mercoledì 14 dicembre 2016
lunedì 12 dicembre 2016
Il campanile d'oro (reg. Giorgio Simonelli - 1956)
Sui fatti
del campanile
(Per
lettera da Platì)
Caro direttore,
L’on. Ferdinando Martini, governatore dell’Eritrea nonché deputato di
Pescia – come sai – si allontanava, in questi giorni, dagli “ Amici dei
monumenti “ per il buco che si voleva praticare nelle mura di Lucca. Non so se
avrai avuto la letterina, frizzante di ironia, che questi dirigeva ad Ugo
Ojetti: in ogni modo ti dico che lodò l’emerito scrittore, l’approvo e
l’ammiro.
Se potessi fare lo stesso, mi allontanerei volentieri anch’io dagli “ Amici
dei campanili “ – visto e considerato che il mio (campanile) è minacciato da
serio pericolo di demolizione. La cronaca paesana è tutta rivolta a quella
storica punta che si perde nell’aria, che ha la sua pagina classica e resisté,
da forte, a tante convulsioni telluriche ! …
Oggi è vecchia, fessa, malconcia! … che importa?!
Tanto meglio, dico io, il forestiero resterà pochi minuti di più e con
la bocca spalancata per meditare su quelle rovine … a distanza
Ma non così la pensa il Sottoprefetto di Gerace.
Egli, cui sta a cuore più la salute temporale che spirituale dei suoi
amministrati, vuole tagliare, ad ogni costo, la testa al … campanile.
Dal canto suo, il Signor Genio Civile, fa delle perizie che fanno
accapponare la pelle e l’ordinanza – ragion vuole – dev’essere firmata ed
eseguita addirittura.
Che c’entra il popolo, perbacco?!
…
E quel cieco che funge da Sacrista in prima. Con la carica di campanaro
e suonatore di organo per giunta; quel cieco-nato devi essere un coso
formidabile, e, se lo volete, invulnerabile! Si son temute quel giorno, il
giorno della rivolta, quando suonava le campane a stormo, le sue botte da orbo
… si è levato verbale contro lo stesso; ma pare che, tutto sommato, egli abbia
ora molto da guadagnare. Si atteggia a martire della rivoluzione platiese, o
meglio; è uno dei danneggiati politici nella politica del campanile ed il
popolo deve soccorrerlo con elargizioni spontanee di grano, granturco, lana,
formaggio e tutto il resto: una vera cuccagna.
Ora tu mi domandi come stanno le cose – Siamo in momenti di tregua, di
pace; ma questa pace è apparente, perché il popolo tiene gli occhi al campanile
e le mani alla scure.
Mi auguro che questa pace armata non venga ad essere turbata, per ora,
e che la crisi campanilesca sia risoluta alla meglio.
Dovresti sentire il popolo come il ragiona! “ Il campanile non cade, è
duro, fermo, d’acciaio … e poi, se il Signore avesse voluto, quella notte … con
un’occhiata! …
Mi convince ti giuro; ma più convincente è la postuma dichiarazione
d’un certo Genio: “ Quella punta, vedete, è messa lassù come una coppa: non
pende per qua, non per là “.
Evviva l’equilibrio!
Se così è veramente e dobbiamo credere ad ogni Pietro l’Eremita che ci
piove quassù, resti pure la punta, la coppa e la cappa, che dir si voglia; con
buona pace del Salvatore, nonché di questo popolo devoto sino al fanatismo.
Ritornerò sull’argomento in settimana, se occorre; per ora ti abbraccio
e ti bacio.
Platì 31 maggio 1909.
Dev.mo
Ferdinando Caci
Il Giornale di Reggio l’eco settimanale della provincia R. C. 9 giugno 1909 Anno I – N. 5, Direttore: D.r A. Scabelloni, Redattore-capo: Farm. G. Sculli
Nota
Soltanto un genio si poteva firmare Ferdinando Caci ed apparteneva sicuramente a don Giacomino Tassoni Oliva se confrontate la presente pubblicazione con il post precedente.
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I Love Platì
domenica 11 dicembre 2016
La ronda di Mezzanotte (reg. Lloyd French - 1933)
La ronda, il Podestà, il campanile
PRIMO TEMPO
1°
E’ notte fonda – Passa la ronda
per ogni strada della città.
Borghesi, militi, Autorità
van vigilando l’… oscurità
2°
Con passo lento – con occhio attento
guardano, scrutano di qua e di là,
guai se un barlume trasparirà
pur dalla casa del Podestà.
3°
Ma ognuno dorme – le nude forme
su lane soffici distese à già
dorme il bambocciolo con la mammà
dorme il marito con la metà.
4°
Ma ad un momento – un movimento
è tra la ronda; ognun ristà.
E tutti chiedensi: cosa sarà?
La ronda sbandasi di qua e di là.
SECONDO TEMPO
5°
Dal campanile – un mostro vile
Vi si è cacciato – Ei spia sarà.
Armi alla mano (se alcun ce l’ha)
E aprite il fuoco senza pietà.
6°
Sarà abbaglio? Sotto il battaglio
del sacro bronzo sicura sta
l’ombra malefica – Che osserverà?
Chiamate subito il Podestà.
7°
Già per le scale – T.T. S.P.Z.I.L.E.
Vi si precipita d’autorità
E l’accaduto, tosto che sa,
sta per scoppiare di … ilarità.
8°
Ma vuol guardare – vuole spiare
per la sua gran responsabilità
deve guardare, di qua, di là
È sempre l’occhio del … Podestà.
9°
Per l’occasione – tosto il gallone
a don Luigi lieto ridà
e il vecchio vigile che tutto sa
qual Nume indigite della città.
10°
Non si impressiona e lesto tuona:
andate subito, recate qua
il sacrestano – Ei spiegherà,
lo strano enigma che ei solo sa
11°
E lo scaccino - si spinge insino
al fier cospetto del Podestà,
mentre in se cogita: cosa vorrà
questa suprema mia Autorità?
12°
Apri le porte, se no la morte,
e dimmi franco la verità:
chi nascondesti sopra di là
a compromettere la mia città?
13°
In un baleno, il tempio è pieno
di folla enorme, d’Autorità
mentre la ronda sui tetti è già
per far giustizia senza pietà.
TERZO TEMPO
14°
Quattro monelli scalzi e in brandelli
vide la ronda che ha rotto già
tutte le tegole e urlando va:
o delatore, scendi di là.
15°
Quattro monelli che pei capelli
or tiran sotto con voluttà
di far vendetta, si spinser là
a fugar nidi … Ah! Ah! Ah! Ah!
16°
In una matta risata scatta
la folla mentre la ronda va
e il Nume indigete col Podestà
restan perplessi come due f.. ss ..
Giacomo Tassoni Oliva
lunedì 5 dicembre 2016
Faida (reg. Paolo Pecora - 1988)
Per un
campanile
A Platì da molti giorni ferve una viva agitazione che minaccia di
rompere i limiti della compostezza e dell’ordine.
Il tema di questo movimento insurrezionale è fornito dalla punta del …
campanile … Povero caro campanile! … Esso ha durante una lunga teoria di anni,
segnato i giorni tristi e i giorni lieti, slanciando la sua guglia al cielo
come una sfida ardimentosa; esso dalle campane armoniose ha sonoramente avventato
all’aria, ora i suoi mesti rintocchi di funerale, ora i suoi trilli argentini
in omaggio a una vita novella o a un novello legame d’amore! … E nei giorni di
festa che richiami onnipossenti non ha fatto alla fede degli umili cittadini? …
Ebbene, questa vigile sentinella così profondamente attaccata alle memorie secolari
di un paese, è ora condannata a perire sotto i colpi demolitori del piccone.
Ragione di pubblica utilità, grida il signor Genio Civile, ragion cui non vale
ribattere. E vien l’ordinanza prefettizia. Ma sì … Quei buoni cittadini di Platì
non ne vogliono sapere di separarsi dal caro compagno loquace, dell’amico
sicuro ergentesi lungo le curve pure del firmamento. E sono scesi in armi,
sulla piazza maggiore, e hanno messo a vedetta, sulla cima del campanile, il
sagrestano … cieco … Un rintocco, alla prima apparizione … e il resto si può
immaginare. Come nella notte dell’assalto che i bravi diedero alla casa di
Lucia …
Trama allegra di novella umoristica. Benissimo. Ma il colmo del curioso
è dato dallo spunto politico emergente dalla faccenda. I soliti mestatori
soffiano nel fuoco aizzando gli animi già accesi di quei laboriosi popolani, e
vogliono addossare la colpa della progettata demolizione al cav. Salvadori
sottoprefetto del Circondario.
Errore! Quel galantuomo lì – è anche un ottimo ed indipendente
funzionario – c’entra a parer mio, come i cavoli a merenda.
E’ l Genio Civile che ha sentenziato e decretato l’annullamento del …
campanile. E si sa bene, il Genio Civile ha ragioni da vendere. Perché dalla
mattina del disastro ad oggi ha compiuto miracoli di insipienza e
d’inettitudine, d’incapacità e di miseria, e per pagarsi dello smacco delle
mancate costruzioni di baracche, ordina la demolizione dell’innocente
campanile. Un altro documento di bestialità.
Ma l’affare si fa serio direbbe Edoardo Scarpetta. Così serio che io
nell’interesse dei lettori fu dato speciale incarico ad un valoroso collega di
Platì per conoscere le varie fasi del divertente episodio. Oggi pubblico un
saggio sottilmente ironico, nell’augurio che le cose prendano felice piega
lungi dalle manifestazioni turbolente e irragionevoli.
Rideremo domani, perché se non c’è più Giosuè Carducci per cantare Faida di Comune c’è sempre il romanziere
Giuseppe Portaro a scrivere … Faida di … Campanile …
a. scabelloni
Il Giornale di Reggio l’eco settimanale della provincia R. C. 9 giugno 1909 Anno I – N. 5, Direttore: D.r A. Scabelloni, Redattore-capo: Farm. G. Sculli
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Once upon a time in Platì
domenica 4 dicembre 2016
L'inchiesta - il campanile elettorale
Giro
d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso
non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio
Delfino
Il campanile “ elettorale “
PLATI’, 9 – Ferdinando il Cattolico, verso il 1500, concesse a Don
Carlo Spinelli vaste terre impervie e disabitate denominate Prati.
Il feudatario pensò di popolarle chiamando gente dai villaggi vicini e
regalando un piccolo podere per costruire la casa.
I primi abitanti, molto religiosi, costruirono una piccola e rustica
chiesa che fu edificata verso il 1550. Il terremoto del 1783 la distrusse
completamente e fu necessario ricostruirla.
La popolazione, che nel 1795 era di 1300 anime, raggiunse nel 1940 le
4000 unità; sicché la Chiesa, per la sua limitata capienza e malsicura
architettura, non fu più idonea alle esigenze del culto.
L’arciprete Giuseppe Minniti con spirito encomiabile e confortato dallo
slancio religioso della popolazione, diede inizio ai lavori per la ricostruire
una Chiesa più ampia della precedente e di architettura moderna.
La popolazione concorse con aiuti finanziari e prestazioni gratuite di
manodopera. Gli emigranti inviarono i loro risparmi. I più indigenti
trasportarono dal vicino greto del torrente il materiale da costruzione.
I lavori, per alcuni anni, proseguirono a ritmo intenso;
successivamente, però, ebbero un arresto per la scarsezza dei contributi
statali (in tutto 5 milioni dal Genio Civile)
Attualmente tutto è fermo ed il lavoro comincia a screpolarsi in certi
punti, per la non continuità dei lavori. Il barometro delle opere, eseguite a
ritmo lento ci è fornito dal campanile, battezzato da tutta la popolazione “
campanile elettorale “.
Infatti, in ogni competizione elettorale, il campanile aumenta di 4
metri (attualmente è a 22), in relazione ai modesti contributi che giungono per
interessamento dei vari parlamentari desiderosi di essere preferiti nella
scelta competitiva.
Da rilievi eseguiti, potrebbe essere ultimato verso il 1970, sempre che
le competizioni (e ce lo auguriamo) abbiano in futuro un corso democratico.
Nella foto: il campanile “ elettorale “ che attende ancora la
definitiva sistemazione.
Nota
Questo articolo completa il reportage dedicato a Platì dalla Tribuna del Mezzogiorno di Messina il 10 gennaio 1963 a cura di Toto Delfino.
Il campanile invece rimarrà protagonista di queste pubblicazioni per qualche tempo, come pure la strada SS. 112, un'altra sinfonia incompiuta.
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I Love Platì,
Totu Delfino
giovedì 1 dicembre 2016
La Storia - Francesco De Gregori
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare
perché nessuno la può fermare
Francesco De Gregori
Quante memorie classiche, quanta storia sconosciuta in questo litorale
ionico, dove sulle rovine dell’antica Locri, spenta da secoli, ci aggiriamo,
tardi nipoti di vetuste generazioni illustri, calpestando una terra sacra, di
cui ignoriamo quasi le tradizioni e la civiltà, che pur erano patrimonio nostro, patrimonio nazionale!
Se è vero che l’Italia, è tanto ricca di storia da averne a rifondere a
tutti i popoli del mondo, non è men vero che il trascurare la storia del più
oscuro lembo della sua terra, in tanta esuberante ricchezza, è indecoroso per
noi – E la storia delle Calabrie, non è delle ultime e delle meno luminose, la
storia che conobbe l’alito e la vita della classica civiltà greca, che ebbe
Pitagora e Zeleuco e le sue antiche celebri scuole filosofiche, faro luminoso
di altra dottrina umana: che accolse Timoleonte diretto ad abbattere la
tirannide di Dionisio siracusano, che intese le grandi voci di Alcibiade, di
Nicia, di Lamaco: che vide Pirro, vide Annibale, vide il medio-evo con i suoi
forti e i suoi castelli, che vide le incursioni Saracine, che ebbe i suoi
Campanella, i suoi filosofi e i suoi scienziati, i suoi poeti (e che vena
superba e sconosciuta!), che palpito per l’ideale della redenzione italiana,
che ebbe i suoi patrioti, i suoi martiri, le sue aspirazioni sublimi che
sofferse cataclismi di natura e sventure senza numero; che vanta la sua
popolazione industre, laboriosa, di forte ingegno, la sua terra ridente,
fertile e benedetta, a cui gli abitanti si senton legati con nodi pertinaci di
vita, che ebbe il suo brigantaggio, sì, ma non sempre nato da cieco fanatismo
(l’attesterà un giorno la vera storia) e che nel suo impeto rubesto e selvaggio
mostrò lampi di eroismo generoso.
Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in
Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena
1976
Nota
Non è facile scrivere così. Non lo può fare il cronista e quanti si curvano per ore sopra un documento olografo. Né è consentito a me come non è consentito all'ultimo scrittore affacciatosi dentro l'editoria di oggi e domani. Solo a Domenico Giampaolo. Che, ripeto, è il più grande scrittore calabrese, pur non avendo pubblicato un parola in vita.
Il murale su piastrelle di Saro Lucifaro si trova sulla strada che porta da Montalto a Polsi.
mercoledì 30 novembre 2016
...E per tetto un cielo di stelle (reg. Giulio Petroni - 1969)
foto di Totò Carannante
Foto di Sandro Messina
PER i platioti possedere a Polsi una casa costituiva un titolo
d’onore attraverso cui si dimostrava il tangibile attaccamento alla Vergine.
Essa era destinata ad accogliere i paesani assicurandone un ricovero nei
pellegrinaggi e nei giorni di festa.
Nota
Nelle foto panoramiche la casa è sempre sulla vostra destra.
Voglio farvi notare come la foto del buon Carannante ricalchi perfettamente, involontariamente, la precedente, di un' epoca molto anteriore.
lunedì 28 novembre 2016
Alberi (reg. Michelangelo Frammartino - 2013)
Don Giacomino Tassone Oliva nacque a Siderno il 3 gennaio 1887 da Tassone d. Giuseppe di Domenico da Fabrizia e Oliva d. Giuseppa di d. Giacomo e Oliva d. Paola i quali si erano uniti in matrimonio a Platì il 22/02/1874.
La sua esistenza la trascorse per buona parte a Platì dove venne adottato dagli zii don Saverio Oliva, arciprete, e dalla di lui sorella, per cui al cognome del padre aggiunse quello di Oliva. Alla morte degli zii divenne erede dei beni degli stessi, che non erano pochi, motivo questo della sua assidua permanenza in paese. Studioso colto e preparato allacciò amicizia con gli intellettuali dell’epoca, da Vincenzo Papalia a Ernesto Gliozzi sen.
Don Giacomino sposò Carolina Migliaccio di Domenico e Rosina Scaglione , geracesi, dalla quale unione nacquero due figliole: Maria di Polsi e Giuseppina. In Platì per via della signora Mattia Migliaccio sorella della moglie e del canonico Ettore Migliaccio, morta prematuramente, fu legato anche alla famiglia Furore. Questa parentela con i Migliaccio gli nocque non poco perché nel 1930 il canonico Migliaccio fece interdire don Giacomino in quanto, come asserivano, affetto da grave malattia nervosa ed assumendo la tutela di Maria di Polsi e Giuseppina ancora minori.
Poeta fecondissimo ed autore di una tragicommedia non riuscì mai a raccoglierli in una pubblicazione nemmeno a proprie spese come era consuetudine a quei tempi e la sua scarsa fama è legata solo a qualche citazione da parte di scrittori come Gianni Carteri o Antonio Delfino.
Morì a Siderno nel 1941
La sua esistenza la trascorse per buona parte a Platì dove venne adottato dagli zii don Saverio Oliva, arciprete, e dalla di lui sorella, per cui al cognome del padre aggiunse quello di Oliva. Alla morte degli zii divenne erede dei beni degli stessi, che non erano pochi, motivo questo della sua assidua permanenza in paese. Studioso colto e preparato allacciò amicizia con gli intellettuali dell’epoca, da Vincenzo Papalia a Ernesto Gliozzi sen.
Don Giacomino sposò Carolina Migliaccio di Domenico e Rosina Scaglione , geracesi, dalla quale unione nacquero due figliole: Maria di Polsi e Giuseppina. In Platì per via della signora Mattia Migliaccio sorella della moglie e del canonico Ettore Migliaccio, morta prematuramente, fu legato anche alla famiglia Furore. Questa parentela con i Migliaccio gli nocque non poco perché nel 1930 il canonico Migliaccio fece interdire don Giacomino in quanto, come asserivano, affetto da grave malattia nervosa ed assumendo la tutela di Maria di Polsi e Giuseppina ancora minori.
Poeta fecondissimo ed autore di una tragicommedia non riuscì mai a raccoglierli in una pubblicazione nemmeno a proprie spese come era consuetudine a quei tempi e la sua scarsa fama è legata solo a qualche citazione da parte di scrittori come Gianni Carteri o Antonio Delfino.
Morì a Siderno nel 1941
Queste bevi note sono state redatte con il fondamentale contributo di
Francesco di Raimondo
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G. T. O.,
Totu Delfino
Partire è un po' morire (reg. Giacinto Mondaini 1951)
P A R T E N Z A
( D a l v e r o )
Giovanni Virgara
Le campane della Chiesa Matrice suonavano a festa mentre un concerto
musicale allieta le vie di un piccolo paesello calabrese.
Sperduto tra i monti, sprofondato nell’imo di una valle, circondato da amene
campagne, ed allietato da diversi rumorosi torrenti,il villaggio ha sempre una
pace quasi claustrale. Ivi non vedesi mai il fumo nero di una locomotiva, non
si ode mai il rumore del gran serpente nero che corre, corre, corre e riunisce
tanti paesi, riunisce tante città, mette in comunicazione tanti cuori.
Ivi non si vedono tranvai, non sontuose macchine, ma bensì si scorge di
tanto in tanto qualche piccola automobile, quotidianamente il servizio postale.
Quel giorno era festa …!
Si solennizzava la Protettrice della Confraternita del paese: La
Vergine del SS. Rosario.
La giornata era splendida; il sole sorrideva coi suoi raggi indorati mentre
un lievissimo venticello accarezzava leggermente il viso del passeggero.
Le campane suonavano a festa.
Una scarica di mortaretti annunzia il principio della processione del
Simulacro della Vergine.
Sopra i balconi tutti vi si sporgono gettano fiori in gran copia e
segnandosi recitano mentalmente devote preghiere.
Tutto il popolo segue devoto l’Immagine, formando un lungo corteo. Là
sul bianco verone, si vede un rosso visino, circondato intorno intorno da una
corona di biondi capelli trattenuti da un azzurro nastrino.
Due occhi cerulei splendono come due fari luminosi ed un dolce sorriso
corona la sua rosea bocca.
Al passar del simulacro pian piano inginocchiossi e devotamente recitò
una breve preghiera, mentre la processione seguì lentamente il suo svolgersi.
Un’altra scarica di mortaretti annunziò il ritorno nella Chiesa della
Statua.
E’ suonata l’ora tredicesima, altri due minuti e l’ AUTOBUS si
accingerà a partire.
Vestita con la sua vestina bianca, con in testa il suo bianco
cappellino, e col suo solito sorriso sulle labbra si asside sur un sedile
mentre scendono giù per le gote due grosse lacrime lucenti.
Un altro momento … E … ADDDIO! ! ! !
Là nel rumore della città, nella Capitale del mondo forse ti si
dimenticata del tuo povero Vanni …
Forse mentre le ore passano veloci, mentre i giorni si susseguono ai
giorni, tu hai altri pensieri, forgi altre idee … Quei pensieri che un giorno
erano diretti ad una sola persona, adesso vagano altrove; il tuo sorriso che
coronava sempre la tua rosea bocca e col quale affascinavi chiunque osava
mirarti, adesso forse è diretto ben lungi; i tuoi occhi cerulei che sempre
mandavano dardi d’amore, adesso forse mirano un altro volto più bello, un altro
viso più affascinante.
La tua voce squillante che notte e dì non si stancava mai cantando le
belle canzoni d’amore e pronunziando quel nome fatale, adesso pronunzia altri
nomi, canta altre canzoni, dice altre ben diverse parole …
Quelle tue bianche manine che tanto spesso erano il mezzo per poter
essere un momento insieme, giocando coi nostri diversi giuochi, adesso forse
sono il mezzo per avvicinarti ad altre persone …
Ah! Grande illusione! Ma amore è sempre amore, il primo amore non si
cancella mai … Primo amore eterno amore.
Invano la lontananza tenta di farmi dimenticare la tua dolce
fisionomia; Invano tenta farmi scordar quel tuo volto angelico. Invano i cento
chilometri tentano spaventarmi con la loro lunghezza; nulla, nulla è capace
farmi dimenticare te, i tuoi occhi, i tuoi capelli, il tuo dolce sorriso …
Vani sospetti di quando in quando passano per la mia mente e cercano
soffermarsi e farmi dubitare …
Ma il pensiero fugace vola immediatamente a te, e tutto passa tutto
ritorna come prima.
Ed io t’amo. T’amo d’una amore vero e sincero, t’amo dello stesso amore
che ‘amai la prima volta, ma rinforzato ed alimentato dalle sofferenze e dai
sacrifici; t’amo di quello amore che non si spezzerà giammai, e che durerà in
eterno. Passano le ore, passano i mesi, passano gli anni, ma non passerà
giammai il mio ardente amore per te.
MARIA! A nome sì caro il mio cuore sussulta, il respiro mi si sofferma,
e tutto il mio essere si concentra nel pensiero di te, obliando il tempo che
fu-
Ah ! Diletta, l’animo mio non si sazierà mai del tuo amore, sempre ti
cercherà, ed andrà ramingo finché non ti avrà posseduto, finché non ti avrà
stretto a sé, finché non ti avrà trasfuso tutto l’ardore che continuamente
l’infiamma e lo strugge.
Il mio cuore sarà il tuo cuore, la mia anima sarà la tua anima, il mio
tutto sarà il tuo essere stesso.
Io e te saremo una cosa sola, un essere solo, un’anima sola …
F I N E
Di Giovanni Virgara si sono perse le tracce. Lasciato il paese per la
Sicilia (Palermo, Trapani) vi faceva ritorno solo occasionalmente. Quello che
so è che la casa dei suoi familiari era dalle parti del ponte. Fu poeta primariamente,
narratore occasionalmente. Di ogni sua pubblicazione faceva dono allo zio
Ernesto il giovane, che non mancava mai di passare a salutare nei suoi ritorni
sempre più sporadici. Come il Leopardi si struggeva per Silvia il nostro
Virgara si perse dietro Marietta, sua coetanea platiota, che di lui non ne
voleva sapere. Marietta lasciò anch’essa il paese e a Giovanni Virgara non
rimase che rimembrarla con i suoi versi.
domenica 27 novembre 2016
L'intervista - nuova edizione
INTERVISTA
CON
FRANCESCO F(P)ERRI
Non appena mi venne sotto l’occhio l’annuncio del nuovo romanzo di
Francesco Perri (Il discepolo ignoto),
romanzo che a giorni vedrà la luce coi tipi della casa editrice Garzanti, mi
sovvenne del lungo lavoro di ricerca e di studio che lo scrittore aveva fatto.
E me ne risovvenni perché, curvo lui, in quel tempo, sui tomi antichi, curva io
sui vecchi libracci, ci eravamo incontrati più e più volte nelle severe aule
delle biblioteche cittadine. Facevamo entrambi delle ricerche. Questa frase che
al lettore profano sembrerà forse convenzionale, è per noi studiosi, profonda
di significati: fare delle ricerche significa studiare lentamente, attentamente
il clima storico, l’aura sociale, l’atmosfera umana nella quale si devono
muovere i nostri personaggi. Che erano, e quelli a cui Perri dedicava i suoi
studi ed i miei, personaggi storici. Diversamente storici, si capisce: ma
ugualmente basati sulla conoscenza profonda del loro modo di essere.
Quando solevo incontrare Perri nelle biblioteche milanesi, egli forse
non aveva ancora cominciato a fissarsi su questo o su quel episodio del
Vangelo, ma io sapevo che tutta la sua anima tendeva a realizzare quello che si
potrebbe chiamare un sogno spirituale: trovare cioè il nucleo di una bella
favola sacra che gli permettesse alla maniera antica di raccontare con stesura
ampia, con respiro largo, un bel racconto.
Poi seppi che aveva trovato l’episodio, che ne approfondiva i
particolari, che leggeva i testi sacri per meglio addentrarsi nell’atmosfera
del tempo, che già, nella sua fantasia, la vicenda si allargava, prendeva la
consistenza e la forma di romanzo: seppi che il lavoro di creazione era
cominciato, ferveva.
E, naturalmente, persi di vista Perri: egli chiuso nel suo compito, io,
sempre alla ricerca storica dei miei personaggi antichi, girovagavo un po’ per
gli archivi d’Italia.
Ma ora che ho saputo pronto il romanzo, ora che ho visto gli annunci,
mi sono affrettata a chiamare Perri, a intervistarlo. Volevo sapere come egli
avesse condotto il suo lavoro; che criteri lo avessero guidato, quali
sentimenti lo avessero animato.
Per questo le domande che gli rivolgo sono poche ma a mio parere
essenziali.
- Quale è l’episodio saliente che vi ha ispirato? Chiedo.
-Un episodio descritto da San Marco, nel suo Vangelo, egli mi risponde,
quell’episodio là dove narra dell’arresto di Gesù nell’orto del Getsemani, là
dove l’Evangelista Marco dice: allora
quelli - i soldati - misero le mani addosso a Gesù e lo
arrestarono … E tutti lo abbandonarono e fuggirono. E un certo giovane lo
seguiva ravvolto in un lenzuolo sul nudo, e lo presero, ma egli, lascito il
lenzuolo, se ne fuggì ignudo.
-E’ dunque il giovinetto ignoto, il discepolo senza nome, il
protagonista del vostro romanzo? È la mia domanda.
-Si, mi risponde Francesco Perri, è attorno a lui che si impernia la
mia vicenda: Il romanzo consta di tre parti: nella prima ho voluto descrivere
la vecchia Roma imperiale di Tiberio. Ed ecco il perché delle tante mie
ricerche che voi avete seguite. Volevo che la rievocazione della Roma imperiale
fosse colorita, ricca di particolari, ed anche qui fu necessaria una
particolare preparazione che mi permettesse di fare rivivere, non
superficialmente ma con cognizione di causa, il clima palestinese del tempo. La
quarta ed ultima parte culmina con la passione di Cristo di cui il giovinetto
romano, che a volerla risentire in maniera si farebbe, oltretutto, un peccato
di lesa bellezza spirituale. Ma ho voluto attenermi alla tradizione evangelica
soprattutto perché vi è nel mio romanzo l’intenzione di richiamare gli uomini
alla fraternità, a quel senso di luminoso amore che fu la dottrina di Cristo.
-Avete quindi data intonazione religiosa al vostro libro?
-No, non fraintendetemi: il mio è un romanzo, un romanzo vero e proprio
con una trama appassionante, avvincente, amorosa anche. Un romanzo
dall’intreccio ampio, vivace, anche se rivissuto su fondo storico. Ma è un
romanzo nel quale il pittoresco non offusca la verità secondo i Vangeli, nel
quale il largo disegno fantastico rispetta consuetudini ed usi del tempo, nel
quale una folla di personaggi lotta, vive, ama, soffre. Un romanzo diremmo di
masse, scritto anche per riportare la prosa nostra a quel pieno, caldo senso
che qui dava la narrazione antica, quando raccontare voleva dire narrare con
poesia ed amore a bella favola. Spero di essere riuscito nel mio intento.
Rassicuro Perri: queste sue momentanee titubanze di artista che ha
appena compiuta la sua opera, che se ne distacca con difficoltà e sofferenza,
che la segue ancora come una creatura viva, sono comprensibili. Egli è ancora dentro al suo lavoro e lo risente in sé,
fortemente. Lo rassicuro perché so, credo, sono convinta, che l’opera sia
bella. Lo rassicuro perché conosco l’aspettativa che vi è di essa nel mondo
letterario e perché sento nelle sue parole ancora un afflato di quella poesia
umana e cristiana che lo ha ispirato.
Titina Strano
LA GAZZETTA – 10 marzo
1940 Anno XVIII
Nota
Nell’ inchiesta sulla letteratura del 2 febbraio 1939 Francesco Perri
annunciava un nuovo romanzo, del quale a
suo tempo se ne parlerà, eccolo: Roma imperiale, masse, littori, e forse,
littorine. Mah !, forse è meglio il silenzio che auspicava un'acuta redattrice di elevato spessore culturale.
Prima di dimenticarlo, fatevi un giro di web per scoprire quanto andava
cercando la Titina, curva sui vecchi
libracci … nelle severe aule delle biblioteche cittadine.
Tranquilli, tutto questo è materiale che servirà a quanti studieranno
nel prossimo futuro, svincolati da parentele, amicizie, fastidiosi brontolii di fondo, blogghi, giornali cartacei, quotidiani on line, faccebucche, sentito dire.
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