Il cavaliere Trifala, podestà del paese teneva banco
al circolo dei nobili. La serata afosa aveva riversato sul marciapiede i radi e
scelti avventori assisi su seggiole di vimini. Nel circolo era rimasto soltanto
Scevola a preparare scirubette di neve con sciroppo di more. La neve l’aveva
portata Mico Scampagno dalla niviera di Misafumera con la mula bizzarra a cui
aveva legato sulla coda un fiocco rosso come segnale... stradale. Con una scalciata,
Don Matteo, guardia campestre era stato messo al tappeto. Ora, alla fine di una
avvampata controra, usciti da palazzi patrizi si trovavano seduti a semicerchio
a parlare dei destini della patria e della mosca olearia.
In paese si respirava un clima diverso.
I primi reduci erano tornati dalla prigionia. Si formavano le camere del lavoro e monsignore, con l’eterno cappello a tre spicchi con pompon viola, organizzava l’azione cattolica. Quella sera al circolo, come d’incanto, c’erano tutti. Il vecchio conte declassato dai pignoramenti e dalla sifilide, Don Giacinto lo speziale che preparava purghe su ordinazione anzi su prescrizione del cavaliere Trifala. Una vecchia radio «Allocchio Bacchini», grande come un armadio gracidava bollettini di guerra mentre mastro Pasquale l’anarchico dall‘altra parte della piazza al numero degli aerei dell’Asse abbattuti ripeteva sul filo delle labbra; pochi, sempre pochi! Trifala teneva conversazione. Amico di un grosso gerarca era diventato il despota della zona. I rapporti aumentavano ogni giorno sui tavoli dei gerarchi ed i comandanti la stazione dei carabinieri duravano lo spazio di un mattino.
Di notte andava personalmente a controllare in una fetida baracca di ex terremotati del 1908 due operai antifascisti piombati dal nord per il soggiorno coatto. A Reventino fu destinato Massaro Peppe. Le lettere anonime infoltivano il tavolo. I carabinieri non avevano tregua.
Ma quella sera afosa d'agosto dal vicolo delle Monache sbucò un uomo mascherato che assestò con un nodoso bastone un preciso fendente sul capo di Trifala.
La testa si apri a melograno. Un fuggi fuggi generale. Il vecchio medico Zucco mentre iniziava a suturare le ferite fu interrotto dall'arrivo di Massaro Peppe che provvide a reggere il lume a petrolio tra i lamenti del cavaliere.
In paese la notizia si sparse come un baleno. II commento più benevolo era «finalmente hanno rotto la cornatura al cavaliere». I giovani avanguardisti con il fazzoletto azzurro ed il medaglione con la scritta «se avanzo seguitemi» tennero un raduno dopo aver riempito le
giberne di frutta rubata nell’orto del povero Ceo. Mastro Pasquale al suono della «Comparsita» da un vecchio grammofono, ingurgitava sulla soglia l'o1io di ricino. Tutto
d’un fiato e senza tapparsi il naso. Iniziarono le indagini.
Arrivarono i panciuti gerarchi e venne pure i1 procuratore dei re accompagnato da don Pietrino, il cancelliere. Ma non c’era nulla da verbalizzare. Con scrittura a svolazzi sul fascicolo si scrisse come un’epigrafe: ad opera d'ignoti.
Le lettere anonime finirono d'un colpo ed il podestà smise gradatamente di occuparsi di politica anche perché le sorti dell‘Impero volgevano al termine. I vecchi fascisti aspettavano i cambiamenti per tornare a comandare sotto l‘egida dei partiti.
Dalia camicia nera al saio intero.
Vent‘anni dopo, a Platì, arriva un generale dei carabinieri. Massaro Peppe è sindaco. L'alto ufficiale che da capitano si era interessato del «caso Trifala» disse all'ex brigadiere: “Nella tua carriera hai scoperto tutti i casi più difficili tranne l’attentato al podestà».
Ed il Massaro Peppe di rimando: «1a testa al podestà gliel’ho rotta io!».
«E l’unica volta — rispose il generale — che non ti posso proporre per un encomio».
In paese si respirava un clima diverso.
I primi reduci erano tornati dalla prigionia. Si formavano le camere del lavoro e monsignore, con l’eterno cappello a tre spicchi con pompon viola, organizzava l’azione cattolica. Quella sera al circolo, come d’incanto, c’erano tutti. Il vecchio conte declassato dai pignoramenti e dalla sifilide, Don Giacinto lo speziale che preparava purghe su ordinazione anzi su prescrizione del cavaliere Trifala. Una vecchia radio «Allocchio Bacchini», grande come un armadio gracidava bollettini di guerra mentre mastro Pasquale l’anarchico dall‘altra parte della piazza al numero degli aerei dell’Asse abbattuti ripeteva sul filo delle labbra; pochi, sempre pochi! Trifala teneva conversazione. Amico di un grosso gerarca era diventato il despota della zona. I rapporti aumentavano ogni giorno sui tavoli dei gerarchi ed i comandanti la stazione dei carabinieri duravano lo spazio di un mattino.
Di notte andava personalmente a controllare in una fetida baracca di ex terremotati del 1908 due operai antifascisti piombati dal nord per il soggiorno coatto. A Reventino fu destinato Massaro Peppe. Le lettere anonime infoltivano il tavolo. I carabinieri non avevano tregua.
Ma quella sera afosa d'agosto dal vicolo delle Monache sbucò un uomo mascherato che assestò con un nodoso bastone un preciso fendente sul capo di Trifala.
La testa si apri a melograno. Un fuggi fuggi generale. Il vecchio medico Zucco mentre iniziava a suturare le ferite fu interrotto dall'arrivo di Massaro Peppe che provvide a reggere il lume a petrolio tra i lamenti del cavaliere.
In paese la notizia si sparse come un baleno. II commento più benevolo era «finalmente hanno rotto la cornatura al cavaliere». I giovani avanguardisti con il fazzoletto azzurro ed il medaglione con la scritta «se avanzo seguitemi» tennero un raduno dopo aver riempito le
giberne di frutta rubata nell’orto del povero Ceo. Mastro Pasquale al suono della «Comparsita» da un vecchio grammofono, ingurgitava sulla soglia l'o1io di ricino. Tutto
d’un fiato e senza tapparsi il naso. Iniziarono le indagini.
Arrivarono i panciuti gerarchi e venne pure i1 procuratore dei re accompagnato da don Pietrino, il cancelliere. Ma non c’era nulla da verbalizzare. Con scrittura a svolazzi sul fascicolo si scrisse come un’epigrafe: ad opera d'ignoti.
Le lettere anonime finirono d'un colpo ed il podestà smise gradatamente di occuparsi di politica anche perché le sorti dell‘Impero volgevano al termine. I vecchi fascisti aspettavano i cambiamenti per tornare a comandare sotto l‘egida dei partiti.
Dalia camicia nera al saio intero.
Vent‘anni dopo, a Platì, arriva un generale dei carabinieri. Massaro Peppe è sindaco. L'alto ufficiale che da capitano si era interessato del «caso Trifala» disse all'ex brigadiere: “Nella tua carriera hai scoperto tutti i casi più difficili tranne l’attentato al podestà».
Ed il Massaro Peppe di rimando: «1a testa al podestà gliel’ho rotta io!».
«E l’unica volta — rispose il generale — che non ti posso proporre per un encomio».
ANTONIO DELFINO
NOTA. Tra nomi veri e inventati, la scena platiese durante il ventennio nero è ben tratteggiata, senza risparmio di frecciate dirette. C'è da chiedersi se nel Trifala podestà, Delfino figlio non alluda a Francesco Perone che dominò quella stessa scena per qualche tempo.
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