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martedì 3 settembre 2019

Il Distacco [di Tony Kaye, 2011]



Catanzariti:
«Ecco perché 
lascio il Pci»

Reggio Calabria – Clamorose dimissioni di Francesco Catanzariti dal partito comunista. In una lunga lettera, l’esponente della Cgil spiega i motivi che hanno determinato il gesto. «Me ne vado dal Pci non perché il partito si è ossificato nel Mezzogiorno, ma perché la voce del Mezzogiorno, la voce di comunità anelanti ancora, nel 1985, non hanno che blando ascolto nel Pci, come in tutti i partiti nazionali».
Catanzariti, già deputato dal 72 al 76, afferma di guardare da anni «con molta attenzione a quel che avviene in Sardegna ed in generale ai movimenti autonomistici». Al suo ex partito, Catanzariti rimprovera una gestione burocratica delle sezioni che «disperde un patrimonio ideale e culturale di inestimabile valore».

Con una lettera inviata alla sezione «Girasole»
Catanzariti si dimette
dal partito comunista
Secondo l'ex parlamentare occorre porsi con una nuova ottica verso
i problemi meridionali  e calabresi in particolare. Fonderà un
movimento autonomistico?
Reggio Calabria - L'ex deputato comunista Francesco Catanzariti, attuale presidente del comitato regionale dell'Inps, si è dimesso dal partito. Lo ha fatto con una lettera di quattro cartelle inviata alla segreteria della sezione «Girasole» del rione Gebbione di Reggio alla quale risulta iscritto. «Nel presentare le mie dimissioni dal partito – ha scritto Catanzarití (che è stato deputato dal 72 al 76, n.d.r.) - sento il dovere di darvene notizia, a norma dello statuto, con le motivazioni dettate dalla coscienza di chi lascia l'organizzazione in cui ha servito, ma non la classe in cui è nato ed il popolo fra cui è vissuto».
«Le mie dimissioni - prosegue Catanzariti - sono una decisione dolorosa e lungamente sofferta; sofferta perché ho la coscienza che esse non passeranno senza lasciare traccia nell’opinione pubblica; dolorosa perché mi distacco dal partito dopo aver vissuto una intera esistenza di militante e di dirigente».
«Ciccio›› Catanzariti, 52 anni, si era iscritto al PCI nel '48; nel '51 è stato dirigente della Camera gel lavoro di Platì, il centro jonico dove è nato e dove ha iniziato la sua carriera politica e sindacale.
«Ho servito con passione e dedizione - ha scritto Catanzariti nella sua lettera - ho avuto anche la fiducia del partito che ha voluto che lo rappresentassi in istanze politiche a tutti i livelli: da sindaco del mio paese natale, a consigliere comunale di Reggio, a deputato al parlamento italiano. Se qualche volta ho commesso degli errori, mai mi sono macchiato di slealtà verso il partito e verso i compagni. Ho servito e continuo a servire i lavoratori della mia terra, nel sindacato, anche qui ricoprendo incarichi di altissima fiducia e responsabilità. La mia militanza nel PCI - ha scritto ancora l'ex deputato - è stata una meravigliosa esperienza di vita. Le lotte politiche e sindacali, lo scontro sociale che sta alla base di tali lotte, mi hanno fortificato, mi hanno fatto crescere umanamente, culturalmente, civilmente.
Ma attraverso quarant'anni di esperienza e di militanza mi sono reso conto - prosegue Catanzariti - che nel PCI, come in tutto l'arco politico parlamentare, Reggio Calabria non vale Reggio Emilia, che Napoli non conta quanto Milano, che cento contadini dell’Aspromonte non valgono quanto un operaio Fiat.
Mi dimetto dal PCI - afferma Catanzariti - non perché si è ossificato nel Mezzogiorno. Ma perché la voce del Mezzogiorno, la voce di comunità anelanti ancora nel 1985, lavoro e giustizia, non hanno che blando ascolto nel PCI, come in tutti i partiti nazionali. Ho gli anni necessari per ricordare un partito che discuteva e combatteva. Le sezioni, le federazioni, mandavano avanti i più rapaci, i più combattivi. Oggi pare la logica stessa dell'agire politico sia stata ribaltata: chi non discute, chi non ha personalità, possiede un titolo di merito.
Secondo Catanzariti, lo stesso PCI, che dovrebbe conoscere la situazione sociale del Paese, criminalizza l’assistenzialismo.
Combatterlo non può e non vuole significare una condanna alla disoccupazione ed alla fame. I grandi interventi governativi sono sempre rimasti sulla carta e quando sono stati avviati, sono abortiti sul nascere. Si coglie l’aspetto criminale della mafia imperversante, ma non l’aspetto sociale. Affidando soltanto alla magistratura ed alle forze dell'ordine il pesante onere di risolvere una questione che non è solo criminale, ma anche sociale e civile, il Governo scarica le responsabilità e per di più distorce i ruoli tra i poteri dello Stato.

OGGISUD
giovedì 7 febbraio  1985


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