Questa volta non so quanti lettori troverò d’accordo con me, forse ci
sarà chi boccerà il blog ma devo andare ancora oltre. Intanto …
Tranquillizzatevi ….
Oggi leggerete di un rapporto molto spesso accennato nel susseguirsi
dei post sino ad oggi pubblicati: gli scambi tra Platì e la città di Messina, e viceversa.
intanto sentitevi questa ...
La più antica traccia di questo scambio l’ho rintracciata diversi anni
or sono in un libro della professoressa Carmen Salvo di cui mi rincresce di non
ricordare il titolo. In una delle pagine era ricordato un bosco di proprietà
della ricca famiglia Marullo in località Platì o Motta Platì, tra il XV° e il
XVI° secolo.
In anni più vicini a noi vari grossisti zanclei avevano commercio con i
platioti per via dell’olio d’oliva.
Ho ricordato pure come da Messina arrivò a Platì lo zio Placido per
cercare moglie; la fortuna lo arricchì: si portò oltre lo stretto la zia Rosa,
sorella di papà. Una santa la zia Rosa. Soddisfatta tutta la famiglia
Sciarrone, a Platì corse il fratello dello zio Placido, Giovannino. Ancora più fortunato, si prese in moglie la
bella di casa Mittiga, zia Pina. Questi distacchi alla fine causarono il
trasferimento della nonna Mariuzza che si tirò dietro papà e mamma.
C’era stato pure il caso di qualche famiglia di Platì trasferitasi in
Messina per motivi impiegatizi. Felice
di nominarne una ho il dubbio che a figli e nipoti la citazione in questo luogo
non sia cosa gradita. Sta di fatto che dal paese si portarono anche Rachele, la
futura moglie di Micheli u giamba,
come collaboratrice domestica.
Nei miei ritorni soggiorni a Platì ogni volta che incontravo Rachele
alla messa domenicale dello zio Ernesto essa mi chiedeva della famiglia citata
come in vero anche con i figli messinesi ricordavamo Rachele.
Accadeva, è un ricordo di mio fratello Saro, che da Platì partivano per
venire oltre lo stretto e sotto raccomandazione di don Umberto Romeo, allora
agente di viaggio, quanti dovevano successivamente trasferirsi oltre i mari e
in continenti remoti per la visita di idoneità all'emigrazione su quei grandi piroscafi
che facevano scalo nel porto messinese.
Ancora.
Due furono le principali attrattive, se così le vogliamo chiamare, che
spingevano i platioti verso Messina: il distretto militare e l’università.
A partire dagli anni cinquanta e fino alla metà dei
sessanta del XX secolo quanti dovevano ottemperare alla visita per la chiamata
alle armi avevano come tappa obbligata Messina. Ma già da tempo i platioti
venivano spediti in servizio nei fortini
o nelle caserme se non addirittura all’ospedale militare quando renitenti agli
incarichi
Platì sulla pietra di un portale del Forte Serra La Croce in località Curcuraci, villaggio di Messina
Si partiva da Platì con l’autobus di Panuzzo alle cinque e mezzo di
mattina, lasciandosi dietro una cometa di fumo nero fragrante di nafta bruciata. Nel tragitto verso
Bovalino, dove si cambiava autobus, prendevano posto altri coscritti: Natiloti,
Careroti,Benestaroti. Alle sette c’era il traghetto Aspromonte da Reggio, dove
ad attendere c’erano giovani provenienti
da altri paesi del reggino. Alle sette e trenta si sbarcava per giungere col
fiatone e in numeroso gruppo presso la caserma Zuccarello alle otto. Erano
ragazzi di tutte le taglie raggruppati senza distinzione di classe sociale,
vincolati solo da giovinezza e baldanza.
Per molto tempo la visita di leva è stata una stazione obbligata nella
corsa del treno della vita, indipendentemente dal risultato, e toccava tutti i
maschi che stavano in piedi e con la mente che camminava. Se ne parlava in
famiglia e con i compagni di scuola. La chiamata era arrivata ai nonni come ai
padri, naturale che toccasse i figli. Per alcuni si trattava del primo passo
messo fuori della nativa Platì: temuta in privato, in gruppo la si beffeggiava.
Tre le giornate che tenevano impegnati i giovani, retribuiti con la
medesima paga che spettava chi già era sotto le armi. In fila si attendeva il
proprio turno cadenzato in ordine alfabetico dalla voce disattenta del furiere
per essere introdotti alla visita medica con ufficiali medici scontrosi. In
gruppo, in stanzoni arredati come aule scolastiche si affrontavano i test
attitudinali somministrati da baffuti marescialli furibondi, se non erano
ufficiali a tre stellette.
Molti erano quelli che alla fine del tempo concesso per le risposte
consegnavano i fogli senza esito. Nessun problema la naia è stata sempre
comunista anche in territori fascisti.
Lo stesso venivano arruolati per finire nell’ artiglieria come fucilieri con la
sfortuna di fare le guardie alla porta centrale della caserma un giorno si e
uno no.
Quei tre giorni non erano altro che naia a tutti gli effetti, naturale
che si attendesse con impazienza l’ora della libera uscita e prendere d’assalto
la città.
Si diceva prima che Messina offre poche attrattive per il forestiero, Platì chiuso per com’era offriva ancora meno e la visita di leva era vissuta come un sorta di rito di iniziazione che apriva le porte della maturità se non del matrimonio.
Dovrei ora scrivere sull’università ed il conseguente naturale abbandono del paese da parte dei laureati; è un argomento serio che cerco in tutti i modi di esprimere al meglio, credetemi, è uno strazio il solo pensarci.
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