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giovedì 29 novembre 2012

Batte il tamburo lentamente - atto II





ATTO SECONDO

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Con la morte di Gianni, Michele  divenne il suonatore di tamburo ufficiale di Platì e così rimase fino alla sua scomparsa.
Con il suo strumento fu visto e riconosciuto anno dopo anno dovunque si celebrava una festa  dove accorrevano migliaia di persone: da Polsi a Seminara, dal Santuario della Madonna della Grotta di Bombile ad Acquaro per San Rocco, spingendosi fino a Reggio per la Madonna della Consolazione.
Michele era di carattere taciturno, in paese lo si vedeva più frequentemente la domenica alla messa delle otto, dove prendeva immancabilmente la comunione con una compostezza unica e sebbene pochi gli offrivano un lavoro lui si dava da fare per se e Rachele sua moglie.
Io penso che più di tutti,  quelli che lo ammiravano erano i bambini che lo guardavano con occhi lucidi di gioia pensando con il  cuore di imitarlo un giorno, tant’è che nelle fiere che si svolgevano durante  una festa  il tamburo era il giocattolo più venduto. Prima ancora di memorizzare le marce delle banda, Brunetta, era la mia preferita, tutti i piccoli avevano impresso nella mente quei due motivi suonati da Gianni e Michele e nessuno li ha scordati divenendo adulto, senza diventare tamburinaru. Nei pochi anni di università che ho fatto, ripetendo con Mimmo Mezzatesta le nozioni di istologia, per distrarci le eseguivamo con la voce. Le ripetiamo ancora quando ci incontriamo e le ripeto in solitudine.
Ecco: Michele è rimasto sempre un bambino. Se c’è modo di paragonarlo a qualcuno mi vengono in mente solo il dostoveskiano principe Miskin – a quel romanzo, di cui non cito il titolo per non offendere la memoria di Michele, si aggiunge anche l’episodio dell’ostinazione, a cui si era attaccato, di tenere in casa il corpo di Rachele, ormai esanime, per  vegliarlo indeterminatamente , avvertendo in quella separazione forzata il suo avvenire di solitudine - e il sodato Karataev di Guerra e pace, come nella sua semplicità c’era il carattere di Francesco d’Assisi. Egli non aveva idea di cosa fosse il denaro e come con questo si potesse corrompere chiunque e se stessi, pur comperando, con quel che riusciva a portare a casa,  vecchie case abbandonate; il tamburo non divenne mai  fonte stabile di profitto cosi come non aveva idea cosa intendesse il matrimonio con Rachele. Per lui Rachele era Rachele e lui per Rachele era Michele.

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Ora non mettetevi in testa che con quanto ho scritto voglio una via intitolata a Michele Trimboli detto “u Giamba”, forse il solo modo intelligente per ricordarlo sarebbe quello di fondare una scuola di suonatori di tamburi con direttore stabile Steward Copeland.
Bisognerebbe cominciare a censire quanti hanno onorato il paese con la loro nascita e le loro opere, dagli sconosciuti poeti ai fabbricanti di pipe di cui non è rimasta memoria. Si, perché Plati, oltre che suonatori di tamburi ha avuto anche abili pipari  di cui si è perso il ricordo.
Il futuro è incerto e so benissimo che ci sono  difficoltà e istanze più urgenti, ma in fondo, due proposte le voglio fare ai sindaci che riusciranno a coprire quella carica, eletti dai platioti, per tutta la durata del loro mandato .La prima di derivazione pasoliniana: cancellare tutti i nomi attuali delle vie e sostituirle con platioti di cui oltre il nome e cognome si indica il mestiere: A.A. maniscalco, B.B. contadino, D.D. ricamatrice, M.M. medico condotto, E. E. sacerdote. La seconda: restaurare quei  pochi monumenti e cappelle che ancora esistono dentro il cimitero,risalenti alla fine dell’800 e agli inizi del 900, imponendovi sopra il vincolo della sovrintendenza alle opere artistiche, prima della loro definitiva demolizione.

FINE

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