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lunedì 4 aprile 2016

Inizio di primavera, 早春, Sōshun (reg. Yasujiro Ozu - 1956)


Perri Pasquale
Educatore
N. 1 - 4 - 1934   M. 19 - 9 - 2000
Amò tanto il suo paese
che volle tornarci per sempre

Questo marmo, questa lapide, questa commemorazione non devono stare confinati nel cimitero. Il suo posto cari commissari, cari paesani, cari "pulinarisi", è alla cresiola, per ricordarlo a quanti verranno dopo di noi. Pasqualino deve tornare per sempre!

domenica 3 aprile 2016

Lettera aperta ad un giornale della sera (reg. Francesco Maselli - 1970)




                                                                              A " La Repubblica" Roma
                                                                                  - " Il Messaggero" Roma.
                                                                                  - " Il Tempo" Roma
                                                                                  - " Gazzetta del Sud" Messina.
                                                                                  - " Famiglia Cristiana." Roma.
                                                                                  - " L'Espresso" Roma
                                                                                  - " Corriere della Sera"Milano
                                                                                  -" Il Giornale di Calabria"

                                                          LETTERA APERTA AI PLATIOTI
             Cari PLATIOTI,

non sono San Paolo o Cicerone, quindi, nè apostolo nè giurista.
Questa lettera non ha alcuna pretesa se non quella di comunicare con voi. Tutti, oggi, scrivono su Platì. Perché un platiota non può scrivere, pubblicamente, ai suoi concittadini, da platiota a platiota?
Ormai di privato su Platì non c'è più niente: dal 3 agosto, u.s., è sempre sulle prime pagine di tutti i quotidiani con titoli cubitali dove la frase più innocua è la seguente: " Tutte le strade portano lassù, a Platì".
Ormai dai mass-media viene citato come una grande capitale: "qui Platì", come dire "qui Roma", "qui New York". Gli inviati speciali della grande stampa nazionale parlano di Platì come della capitale dei rilasci di persone sequestrate, con 150 diffidati, 8O sorvegliati speciali, 4OO pregiudicati, 18 latitanti, dove "la gente detesta i giornalisti, le forze dell'ordine, i magistrati, tutti responsabili, a loro dire, di calunnie che piovano sullo stesso paese e sui suoi abitanti." `
Ormai Platì significa per tutti " tornare indietro nel tempo, nella storia, nella civiltà. Segna uno spaccato: fuori Platì la civiltà, dentro Platì la barbarie.
Ormai ci siamo dentro tutti: chi è rimasto e chi è andato via; chi riposa in pace e chi vive; chi è scappato con qualche foglio di carta in tasca o con le sole braccia e chi è rimasto; tutti ormai abbiamo un marchio impresso a fuoco sulla carne: il sequestro di persona.
La strada del più turpe dei reati, affermano tutti, passa per Platì.
Se è vero, è una nuova strada di sangue tracciata da mano sacrilega tra le tante croci del Sud. E' un marchio impresso a fuoco su carne da macello, in guerra; su carne d'esportazione, in pace, su carne, da sempre pressata e surgelata, per i banchetti elettorali.
E' un'infamia che deturpa l'anima e ridesta il pianto delle Coefore.
Ormai " U 'NCASATU", il mostro dalle cento braccia e dalle mille teste, che si nutriva delle carni tenere dei bambini, non è più una leggenda popolare, si identifica con tutti i platioti in qualunque latitudine si trovino. Tutti siamo indicati come i torturatori di Marco Fiora.
Ma è vero? E' possibile?
Dov'è Plati di don Giacomo Tassone, dell'avocato Fera, del maestro Gelonesi, del generale Gelonesi, luminare della medicina tropicale, dei Peroni, degli Zappia, degli Spadaro, dei Mittiga, del colonnello Fera, di massaru Peppe Delfino, di Ciccillo Prestia, della saggezza di massaru Cicco di Furnari, di massaru Jelasi, di massaru Cicco Barbaro, di Pasquale Agresta e degli artigiani (Sarti,barbieri, calzolai, falegnami, carpentieri, fabbri, tornitori, le cui botteghe erano per i giovani scuola di vita)?
Dov'è Platì di mastro Micuzzo di donna Grazia, l'anarchico gentiluomo, maestro di alfabetizzazione per centinaia e centinaia di pastori e braccianti?
Dov'è Platì dei centinaia di morti sul Carso e dei quali le innumerevoli strade del paese ci ricordano il loro sacrificio per la Patria?
Dov'è Platì della camera del lavoro di Michele Crea, dove nell'immediato secondo dopoguerra i giovani apprendevano le prime lezioni di democrazia?
Dov'è Platì delle civili battaglie elettorali tra " Spiga" e "Croce" e delle serenate consolatrici dei vincitori ai perdenti?
Dov'è il progetto per il quale Platì doveva diventare un paese pilota per l'agricoltura, la pastorizia e il turismo?
E' possibile che sia scomparso? E' possibile che l'alluvione del 1951, oltre a portare via i giardini più belli dell'Aspromonte, ha portato vi i valori di intere generazioni?
Forse l'alluvione vera è quella verificatasi negli anni cinquanta con la rovinosa e totale emigrazione dei giovani artigiani verso l'Australia, l'America e il Canada; seguita, poi, negli anni '60 da quella dei giovani intellettuali verso il Nord.
Quelle alluvioni non sono apparse sulle prime pagina dei quotidiani.
Sono rimaste nel silenzio di chi l'ha subite e di chi non ha fatto niente per evitarle. Chi è partito si è sentito forte e coraggioso, perché consapevole di affrontare l'ignoto. Chi è rimasto, oggi, rimprovera, con severa coscienza:"La colpa è vostra perché siete scappati e non siete rimasti a dare il vostro contributo!"
Qualcuno rileva che a Platì negli ultimi quindici anni è avvenuta una rivoluzione economico sociale, realizzata da una cultura della morte e del carcere e ciò ha determinato l'attuale degrado umano dell'intera comunità. E' possibile?
Morte e carcere non sono valori e, quindi, non possono originare una civiltà, né possono dare continuità storica; rifiuto categoricamente questa analisi mostruosa.
Rifiuto, altresì, che lo stato repubblicano, nato dalla Resistenza, voglia risolvere il problema Platì Aspromonte con l'esercito e con i blitz di polizia, come un secolo fa; tale provvedimento è la denuncia amara dello Stato di essere stato latitante, per decenni: in quelle zone, con le sue istituzioni democratiche.
Sono stato tra voi nel periodo più " caldo" dell'anno e ho assistito all'accerchiamento di Platì da parte delle forze dell'ordine. Mi sembrava di essere in Libano o in qualunque località di frontiera.'
Per la prima volta non mi sono sentito sicuro nel mio paese e ho cercato, rientrando in Abruzzo, di chiedermi il perché.
La lettura dei quotidiani e dei loro bollettini di guerra mi hanno " coinvolto" in prima persona, come del resto tutti i platioti alla diaspora, e, nello stesso tempo, mi hanno fatto sentire responsabile di tutta la "querelle" Platì.
Mi auguro che la magistratura possa fare luce e, nel contempo, possa ridare a Platì la sua reale dimensione umana e culturale.
Se, eventualmente, tutte le strade portano a Platì, sotto processo dobbiamo andare tutti perché le colpe sono di tutti noi, sia chi è rimasto, sia di chi è scappato, contribuendo, così, a determinare squilibri sociali, politici, etici.
Non vogliamo rispondere all'attuale situazione come vittime. Le colpe nostre sono nostre.
Lasciamo a chi ha colpe maggiori, perché maggiori responsabilità politiche, di analizzare lo sfascio, l'alluvione umana e il degrado sociale denunciati dalla stampa.
Ci sia permesso, però, ribellarci, con alto senso di civiltà, e denunciare all'opinione pubblica che Platì, Aspromonte e Calabria assurgono a cronaca cubitale nazionale solo per terremoti, alluvioni, sequestri di persona, 'ndrangheta, ma mai si affrontano con serietà e serenità le condizioni che hanno determinato l'attuale degrado fisico, sociale e umano.
La situazione attuale non è certo la risultante di un processo a breve termine né la risultante di un processo a lungo termine determinato dalla non volontà politica di indicare ipotesi di soluzione allorquando agli antichi mali, aggravandosi per l'incuria della classe dirigente, non si è risposto con provvedimenti ordinari capaci di reciderli alla base e, cioè, capaci di dare soluzioni definitive alle ataviche aspettative del profondo Sud.
Non è sufficiente gettare il mostro in prima pagina e mettere sotto accusa un'intera comunità e additarla all'opinione pubblica.
Sarebbe utile e necessario rispondere, con civile senso di responsabilità umana e culturale, alle domande di occupazione e di tranquillità sociale dei giovani, costruendo non caserme per "incrementare la presenza permanente dello Stato in Calabria", ma scuole, servizi sociali, strutture sanitarie e turistiche e tutto ciò che può contribuire a mettere Platì e la Calabria nel grande circuito nazionale ed europeo.
E' questo il modo primario per segnare la presenza dello Stato nella regione che ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, il più alto tasso di disservizi sanitari, il più alto tasso di isolamento sociale, economico e culturale, il più alto tasso di degrado geofisico.
Vengano pure le forze armate ma con esse vengano anche tutte quelle scelte politiche e tutti quei provvedimenti ordinari capaci di rimuovere le condizioni ataviche di abbandono e di sfiducia.
Per infondere maggior fiducia e per rompere lo stato di rassegnazione non sono solo necessari duemila soldati, ma posti di lavoro per i giovani che vivono da sempre senza prospettiva storica.
Per garantire la Costituzione e per instaurare un corretto rapporto tra cittadini ed istituzioni, è necessario rimuovere tutte quelle condizioni interne alle istituzioni che da sempre contribuiscono ad allontanare il cittadino: clientelismo, lotte intestine tra le varie correnti dei partiti, giochi di potere, assistenzialismo, spartizione e lottizzazione di cariche e di finanziamenti pubblici.
Già nel 1971, nelle pagine di "Scuola e Mezzogiorno", premio "Libro dell'Anno 1971", sezione saggistica meridionalistica, avvertivo che l'istituto regionale rischiava di essere defraudato dai principi che l'avevano motivato, perché gli interessi dei gruppi di potere economico e politico avrebbero avuto il sopravento su gli interessi della collettività.
La crescita della popolazione urbana nelle città della regione e nei centri della riviera ionica e tirrenica, avvenuta senza un reale sviluppo economico, ha creato uno stato di rapporto abnorme tra i diversi strati sociali sui quali ha facilmente esercitato la propria influenza il blocco di potere dominante. Per capire ciò è sufficiente prendere in esame, per tutte, la città di Reggio Calabria, dove drammatiche conseguenze hanno messo a nudo scottanti realtà che si sono venute a creare per gli errori d'impostazione della politica meridionalistica, la quale ha ignorato, tra l'altro, totalmente il rapporto culturale-economico tra agricoltura e industria, favorendo l'esodo dalle campagne verso una disordinata ed eccessiva urbanizzazione determinata da speculazione edilizia, sottogoverno, gonfiamento del settore commerciale ,eccessivo processo di terziarizzazione improduttivo, accrescimento caotico delle strutture burocratiche, notevole disoccupazione intellettuale, fallimento di piccole e medie imprese, cancellazione dell'artigianato.
In questo stato di cose la caccia al posto pubblico ha alimentato pericolosamente il clientelismo politico che, sfruttando la situazione, ha lavorato non per formare coscienze politiche e classe dirigente ma agenzie e agenti elettorali.
Su questi binari si è avviata l'azione politica con le conseguenze che ci stanno di fronte e dalle quali ognuno cerca di prenderne le distanze riversando, oggi, le colpe su Platì, Ciminà, San Luca: forse gli anelli più deboli di una catena sui quali tutti, a torto o a ragione, si sentono autorizzati a fare analisi sociologiche, storiche,
antropologiche, seduti o alla poltrona di una potente istituzione pubblica,o su una poltrona di un potente mezzo di comunicazione,o su una poltrona della loro residenza estiva.
Il mio augurio è che Platì e quest'ultima alluvione che si è riversata sul suo tessuto umano e sociale possano servire una buona volta per risolvere i gravosi problemi di sempre che hanno pesato e pesano sull'attuale stato della terra di nessuno.
Mi auguro, altresì, che tutto ciò contribuisca a porre fine ad analisi, inchieste, leggi speciali, provvedimenti eccezionali pro-Calabria e si passi ad operare nella nostra regione come si opera in Lombardia,in Alto Adige,nel Veneto,in Umbria,nelle Marche e in Abruzzo: la questione Calabria è una questione nazionale e, perciò,è una questione di tutta la comunità politica,culturale e umana,a meno che non si continui a considerare il profondo Sud come colonia del più sofisticato colonialismo moderno, l'industrialismo pirata e le sue leggi di mercato.
E' vero che noi calabresi siamo ancora legati alla tradizione greca del pianto dei defunti, ma chi, con dovizia di particolari, oggi addita i mali e le nefandezze di Platì e dei platioti dovrebbe sentirsi coinvolto, se non altro perché Platì e l'Aspromonte, non si trovano sulla luna, ma appartengono a questa dimensione culturale e storica che si chiama Italia.

                                                                                                                                       Pasquale Perri

                                                                                                                 autore di "Scuola e Mezzogiorno"
                                                                                                                vincitore de "Libro dell'Anno 1971"
                                                                                                                sezione saggistica meridionalistica.


Questa lunga accorata lettera del 1988, mai pubblicata, era custodita dallo zio Ernesto il giovane. Commentatela per voi, da soli. Io vi posso dire che Pasqualino Perri aveva una penna che va dritta al cuore e come una freccia lo trafigge. Allora: al lungo elenco che parte da U ncasatu e arriva a Micuzzu di donna Grazia e Michele Crea bisogna aggiungere Pasqualino Perri figlio di Peppantoni e Rosina Miceli.


giovedì 17 marzo 2016

Feudalismo (reg. Alfredo Robert - 1912)


CARERI, NATILI, PLATI’ (Comuni della provincia di Calabria Ulteriore 1°)

13 gennaio 1811 (Da Gerace ).

Angelo Masci Commessario del Re per la divisione demani della Calabria Ulteriore.
 Nella Causa tra i Comuni, di Careri, Natili e Platì, e l’ex feudatario signor principe di Cariati; per la divisione delle terre demaniali site in quei luoghi.
Vista la perizia fatta per la descrizione dei demani ex feudali detti 1. Corpo Scapolanova, Lacettta, Aria del vento, Nigrelli, Castania, Grace e Rombone; 2. Livia, Giampaolo ed Emolumenti; 3. Montagna detta Anopollo,Pondola e Misagramera.
Visto ii processo verbale col sentimento degli agenti ripartitori,
Sentito il parere de' signori Cavaliere Musolino, sotto Intendente di questo distretto, ed Onofrio Falletti, Giudice di pace del circondario di Gerace.
Intese le parti, cioè i Sindaci di detti Comuni, ed il signor Arcangelo Oliva, procuratore del principe di Cariati.
Considerando che non si è controvertito, che i cittadini di detti Comuni sono nell’attual possesso degli usi di legnare indistintamente, cogliere ghiande, pascolare e pernottare in detti demani.
Considerando, che la terza parte delle suddette terre chiamate Emolumenti appartiene senza dubbio a Platì, il quale è nell’attual possesso,
 Il Commessario, analogamente al parere de' suddetti due funzionari pubblici , decide , che di tutt’i sopra notali demani (dedotto il terzo degli Emolunmenti, che appartiene a Platì) un quarto si dia a  Careri e Natili insieme, ed un quarto a Platì solo, e l’altra metà resti al possessore signor principe di Cariati.
Per le colonie si osservino i generali stabilimenti. E cosi si esegua - Fatto in Gerace il 13 gennaio 1811-
Angelo Masci.
Per copia conforme – A. Masci

L'atto sopra riportato era conservato tra le carte di Don Filippo Gliozzi arciprete di Natile.



mercoledì 16 marzo 2016

Infinite Sun - Kula Shaker












Malanovak ai Kula Shaker, quanto mi piacciono, e quanto mi piacevano le pellicole scadute. Oggi bisogna stare ore su Photoshop per avere qualcosa di simile, alla fine bisogna affidarsi al caso, come come succedeva con le pellicole scadute. Le foto, scattate dalla terrazza e dal balcone della casa dello zio Ernesto e della zia Amalia, risalgono alla metà degli anni novanta del secolo passato: la macchina era una Nikon FM e la pellicola era la mitica Ektachrome 64T della Kodak.




ed ora la pubblicità:


lunedì 14 marzo 2016

Rivalità eroica (reg. Richard Rosson/Howard Hawks - 1933)



LA VERGINE DI PANDORE

A distanza di qualche decennio dal catastrofico terremoto che distrusse l’antica città di Pandore e costrinse i suoi abitanti a trasferirsi in altre zone più sicure (Careri e Natile), la tradizione vuole che un contadino intento ad arare un pezzo di terra... e qui si innesta inevitabilmente la leggenda del “quadro miracoloso” della Vergine di Pandore.
Credo sia doverosa riferirla.
Un contadino, come si diceva, mentre stava arando un pezzo di terra rinvenne, a poca distanza dalla zona dove sorgeva anticamente Pandore, un trittico raffigurante la Madonna.
Poiché il terreno sorgeva ai limite dei confini territoriali dei Comuni di Careri e Platì, tra i due popoli sorse una animata disputa: il trittico doveva essere portato a Careri o a Platì? Mai disputa fu tanto accanita ed accesa. L’accordo non fu raggiunto. Alcuni “saggi” suggerirono un singolare stratagemma che, con grande soddisfazione di tutti, venne attuato.
Il «quadro» venne caricato su un carro trainato da due giovenche e abbandonato in aperta campagna. Se le giovenche si fossero dirette in direzione di Platì, sarebbero stati i Platiesi gli unici proprietari della immagine della Vergine di Pandore. In caso contrario il possesso sarebbe toccato di diritto ai «pandurioti». Le giovenche si diressero verso Careri facendo la gioia dei «Pandurioti» e la disperazione ovvia dei Platiesi. Da quel giorno i cittadini di Careri divennero i gelosi custodi del miracoloso trittico raffigurante la Vergine con il Bambino.
Per i Careroti il "quadro" divenne ben presto l'ancora di "salvezza"; salvezza del corpo e dell’anima. La fede nella Vergine di Pandore fu sempre grande, infinita.
Purtroppo ai primi di ottobre del 1971 mani sacrileghe trafugarono il "quadro" miracoloso lasciando nello sconforto più nero migliaia di fedeli.
In quei giorni il sindaco del paese, Rosario Monteleone, rivolse ai malfattori un accorato appello: “Mi rivolgo a nome mio e di tutta la cittadinanza a coloro che, forse in un momento di smarrimento,hanno voluto privarci di un bene cosi inestimabile; restituite a Careri il miracoloso quadro: soltanto allora il mio popolo riacquisterà la pace e la tranquillità “.
A distanza di anni l'appello è rimasto però inascoltato.
Quella mattina di 15 anni addietro la notizia del furto del «quadro» si diffuse in un baleno. “Non c‘è legge, non c’è legge” gridavano, piangendo, uomini e donne, vecchi e bambini.
Non sono mancate scene di grande commozione come quando una anziana donna, genuflessa davanti all’altare, pregava: «Vergine Santa, ritorna a Careri».
Era una speranza!

A Careri cà si dicia
Cà ndavi a veniri la Matri Maria:
O Maria, o di li Grazii,
chi vu siti la cchiù bella
vi misiru nta na stanza
non vi volenu portari a Careri.
Quando la Matri si misi in caminu
li Prativoti gralimi iettaru:
ora cu vui volimu mu venimu
finu a Careri mu v’accumpagnamu.
volimu la Matri cu Gesù Bambinu
pa li nosrti bisogni ma pregamu.
Quandu la Matri a Careri trasiu
tuttu lu mundu cà s’allumtanau.
Nostra Madonna in prucessioni iu
avanzi a la chiesa si fermau;
tutti gridaru «la Matri di Diu»'
Maria di li Grazi l’intitulau.
Lu bastimentu a mari si ndi iu
e lu patruni grazii cercava;
e chissu fu  miraculu di Maria:
mu scindi sarvu e non si maculau.

Tratto da CARERI nel 150° anniversario della fondazione del comune, a cura di Giuseppe Pipicella, Laruffa Editore, 1986

Secondo lo Zangari, riportato da Domenico Minuto, Careri, Pandore e Platì  contenevano beni dei monasteri basiliani. All’ epoca del furto, parroco di Careri era lo zio Ernesto il giovane che per l’occasione intrecciò una breve corrispondenza con lo scrittore careroto Francesco Perri che trovate qui:
Il terremoto che distrusse Pandore risale al 1507.
Dimenticavo: la foto è di Don Salvatore C.




domenica 13 marzo 2016

A sud rullano i tamburi (reg. William Cameron Menzies -1951)

La foto ritrae Michele Trimboli alias Giamba, con altri suoi colleghi ad Acquaro. E' inserita nel volume Le figure inquiete, Franco Angeli del 1989. Autore del libro come della fotografia è Francesco Faeta.

giovedì 10 marzo 2016

Il colore della menzogna (reg. Claude Chabrol - 1998)




PLATI’ – Perché criminalizzare un intero paese?
Dove nasce la ‘ndrangheta
Troppo facile per gli inviati del Nord fare di tutte le erbe un fascio

Platì --- E’ nato un caso Platì. Fiumi di inchiostro descrivono ormai da cima a fondo questo paesello abbarbicato sui contrafforti aspromontani. Chi come noi è attaccato visceralmente a questo paese, lavorandovi in esso come segretario della locale scuola media da otto anni, sente il bisogno di evitare, con qualche riflessione, che si compia un orrendo crimine. E‘ facile asserire Platì è mafia, Platì è delinquenza dedita ai sequestri di persona. Platì droga. E’ semplicistico. Il mio maestro mi insegnava a cogliere in ogni aspetto della realtà le cose più apparentemente più insignificanti, per leggere meglio gli accadimenti. Un dubbio mi assale leggendo tutti quesii articoli: chi ha interesse a criminalizzare questo centro aspromontano. Certo il sequestro di persona è un crimine orrendo che va perseguito con severità, specie se consumato su vittime indifese e bambini innocenti. Siamo stati i primi a chiedere giustizia per Marco Fiora. Ma scrivere che il parroco è piccoletto, tozzo e dall’aspetto contadino (quando questi, tra l’altro, è alto e di aspetto distinto) senza offendere la suscettibilità dei contadini, è per lo meno ridicolo, denota dilettantismo nella ricerca giornalistica che spesso si affida a soffiate sbagliate che generano solo confusione di uomini e cose. Se si vuole rendere un utile servizio al paese di Platì, bisogna starci almeno due o tre giorni e sforzarsi di capire perché esso oggi sale agli oneri della cronaca nazionale. In campo ci sono erbe cattive ed erbe buone; allora cerchiamo di capire perché da una piccola società sana, amante delle lettere e della musica, dove il mestiere di sarto e falegname erano diffusissimi e la pastorizia e l’agricoltura fonti di lauti guadagni, è nata, a sentire i giornali, una contadina mafiosa e dedita a ogni sorta di traffico illecito.  E’ naturale poi, che i platioti si chiudano a riccio e affermino che la ’ndrangheta non esiste! Quali servizi sociali sono stati creati in questo paese? Lo Stato si è posto il problema del ruolo che la scuola deve esercitare in questo paese aspromontano? Sanno i giornalisti delle grandi testate che gli insegnanti della scuola media per sette anni non hanno avuto una lavagna e una cattedra e solo quest'anno hanno ricevuto questo premio, dopo la visita del signor Provveditore? Perché poi lamentarsi se lo Stato è visto come un nemico? Perché non si perseguono con identica e rabbiosa mordacia i centri del malaffare politico, i nuovi ricchi che prosperano indisturbati? Perché solo la gente semplice, indifesa e non protetta, quando si consumano giornalmente soprusi che restano impuniti? Aveva ragione da vendere Sant’Agostino quando affermava che “quando ne sia bandita la giustizia che altro sono i regni se non ladronerie”? Se questa compagnia si accresce fino ad occupare un paese, a impadronirsi di città, soggiogare i popoli: allora essa prende ii titolo di regno; titolo che gli assicura non la rinuncia alla cupidigia ma l’acquisto delle impunità.
Questo sta accadendo a Platì: il ladrone è definito corsaro perché ha una piccola e fragile nave che lo proteggere; le consorterie partitiche che hanno occupato lo Stato e hanno una grande flotta sono chiamati imperatori! Restituiamo perciò le giuste dimensioni ad un paese che non presenta pericolose forme di delinquenza, ma ha in sé energie sufficienti che vanno coraggiosamente tirate fuori.
Sono andati a leggersi i signori giornalisti le poesie di un poeta del luogo, un certo Tassone? O i famosi carteggi del maestro Rosario Fera commissario in Platì ai tempi del fascismo? Con debito di riconoscenza a questo figlio di Platì voglio citare il tratto terminale di una delle sue epistole datata 14 marzo 1924: “Avremo modo di vedere e documentare da quale parte stanno le azioni turpi”.
Allora sì, egregio signor maestro, che potremmo divertirci e sollazzarci; allora sì che la predica sarebbe stata proficua in questa Santa Quaresima e gli amici ne avrebbero tratto ammirazione.
Perciò cari politici e giornalisti, prima di assumere atteggiamenti schizofrenici con inutili e dispendiose parate sull'Aspromonte, cerchiamo di non assumere decisioni che poi sono destinate a tramutarsi in vere e  proprie disfatte. Platì non può conoscere solo le manette come presenza dello stato. Ha bisogno di un grosso intervento sul piano occupazionale, sul piano delle strutture scolastiche, ricreative e culturali. Solo così si eviterà l’incancrenirsi del male e si renderà giustizia ad una popolazione che non merita la criminalizzazione indiscriminata.
Gianni Carteri, Giornale di Calabria, venerdì 12 agosto 1988

Cercatemi per favore il giornalista che ha descritto lo zio Ernesto piccoletto, tozzo e dall’aspetto contadino  vorrei dirgli che lo zio per ben due volte ha ricevuto la visita, entravano dal balcone, dei Reparti Operativi Speciali, per incarico del Grande Inquisitore, terrorizzando la zia Amalia. Al galantuomo voglio mandare una pignolata messinese o una cassata palermitana ogni anno.
Questo vecchio articolo dell’ormai compianto Gianni Carteri lo potete non condividere o aggiustarlo a piacere vostro, rimane fresco l’omaggio e l’incitamento al paese per spianarsi un futuro a testa alta, con le proprie forze, senza interventi forestieri.


mercoledì 9 marzo 2016

Cuori nella tormenta (reg. Carlo Campogalliani - 1941)

 
                                                   


Sperdute per le campagne, piccole casupole sono albergatrici di tanta povera gente che, vive lontana dal mondo e dalla civiltà, priva di ogni bene e talvolta anche di sostentamento. E laggiù, tra quei sentieri, per gli erti colli, e le anguste vie noi raggiungiamo i tuguri, cui l’idea non potrebbe costruire nell’immaginazione, e se gli occhi non si posano a guardare, se la pietà non spinge i passi fin laggiù.
Quanto è provvidenziale il nostro sacrificio! Come quella infelice umanità ci tende la mano con un volto stirato dal dolore ed un fievole lamento sulla bocca = ed accoglie la pasta e la farina per il fisico sfinito, ma crederemmo ancora molto opportuno poter offrire dei formaggi e dei biscotti a quei bambini, il cui sorriso innocente e imploratore penetrando, commuove il nostro cuore. E non senza difficoltà da parte nostra, ma tanto sacrificio ci costa tal missione, poiché sotto il sole e la pioggia, il vento oppur la bora, noi raggiungiamo instancabilmente e senza mezzo di trasporto i più reconditi e lontani borghi, appunto poiché la nostra coscienza di cristiane e la nostra tenerezza di donna comprende l’opportunità di continuare questo umanitario compito.
Dapprima la povera gente giungeva al nostro ufficio per prelevare il materiale loro diretto, ma ormai attendono alle proprie case, ove ci accolgono e, con una lacrima di gratitudine, che vela il senso vivo del loro ringraziamento, ripetono commosse: ritornate!


Questa breve commovente prosa anonima era tra le carte conservate dallo zio Ernesto il giovane. Leggendolo viene alla mente lo stile letterario e la partecipazione di Umberto Zanotti Bianco. La  femminile scrittura  fa pensare ad una suora con un cuore infinito.

Leggetela con sottofondo questa bella canzone di Mavis Staples


lunedì 7 marzo 2016

Fuochi d'artificio (reg. Gennaro Righelli - 1938)



s. anna 9
Carissimo Don luigi noistiamo tutte beni
 lostesso auguriamo da voi Dunque
Caro Don luigi se voi voleti  e paessaere
Dopo tanti anni veramenti volevamo
Sparari i fuochi artificiale sevoleti
E così noi vifaremo di stare atutta la
Popolazione contenti tanti saluti la
Ditta Manfre Carmelo Pirotennico
S. Anna di Seminara

domenica 6 marzo 2016

La fine dell'innocenza (reg. Massimo Dallamano - 1975)


Negli anni del secondo dopoguerra, alle occupazioni contadine diffusesi nelle campagne del sud il governo reagisce con l'invio di reparti di polizia. Alcuni contadini vengono uccisi, numerosi altri feriti, centinaia altri arrestati. Inizia il declino della cultura contadina.
Così termina Il ponte di San Giacomo, l'ideologia della morte nella società contadina del Sud di Luigi M. Lombardi Satriani e Mariano Meligrana, Rizzoli, 1981  finito di leggere appena stamattina. Subito la mente è andata  ad un articolo della Gazzetta del Sud del 1988 in cui venivano elencati tutti i sequestri di persona avvenuti in Calabria  a cominciare dal 1963.
Facile pensare che tutto quadra. Mi sbaglio?

PS, post scriptum, non polizia di stato: la foto in alto non ha niente a che vedere con quanto scritto. Riconosco soltanto lo zio Michele fratello della nonna Lisa, il primo in basso alla vostra sinistra con baffi e occhiali cerchiati scuri, con altri amici supra o serru, una domenica primaverile nell'immediato dopoguerra.