nomen videatur impositum”.
ln questo brano si parla dei vini del Bruzio e soltanto con questo nome viene designata la regione: ma se in altro brano, oltre del Bruzio viene nominata contemporaneamente la Calabria, intendendo con questo nome la penisola Salentina, a me pare che resti con questo dimostrato che, nella prima metà del VI secolo, quelle due province ritenevano ancora il loro antico nome.
E difatti, avendo saputo Atalarico che gli avventori della grande fiera di Leucotea, nella Lucania, erano esposti agli agguati ed ai furti di malviventi, egli provvede alla sicurezza pubblica con un'ordinanza diretta al correttore Severo, e di cui trascrivo soltanto le poche parole che fanno al nostro bisogno: « (4) .... .. quid enim praecipuum mittit aut industriosa Campania, aut opulenti Brutii, am Calabri peculiosi, aut Appuli idonei, vel ipsa potest habere provincia, in ornatum pulcherrimae illius venalitatis exponitur,... ›› Verso la metà del secolo VI, dunque, gli abitanti delle nostre province ancora si chiamavano « Bruzi ››.
Quando dunque fu cambiato il nome alla regione? »
                                                                                         (continua)
 Occhiuto B.

(1) Italia Sacra. Vol. VIII. Part. Il pag. 172.
(2) Ricerche sui Bruzi. Vol. II. pag. 59.
(3) Cassiod. Variarum libr. XII.
(4) Cassiod. Var. libr. IX. 

POPSIS, Anno III, fascicolo 1 - 2, 1912
Foto (Natile Vecchio) di don Turi Carannante

mercoledì 10 maggio 2017

La pagella (reg. Ninì Grassia - 1980)












Quella elementare è stata una scuola itinerante: dalla via San Nicola (oggi Corso) alla via San Pasquale, alla via Rocco Romeo (in quegli anni in questa stessa via c'era la casa dove nacque papà) per finire in via Roma, la strada che conduce all'esodo molti allievi.
Antonietta Motta, Maria Russo, Augilletta Carmela, Ettore Badolato, Brunetto Antonietta, Maria Barbagallo, Teresa Galasso i vari maestri che condussero la zia Amalia alla licenza elementare.
A  tutti va questo tenero ricordo.

lunedì 8 maggio 2017

Acque del Sud - 1985.Minacce senza fine


Nuovo smottamento di terra
Platì, pericolo per altre case
Stavolta, la minaccia incombe sugli
edifici delle vie Giardinello e Roma

NATILE NUOVO – A Platì continuano ad operare le ruspe e i camion per rimuovere e portare lontano i detriti della frana che minaccia l’abitato (il Sindaco, rag. Domenico De Maio, come è noto, ha dovuto emettere circa cento ordinanze di sgombero di abitazioni in pericolo).
Ieri un altro smottamento di terra si è abbattuto sulle vie Roma e Giardinello, minacciando altre abitazioni. Il sindaco, appena avvertito, si è recato sul posto, insieme con i tecnici del Comune, i vigili urbani e il brigadiere dei carabinieri e nel contempo ha informato telefonicamente le autorità di Reggio.
Il sindaco ha rilevato la gravità del fenomeno franoso. Molto materiale è andato a finire vicino ad alcune abitazioni, ostruendo inoltre il vallone Pirare e creando seri pericoli per l’incolumità delle persone.
Per evitare altri possibili disastri, il sindaco sta predisponendo un elenco di altre abitazioni libere per eventuali requisizioni in caso di emergenza. Dopo la pausa causata dalle grosse frane abbattutesi in seguito ai recenti nubifragi, si comincia, attraverso il sopralluogo da parte dei carabinieri, dei tecnici del comune e dei vigili urbani a fare un bilancio dei danni.
La situazione generale si presenta più drammatica del previsto: centinaia di ettari di colture sono stati completamente distrutti. Si lamentano perdite di bestiame, danni alle strutture agricole e danni alle abitazioni del capoluogo e delle frazioni.
Il fenomeno franoso che ha determinato circa cento ordinanze di sgombero, continua a destare viva preoccupazione tra i cittadini, poiché la frana che minaccia l’intero rione XXIV Maggio non è nuova: ricordano i più anziani che nel lontano 1934, nella stessa località, un’altra frana aveva distrutto in un baleno le abitazioni che sorgevano ai margini della Statale 112.
Ma non sono solamente le frane di questi giorni a provocare apprensione tra la popolazione. Esiste un pericolo sempre incombente sull’intero abitato. Platì si trova in una valle alle cui spalle scorre sempre minaccioso il fiume Ciancio, lo stesso che nel 1951 entrò nel paese distruggendone circa due terzi. La pendenza notevole del letto del fiume, le frane che ad ogni alluvione minacciano di ostruire il corso costituiscono un pericolo per l’intero abitato. Inoltre i torrenti Acone e Sanello sono stati in passato causa di diciotto morti e immense distruzioni.
 La popolazione del centro aspromontano già tanto provata chiede a pieno titolo tutti i possibili interventi per far fronte al dissesto idrogeologico del territorio. Una richiesta legittima che attende una risposta sera e concreta dal governo e dalla Regione. L’amministrazione comunale appena avrà un quadro completo dei danni subiti chiederà un incontro con la giunta regionale per sottoporre i problemi di Platì.
Franco Callipari
GAZZETTA DEL SUD – Sabato 26 Gennaio 1985


domenica 7 maggio 2017

Acque del Sud - 1985. Si è tornati al 1951





PLATI` -- A Platì si è tornati al 1951 quando l'alluvione spazzò via l'intero paese provocando 17 morti. Due frane di proporzioni immense si sono staccate dai costoni dell'Aspromonte orientale mettendo a repentaglio la vita dell'intero centro. Una situazione drammatica che la gente affronta con antico rituale.
Oltre cento famiglie da ieri sera hanno abbandonato le case trovando rifugio provvisorio presso parenti e amici. Sono gli stessi nomi del 1951 che una natura avversa spinge verso una nuova diaspora. Si chiamano Romeo, Catanzariti, Vilardi, Trimboli. Barbaro, Burzomò, Perri, Marando, Violi. gli stessi nomi che Francesco Perri, Corrado Alvaro e Mario Lacava descrissero nei paesi di fango e del diluvio. Una situazione insostenibile e drammatica che trova intere famiglie costrette a ricoveri di emergenza.
Ma veniamo alla cronaca delle ultime ore. La prima frana si è staccata da contrada Pandefraro con una colata di fango e detriti su un fronte di cento metri travolgendo fiorenti uliveti e la Statale 112. Un uragano di notte che ha fatto scappare dal rione XXIV Maggio Saverio Romeo con la moglie e gli otto piccoli figli assieme con altre famiglie.
Poi, un grido assordante di gente. Dall'altra parte del paese, dal Vignale, un'altra frana si è abbattuta su un dedalo di case. Altre fughe verso il centro del paese intasato di mezzi e persone. La Statale 112 è interrotta in diversi punti e diversi nuclei familiari delle contrade Acone Giacchino, Nefrara e Badia non danno segni di vita.
Nella tarda serata i carabinieri, al comando del brigadiere Antonino Marino, hanno tentato di raggiungere a guado le località tagliate fuori dalla fiumara Tre Valloni. Una presenza continua quella dei carabinieri come nelle epiche tradizioni dell'Arma. Poi i vigili urbani Rocco Crea e Paolo Scarfò presenti in ogni evenienza.
Nel tardo pomeriggio è giunto il dott. Mario Gangemi, responsabile della Protezione civile della Provincia, con il ten. col. Galata, comandante il Gruppo dei carabinieri di Reggio Calabria, e il cap. Salvi con funzionari del Genio Civile, dei vigili del fuoco e dei consorzi di bonifica per i primi provvedimenti di emergenza. In serata è anche giunto il prefetto della provincia dott. Agatino Neri, assieme agli assessori regionali Piero Battaglia e Guido Laganà.Un giro per il paese tra visi smarriti con un Aspromonte che slitta sulle argille marnose del Quaternario verso il mare. Poi una riunione al Comune.
Il sindaco, Mimmo De Maio, ha avuto espressioni sincere di fiducia verso le istituzioni; ha detto quello che si è fatto e quello che non si è fatto. Interventi frammentari e settoriali mai inquadrati in una visione unitaria nell`assetto del territorio. Poi ancora altri come Nicola Sergi, tecnico del Comune, che anni segue l’evolversi di una situazione senza sblocchi positivi. L'assessore Piero Battaglia di fronte alla drammaticità della situazione che rischia di cancellare dalla carta geografica un intero paese, ha parlato un linguaggio non politico ma da calabrese.
«E' nostro dovere essere qui - ha  detto Battaglia - prima di tutto per salvaguardare le vite umane e poi per intervenire in maniera seria e organica con un piano di bacino che anticipi la Legge Calabria  con Platì, paese di acqua e di fango”.
Il prefetto della provincia ha detto  che il fenomeno è imponente ed ha raccomandato alla popolazione di affrontare questo momento di emergenza e delicato con molta serenità. Oggi per Platì inizia un`altra giornata piena di paure. Le colate di fango potrebbero isolare il paese. Ieri sera si è fatto un primo bilancio dei danni. Oltre cento abitazioni abbandonate, interi uliveti distrutti, montagne che scendono a valle trascinando alberi come birilli.
Un'altra pagina amara per la popolazione di Platì.
Antonio Delfino
Gazzetta del Sud  venerdì 18 gennaio 1985

giovedì 4 maggio 2017

Acque del Sud - 1972. Sulle cause ed effetti


Sulle cause ed effetti 
dell’alluvione Dicembre 1972 – Gennaio 1973
nel territorio di Platì

  Rosario Mittiga

Prima di addentrarmi in una analisi tecnica ed analitica sulle cause che hanno determinato i danni lamentati durante l’alluvione del dicembre ‘72 e gennaio ’73 e indicare le azioni da intraprendere per portare a soluzione questo annoso problema è necessaria una premessa che concerne l’opera che si è svolta durante l’imperversare delle calamità sia come cittadino residente di Platì, sia come tecnico incaricato dal Commissario Prefettizio, in carica durante i tragici avvenimenti, cercando di risolvere, regolare e suggerire, in caso di necessità, tutti gli opportuni interventi che si rendessero necessari a prevenire ed eliminare eventuali danni che potessero verificarsi, nel territorio del Comune, a persone  e cose, a causa delle piogge torrenziali.
Qui si elencano, sia pure in maniera sintetica ma cronologica, i rilievi, gli interventi e le disposizioni più urgenti adottati.
Ricevuto l’incarico il 23 dicembre del 1972 mi sono adoperato, nonostante l’inclemenza del tempo, ad effettuare continui sopralluoghi nelle zone maggiormente interessate comunicando tempestivamente alle autorità interessate i danni subiti dall’abitato e dall’intero agro di Platì sollecitando di disporre le opportune opere di soccorso a persone e cose. Parimenti si procedeva a predisporre un piano di sgombero onde salvaguardare la privata e pubblica incolumità.
Per quanto attiene al Centro abitato di Platì, dalle ricognizioni effettuate, si accertava che la fascia periferica delle abitazioni ricadenti nei Rione Ariella e una schiera di abitazioni poste lungo la via S. Michele del Carso dello stesso Rione erano minacciate da frane. Lo stesso per quanto attiene le abitazioni del popoloso Rione Isolato XXIV Maggio posto subito dopo il ponte sul fiume Ciancio, le abitazioni poste a sinistra ed in testa alla via Roma,le ubicazioni nel Rione Calvario,, le ubicazioni in località Rocca, parte  Sud.
Oltre le minacciate frane, per cause che si è detto in apertura, che interessano una parte limitata dell’Abitato, la minaccia principale è costituita dal fiume Ciancio che attraversa l’intero Abitato sorto, a suo tempo, in zona ai margini dell’alveo.
La temuta minaccia all’abitato delle acque del fiume è da ritenersi sempre allo stato potenziale in quanto il disastro verificatosi in Platì con l’alluvione del 1951 è stato determinato dalla piena del fiume Ciancio. A tale proposito si ricorda che Platì in quella occasione venne sommerso dalle acque e dai detriti del fiume in piena ed ebbe a lamentare ben diciotto vittime, a causa di cui, per molti anni, il sinonimo Platì equivaleva ad Alluvione 1951.
Allo stato attuale sebbene siano trascorsi vent’anni dall’evento calamitoso, la minaccia del ripetersi del fenomeno non è da escludersi in quanto, fatta eccezione ai lavori di arginatura del fiume, nel tratto attraversante l’abitato, nella parte a monte non sono state realizzate le indispensabili opere idrauliche e forestali. Anzi si può dire che le condizioni a monte siano notevolmente peggiorate e per le numerose frane che hanno interessato le pendici, manifestatesi periodicamente in oltre un ventennio, e per il tagli eseguiti, al fine di realizzare la strada di servizio per le opere di presa dell’acquedotto, che hanno compromesso l’equilibrio di un lungo tratto del costone in destra.
Lo stesso ponte, facendo parte della strada anzidetta, costruito sul Ciancio, all’altezza del rione Ariella, potrebbe, data la limitata sezione al deflusso, costituire un ostacolo al deflusso delle acque, in caso di piena, con gravi conseguenze per il rione Ariella.
Anche nella parte valliva dello stesso fiume Ciancio e precisamente all’altezza dei rioni Lacchi e Giambattista, posti sulla S. S. 112 e la sponda sinistra del fiume ed a una quota quasi a livello d’alveo, la mancanza di idonee opere di arginatura fanno temere per la sicurezza dei detti rioni.
La situazione è resa più grave dal cono di deiezione del torrente Sanello, affluente di destra del Ciancio.
E’ da rilevare che durante l’alluvione del 1951 anche questa zona fu completamente invasa dalle acque fluviali provocando ingenti danni.
Infine sempre nel centro abitato, si è determinato un aggravamento delle condizioni dio stabilità di numerose abitazioni che per vetustà e dissesti alle strutture fanno temere per la privata ed pubblica incolumità.
In conseguenza di quanto sopra, tenendo presente l’obiettivo di garantire, soprattutto, l’incolumità fisica deli abitanti di Platì, si è ritenuto di sgomberare ben 537 abitazioni nel solo centro abitato con ordinanza notificata e tante altre verbalmente. Si ritiene che una buona parte di detti sgomberi dovranno essere mantenuti a carattere permanente.
Gli accertamenti e i sopralluoghi sono stati estesi anche alle frazioni.
Particolarmente grave è la situazione di Gioppo, Lauro e Senoli, dove è stato disposto lo sgombero totale e definitivo di tutti i nuclei rurali ivi esistenti. Dette frazioni rurali si ergono lungo un esteso costone di natura argillosa in frana, il cui fenomeno potrebbe evolversi come, in atto, si sta verificando nel costone compreso tra Natile e Careri.
Meno grave è la situazione di Cirella dove due frane minacciano di interessare le fasce marginali dell’abitato.
Per quanto si è detto ed in aggiunta, rilevate anche le mancate opere nel vallone Rusa e Arcopallo, costituenti il Due Valloni, nel territorio Sanello e nel torrente Acone, opere che si sarebbero dovute eseguire sia a monte che a valle.
Rimane drammatica in tutto il territorio la situazione in agricoltura. Anche in questa inclemente calamità, come nel 1951, sono ingenti i danni alle colture e in zootecnia.
Pertanto, appare chiaro che non potrà più essere procrastinata la realizzazione delle seguenti opere:
-Sistemazione idraulica- forestale del fiume Ciancio.
-Lavori di consolidamento e risanamento dell’abitato di Platì e della frazione Cirella.
-Realizzazione di un nuovo nucleo urbano che possa accogliere gli abitanti delle frazioni Gioppo-Lauro-Senoli.
-Sistemazione idraulica-forestale di tutti i torrenti, valloni e appendici.
Infine è necessario intervenire presso l’ANAS perché sia definitivamente risolto il problema della viabilità lungo la S. S. 112 rimasta interrotta dal 1951 al maggio 1972 e nuovamente interrotta con gravissimi danni e disagi economici a seguito della recente alluvione.
Opportuno segnalare, inoltre, la istituzione di una Commissione Tecnica altamente qualificata, composta da geologi per esaminare il problema idrico-forestale a scopo di conoscere la esatta situazione idro-geologica di tutto il Territorio ed eventualmente porre il problema del trasferimento dell’intero abitato.
 Platì 15 febbraio 1973

Nota
Questa relazione fornitami gentilmente da Saro Mittiga, col consenso di quest'ultimo, è stata svolta in prosa partendo dall’originale acuta perizia tecnico-scientifico.

mercoledì 3 maggio 2017

Acque del Sud - 1972. Il Ritorno del Ciancio



29 dicembre 1972
Oggetto: Argini sul torrente Ciancio in agro di Platì: ESPOSTO
AL G E N I O  C I V I L E
ufficio di REGGIO CALABRIA
Le recenti abbondanti piogge che si sono abbattuta con violenza nei giorni 23 e 24 corr. sulla zona di Platì, causando danni e pericolo d'inondazione del centro abitato, hanno risollevato uno dei tanti problemi finora insoluti, che, però, riguarda in modo particolare cd. spett. Ufficio.
In seguito alle alluvioni dei 1951 e '53 furono eretti argini di contenimento e di difesa di questo centro abitato, con opere connesse, su ambedue le sponde del torrente Ciancio, che l'attraversa.
Con l’occasione delle recenti piogge si son potuti constatare i benefici di dette opere, ma sono risultate altresì evidenti le deficienze ed il bisogno di completamento delle medesime.
Detti argini, infatti, a valle del ponte di Platì sul Ciancio furono protratti ininterrottamente su ambedue le sponde fino alla confluenza col torrente Sanello, mentre a monte essi, inspiegabilmente, furono eretti soltanto su un breve tratto della sponda destra e furono addirittura ignorati, sulla sinistra, nel tratto dalle prime abitazioni del rione Ariella a venir giù fino al contrafforte roccioso che fa da spalliera a tutto l'abitato.
Proprio in tali tratti si seno verificati in questi giorni gravi danni e pericoli di frane e di inondazione dell'abitato.
E' accaduto, infatti, che il letto del torrente, sollevato dai detriti convogliati dalla acqua piovana, si è portato a livello della strada che raggiunge il rione predetto e da tale sbocco le acque avrebbero avuto ragione su un notevole tronco dell'abitato, se la popolazione, avvertita in tempo il pericolo, non fosse corsa ai ripari.
Su quel tratto, poi, che è il limite della contrada “Rocca”, le acque del torrente hanno continuato indisturbate la loro opera di erosione iniziata nel 1951, causando notevoli cedimenti del terreno soprastante e creando il pericolo che UNA FRANA DI COLOSSALI PROPORZIONI POSSA OCCLUDERE IL FLUSSO DELLE ACQUE, DIROTTANDOLE SU TUTTO L' ABITATO, il che sarebbe causa della sua inondazione e quasi totale distruzione.
Lo scrivente, che è proprietario (per sé e per la sorella Gliozzi Iolanda, di cui è procuratore) di un piccolo appezzamento di terreno in tale zona, ha in mano un decreto del Prefetto di Reggio Calabria (n.38/5 - div. 4 - del 31 genn.1962), con cui si autorizza, in favore del Consorzio di Bonifica del versante calabro ionico meridionale, l’occupazione temporanea di detto suolo per lavori di conservazione del suolo nel bacino del Careri, lavori che mai, però furono eseguiti.
Né ha avuto la possibilità di incontrare il Funzionario inviato con apprezzata sollecitudine da cd. Ufficio in questa recente occasione, onde pregarlo di prendere in considerazione quanto ora si espone.
Il sottoscritto, pertanto, prega dì voler provvedere ad un nuovo sopralluogo e chiede di essere sentito al più presto da cd. Ufficio nel riesame che, insieme con tutti gli altri cittadini interessati, si vorrà fare dalla situazione, per l'adozione degli opportuni improrogabili provvedimenti.
Per quanto lo interessa personalmente; CHIEDE che VENGA OGGETTIVAMENTE ESAMINATA LA NECESSITA' DI COMPLETARE L’ARGINE SINISTRO DEL TORRENTE CIANCIO IN CORRIPONDENZA DELLA CONTRADA "ROCCA" in AGRO DI PLATI'.
Con osservanza.                                         Gliozzi Francesco


martedì 2 maggio 2017

Acque del Sud (reg. Howard Hawks - 1944)


    A Platì si beve l’acqua piovana
    e le salme al Camposanto invocano riposo
  La Madonna portata in processione sotto la pioggia

Si trovano attualmente a Reggio amorosamente assistite dalle autorità e da enti locali numerose persone scampate in circostanze drammatiche alle conseguenze delle alluvioni e degli straripamenti.  Si tratta di vecchi, di donne e di innocenti bimbi terrorizzati, di gente esasperata che ha perduto la propria terra lavorata con sudore, la casa e ogni altro suo avere. Una delle povere donne incontrata ieri mentre ritornava dalla prefettura dove si era recata per invocare assistenza ci ha raccontato che il suo paese, Platì, un tempo rigoglioso in mezzo a frutteti, a vigneti e secolari oliveti ormai altro non e che un gruppo di case al centro di una desolante piaga. – “Mio padre è morto travolto dalle acque - ci ha detto -  e ancora non è stato possibile recuperarne la salma. Il paese è rimasto completamente senza acqua ed é tuttora sotto la minaccia di nuove frane; le piante superstiti non reggono più in piedi perché il terreno è divenuto un pantano e il cimitero è scomparso. Le bare sono state frantumate e le ossa disperse ovunque come fosse giunto il giorno del giudizio universale. Mio marito è rimasto lassù per tentare di ritrovare qualche cosa delle nostre masserizie fra le macerie della casa che ci'é crollata e son quindici giorni che abbiamo questi abiti addosso, di giorno e di notte. Un solo molino dei tre che esistevano, è rimasto a Platì e la gente è costretta a bere l’acqua piovana mentre in ogni casa ricca o povera v’è desolazione e terrore.  Nelle giornate terribili del nubifragio abbiamo fatto uscire la Madonna del SS. Rosario e l’abbiamo trasportata in processione sotto la pioggia”.
Un altro superstite, un contadino, ha voluto richiamare la nostra attenzione su quel che succede attualmente presso il torrente Bonamico dove non mancano i soliti individui pronti a sfruttare, nel loro interesse le sventure degli altri. Costoro sostano ai margini del torrente in piena e pretendono almeno cinquecento lire a persona per effettuare il guado a bordo di carri con buoi e di carretti da muli o da somari. A chi si lamenta per tal prezzo rispondono che è un rischio al quale si sottopongono poiché potrebbero essere travolti dalle acque e rimanere affogati; come se un simile rischio sia solo ad essi riservato.
La segnalazione va, comunque, diretta al prefetto perché disponga tempestivamente la cessazione di simili canagliate proponendo agli organi competenti almeno la costruzione di una passerella pedonale.
Alle 14,21 di ieri la RAI ha trasmesso per il “Gazzettino del Mezzogiorno” l’inchiesta effettuata dal suo inviato speciale Federici sui problemi e le esigenze della Calabria alluvionata. Si sono alternati al microfono don Giovanni Stilo parroco di Africo, l’ing. Giuseppe Cadile capo ufficio tecnico dell’amministrazione provinciale, il marchese dr. Domenico Genoese Zerbi membro della Giunta della confederazione nazionale degli agricoltori e presidente dell’associazione provinciale e il prof. Ugo Tropea presidente della deputazione provinciale.
NOTIZIARIO DI MESSINA Domenica 28 ottobre 1951


Elenco delle vittime delle recenti alluvioni

Platì – Marando Giuseppe di Rosario; Marando Rosario di Domenico; Marando Domenico di Rosario; Portolesi Catrerina fu Pasquale; Sergi Michele di Pasquale; Lentini Michele di Rosario; Lentini Paolo di Nicola; Lentini Maria di Rosario; Lentini Domenico Antonio di Rosario; Sergi Rosario fu Domenico; Carbone Caterina fu Rocco; Sergi Natale di Rosario; Sergi Saverio di Rosario; Sergi Michele fu Francesco; Sergi Giuseppe Rosario fu Michele.
NOTIZIARIO DI MESSINA Domenica 8 novembre 1951


Orribile morte di un lavoratore a Platì

A Platì il bracciante Antonio Schimizzi di Francesco, di anni 51, addetto ai lavori di sgombero delle macerie provocate dalle recenti alluvioni, mentre trasportava del materiale con un carrello cadeva e nel tentativo di frenare il carrello stesso è rimasto schiacciato contro un muro trovando orribile morte.

NOTIZIARIO DI MESSINA Domenica 29 novembre 1951




ECCEZIONALE A ROMA
Stravinky dirigerà un concerto
In favore della Calabria martoriata dalle alluvioni
Reggio Calabria 13
Il famoso maestro russo Igor Stravinky, che come si sa rifiuta da tempo dirigere concerti nelle maggiori capitali del mondo, ha aderito all’appello rivoltogli da presidente dell’associazione fra calabresi di Roma e dirigerà il concerto che sarà svolto al teatro Argentina in favore delle famiglie calabresi alluvionate.
L’orchestra sarà quella di Santa Cecilia.

NOTIZIARIO DI MESSINA Domenica 14 novembre 1951



giovedì 27 aprile 2017

Amore immortale (reg. Keisuke Kinoshita - 1961)

Le immagini mediano le assenze e ne costituiscono traccia: portano, … in uno stadio immediatamente susseguente e conseguente, informazioni sullo stato dell’assente e sulla natura dell’assenza, costituiscono tramite per la comunicazione tra poli divaricati lungo gli assi sincronico e diacronico.
Francesco Faeta, Le figure inquiete tre saggi sull’immaginario folklorico, Franco Angeli, 1989

Agostino Antonio
06 maggio 1997 – 03 marzo 1917

L’amore che ci hai dato,
vive nel nostro cuore …
Vogliamo pensare che ancora ci ascolti
e come allora ci sorridi …
Eri il nostro orgoglio sulla terra …
Adesso sei il nostro Angelo in cielo

A mare (reg. Martina Amati - 2010)


Mare di Pizzo

Una vela passò gonfia di vento
Per il placido mare di turchino …
Con nel core le spine del tormento
La guardò, da’ graticci, Re Gioacchino

Pensò il re che se il vecchio suo ardimento
Riavesse l’ale, che tarpò il destino
In quella vela, in mare, il sogno spento
Rilucerebbe in fiamma di rubino.

Ma com’ala di sogno quella vela
rapida dileguò lieve su l’onda
e nell’anima il re di gloria anela

sentì la sua tristezza più profonda.
Il dì appresso la vela, al suo tornare,
vide il re spento e l’onda rosseggiare.

Giacomo  Tassoni  Oliva

scritta in treno  il 16 – 3 – 1928