Il discepolo ignoto
di
Francesco Perri
( … combatte
la sua bella battaglia contro le smilze letterature amorose dei salotti e degli
alberghi …)
Francesco Perri, l’autore di quel romanzo Emigranti che rappresentò anni or sono la ribellione contro la
letteratura ammalata di salotto provinciale e di albergo internazionale,
ritorna dopo un lungo silenzio al pubblico con un altro romanzo Il discepolo ignoto pubblicato per la
Casa Editrice Garzanti di Milano. Il romanzo, per tempo, colore e respiro è
diverso dal primo che ha dato la fama al Perri: ma la sua ribellione continua.
Il tenace e sereno scrittore calabrese cammina lento e duro nel solco
già tracciato, scavando più profondamente e guardando al cielo che si
inazzurra, come i vecchi padri della sua terra ripassavano con l’aratro sul
solco dei maggiori, pregando ed aspettando l’alba. In queste pagine, ora lente,
ora impetuose, ma sempre dritte e precise, in questo tumulto di popolo nuovo,
balzante dal vecchio mondo e dalla morente grandezza d’un popolo antico, il
sapore acre di terra, il calore vivo del cielo, il respiro profondo che viene
dal mare lontano, vivono ancora come nelle pagine degli Emigranti, e provano che lo scrittore continua nella sua opera di
ribelle – letteralmente parlando – e di fedele alle tradizioni spirituali del
nostro popolo. Perché da noi, il popolo che viene chiamato, quando si è
sinceri, protagonista e, quando dà qualche disturbo, comparsa, è stato escluso
da troppo tempo dalle pagine dei nostri romanzi. Per ritrovarlo e sentirne la
voce lontana, bisogna risalire al vecchio ottocento e passare dai lavori
guerrazziani – sferraglianti a gran furia contro le ingiustizie – a quelli miti
e ben educati dal D’Azeglio, per riposare poi nella vasta zona creata dai Promessi Sposi e da lì, tendere
l’orecchio al brusio del popolo del Verga e del De Roberto. Dopo ciò, il
silenzio.
La folla con il suo dramma eterno che la sconvolge e la placa, cede il
posto di protagonista alla piccola borghesia incerta tra il peccato d’amore di
marca italiana e le variazioni dell’amore di marca internazionale, alle figure
solitarie di uomini-simboli e di donne complicate che soffrono senza molti
disturbi veri: escano essi dalla passione generosamente teatrale di Gabriele
D’Annunzio o da quella devotamente contrita di Antonio Fogazzaro. Il romanzo
italiano, dall’ultimo ottocento al primo novecento, chiude la porta in faccia
alla folla sonnolenta e stracciona, per girare intorno al giovin signore e alla moglietta in cerca di problemi afrodisiaci e
religiosi, riducendo tutta l’esistenza a un giro di valzer, tetro come quello
di Sibelius o languido come quello di Strauss.
Per ritrovare la folla, balenante di volti e di passioni, bisogna
proprio piegarsi sulle pagine di questo tenace scrittore calabrese, e dal mondo
rozzo e fiero degli Emigranti risalire
verso le vette ancora oscure di questo Discepolo
ignoto. Siamo ancora nel solco dei suoi padri aratori: e, come essi, con
gli occhi fissi sul cielo che oramai s’azzurra. L’alba è vicina.
Il romanzo ci riporta ai tempi di
Gesù e rievoca il morente impero romano nato all’ombra della spada, mentre
dal profondo delle anime nasce l’impero di Cristo, all’ombra vicina della
croce. Protagonista del lavoro è il popolo. Non importa che il vasto racconto e
le vicende drammatiche che lo compongono mettano in prima linea la giovinezza
di Marco Adonia, la sognante figuretta di Varilia e numerose altre figure di
patrizi, di consoli, di cavalieri, di matrone: cioè di tutto quel mondo
decrepito neppure ancora pugnace che è la Roma di Tiberio. E non importa se
nella prima parte del romanzo – degna di un grande scrittore – Tiberio, il
solitario di Capri, domini cupamente e sconvolga con il suo respiro gagliardo,
il gaudente e sospettoso mondo romano. Il vero protagonista del Discepolo ignoto è il popolo. Sempre il
popolo.
Come, lungo i tratti della costa ligure, passa sotto gli archi sonori
delle gallerie, rombando, lampeggiando il piccolo treno, protagonista della
corsa; e il mare – entrando
impetuosamente dalle arcate – lo segue, lo avvolge, lo sommerge nella sua luce,
nelle sue collere, nel suo continuo balenio facendolo diventare a poco a poco
un dettaglio qualunque; così intorno ai protagonisti del Discepolo ignoto appare, scompare, vive, freme e si ribella il
popolo: il popolo senza Dei, perché sotto l’impero, gli dei erano patrizi; il
popolo senza Dio, perché _ per i credenti nei profeti _ Dio non era ancora
apparso sulla terra. Marco Adonia e Varilia scompaiono perciò con il loro dramma;
scompare Roma dominatrice davanti alla ignota capanna di Bethlemme; scompare il
volto truce del solitario di Capri davanti al viso ineffabile di Gesù; l’ombra
della corta spada romana viene sopraffatta dall’ombra lunga della Croce e
protagonista vero rimane il popolo, la fede del popolo, la ribellione del
popolo.
Francesco Perri cammina ancora sul solco tracciato, a notte, con gli Emigranti, scavando più profondo.
Raccontare il romanzo? Seguirlo nella sua vasta vicenda come il mare
segue il convoglio lungo le coste liguri? Secondo me è inutile. Ciò che conta
in un lavoro di grande respiro come questo è l’impressione che lascia
nell’anima man mano che procede, e l’impressione definitiva quando si giunge
all’ultima pagina- Se il lavoro è mediocre, dopo l’ultima pagina, rimangono in
noi pochi lampi come quelli di un uragano che muore a poco a poco. Ma se il
lavoro è vivo, anche tra le manchevolezze inevitabili, risale dall’ombra un
flotto ancora confuso di figure e di sagome che si riallacciano per vie ignote
sotto i lampi insistenti delle pagine più belle, così che tutto il lavoro si
ricompone sotto i nostri occhi come un panorama lontano, ma presente. Nel Discepolo ignoto questo avviene. Pagine
bellissime, pagine magre, capitoli che potrebbero trovare posto in un’antologia
e capitoli che anche se non ci fossero non guasterebbero, scene come quelle del
battesimo di Gesù di una bellezza pura e perfetta e scene incerte come quelle
che tentano di afferrare la sfuggente figura di Giuda, espressioni sobrie e
incisive come quelle che sfiorano le parabole, e vocaboli spaesati usciti dalla
consuetudine della nostra modernità, si alternano in una continua successione,
avvincendo però sempre, non stancando quasi mai, anche quando la fantasia dello
scrittore si lascia portare dal suo stesso impeto sfiorando l’artificio e
facendo pensare – per un attimo – a un lavoro d’intreccio. Attimi d’incertezze
che ogni artista lascia nella sua opera, anche quando è veramente artista. Ma
attimi.
Il Discepolo ignoto rimane
con la sua struttura, col suo respiro possente, con il suo generoso e
appassionato impiego del popolo uno
dei romanzi italiani più tipicamente italiani del nostro tempo, combatte la sua
bella battaglia contro le smilze letterature amorose dei salotti e degli alberghi
e riafferma in Francesco Perri uno scrittore dal quale si può aspettare domani
l’opera che lo completi e lo riveli interamete.
ARTURO ROSSATO
LA GAZZETTA, 4 maggio 1940 XVIII
Nota
Manca poco meno di un mese all'entrata dell'Italia in guerra ... bah ... vorrei scrivere quello che penso ma forse è meglio tenere a freno il fastidioso brontolio di fondo che potrei germinare.