Catanzariti:
«Ecco perché
lascio il
Pci»
Reggio Calabria –
Clamorose dimissioni di Francesco Catanzariti dal partito comunista. In una
lunga lettera, l’esponente della Cgil spiega i motivi che hanno determinato il
gesto. «Me ne vado dal Pci non perché il partito si è ossificato nel
Mezzogiorno, ma perché la voce del Mezzogiorno, la voce di comunità anelanti ancora, nel
1985, non hanno che blando ascolto nel Pci, come in tutti i partiti nazionali».
Catanzariti, già
deputato dal 72 al 76, afferma di guardare da anni «con molta attenzione a quel
che avviene in Sardegna
ed in generale ai movimenti autonomistici». Al suo ex partito, Catanzariti
rimprovera una gestione
burocratica delle sezioni che «disperde un patrimonio ideale e culturale di
inestimabile valore».
Con una lettera inviata alla sezione
«Girasole»
Catanzariti si dimette
dal partito comunista
Secondo l'ex parlamentare occorre
porsi con una nuova ottica verso
i problemi meridionali e calabresi in particolare. Fonderà un
movimento autonomistico?
Reggio Calabria - L'ex deputato
comunista Francesco Catanzariti, attuale presidente del comitato regionale
dell'Inps, si è dimesso dal partito. Lo ha fatto con una lettera di quattro
cartelle inviata alla segreteria della sezione «Girasole» del rione Gebbione
di Reggio alla quale risulta iscritto. «Nel presentare le mie dimissioni dal
partito – ha scritto Catanzarití (che è stato deputato dal 72 al 76, n.d.r.) -
sento il dovere di darvene notizia, a norma dello statuto, con
le motivazioni dettate dalla coscienza di chi lascia l'organizzazione in cui ha
servito, ma non la classe in cui è nato ed il popolo fra cui è vissuto».
«Le mie dimissioni - prosegue
Catanzariti - sono una decisione dolorosa e lungamente sofferta; sofferta
perché ho la coscienza che esse non passeranno senza lasciare traccia nell’opinione
pubblica; dolorosa perché mi distacco dal partito
dopo aver vissuto una intera esistenza di militante e di dirigente».
«Ciccio›› Catanzariti, 52 anni,
si era iscritto al PCI nel '48; nel '51 è stato dirigente della Camera gel
lavoro di Platì, il centro jonico dove è nato e dove ha iniziato la sua
carriera politica e sindacale.
«Ho servito con passione e
dedizione - ha scritto Catanzariti nella sua lettera - ho avuto anche la
fiducia del partito che ha voluto che lo rappresentassi in istanze politiche a
tutti i livelli: da sindaco del mio paese natale, a consigliere comunale di Reggio,
a deputato al parlamento italiano. Se qualche volta ho commesso degli errori,
mai mi sono macchiato di slealtà verso il partito e verso i compagni. Ho servito
e continuo a servire i lavoratori della mia terra, nel sindacato,
anche qui ricoprendo incarichi di altissima fiducia e responsabilità. La mia
militanza nel PCI - ha scritto ancora l'ex deputato - è stata una meravigliosa
esperienza di vita. Le lotte politiche e sindacali, lo scontro sociale che sta
alla base di tali lotte, mi hanno fortificato, mi hanno fatto crescere
umanamente, culturalmente, civilmente.
Ma attraverso quarant'anni di
esperienza e di militanza mi sono reso conto - prosegue Catanzariti - che nel
PCI, come in tutto l'arco politico parlamentare, Reggio Calabria non vale Reggio
Emilia, che Napoli non conta quanto Milano, che cento contadini dell’Aspromonte
non valgono quanto un operaio Fiat.
Mi dimetto dal PCI - afferma
Catanzariti - non perché si è ossificato nel Mezzogiorno. Ma perché la voce del
Mezzogiorno, la voce di comunità anelanti ancora nel 1985, lavoro e giustizia,
non hanno che blando ascolto nel PCI, come in tutti i partiti nazionali. Ho gli
anni necessari per ricordare un partito che discuteva e combatteva. Le sezioni,
le federazioni, mandavano avanti i più rapaci, i più combattivi. Oggi pare la logica
stessa dell'agire politico sia stata ribaltata: chi non discute, chi non ha
personalità, possiede un titolo di merito.
Secondo Catanzariti, lo stesso
PCI, che dovrebbe conoscere la situazione sociale del Paese, criminalizza
l’assistenzialismo.
Combatterlo non può e non vuole
significare una condanna alla disoccupazione ed alla fame. I grandi interventi
governativi sono sempre rimasti sulla carta e quando sono stati avviati, sono
abortiti sul nascere. Si coglie l’aspetto criminale della mafia imperversante,
ma non l’aspetto sociale. Affidando soltanto alla magistratura ed alle forze
dell'ordine il pesante onere di risolvere una questione che non è solo
criminale, ma anche sociale e civile, il Governo scarica le responsabilità e
per di più distorce i ruoli tra i poteri dello Stato.
OGGISUD
giovedì 7 febbraio 1985
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