CREDENZE POPOLARI CALABRESI
L’ANTICA LEGGENDA
della
città di Teranico
Questo centro è esistito circa otto secoli fa –
Nacque in una maniera
molto strana, in una notte di bufera
Platì, 5 marzo
Se vi capita di stare ad ascoltare qualche cantastorie dell’Aspromonte,
lo udrete narrare, senza alcun dubbio, la leggenda delta città di Teranico. E’ una
leggenda che contrariamente a quel che si crede non è del tutto inventata dalla
fantasia popolare; i ruderi di Teranico, infatti, esistono tuttora, e per di più,
tra di essi si aggira qualche strano abitatore dal profilo asinino.
Per lo memo, molti nascono così.
Fu precisamente la sera del 10 luglio 1032, che da una
modesta altura, sulle rive del Tirreno, precipitò, con inaudito fracasso, una
frana. Centinaia di massi precipitarono verso il mare, spaccandosi e cincischiandosi
nella discesa. Per un raggio di qualche chilometro, la riva, del mare si coperse
di rocce, taglienti come lame di coltello. Nascosto da una folata di vento e di
pioggia passò su quelle lame il Genio “Ciavurrino”; e poiché, come si sa, a
quell’epoca i geni andavano scalzi, le aguzze pietre fecero il loro dovere e
lacerarono i piedi al poveraccio. Ciavurrino urlò nella notte tutto il suo
strazio, e corse di qua e di là come impazzito, insanguinando la spiaggia. Al
mattino prese una decisione straordinaria: stabilì di chiedere l’aiuto di
qualche uomo, per alleviare il dolore delle sue piaghe.
Per poter attuare la sua decisione, si trasformò in uomo e
andò difilato a bussare alla porta di una casupola che sorgeva nei pressi.
Gli apri un uomo vecchio e cencioso, con un profilo asinino:
aveva il lungo muso prensile, che gli serviva per afferrare il cibo senza
muoversi dal letto dove passava la maggior parte dei suoi giorni.
Fu gentilissimo con Ciavurrino, e gli regalò, dopo averlo medicato
a dovere, un paio di ottime scarpe. Al Genio l’idea delle scarpe andò proprio a
... genio, e gli suggerì il modo di dimostrare tutta la sua riconoscenza. Prima
di sparire, Ciavurrino regalò all’uomo un lussuoso cappello di feltro: “Tu”,
disse il genio, “mi hai protetto Ie estremità inferiori, io ti proteggo la
estremità superiore”.
Quando l'uomo dal muso prensile ebbe il feltro sulla testa,
si sentì essere un altro, e decise di cambiar vita. Camminò con sussiego per il
mondo, sempre tenendo in capo il cappello del Genio, lo utilizzò per
raccogliere i soldi che la gente gli offriva rispettosamente, credendolo un
fenomeno da baraccone, e raccolto un bel gruzzolo, tornò alla sua casupola e vi
fondò un villaggio.
A questo villaggio voleva in un primo momento dare il nome
del Genio e chiamarlo “Urbe Ciavurrina”; ma in un secondo tempo si ricordò di feltro
e di essere, dunque, be più importante del Genio, cosi diede al villaggio il
suo nome: “Urbe di Taranico”.
Gli abitatori di Taranico ebbero tutti il suo stesso profilo
asinino, e il lungo muso prensile. Ma, in compenso, ebbero tutti il cappello di
feltro in testa.
Le rocce su cui il Genio si era fagliati i piedi, restarono,
naturalmente, al loro posto e il fondatore di Teranico pensò bene di utilizzarle,
denominandole scogliere di “Teranico”. I turisti, a suo tempo, arrivarono a frotte
sulla suddetta scogliera e vi si tagliarono i piedi. Da ciò trassero enorme vantaggio
due negozi di scarpe e di bende che erano sorta nel piccolo centro. Ma il fondatore
capiva che se non si eliminava l’inconveniente delle pietre taglienti, il turismo
chissà dove andava a finire: e meditò tutta la notte per risolvere il problema.
I casi erano due: o arrotondare le pietre con delle buone lime
e renderle inoffensive. O rinunciare al turismo e ai connessi vantaggi
economici. Il fondatore optò per la prima soluzione; e due giorni dopo, le
pietre della scogliera di Tranico esponevano al sole le loro rotondità.
Qui accadde l’imprevisto. Avevamo detto che i Geni di allora
non conoscevano scarpe; e Ciavurrino, che le aveva conosciute per caso, volle
farsi bello con i colleghi e giocare loro uno scherzo: li chiamò nei pressi
della scogliera che in quella lontana notte di tempesta gli aveva tagliuzzato i
piedi, passò sopra le pietre, con le scarpe infilate ai piedi, e li invitò a
fare altrettanto. Pregustava la gioia di vederli urlare dal dolore e
contorcersi sulla sabbia insanguinata. Figuratevi come rimase quando vide che i
colleghi, sia pure senza scarpe, passavano sulle pietre senza avvertire nessun
malessere!
Credette cli essere stato truffato, e per la gran rabbia afferrò tutto
intero il villaggio, e lo capovolse; poi, coscienziosamente, capovolse pure il
cervello di ogni abitante, mettendoglielo nei piedi; e questo fece al fine di
impedire che il suo cappello di feltro riparasse il cervello a tutta quella gentaglia.
Da quel giorno, con quel capovolgimento, tutto avvenne alla
rovescia, dentro la città di Teranico: l’erba crebbe sui tetti delle case, i
pecorai andarono seminudi ma con l’orologio al polso, i cervelli degli abitanti
restarono posti nei loro piedi, e i cappelli di feltro torreggiarono sulle
teste vuote.
Le cose restarono così per un lungo periodo si tempo, per
molti secoli; infine, un terremoto distrusse tutto il villaggio, e costrinse
gli abitanti a sparpagliarsi per il mondo.
Tra i ruderi di Teranico, che ancora si vedono, su una spiaggia
lontana, restò solo qualcuno dei successori del fondatore dal muso prensile,
che, attaccato alle tradizioni, non si decide ad abbandonare la patria terra, e
tantomeno il patrio... cappello di feltro.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD 6 marzo 1956
NOTA. Teranico corrisponde all’anagramma di Nicotera città
tirrenica del vibonese di cui si riporta un’antica stampa prelevata da qui: http://www.poro.it/nicotera/
In quel luogo dell’aspetto asinino nulla si intravede,
permane però il cognome Caprino. Che non avesse l’aspetto caprino il vecchio
salvatore di Ciavurrino?
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