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mercoledì 12 dicembre 2012

Il mondo nuovo (reg. Ettore Scola - 1981)

L’epoca di Gianni u tamburinaru – e con lui, il suo bando preceduto dal rullo di tamburo – è finita, le trombe Geloso l’hanno sostituito. Montate sul tettuccio della Fiat 500 girano il paese per annunciare un evento che può essere un corredo di Don Petru, un comizio del sindacalista Catanzariti, ma spesso è il kolossal in programmazione al cinema Loreto.
 E se per Catanzariti la voce è quella di un suo “compagno” o per Don Petru uno studente liceale, per il cinema Loreto c’è l’indimenticabile, mai dimenticato,  Mimmo Addabbo: ecco se Sergio Leone stava dietro il mirino dell’Arriflex, Mimmo Addabbo stava dietro il Fumeo 16 mm e per mirino aveva il buco da cui si spandeva il fascio di luce che andava a riflettersi sullo schermo. Tutti e due mi hanno regalato i più bei sogni da risognare.

***
Già da quindici giorni la macchina sta percorrendo strade e contrade annunciando il film dei film, quello che ha eclissato Via col vento, con la magia degli effetti speciali e della ricostruzione dell’antico Egitto dei Faraoni, senza dimenticare il cranio rasato, bronzeo e lucente di Yul Brinner.
L’annunciatore però faceva leva per attirare i platioti su un fatto irripetibile: i sei tempi della pellicola. Un tempo senza fine per i piccoli che entravano nel cinema con la luce del giorno e ne uscivano a notte fatta.
Dentro la sala tra un cambio e l’altro tutti i loro visi erano rivolti dietro, verso quell’alta parte tappezzata dai contenitori delle uova per migliorarne l’acustica, a quel buco in cui cercavano di indovinare i traffici di Mimmo Addabbo.
Una volta fuori dal cinema c’era , tra i bambini, la lotta per stabilire il personaggio da imitare nei giochi e la scena più straordinaria; intanto dal campanile della chiesa l’altoparlante diffondeva “Non son degno di te”, richiamando i paesani per lo spettacolo serale che,  data la lunga durata del film, aveva inizio un’ora prima.

Foto di Francesco Barbaro alias Cicciu i santa

lunedì 10 dicembre 2012

Lacrime d'amore (reg. Pino Mercanti - 1954) pt. 1



                                                                                                                             NUMERO UNICO

Per cura degli amici
 Di Giacomo Tassoni Oliva
 cognato dell’estinta


LACRIME
SU LA TOMBA DI MATTIA MIGLIACCIO IN FURORE
Platì XXIII febbraio 1910
                                                                             
L’ESTINTA
  Da la nobile casa Migliaccio, figlia del Cav. Domenico e Rosina Scaglione nasceva il 31 Dicembre 1880 la signorina Mattia, un vero angiolo che doveva allietare la famiglia.
  Fu buona e pia sin dall’infanzia ed una prerogativa la distingueva fra le altre sorelle: l’assennatezza eccessiva.
  Al vederla quasi sempre pensosa si sarebbe detto che quella giovinetta fosse taciturna o superba …se una bontà celestiale non risplendesse nei suoi begli occhi larghissimi:era l’umiltà personificata.
  Le sorelle correvano a lei per consiglio; nella casa era d’una attività fenomenale e , nei momenti di riposo, sfogava tutta quanta l’anima sua religiosa nella penombra della piccola cappella gentilizia.
  Chi sa quali e quanti consigli apprendeva dal labbro di quel Divino Martire dell’Amore!...
  E crebbe nel santuario della famiglia, nascosta come una viola e spandendo intorno a se i più soavi profumi.
  Senonché le sorti dovevano mutare e quell’angiolo doveva esplicare in un’altra casa la sua nobile e savia attività.
  Il carissimo Giosofattino Furore da Platì, ammirando le rare virtù, nonché l’aristocratica discendenza della giovinetta, la sposava il 2 Agosto 1908 e – felice di tale conquista – la conduceva seco a reggere le sorti, con lui, del vasto patrimonio.
  La felice coppia non aveva niente a desiderare; la nuova Signora Furore non durò fatica ad accattivarsi l’animo del numeroso personale a lei dipendente e quello dell’intiera cittadinanza platiese.
  Queste popolane al vederla così mite, caritatevole e religiosa non sapevano nascondere la loro sincera ammirazione, la benedicevano col cuore e le auguravano la suprema gioia della maternità.
  Oimé! Nella maternità trovò la tomba!...
  Il cielo volle rapircela e con lei, il grazioso frutto delle sue viscere.
                                                                                                                                             Gesto


L’ultima ora!

  Quelle grida di “spavento” mi ferirono l’orecchio … in quell’ora d’ansia e di trepidazione, di sconforto e di speranza, l’animo nostro inquieto era schiavo dei nervi sovraeccitati … ogni minima cosa prendeva proporzioni giganti, ogni minimo rumore ci suonava sventura …
  Quelle grida di “spavento” le risento ancora … Mutossi di un tratto lo scenario di casa Furore: meste ed afflitte giacevano l’un l’altra vicine tre figure e l’un l’altra si confortavano con affettuose parole. Sul loro aspetto si leggeva l’ansia per la soluzione di un problema da cui dovrebbe dipendere la loro felicità o la loro sciagura! …
  Che immenso quarto d’ora!...
  Non è possibile, Ettore diceva a Giacomino, guardando la sorella Carolina, non è possibile che finisca male questa bella giornata di primavera … speriamo figliuoli … speriamo! …
  Non è diversa la scena della stanza vicina: due altre figure piangono e sperano …, l’istessa mestizia li avvince, l’istesso dolore le accascia e l’istessa speranza tien loro la vita: Giosofattino e la sorella si scambiano parole di conforto ed a vicenda s’incitano a sperare! …
  Quelle voci di “spavento” mutano le scene: i medici perdono la speranza: gli ultimi rimedi non giovano: nulla resta alla scienza che firmare una condanna ed è condanna di morte! … La condannata è Mattia e deve morire! …
  Quelle grida di “spavento” s’espandono subito nelle stanze di casa Furore … l’angoscia è di tutti … il dolore non trova lo sfogo nel pianto: son poca cosa le lagrime e la disperazione invade l’animo di quelle cinque figure! ...
  E chi ha coraggio di dire una parola di conforto?! ---
  Giace esanime Mattia , martire della più nobile missione di donna: quali e quante lagrime, quali e quanti dolori e quante amarezze potrebbero equilibrare la giovine vita spezzata?! …
  Sono le tre pomeridiane passate!  XXIII Febbraio 1910
                                                                                              N. Spadaro      



   Le foto della cappella Furore sono state scattate e concesse da Francesco, a cui farà piacere quanto pubblicato.

continua ... qui:

giovedì 6 dicembre 2012

1 aprile 2000 (reg. Wolfgang Liebeneiner )


Ritaglio trovato tra i documenti conservati di zio Ernesto sen.

mercoledì 5 dicembre 2012

Viaggio senza fine (reg. John Ford - 1940)

Quando nonno Luigi uscì di casa per sempre.
La casa ora è muta nella solitudine ed aspetta con pazienza.





Quanti volti, ora solo nelle mia memoria.

giovedì 29 novembre 2012

Batte il tamburo lentamente - atto II





ATTO SECONDO

6


Con la morte di Gianni, Michele  divenne il suonatore di tamburo ufficiale di Platì e così rimase fino alla sua scomparsa.
Con il suo strumento fu visto e riconosciuto anno dopo anno dovunque si celebrava una festa  dove accorrevano migliaia di persone: da Polsi a Seminara, dal Santuario della Madonna della Grotta di Bombile ad Acquaro per San Rocco, spingendosi fino a Reggio per la Madonna della Consolazione.
Michele era di carattere taciturno, in paese lo si vedeva più frequentemente la domenica alla messa delle otto, dove prendeva immancabilmente la comunione con una compostezza unica e sebbene pochi gli offrivano un lavoro lui si dava da fare per se e Rachele sua moglie.
Io penso che più di tutti,  quelli che lo ammiravano erano i bambini che lo guardavano con occhi lucidi di gioia pensando con il  cuore di imitarlo un giorno, tant’è che nelle fiere che si svolgevano durante  una festa  il tamburo era il giocattolo più venduto. Prima ancora di memorizzare le marce delle banda, Brunetta, era la mia preferita, tutti i piccoli avevano impresso nella mente quei due motivi suonati da Gianni e Michele e nessuno li ha scordati divenendo adulto, senza diventare tamburinaru. Nei pochi anni di università che ho fatto, ripetendo con Mimmo Mezzatesta le nozioni di istologia, per distrarci le eseguivamo con la voce. Le ripetiamo ancora quando ci incontriamo e le ripeto in solitudine.
Ecco: Michele è rimasto sempre un bambino. Se c’è modo di paragonarlo a qualcuno mi vengono in mente solo il dostoveskiano principe Miskin – a quel romanzo, di cui non cito il titolo per non offendere la memoria di Michele, si aggiunge anche l’episodio dell’ostinazione, a cui si era attaccato, di tenere in casa il corpo di Rachele, ormai esanime, per  vegliarlo indeterminatamente , avvertendo in quella separazione forzata il suo avvenire di solitudine - e il sodato Karataev di Guerra e pace, come nella sua semplicità c’era il carattere di Francesco d’Assisi. Egli non aveva idea di cosa fosse il denaro e come con questo si potesse corrompere chiunque e se stessi, pur comperando, con quel che riusciva a portare a casa,  vecchie case abbandonate; il tamburo non divenne mai  fonte stabile di profitto cosi come non aveva idea cosa intendesse il matrimonio con Rachele. Per lui Rachele era Rachele e lui per Rachele era Michele.

7


Ora non mettetevi in testa che con quanto ho scritto voglio una via intitolata a Michele Trimboli detto “u Giamba”, forse il solo modo intelligente per ricordarlo sarebbe quello di fondare una scuola di suonatori di tamburi con direttore stabile Steward Copeland.
Bisognerebbe cominciare a censire quanti hanno onorato il paese con la loro nascita e le loro opere, dagli sconosciuti poeti ai fabbricanti di pipe di cui non è rimasta memoria. Si, perché Plati, oltre che suonatori di tamburi ha avuto anche abili pipari  di cui si è perso il ricordo.
Il futuro è incerto e so benissimo che ci sono  difficoltà e istanze più urgenti, ma in fondo, due proposte le voglio fare ai sindaci che riusciranno a coprire quella carica, eletti dai platioti, per tutta la durata del loro mandato .La prima di derivazione pasoliniana: cancellare tutti i nomi attuali delle vie e sostituirle con platioti di cui oltre il nome e cognome si indica il mestiere: A.A. maniscalco, B.B. contadino, D.D. ricamatrice, M.M. medico condotto, E. E. sacerdote. La seconda: restaurare quei  pochi monumenti e cappelle che ancora esistono dentro il cimitero,risalenti alla fine dell’800 e agli inizi del 900, imponendovi sopra il vincolo della sovrintendenza alle opere artistiche, prima della loro definitiva demolizione.

FINE

mercoledì 28 novembre 2012

Batte il temburo lentamente pt 2



Nelle festività del paese i bambini andavano dietro al tamburo accompagnato dalla grancassa come davanti alla banda, che veniva da Seminara o da Stilo; con i loro passi indicavano al gruppo musicale il percorso da compiere nei loro giri per le vie dell’abitato.
Michele non ha cominciato col suonare il tamburo, dapprima accompagnava con la grancassa Gianni “u tamburinaru”.
Credo che quando la mamma di Gianni lo concepì pensò già da allora di farne un suonatore di tamburo, così venne su massiccio, e, dono della natura, con il braccio sinistro più corto, cosa che lo aiutò molto a divenire un esperto dello strumento. E’ stato l’ultimo ad aver gridato il bando per le vie,  annunziando le ordinanze del municipio, come le offerte mercantili sempre con la stessa cadenza di voce, preceduta  dai rulli del suo tamburo.
A quel tempo gli strumenti, tamburo e grancassa, venivano realizzati artigianalmente con legno, pelle di capra o pecora e corda. Ricordo che Gianni aveva un tamburo con una cassa di risonanza larga circa 30 cm. dipinta di nero, mentre la grancassa di Michele era verde.
I motivi che suonavano nei giri erano due: un adagio molto marziale e una tarantella, a cui si aggiungeva un lento intonato solo fuori dalla chiesa al momento della consacrazione dell’ostia e del vino. Se il comitato che organizzava le feste raccoglieva soldi sufficienti al tamburo e alla grancassa si aggiungevano i giganti: il re, la regina e l’asino, questi la tarantella la ballavano lungo il percorso e talvolta sostando davanti a quei generosi che offrivano denari o rinfreschi.

continua ...

martedì 27 novembre 2012

Batte il tamburo lentamente (reg. John D. Hanckok - 1973)

Batte il tamburo lentamente, quasi un musical

OK! Mettetevi comodi e sgomberate la mente dalle insidie quotidiane perché andrò avanti per un po’ e, onde evitare la noia che mi è stata rimproverata in altre occasioni, tratterrò la vostra attenzione per qualche giorno su quanto voglio raccontarvi accompagnandovi-mi con le note di Lucio Battisti

ATTO PPRIMO



1

Un oriundo poco distratto che arriva a Platì e percorre le sue vie si accorge subito che non vi è traccia delle sue, non intendo parlare di storia, epoche passate: eppure le origini risalgono all’anno della scoperta dell’America;  scoperta che col passare del tempo causò il genocidio dei nativi e così lo spopolamento della Calabria con l’emigrazione verso quelle terre conquistate  con il ferro e con il fuoco .
E’ rimasto qualche casalino dei nobili, un pugno di vie che portano nomi di caduti nella Grande Guerra e c’è qualche rione con un cognome, Marando, Palumbo, Galatti, ma chi li ricorda per quello che sono stati questi cognomi!
 
2


Recentemente si è tentato di fare qualche cosa: gli zelanti commissari prefettizi venuti da fuori – il paese ha avuto più commissari prefettizi che sindaci nominati dalla popolazione – hanno contribuito, per ridare,  dicono,“ossigeno e dignità a tutta la comunità Platiese”  facendo installare un monolito nella fiumara per ricordare i morti dell’alluvione del 1951 e un cippo ai caduti delle due guerre mondiali lungo la via XXIV maggio,  copiando Antonio Presti e la sua Fiumara d’Arte di Santo Stefano Camastra in provincia di Messina.  Guarda caso l’artista autore di quei lavori proviene da quelle zone e, recentemente,  in una occasione mondana, nella città dello Stretto, si meravigliava come mai ancora le sue creazioni non siano state fatte bersaglio di anonimi proiettili calibro 45 che le avrebbero abbellite. Ancora, è stato restaurato palazzo Furore in piazza mercato e si è voluto ricordare Mimmo De Maio sindaco negli anni ottanta : lui sì è stato fatto bersaglio dei proiettili. Per il rimanente dei suoi figli nati ed ivi scomparsi il buio del Buco Nero galattico.



3


Vedete, la mia la potete considerare  una critica come una presa di posizione, Platì lo amo troppo, tanto che vorrei che con un colpo di bacchetta magica venissero cancellate le ingiurie che lo marchiano, vero piombo anche questo!
Il paese non è per niente diverso da qualsivoglia altro centro posto  in qualsiasi latitudine del globo. Lo si è voluto bollare e così servirlo dai media, per distogliere l’attenzione dai fatti gravissimi che stavano portando al fallimento della Democrazia e dello Stato Sociale, col risultato di abbandonarlo a se stesso.




4


Dopo questa ampia premessa sarete stupiti se io vi parlerò di uno dei suoi figli più umili: Michele Trimboli detto U Giamba classe  1923 e morto nel  2006, il  più grande suonatore di tamburo che ha avuto il paese.
Le storie narrate su di lui lo hanno sempre abbozzato come un miserabile o un barbone. Mi dispiace per questi narratori ma io non ho avuto questi occhi verso di lui.
Sono bambino quando comincio a ricordarlo e da bambino ve lo descrivo anche se occorrerebbe la penna di un Tolstoj o di un Dostoevskij per dipingerlo,  come  a lui si addice il tratto del grande Ligabue, non il cantante rockettaro.



continua ...