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lunedì 22 settembre 2014

Il canto dei nuovi emigranti (reg .Felice D’Agostino/Arturo Lavorato - 2005)

Oggi in contemporanea col nuovocinemaloretodiplatì



Ce ne andiamo. Ce ne andiamo via. Dal torrente Aron Dalla pianura di Simeri.Ce ne andiamo con dieci centimetri di terra secca sotto le scarpe con mani dure con rabbia con niente.
Vigna vigna fiumare fiumare
Doppiando capo Schiavonea.
Ce ne andiamo dai campi d'erba tra il grido delle quaglie e i bastioni. Dai fichi più maledetti a limite con l'autunno e con l'Italia. Dai paesi più vecchi più stanchi in cima al levante delle disgrazie.
Cropani
Longobucco
Cerchiara Polistena
Diamante
Nao
Ionadi Cessaniti
Mammola
Filandari...
Tufi. Calcarei immobili massi eterni sotto pena di scomunica.
Ce ne andiamo rompendo Petrace con l'ultima dinamite. Senza sentire più il nome Calabria il nome disperazione.
Troppo tempo siamo stati nei monti con un trombone fra le gambe. Adesso ce ne scendiamo muti per le scorciatoie.
Dai Conflenti
dalle Pietre Nere da Ardore.
Dal sole di Cutro
pazzo sulla pianura
dalla sua notte, brace di uccelli.
Troppo tempo a gridarci nella bettola il sette di spade a buttare il re e l’asso.
Troppo tempo a raccontarci storie chiamando onore una coltellata e disgrazia non avere padrone.
Troppo troppo tempo a restarcene zitti quando bisognava parlare, basta.
Noi vivi e battezzati
dannati.
Noi violenti sanguinari con l'accetta conficcata nella scorza dei mesi degli anni.
Noi morti ce ne andiamo in piedi sulla carretta.
Avanzano le ruote cantano i sonagli verso i confini.
Via!
Via dai feudi dagli stivali dai cani dai larghi mantelli.

Ussahè…

Via Via!
Via dai baroni.
I Lucifero
I conti Capialbi
I Sòlima gli Spada
I Ruffo
I Gallucci.
Usciamo dai bassi terranei dal sudario dei loro trappeti dai parmenti della vendemmia profondi
a lume di candela e senza respirazione.
Via
dai Pretori dalla Polizia dagli uomini d'onore.
Non chiamateci. non richiamateci.
È scrittonei comprensori
È scritto nei fossi nei canali
È scritto in centomila rettangoli
alto su due pali
Cassa del Mezzogiorno
ma io non so che cosa si stia costruendo se la notte o il giorno.
Ci sono raffiche su vecchie facciate che nessuno leva: l'occhio del Mitra è più preciso del filo a piombo della Rinascita.
Addio, terra. Terra mia  lunga  silenziosa.
Un nome non lo ebbe  la gioventù
non stanchiamoci adesso
che ci chiamano col proprio cognome
Noi Noi ce ne siamo  già andati.
Dai catoi dagli sterchi orizzonti.
Da Seminara
dalle civette di Cropalati.
Dai figli appena nati inchiodati nella madia calati dalle frane dall'Aspromonte dei nostri pensieri.
Spegnete le lampadine della piazza. scordiamoci delle scappellate dei sorrisi dei nomi segnati
e pronunciati per trentasei ore.

Cassiani
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Foderaro Galati
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
Cassiani
Cassiani

La croce sulla croce,diceva l'arciprete.
E una croce sulla croce,
segnavano le donne.
andavano e venivano.

Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi

È stato sempre silenzio. silenzio duro della Sila delle sue nevicate a lutto.
È stato il pane a credenza portato sotto lo scialle all'altezza del cuore.
Sono stati i nostri occhi stanchi guardando le finestre illuminate della prefettura.
Carabinieri,fermatevi.  giratevi non c'è nemmeno un cane.
Siamo tutti lontani latitanti.
Fermatevi.
Restano gli zapponi dietro la porta, i cieli, i vigneti. La pietra di sale sulla tavola.
I vecchi che non si muovono dalla sedia, soli con la peronospera nei polmoni.
Le capre
la voce lunga
degli ultimi maiali scannati.
L'argento a forma a forma di cuore, nella chiesa.
Le ragnatele dietro i vetri, le madonne.
la ragnatela del Carmine
la ragnatela di Portosalvo
la ragnatela della Quercia
Restano le donne consumate da nove a nove mesi con le macchie della denutrizione della fame.
Le addolorate Le pietà di tutti gli ulivi, Lavando rattoppando cucinando su due mattoni raccogliendo spine e cicoria.
Cancellateci dall'esattoria Dai municipi dai registri dai calamai della nascita.
Levateci il I giorno di scuola senza matita senza quaderno senza la camicia nuova.
Toglieteci dalle galere.Non ubriacateci. Liberateci dai coltelli di Gizzeria dal sangue dei portoni.
Non chiamateci da Scilla con la leggenda del sole del cielo e del mare.
Siamo ben legati a una vita
a una catena di montaggio
Scioglieteci dai limoni dai salti del pescespada.
Allontanateci da Palmi e da Gioia.
Noi vivi
Noi morti
presi e impiccati cento volte ce ne siamo già andati staccandosi dai rami, dai manifesti della repubblica.
Di notte come lupi come contrabbandieri come ladri.
Senza un'idea dei giorni delle ciminiere degli altiforni.
Siamo in 700 mila su appena due milioni.
Siamo i marciapiedi più affollati.
Siamo i treni più lunghi.
Siamo le braccia le unghie d'Europa. Il sudore Diesel.
Siamo il disonore la vergogna dei governi.
Il Tronco di quercia bruciata
il monumento al Minatore Ignoto
Siamo l'odore di cipolla che rinnova le viscere d'Europa
Siamo un'altra volta la fantasia degli dei.
Milioni di macchine escono targate Magna Grecia.
Noi siamo le giacche appese nelle baracche nei pollai d'Europa.
Addio, terra.
Salutiamo,  è ora.

Franco Costabile


domenica 21 settembre 2014

Umano, troppo umano (reg. Louis Malle - 1975)




Milano lunedì 20 settembre 1991

  Reverendo Padre ho ricevuto già da alcuni giorni la vostra gradita lettera.
sono contento che la tromba che vi ho inviato vada bene per l’impianto della nostra chiesa
Nei giorni scorsi vi ho inviato con vaglia postale la somma dio L. 500.000 per contribuire per quanto possibile alla riparazione della chiesa, che in occasione della mia venuta a PLATI’ ho trovato alquanto dissestata mi auguro che dietro vostra sollecitudine altri nostri concittadini facciano altrettanto affinché la chiesa possa sempre svolgere la sua funzione educativa e pastorale.
Per quanto graditi mi sono i vostri ringraziamenti tengo a farvi sapere che quanto finora ho fatto  è stato per me una grande gioia anche se purtroppo non basta a risolvere il problema anch’io sarei stato felice di incontrarvi e scambiare con voi quattro parole ma purtroppo ciò non è stato possibile spero in futuro
prima di lasciarla vorrei chiederle un favore personale, desidero che una Domenica delle prossime venga celebrata una messa di suffragio per i defunti che mi affretto a elencarvi in calabrese
fu gnura Elisabetta a sciampagna
“  gnura Maria detta a …
“  gnura Maria Antonia Portolesi
    Don Peppino Mittiga detto degli spizzingoli e per sua Moglie Donna Momina
    Don Ciccillo Gelonesi che è stato mio insegnante
    Per vostro Fratello che è stato mio insegnante di Religione alle Medie, per i miei nonni Paterni e Materni e per le anime dimenticate, è mio desiderio che questi defunti vengano ricordati durante una messa domenicale di mattina … ora mi unisco a voi nella preghiera e nella speranza dio poterci incontrare porgo distinti saluti augurandovi ogni Bene

        Vostro affezionatissimo  Sergi Pasquale

Nota
Purtroppo non sono riuscito ad identificare il soprannome della gnura Maria detta a ...

venerdì 19 settembre 2014

James - She's a star




Una donna di Calabria vale quanto l'uomo d'ogni altro paese: i fianchi vigorosi, gli occhi arditi, i polsi robusti, le gote floride, la ricca capigliatura, e l'accento minaccioso la dicono nata nel paese dei terremoti e dei vini forti. Vive sulle montagne? gonna di colore vermiglio, come i gruppi dei lampi che saltellano per le montagne. Vive presso il mare? gonna azzurra come gli olivi, sotto cui mena la vita. Maneggia la conocchia ed il fucile, la spola e la scure, ed il suo sguardo è infallibile come il suo fucile. Ti fissa sopra lo sguardo? Ti raddoppia la vita. Ti fissa sopra il fucile? Te la toglie. Nondimeno, la donna fu considerata ovunque come un essere decaduto, e tale si stima pure in Calabria. Il pastore che caglia il latte, deve avvolgere il presame in un pezzo di tela appartenente ad uomo e non a donna; altrimenti è sicuro che il latte non cagli. La parte inferiore della camicia della donna si dice musto: coi fili di questo musto se si fa un lucignolo per la lucerna, il lucignolo non arderà. Ma se la donna è zitella, l'opinione sul conto suo e tutt'altra. Il tocco delle dita di lei si crede portentoso, profetica la parola, ispirato lo sguardo. La zitella fabbrica il pane? Esso le cresce nelle mani, ed anche senza lievito riuscirà gonfio, alluminato e spugnoso più del pane fermentato. La famiglia compra un bicchiere, una bottiglia, un orciuolo? Perché acquistino buono odore, la prima a porvi su le labbra deve essere la zitella. Vanno le donne a raccorre i covoni e spigolare? Se nel campo vi è uno stelo a doppia spiga, colei che lo trova è certamente zitella. Avete un'infiammazione negli occhi? L'unico farmaco che può guarirvi è la saliva della zitella. Ella riceve il più delicato rispetto nella famiglia, e la donna più corrotta e l'uomo più dissoluto non osano in Calabria profferire una parola meno che onesta innanzi a lei. Quanto son belli e poetici i seguenti proverbii, e quant'altezza di sentire manifestano in Calabria! La zitella e` Santa come un altare. L'uomo che gitta un cattivo pensiero nell'anima di una zitella è simile al Demonio che versò il male nel paradiso terrestre. Tre sole cose hanno fragranza in questo mondo, il fiato del fanciullo, della zitella e del vitellino lattante.
Vincenzo Padula, Persone in Calabria


giovedì 18 settembre 2014

Sole rosso ( reg. Terence Young - 1971)









Foto shootate a margine di una visita lampo in Platì, subito dopo ferragosto, mercé Francesco, Michele e Pasquale. Il sole cocente, l’amicizia fresca come l’acqua dei Cromatì.
Le prime sono particolari della villa appartenuta a Vincenzo “Istorosofia” Papalia in contrada Lacchi.

Il prospetto con un particolare,, se non ricordo male, è del palazzo che fu della famiglia di Ferdinando Mittiga, partigiano, gli amici citati sopra mi correggano, ma non vi sorga l’idea che sono filoborbonico. Le altre, particolari del portone della casa che fu di Gino Zappia, che come potete vedere ha compiuto i cento anni.

mercoledì 17 settembre 2014

Settembre (reg. Woody Allen - 1987)

ancora da Maria
Settembre

Allora a settembre era ancora estate ed era bello la mattina restare ancora nel letto nel dormiveglia dolce sapendo che l’inizio della scuola era ancora lontano e nell’attesa che la mamma, la mattina del dodici, sarebbe entrata in punta di piedi per darmi un bacio e poggiare sul comodino un mazzolino di fiori di erba cipollina, di gerani e di piccoli bocca di leone , era un rito ed una certezza come il bacio che ci dava per la buonanotte facendo il gesto di mettere qualcosa sotto il cuscino: un dono immaginario che ci accompagnava per la notte.
Settembre: due feste, il compleanno della nonna  e l’onomastico della nonna e mio, due feste Mariane che ricordo sempre come le feste della casa che mai nessuno dimenticava.
Nel solaio si preparava per le prossime stagioni, i fichidindia erano allineati colorati e profumati con accanto le sorbe sode come piccole mele e le pere dure e marroni che avremmo mangiato, maturate, in inverno, il tutto creava un profumo intenso ed equilibrato.
Settembre col suo sole dolce ci accompagnava verso un nuovo anno di scuola ,un nuovo futuro che non ci faceva paura.

Nella foto La nonna Mariuzza col nonno Rosario


martedì 16 settembre 2014

Il colosso d'argilla (reg. Mark Robson . 1956)

I colossali proprietari di Platì

Cavaliere Ufficiale Sindaco Francesco Oliva fu Arcangelo
Michelino Oliva fu Stefano
Luigi Oliva fu Giuseppe
Fortunato Furore fu Giosofatto
I primi due con cinquecento mila ducati di proprietà
Gli ultimi con cento mila ducati di proprietà


Come riportato dal dottor Vincenzo Papali Medico Chirurgo, nella sua Istorosofia di lividure eteroclite del 1896

lunedì 15 settembre 2014

Dottore nei guai (reg. Ralph Thomas - 1963)


Viaggio al termine di Plati

Il migliore dei modi per riprendere il lavoro, dopo la consueta pausa estiriflessiva, è rendendo omaggio ancora una volta all’unico scrittore nato e vissuto in terra di Platì: Vincenzo Papalia, autore di Istorosofia di lividure eteroclite per Vicenzo Papalia   Medico Chirurgo   Platì 1896. Un lettore comune lo può a ben diritto bollare come libello, tale lo definì il suo autore; ma per quei quattro che l’hanno letto è ben altro.
In mancanza di un affidabile critico letterario che scandagli a fondo il suo contenuto come la sua scrittura si tenta qui di riportare delle impressioni, assolutamente di parte, a seguito di un attenta rilettura.

La scoperta del libro risale all’epoca del mio ritorno da profugo a Platì. Erano i giorni in cui andavo alla ricerca del passato ma soprattutto della casa dei nonni materni che mi aveva visto gattonare dapprima, quindi sbattere, nella corsa, nel saio nerissimo dello zio Ciccillo. Passavo dalla parte bassa, dove erano riposti oggetti e mobili non più in uso, la cui gloria passata nessun Napoleone o statista odierno eguaglierà mai, allo studio dello zio Ernesto con la sua libreria in ciliegio che era appartenuta all’arciprete don Filippo Gliozzi, il quale la lasciò nel testamento al nonno di mia mamma: Francesco Gliozzi garibaldino. Oltre i libri antichi appartenuti al citato don Filippo vi erano anche le raccolte di don Ernesto Gliozzi senior, fratello del nonno Luigi ed arciprete in Casignana, che come ormai sapete fu poeta e scrittore anche lui. Apparteneva a lui la istorosofia papaliana che lì era custodita e dimenticata, la quale ritornando alla luce ebbe bisogno della solerte mano del rilegatore messinese.
Come è riportato sulla copertina del libro Vincenzo Paplia fu un medico chirurgo che prestò la sua opera dapprima in zone  anche molto distanti da Platì per poi farvi ritorno e li restarvi. In anni alterni, causa l’avvicendarsi delle personalità che assumevano l’incarico di sindaco, egli fu medico condotto,  ufficiale sanitario del paese e giudice conciliatore del Comune. A cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento fu il medico della famiglia Gliozzi e redasse anche il certificato per la domanda di pensione del mio bisnonno garibaldino.
L’occasione per scrivere il libro, stampato poi a sue spese a Gerace, fu un episodio che dire lo sconvolse è poco: fu accusato dai parenti di una sua serva di averla percossa causandone la morte. Un novizio nonché sollecito medico, avversario-concorrente per le cariche pubbliche che ricopriva il dottor Papalia, redasse un certificato poco felice che servì ai parenti della donna per muovergli contro una causa penale. Fortunatamente l’autopsia sul corpo della morta portò alla luce il vero motivo del decesso scagionando il medico definitivamente.
La causa del trapasso della serva, già avanti con l’età, il dottor Papalia l’aveva diagnosticata alla stessa sei anni prima, al momento della di lei assunzione, dovendo la moglie del dottore partorire da lì a poco: “ osservata da me, l’ammalata offriva all’esame clinico un riacutizzamento di bronchite cronica, ed un vizio cardiaco, valvolare, in insufficienza della mitrale “. Le lividure diagnosticate dal medico concorrente-compiacente non erano altro che peggioramenti a livello superficiale dovute alle “ alterazioni organiche del cuore per la stasi “.
Quello che a noi oggi interessa dopo circa centoquindici anni e la scomparsa dei protagonisti della vicenda è la consistenza letteraria dell’autore e del libro. Nel avvicendarsi della narrazione, o se volete esposizione dei fatti, Vincenzo Paplia ci rivela di possedere una cultura classica e moderna da enciclopedista, insospettabile oggi per un uomo che proveniva da un paese se non arretrato, distante dai centri culturali del reggino. La sua formazione letteraria certamente fu dovuta principalmente alla frequenza dell’università di Napoli e successivamente con gli incarichi in diversi centri tra cui L’Aquila e la provincia di Reggio Calabria. Ritornato a Platì ebbe modo di frequentare quei pochi letterati che lì si trovavano, tra cui citiamo, rivelatoci dal libro in questione, un altro medico, Domenico Zappia autore di un’opera colossale intitolata L’Eden, andata perduta.
Ne viene fuori di Vincenzo Papalia una figura controversa. Mosso da una passione indignata con la sua esplorazione tenebrosa e scettica della natura umana e delle sue cagionevolezze quotidiane ci appare un rigoroso moralista e qui egli si accomuna ad un altro medico-scrittore che verrà dopo, molto più famoso, Luis-Ferdinand Céline. Discostandosi, altresì, dalla narrativa calabrese dell’epoca come da quella futura, egli non ha nulla degli ardori esistenziali che soggiogheranno Corrado Alvaro, il quale muoveva i primi passi negli anni che videro la pubblicazione della Istorosofia. Quella che può sembrare una discesa negli inferi oppure  un’invettiva personale contro un’intera comunità è un’indagine sulle condizioni di un intero popolo vessato da poche  famiglie nelle posizioni di comando.
A questo punto ci rammarichiamo del fatto che l’avversario non abbia risposto con una pubblicazione  anch’egli, forse intimorito dall’avviso di Vincenzo Papalia: “ Ma se a voi verrà il desiderio di rispondere, ed una risposta avrò avuto intorno  quanto v’ho detto e vi dirò in appresso, io mi sentirò obbligato a raccoglierli tutti, tutti sostenuti da documenti di fatto, e stampare per essi, un libro di mole più grande di quello presente a cui ne seguirà un terzo, un quarto, un quinto, e via discorrendo ogni qual volta continueranno e vostre risposte “. Ma sappiamo, per averlo divulgato il dottor Papalia con la sua Istorosofia, che l’avversario in questione era restio ai duelli, con qualsiasi arma offensiva come con … pennino e calamaio.





mercoledì 16 luglio 2014

Tutti a tavola (reg. Richard Thorpe - 1952)

Maria e Saro
Gino,ancora ricordi......( da Maria)


La mattinata era stata per Ciccillo faticosa ma si era conclusa presto , il caldo di luglio veniva mitigato nella grande casa da persiane socchiuse e corretto studio delle correnti che, per chi come lui decideva una pennica preprandiale, ne conciliava immediatamente il sonno.
Gli piaceva in quelle occasioni un angolo riparato della stanza da pranzo dove c’era un comodo divano.
In paese il mercoledì e il venerdì arrivava il pescivendolo dalla marina e di conseguenza è facile immaginare cosa si mangiasse in quei giorni,quel mercoledì avevano comperato triglie e ope la cui morte naturale era di venire infarinate e fritte, cosa che Cata aveva  fatto prestino giacchè erano buone anche un tantino fredde e poi friggere d’estate non era cosa facile.
Il piatto da portata con i pesci pronti per il pranzo era stato messo dentro il buffet ed emanava un piacevole odore a cui Ciccillo si era imposto di resistere. Non la pensava allo stesso modo Saro che credendo di non essere visto fece per tante volte la spola tra la porta e il buffet di quella stanza dove il padre senza essere visto assisteva, con le mani che gli prudevano, alla scena.
All’ora di pranzo, pasta e ceci di primo, il piatto dei pesci appare mutilato in tavola, Saro avrebbe voluto  scappare alla prima occhiata del padre ma l’arrivo inatteso di un fumante e inatteso vassoio di frittelle di neonata che sapevano di mare e prezzemolo affievolì la tensione e predispose tutti ad affrontare sereni il riposino pomeridiano.



lunedì 7 luglio 2014

Quell'estate meravigliosa (reg. Lewis Gilbert -1961)


L'Estate 
Ci si alzava la mattina presto e si prendeva la corriera per il  mare.
L’odore di nafta di cui il mezzo era impregnato si posizionava presto alla bocca dello stomaco rendendo difficile il trattenimento del latte di capra col pane inzuppato o dell’uovo sbattuto col caffè lungo: alimenti indispensabili contro la fatica: si sa che il mare debilita.
In spiaggia donne coperte da camicie da notte che dovevano coprire le vergogne ma che in effetti da bagnate le accentuavano, già verso le otto-nove, sempre per il principio di cui sopra mangiavano spezzatino di pecora con le patate, anche li era difficile non vomitare per i bambini, ma la scintillante acqua del mare d’oro e blu li attirava a tuffarsi e giocare rincorrersi e saltare abbracciare la mamma e lasciarsi cullare dall’onda.
Si riprendeva accaldati la corriera verso le undici, il mezzo imboccava un rettilineo con una certa velocità che faceva svolazzare le tende dei finestrini, per fermarsi poco dopo, Cata scendeva e comperava quattro panini al burro, di forma allungata ,morbidi e caldi diventavano la ricompensa della mattinata ginnica ma anche un rito quotidiano delle giornate di mare.

Questo è un contributo di Maria, nella fotografia


mercoledì 2 luglio 2014

Marcia nuziale (reg. Marco Ferreri - 1965)




I. M. I.

Nelle bene auspicate nozze di Luigi Ambrosi – Ermenegilda Nicita

Signori,
Una notte primaverile: mite, argentea, profumata, incantevole. Sull’Olimpo.
Son qui, a profferire il giudizio sui vecchi Dii, le venerande figure di Pietro di Galilea e Paolo di Tarso. _ - ----  - Passarono e sprofondarono nella buia voragine L’Adunanubi, Nettuno e Marte; il corteo sfrontato di Bacco, agitante tirsi e bicchieri: In dolce atto modesto, sta il Dio della poesia a piè degli Apostoli e le nuove muse, in torno, intuonano canti soavi. – Viene ora la volta di lei, la bellissima, l’adorata. Si appressa, incantevole, alla sua desolazione. Le batte il cuore sotto il seno di neve come ad un uccellino e le labbra le tremano come ad un fanciullo cui incombe minaccioso il castigo.  Lo so – dice ella tendendo le braccia agli apostoli – lo so, son peccatrice … è vero … ma voi, o grandissimi uomini, non mi condannate! Io … son la felicità del genere umano! …  I gemiti e i singhiozzi le ruppero la parola: Pietro stese la scarna mano sul biondo capo di lei, Paolo colso un giglio del prato, la toccò con esso e disse: “ Sii, da oggi, come questo fiore, ma vivi, o felicità del genere umano “. E l’amore si levò purificato a quel tocco, Venere l’incantevole, s’appressò a Maria; la terra si destò gioconda e radiosa, poiché non le erano morte la canzone e la felicità: - Viva, dunque, o novelli sposi, nei vostri petti l’amore. Ma che cosa è l’amore? Io lo domando a voi, o giovani, cui scorre tumultuosamente il sangue nelle vene, lo domando a voi, padri e madri di famiglia, che vi sentite palpitare le viscere a l’appressarsi d’un figlio, lo domando a voi, vecchi ottuagenari, a tutti a ricchi e poveri a tristi e lieti – se lo sapete . che cos’è l’amore?
E’ palpito, m rispondete, d’un cuore gentile, è balsamo che molcisce l’anima, essenza che inebria, incendia che divora. E’ tutto l’amore. Niente senza l’amore si opera: “ la primavera, senza l’amor non germina, né s’innalza al Signore inno o preghiera.” Infatti, aprite per poco il libro dei libri e voi trovate in esso una splendida epoca di amore. Nel cantico dei cantici di Salomone, le frasi più tenere e vezzose servono a descrivere l’idillio di quella sposa divina, quale tipo superiore, come quella che simboleggia la Chiesa, e voi trovate il mistico imeneo intessuto di tenerezze caste, di soavi accenti ispirati.
Avanti ancora: non vedete l’industriosa Rebecca? La vecchia Sara fedele ?. E di Rachele per cui tanto fé – come dice Dante – Israel, il forte nell’amore? E le nozze del giovinetto Tobia quale profumo non spirano d’una delicata, intima unione, voluta da Dio? Oh, si, mi rispondete, lo so, l’amore di queste creature è grande, è vero, è santo, ma è lontano lontano: si perde nella notte dei tempi, mentre noi si vuole qualche cosa ci parli più da vicino al cuore, come sarebbe: la parola augusta del Maestro Divino, oppure l’esempio autorevole delle nostre mamme.
Ebbene, signori,
Vedetelo. “ Ora che del Giordano ai freschi rivi
                      trae le turbe una gentil virtù,
                        e ascende alle città, fresche d’ulivi
                        giovin Messia del popolo, Gesù.”
Vedetelo – dico- e seguitelo per la cittadina linda e pulita di Cana Galilea, dalle strade festanti per un lieto avvenimento, e più festanti ancora per il passaggio di Lui, del Biondo Maestro, dalla capigliatura spiovente sopra gli omeri, invitato oggi, da un carissimo giovine, suo amico, a presiedere, con i discepoli e la Madre, al suo banchetto di nozze. Ed Egli, il Nazzareno bellissimo, dal volto d’aquila e dalla voce soave, assistere per benedire con la sua presenza il legame di due giovani vite, e comandare che quell’amore purificato, debba rimanere indissolubile, duraturo, eterno. Vuole che due anime si uniscano, si fondino, si trasformino e siano de in una; (ma non due corpi soltanto). Intendete? A conferma del sacramento che la istituisce opera il primo miracolo: la conversione dell’acqua in vino. E non è questo miracolo il significato di ciò che stanno per diventare le nozze? Lei, la sposa, limpida e chiara come acqua cristallina di fonte, che disseta e rinfresca; l’acqua che ora, al suo comando divino, si muta in vino generoso, non è la donna, quest’essere delicato e gentile, uscita dal costato dell’uomo, perché nell’uomo s’immedesimasse? Ed il vino generoso, inebriante, che rinforza e riscalda, che anima e dona l’allegrezza , non è lo sposo, l’uomo, che deve  sorreggere, assorbire, sollevare la donna e camminare insieme sul sentiero della vita? Quando io penso che questo miracolo Gesù ha operato, per santificare le nozze, per nobilitare la donna … quando io penso che a tanto L’ha determinato l’intercessione della sua dolcissima Madre … oh allora mi accorgo a quale altezza fu sollevata la donna dal cristianesimo, perché Lei sola la Madre di Gesù, comprendeva qual’era la missione di quest’essere Madre, Sorella, Sposa, ed ha voluto nobilitarla in maniera da farla diventare l’angelo tutelare nelle famiglie cristiane.
Non così era prima però, quando si riteneva la donna oggetto di lusso, si barattava con qualche animale più o meno immondo …  e si discuteva dai filosofi di Grecia e di Roma, se quest’essere inferiore, così la chiamavano, fosse dotato di anima! … Non è così tuttora presso i popoli barbari o paganeggianti in cui una civiltà corrotta da basso impero, fa della donna un cencio, una tazza di voluttà inebriante, un manichino della moda più o meno scollacciata! Ma basta per carità, capitemi: “ Vi ha un angelo dunque nella famiglia , che rende con una misteriosa influenza di grazia, di dolcezza e di amore il compito dei doveri meno arido, i dolori meno amari. L’angelo della famiglia è la donna.” A quest’angelo l’infelice poeta di Recanati si rivolgeva dicendo: “ Donne da voi non poco la patria aspetta”.
Si, o novelli sposi, grande è la vostra missione! Voi tenete nelle vostre mani l’avvenire di una generazione ventura, da cui la patria aspetta, la religione domanda, la famiglia vuole il suo contributo. Voi, nel santuario della famiglia, educherete, con mano assidua, le giovani piante – i figli – di cui i fiori saranno la speranza del frutto per il vostro più tardo avvenire. La fiaccola che porrete nelle loro mani, sarà il sole che vi riscalderà nell’inverno degli anni.  Ma badate di mettere davvero nelle anni dei vostri figli la fiaccola e la fiaccola di cui vi parlo è la Fede. Sentite: a somiglianza di certi animali domestici, che hanno fretta di procreare, vi ha delle famiglie ultramoderne che regalano al mondo dei figlioletti orbi. Non hanno il tempo queste donnine, della moda parigina, di lavare gli occhi cisposi dei loro figlioli con le acque delle verità sacrosante della fede.
-  Che siano in difetto anche loro? – Chi sa! – Invece, oh le nostre mamme buone! Che ci addormentavano sulle ginocchia alla nenia di un canto religioso … che ci facevano balbettare mattina e sera le parole sante della preghiera e ci conducevano – festanti – all’altare per fare la prima comunione! E le nostre mamme benedette, si che rispecchiavano le virtù delle sante donne dell’Evangelo! Erano cioè fedeli e caste, amabili e prudenti, vereconde e gravi, erano erudite nelle celesti dottrine, feconde nel lavoro, disciplinate in casa; in una parola: venerabili! E la generazione uscita da queste sante donne vanta cinquecento mila madri di eroi; portò l’Italia a Vittorio Veneto e la croce sul Campidoglio:
ho detto. – Intanto,
Oggi due cuori si unirono; oggi in qualità di Sacerdote ho comandato che questi cuori si amassero ed essi coi palpiti più accelerati son qui a dirmi che sono pronti a mantenere la promessa.
Salvete, o sposi!
Da parte mia tre regali vi porgo. Un saluto col cuore, un plauso con l’anima, ed un consiglio con la mente serena.
Il saluto è che nella vita vi sorrida sempre l’amore, come in questo giorno stupendo: e sia dolce, come il miele d’Ibla, sereno, come una melodia, costante, come il sole.
Il plauso è che questo amore trionfale percorra le vie della vita più lunga, sotto una pioggia di rose, che cadano lentamente sopra le vostre teste sempre giovani.
Il consiglio è di educare le future pianticelle secondo il codice di Cristo.
Ed ora: Amatevi! Il vostro amore è benedetto. Affrettatevi a colmarvi di amore: le gioie della famiglia son tante … Avanti sempre, per il sentiero della vita.
“ il mondo è bello e santo l’avvenire! “
       Salvete!
                 Sac: Ernesto Gliozzi
                          Arciprete