La ragazza della porta accanto
di Caterina Mittiga
Sicilia, estate 2014. Grandi navi commerciali depositano a intervalli regolari il carico umano dei barconi che vengono da lontano. I tg ci aprono le edizioni della sera, con le notizie degli sbarchi, e dei recuperi, e dei morti galleggianti, e degli scafisti dannati. In tutta onestà, eviterei le immagini del personale sanitario che affronta l’emergenza con la mascherina di carta sul muso. Chissà se è necessaria.
I porti turistici della Sicilia aprono le braccia alle valanghe con trolley e Birkenstock. I porti delle più o meno grandi città schierano eserciti di pullman per gente senza valigia e certamente senza Lonely Planet. Niente templi di Agrigento, Teatro Antico di Siracusa, stazione termale di Taormina; niente spiaggia di Montalbano, scavi di Selinunte, cannolo di Messina, pane cunzato di Salina; niente casa di Pirandello, cioccolato di Modica, cous cous di San Vito Lo Capo; niente Scala dei Turchi, manna di Castelbuono, costa saracena, Orecchio di Dioniso, per loro.
Uomini dalla pelle scura e lucida camminano lungo ampi viali alberati di una città che dal loro punto di vista non è poi così male. Non gli resta altro da fare che puntellare gli incroci delle strade, conquistandosi un posto al semaforo, quartier generale di un’avventura senza speranza. A ogni semaforo, tre o quattro di loro assalgono le auto che si fermano per il rosso. È luglio e sono ben coperti: piumino, giacca di lana, maglione a collo alto. Qui per loro non è caldo.
La mia abitudine a chiedermi in ogni circostanza della vita dove siano mai le donne mi porta a cercare sguardi femminili tra quegli enormi occhi neri coperti di smalto. Non ce ne sono, di donne ai semafori.
Un giorno, però, vado al supermercato. All’ingresso, accoccolata quasi a guardia delle porte scorrevoli, c’è una ragazza nera come la notte. Ha i capelli molto corti e una gonna colorata. E gli occhi abissali. Ha preso il posto della coppia di polacchi sorridenti che da sempre aspettava un gesto di elemosina dai clienti del supermercato. La guardo poco perché mi vergogno, con la mia bella borsa della spesa in materiale bio che uso per paraculissime motivazioni ecologiche. Le darò un euro quando esco, penso, e vado dentro a recuperare un carrello.
Latte, cereali, uno sgrassatore universale, questo è in offerta, una torta pronta per la colazione, Umberto vuole lo yogurt, troppa fila in salumeria, le teglie usa e getta, un balsamo per capelli mossi, oddio la cassiera lenta, ho preso la carta Nectar? Mentre sono in coda, vedo al di là delle porte la ragazza. È chinata su una borsa che non avevo visto entrando. Pago la mia spesa e vado verso l’uscita, contando il resto che la cassiera più lenta del mondo mi ha dato. Un euro e venti. Li darò alla ragazza, ma comincia a battermi forte il cuore perché so che non riuscirò a guardarla negli occhi quando allungherò il braccio per far cadere nella sua mano quelle due monete che adesso nella mia bruciano come fuoco.
Esco dal supermercato, cerco il suo sguardo, sorrido, lei non ride, anzi è serissima, allungo il braccio che rimane sospeso perché lei sembra non aver capito cosa sto facendo, ma poi prende le monetine e dice qualcosa che sicuramente è grazie. Solo allora vedo un fagottino accanto a lei. È una bambina piccolissima che dorme su un passeggino basso e scolorito, avvolta in vestitini colorati, con i capelli corti e ricci.
La mia borsa della spesa pesa come un macigno mentre mi trascino verso la macchina.
Torno al supermercato dopo due giorni, e le trovo ancora lì, madre e figlia, davanti alle porte scorrevoli. Due euro, e un sorriso alla bambina. Altri quattro giorni e sono ancora lì. La ragazza guarda i piedi delle persone, la bambina è in piedi e non si dà pace: c’è un cagnolino legato con il guinzaglio a un paletto. Da che mondo è mondo, cane e bambina piccola devono giocare assieme. Un euro e ottanta.
Dopo qualche giorno, due euro e un pacchetto di biscotti mi lavano la coscienza per cinque minuti. Ma quegli occhi non mi lasciano. Ho deciso, le parlerò. La prossima volta. Where are you from? Do you need anything for the baby?
Forse dei pannolini, o una crema lenitiva perché fa caldo e la pelle di un bambino è delicata e chissà di che tessuto sono fatti i vestiti che le danno al palazzetto dello sport che funge da centro accoglienza per migranti. Sì, le parlerò. Voglio sapere come si chiamano, lei e la bambina. E se lei ha un marito che nel frattempo sta al semaforo. E come è stato il viaggio.
Fine agosto, si ritorna dalle ferie. È arrivato il momento di avvicinarmi. Quasi spero di non trovarle davanti alle porte del supermercato. Ma ci sono e adesso hanno anche i capelli più lunghi, con le treccine. Dovrei parlare alla ragazza prima di entrare al supermercato, così se le serve qualcosa posso comprarla e dargliela all’uscita. Ma se non parla italiano, come fa a farmi capire cosa le serve? Arrivo davanti alle porte scorrevoli e la guardo come se ormai ci conoscessimo da mesi, ma tutto quello che riesco a dirle è buonasera, e neanche a un volume decente. Buonasera. Dico sempre buonasera agli indiani che vendono collanine, ai magrebini che vendono fazzoletti, ai nigeriani che vendono cover per smartphone. Per anni ho pensato che fosse rispettoso, invece di quel ciao odioso che la gente pensa di potersi permettere ché tanto “questa è gente che non si formalizza”. Con grande ingenuità penso che il mio rispetto passi da un buonasera.
Buonasera, ragazza che forse ha meno dei miei anni ma già una bambina al collo. Buonasera, ragazza stanca ché stare seduti per terra a chiedere l’elemosina dev’essere la più grande fatica di una vita. Buonasera, ragazza che mi fa vergognare della mia borsa bio-rispetta-ambiente. Buonasera a te, che non mi fai trovare il coraggio di rivolgerti la parola per chiederti come ti chiami e come stai e come sta tua figlia e dove dormite e dove volete andare, in questo lungo viaggio.
Buonasera, due euro e cinquanta e vado oltre, verso la mia macchina, verso casa.
L'originale è qui:
http://www.abbiamoleprove.com/2014/10/27/sicilia/
nella foto: la costa calabra vista da Ciurrame di notte
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