L’epoca di Gianni u tamburinaru – e con lui, il suo bando preceduto dal rullo di tamburo – è finita, le trombe Geloso l’hanno sostituito. Montate sul tettuccio della Fiat 500 girano il paese per annunciare un evento che può essere un corredo di Don Petru, un comizio del sindacalista Catanzariti, ma spesso è il kolossal in programmazione al cinema Loreto.
E se per Catanzariti la voce è quella di un suo “compagno” o per Don Petru uno studente liceale, per il cinema Loreto c’è l’indimenticabile, mai dimenticato, Mimmo Addabbo: ecco se Sergio Leone stava dietro il mirino dell’Arriflex, Mimmo Addabbo stava dietro il Fumeo 16 mm e per mirino aveva il buco da cui si spandeva il fascio di luce che andava a riflettersi sullo schermo. Tutti e due mi hanno regalato i più bei sogni da risognare.
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Già da quindici giorni la macchina sta percorrendo strade e contrade annunciando il film dei film, quello che ha eclissato Via col vento, con la magia degli effetti speciali e della ricostruzione dell’antico Egitto dei Faraoni, senza dimenticare il cranio rasato, bronzeo e lucente di Yul Brinner.
L’annunciatore però faceva leva per attirare i platioti su un fatto irripetibile: i sei tempi della pellicola. Un tempo senza fine per i piccoli che entravano nel cinema con la luce del giorno e ne uscivano a notte fatta.
Dentro la sala tra un cambio e l’altro tutti i loro visi erano rivolti dietro, verso quell’alta parte tappezzata dai contenitori delle uova per migliorarne l’acustica, a quel buco in cui cercavano di indovinare i traffici di Mimmo Addabbo.
Una volta fuori dal cinema c’era , tra i bambini, la lotta per stabilire il personaggio da imitare nei giochi e la scena più straordinaria; intanto dal campanile della chiesa l’altoparlante diffondeva “Non son degno di te”, richiamando i paesani per lo spettacolo serale che, data la lunga durata del film, aveva inizio un’ora prima.
Foto di Francesco Barbaro alias Cicciu i santa
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