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martedì 22 dicembre 2020

The Grandmother [di David Lynch -1970] a short story in streaming

Le verità contenute in Nonna Peppina sono due: quella relativa al paese di Palì (Platì) e quella che riguarda personalmente Palì (Pasqualino Perri). Pino Perri 


 NONNA PEPPINA

racconto inedito di Pasqualino Perri

Era sabato e in casa c’era aria di festa: sveglia antelucana, odori di sapone, talco, ferro da stiro, e lucido di scarpe; seguivano al via vai, il «fai presto che debbo entrare io», lo «sbrigati altrimenti fai tardi», il «dove sono le mie scarpe».
Palì era triste perché quella festa non gli apparteneva. Il giorno prima aveva pianto perché gli era stato detto che non poteva partecipare alla sfilata. – Solo i grandi! Tu sei troppo piccolo; quando sarai figlio della lupa…
Sulla piazza, gli altoparlanti gracchiavano già inni e canti. Cata, Giusa, Rosi, vestiti di bianco e nero, erano sulla strada quando arrivò nonna Peppina.
Le andò incontro:
         - Nonna, voglio stare con te!
         Con il suo viso sempre sorridente, lo prese in braccio: - Andiamo sulla terrazza. La sfilata stava per cominciare: bandiere nere, tamburi, gagliardetti, cappelli luccicanti, fucili, baionette.
         - Sembrano i morti della notte del primo venerdì di novembre, solo che i beati morti sono più seri dei vivi!
         Quella frase lo incuriosì a tal punto che subito le chiese il significato. Non rispose, come del resto era il suo solito. Ritornò alla carica. Solo dopo una settimana soddisfece la sua curiosità:
         - Il primo venerdì di ogni novembre, a mezzanotte, tutti i morti del nostro cimitero escono in processione per il paese e, alle due, dopo aver percorso tutte le strade s’incontrano al centro della piazza, formano una gran croce per poi scomparire. Ognuno può affacciarsi alla propria finestra e rivedere, per qualche minuto, i suoi cari. È così che rivedo, ogni anno, mio marito, mio figlio, i miei genitori e tutti coloro che ora sono nel regno verità. Non si può parlare con loro perché non vedono e non sentono. Qualche lacrima scorreva sui solchi del suo viso.
         - Perché non mi fai vedere nonno e zio? Io di loro non ho paura.
         Questa volta gli rispose senza esitazione:
         - Solo i vecchi possono vederli, i bambini e i giovani, anche se si affacciano al balcone, non possono vederli; quando sarai vecchio li vedrai.
         In quel momento Palì avrebbe dato chissà che cosa per diventare vecchio.
         Lei continuò:
         - L’incontro con i morti mi dà la possibilità di ricordare tutto il mio passato è farlo rivivere in me come presente.
         Non capiva il significato di quest’ultima frase e le chiedeva spiegazioni, ma lei:
         - Quando sarai vecchio, capirai, capirai, capirai! Ora pensa ad andare a “maistra” da donna Bice.
         Fu così che Palì venne a sapere che, dopo tante raccomandazioni di persone importanti (parroco, levatrice, medico e sacrestano), donna Bice lo accettava tra i suoi discepoli.
         Donna Bice “teneva” l’unico “asilo” del paese, frequentato dai figli delle famiglie che contavano. Andare da donna Bice era privilegio di pochi e, perciò, prestigio sociale.
         Il suo metodo era semplice: la calza, per maschi e femmine, fiabe e favole popolari, preghiere, catechismo; dentro una stanzetta, quattro per quattro, circa trenta bambini.
L’aria, in estate e in inverno, “profumava” di odori umani, di olio d’oliva, aglio e cipolla, pecorino, frittata, soppressata. I cestini, con le loro forme e i loro contenuti “graduavano” la realtà sociale dei frequentanti. I più “ordinati” venivano sempre additati come esempio e, diventavano, di conseguenza, antipatici agli altri.
         Chi non andava a “maistra” da donna Bice trascorreva le sue giornate, d’estate e d’inverno, nelle strade e le “rughe” pullulavano di piedi scalzi e di piccoli visi neri o bianchi, a seconda della zona del paese.
         All’ “Ariella”, la parte alta aggrappata alla roccia che difende il paese dall’impeto del torrente, tutti biondi e con occhi celesti; nella parte bassa, “la Figureja”, bruni, levantini, con marcati tratti greci, arabi, albanesi, saraceni.
         Due mondi distinti. Due realtà storiche che testimoniano le vicende umane di un passato/presente costrette a vivere la storia sempre come oggetto.
         I loro giochi preferiti: birilli, trottola, cerchio, quattro cantoni, fionda e… la guerra continua tra le due zone. Guai a chi si permetteva di oltrepassare i confini.
         Spesso i “capi” organizzavano progetti d’invasione dopo profondi studi. Ogni tentativo diventava una vera e propria guerra. Dalla guerra-gioco a quella sociale: i matrimoni tra le due zone erano una rarità che veniva additata come qualcosa di profano, come scandalo davanti agli uomini e davanti a Dio.
         La Pasqua, quell’anno, cadeva l’ultimo giorno di marzo.
         Nonna Peppina lo portò a visitare i Santi-Sepolcri, alla processione del Venerdì Santo e al Calvario: quel monte alto come un gigante, che nasconde il paese alla vista dei forestieri e chiude gli orizzonti marini ai suoi abitanti. Destava sempre un senso di mistero: d’inverno, le tre grandi croci si piegavano al vento, d’estate, si stampavano sul cielo azzurro.
         Palì, finalmente, andava al Calvario e non avvertiva la fatica, perché non solo era la sua prima giornata trascorsa interamente con la nonna, ma aveva conosciuto, tutto il paese.
         - Sei stanco? Disse nonna Peppina. – Ti prendo in braccio. – No! – Sei contento? Ti piace la processione al Calvario? Quando arriveremo in cima potrai vedere il paese dall’alto e saprai perché i briganti l’hanno costruito in questa valle. Per noi di Panduri il vostro paese è la terra dei briganti, maledetta da un vescovo.
         - Dov’è Panduri?
         - Al di là del Calvario. Da Panduri si vede il punto dove si uniscono il cielo e il mare. Qualche giorno ti porterò con me e da casa mia potrai guardare lontano lontano e vedere tutti i paesi della marina. Quando sarai grande, anche tu prenderai la corriera: uscirai da questa valle maledetta e conoscerai tanti posti belli e tante città. Ma prima devi imparare a leggere e a scrivere, perché tutti quelli che sanno leggere e scrivere possono andare in giro senza la paura di perdersi; in settimana andrai da donna Bice, dopo, a scuola, andrai a Roma.
         Il sole, il cielo, gli alberi, le rondini, i giochi dei bambini, il fruscio della pialla, il tintinnio del martello sull’incudine, il canto romantico del barbiere, l’odore degli eucalipti e delle acacie, i passi svelti delle donne vestite di nero, il campanello delle mandrie di pecore e di capre, l’odore del pesce stocco, il dondolio dei carri, i richiami delle mamme, gli sguardi diffidenti dei vecchi, il ritmo dei telai, i panni stesi ai balconi come bandiera, la lenta melodia dell’armonica a bocca del vecchio garibaldino cieco, le bestemmie di Rocco il calzolaio, il parlare ieratico dei vecchi massari, il rumore della fiumara. Mattina d’aprile.
         Fu sua sorella Cata che ebbe l’onore, quella mattina, di accompagnarlo, dopo che suo padre lo passò in rassegna dalla testa ai piedi, facendogli le ultime raccomandazioni.
Palì si sentiva al centro dell’universo ed era felice non perché, finalmente, poteva uscire di casa ogni giorno o perché poteva vantarsi, con gli altri, di “andare” da donna Bice.
         Avvertiva, forse, dentro di sé, che iniziava a percorrere il lungo viale che lo avrebbe portato alla vecchiaia, al tempo in cui avrebbe potuto vedere, il primo venerdì di novembre, a mezzanotte, la processione dei morti.



Nota a cura di Rosalba:
Il giorno 31 maggio 1883, Giuseppe Caruso, mugnaio, registrò la nascita della sua seconda figlia, Giuseppa Caruso nata da sua moglie, Maria Strangio, nella loro casa di via Pandore a Careri. I legami di Giuseppe con Platì erano forti: lui vi era cresciuto anche se nato a Sant’Eufemia, a Platì vivevano i suoi genitori Antonino e Caterina Marafioti insieme alle due sorelle. Infatti, Giuseppa fu battezzata a Platì, ma visse a Careri fino al matrimonio con Francesco Miceli il 13 dicembre 1906. Francesco, di Platì, aveva dieci anni più di lei, era vedovo ed aveva un figlio. Francesco era macellaio e abitava in via San Pasquale. Giuseppa, detta Peppina, visse in quella casa fino alla sua morte avvenuta il 16 ottobre del 1977, quando mancavano due mesi al suo 95o compleanno. Dal 1907 al 1929 Peppina generò nove figli: Rosa (1907), Antonino (1909), Maria (1911), Domenico (1914), Cristina (1916), Cristina (1918), Luigi (1921), Pasquale (1924), Caterina (1929). Perse tre dei figli: la prima Cristina di Spagnola, Luigi a seguito delle bruciature causate dalla calce viva in cui era entrato a recuperare un giocattolo, e la seconda Cristina tragicamente scomparsa nel 1970 a seguito di un incidente stradale. Rimase vedova nel 1937. Quasi novantenne viaggiò da sola per andare a trovare la figlia Maria a Massena (NY). Quando morì aveva 24 nipoti e quindici pronipoti.

La foto è del giorno della sua partenza per gli Stati Uniti scattata all'aeroporto. Con lei sono la prima figlia, Rosa, e l'ultima, Caterina (Cata). 
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And the bells are ringing out
For Christmas day
Shane MacGowan/Jem Finer

In streaming - va di moda - è l'unico modo per trascorrere con voi questo Natale e ve lo offrono Rosalba, Pino e Gino.

E' anche il primo Natale senza il Maestro. In quello che segue chi ha l'orecchio sensibile può scorgervi qualcosa di lui.

1 commento:

  1. Riflettendo sul racconto di Pasqualino Perri mi sono convinto di quanto egli abbia in comune con gli scritti di Michele Papalia e non escludo, anche la scrittura.

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