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giovedì 2 ottobre 2014

Il crepuscolo degli eroi (reg. John Huston e Fadil Hadzic - 1963)




Segue la lista degli eroi! …
Oggi è il nome glorioso di
Mittiga   Domenico
Onore a lui.

Non lacrime – fiori spargete a piene mani, o ragazzi. Non si tratta di piangere sulla tomba degli eroi, di per se stessa illustre. Attorno ad essa, i piccoli mortali s’affollano per ammirare, giudicare e apprendere. Voi non pensate che tutto è morto colui che da noi si commemora. La parte migliore dei trapassati rimane e quando una mesta cerimonia chiama i superstiti alla commemorazione dell’estinto, allora una tenera corrispondenza d’amorosi sensi corre invisibile tra la terra e il cielo: è la religione dei sepolcri; è l’umanità che guarda, mestamente, i nuovi orizzonti s’oltre tomba e modella, guida e corregge il cammino della vita sugli ammonimenti e le voci che vengono di sotterrra. Ascoltate Una voce viene anche da questo tumulo; una voce che è il coro di mille voci, come quelli che cantano, di monte in monte, il peana calmo e sereno della vittoria; voci di corpi lacerati, d’anime gagliarde = è la voce tonante della riscossa che si ripercuote quaggiù, dalle Alpi invano contrastate e dal mare per la terra. Dice la voce: Morimmo, per un ideale di carità cristiana; per quell’ideale proclamato dal Nazareno quando diceva “ Non vi ha carità maggiore di colui che pone la vita per i propri fratelli “. Morimmo, per dare col nostro sangue il movimento alla ruota del progresso. In obbedienza alle sante leggi della Patria, morimmo.
Intendete l’orecchio a questa voce! È la religione e la patria che si fanno sentire. L’una libera i corpi dalla schiavitù, l’altra le anime dal peccato; l’una raccoglie il sangue dei figli, l’altra le lacrime delle madri;  l’una pianta sui tumuli una croce, l’altra avvolge tumoli e croce con la bandiera.
E sull’altare della patria, santificato dalla religione, si posa il martire, dal petto squarciato, i fedeli vi intrecciano ghirlande di rose; è un pellegrinaggio di fede e di patriottismo, perché la fede vi trova un campione, la patria un figlio: = Così, certo, l’intendevano i nostri maggiori dell’impero che salivano il Campidoglio per offrire a Giove le ostie di pingui giovenchi; così l’intendevano i nostri maggiori dei comuni che appendevano alle mura dei tempii  le armature vittoriose; così l’intende la novissima gente italica che fa dei due amori un solo amore! Religione e Patria! – Da questi due sentimenti amalgamati insieme, da queste due corde della medesima lira traggo i concenti per cantare di te, piccolo soldatino d’Italia, che ti fermasti col nome nella storia e sopra i cuori di tutti.

Canto
Allor che ne l’Americhe
Corse una voce che le fibre scosse …
E gli italici petti si vestirono
D’entusiasmo di camicie rosse …
Ed atleti pugnanti sui nevosi
Picchi dell’Alpi – scintillanti al sole –
Protesero le braccia ed invocarono:
Italia! Italia!
Quando si vide, come mostruoso,
serpente che le spire disnodava
su per i monti e i valichi contesi:
l’esercito vestito in grigio verde
Allora appunto fu che tu vedesti
in ogni cosa il tricolor vessillo;
lasciasti a mezzo il tuo lavor, dicesti:
Italia, vengo.
E t’imbarcasti. Come trasvolanti
Grida di madri e di figliuoli oppressi
Ti portavano l’onde. Ed era l’eco
Non ascoltata, né vendicata mai
Del “ Lusitania “
Fiero lo sguardo rivolgesti indietro,
A quella terra di mercanti atroci
Poi, scarmigliata, nel dolor sublime,
Ecco la Madre!
La grande madre che di spighe ondeggia,
La grande madre, madre degli eroi;
Dove in eterna giovinezza regna
Natura ed arte.
Nel suo dolore t’immedesimasti
Grande dolore che le vene accende
Baciasti in fretta i cari tuoi. Volasti
Su le frontiere.
XXX
Quivi, non erano uomini! Angioli parevano
al guardo
Roteanti le spade – in una luce d’or
Avvolti ne la clamide – del patrio stendardo
Su cui fermavan l’occhio – su cui tremava il cor:
E li vedesti ascendere – su per i monti immani
Biancheggianti di neve – su cui si ferma il ciel
Cantavano il peana – lieti, con voci imani
Puntando sul bicipite – nero d’Asburgo angel.
XXX
Accorrete, accorrete!
O tutelari numi della Patria,
O sognanti da secoli
La riscossa!
O voi, cui l’amarissimo copre
custoditi da le sirti infide,
da le ambe selvagge,
Eroi d’Italia e di Roma,
d’oggi, di ieri, dei secoli.
Accorrete, accorrete!
Oggi l’Italia in armi
Per vendicarvi tutti,
Per liberarvi tutti …
O suoi figli, accorrete
Ed assistete all’impeto
di magnanimi eroi
Alla generazione
Di novissimi figli
Raccogliete quei fiori
Fiori di giovinezza
Germogliati nel sangue
Col sangue abbeverati …
Venite, accorrete!
Perché segue ancora l’epopea del sangue.

Signori
Ogni pietra dunque è un altare, ogni fiore è un simbolo di passione; ma dalle zolle vermiglie spuntano anche i fiori della vittoria. Domani quei fiori apporteranno i frutti. E coi fiori della memoria si abbelliscono le tombe. Con religiosa mano raccogliamo sul cammino della gloria i crisantemi pallidi, i narcisi recisi, i gerani, le viole del pensiero ed, alimentate dalle lacrime, servano, questi fiori, allo studio delle generazioni venture.
Così anche tu comparirai nella storia o Mittiga Domenico di Saverio, perché scrivesti col sangue la tua pagina ed il martirio della tua bella giovinezza brillerà negli occhi di coloro che ti conosceranno, come brilla, oggi, tra le lacrime, e nel pensiero  di coloro che mi ascoltano
Così apprenderete, o ragazzi, nelle scuole, la sua  vita:
Egli nacque nel 1889, al 21 Settembre, da Trimboli Assunta e Mittiga Saverio ed offrì alla grandezza della patria i suoi 27 anni il 14 Marzo di quest’anno di gloria.
Come la sua dedizione fu generosa, spontanea, pura, lo sappiamo noi che l’abbiamo visto ritornare dall’America, quando meno se l’aspettavano i suoi genitori. _ Emigrato, non per la cupidigia d’ingrandirsi, ma per quello spirito di libertà di cui ha tante attrattive quella terra, s’intese laggiù più italiano di prima, perché questo amore possente si manifesta e si fa sentire nell’impulso dell’anima che ti spinge, fra la folla sconosciuta, nelle braccia di un operaio sconosciuto di cui un solo accento lo ti manifesta della tua lingua. Intese la poesia della patria nelle dispute e nelle contese di quella folla multipla e policroma quando la nazionalità d’ognuno si difende unghibus et rosribus, l’intese nel garrire di cento bandiere al vento, quando il bel tricolore brillava e fremeva nell’aria come un occhio ed una voce conosciuta: voce per correggere, occhio per vigilare!
Ed un giorno questo segnacolo della patria chiamò i suoi figli a raccolta. Aveva nuovi fremiti quella voce, quell’occhio, vigilante, sulla folla, aveva lampi di sdegno. Si strinsero attorno a quella gli sparsi figli della patria. Ritornavano dalle officine stridenti, dagli arsi campi, dalle miniere insidiose, venivano i lavoratori delle pingue fazendas, i pastori delle pampas, a flotte, a gruppi, a soli, e si stringevano in silenzio le mani come un giuramento, come una promessa: Partire. Il Tricolore, in alto, brillava come l’Idea. Partire! Non si vedevano lassù, verso la vecchia Europa, bagliori come d’incendio? Non era verso quel punto, in quel punto medesimo, il loro paesello natio, la loro casetta bianca, il loro focolare domestico?
Allora più violento ed altero s’intese l’amor di patria, nella tempesta di fuoco si videro le fisionomie delle persone care e a quella vista, la decisione di Mittiga Domenico fu quella d’un figlio che vede la genitrice offesa e si slancia per difenderla con tutte le forze dell’anima. – Narra la storia tutta la grandezza di Cesare in tre parole “ Venne, vide, vinse “. Anche Mittiga Domenico potrebbe compendiare La sua epopea in questo  semplice messaggio, perché fulminea fu la sua venuta, la sua visione, la fine. – Arrivò, mentre la manifestazione di gloria, apparsa alla nostra giovinezza, era fermata lassù dove l’alpe scendeva verso il mare ed il leone di San Marco s’intisichiva sotto la minaccia dell’aquila d’Asburgo. La fortuna d’Italia volle che lassù si trovasse un Uomo degno del suo compito, un Re, ma non come l’Imperatore teatrale dei barbari, un Re latino, semplice, intrepido e buono, avente la stessa anima dei suoi soldati.
Accorse verso la gloria. Si slanciò nella pugna sicuro di vincere e di morire. Vinse. Lo dite voi con la vostra manifestazione di riconoscenza e di simpatia, che vi esalta; lo dicono i soldati che lo sanno e, domani, lo diranno anche le madri ai figli nati e cresciuti valorosi, “ perché un bel morire tutta la vita onora “.
Sebbene egli non avesse bisogno di lavare nel sangue le impurità della vita. Ma io sto per dire che Colui che agita le nazioni per l’assestamento finale – Iddio – come nei tempi passati, ama anche oggi nei sacrifizii le cose migliori. Sono i fiori che Egli raccoglie per inghirlandare le nazioni, saranno forse, e senza forse, gli angeli tutelari della patria ed i viventi, imbalsamando la loro memoria, faranno cosa degna di loro e di utile per le generazioni venture. Muoiono i piccoli, i deboli, i pusillanimi, gli eroi della patria vivono e il nostro Mittiga Domenico insieme a Saverio Campiti, Pietro Callipari, Rocco Grillo, Morabito Giuseppe, Catanzariti Domenico ed altri, passò in questa categoria di viventi a cui non giova il pianto a cui si deve soltanto l’onore.
Parlare del resto di queste cose ai genitori è vano lo so. Le parole più belle e confortanti riescono sempre troppo dure al cuore dei genitori e se noi parlassimo loro della Patria, dei suoi ideali, della sua grandezza e del suo diritto, oh! I genitori non sanno ascoltarci, essi sentono solo l’angoscia infinita dell’anima che ha distrutte le loro più belle e più grandi speranze. Ma poiché ci troviamo al cospetto di Colui che amò tanto la Patria sino a piangere di dolore per essa; poiché altro conforto non ci resta se non quello che ci viene dalla Religione; diciamolo pure francamente, a conforto della desolata famiglia, come egli buono, religioso, ubbidiente, ha fatto una morte, starei per dire invidiabile. Perché, alla fine, la morte non è così brutta per i buoni che ricevono il premio della virtù Oh! Tutt’altro. Ma la madre, mi direte voi, il padre, le sorelle …
Oh si, non sono tanto alto da non vedere l’umanità coi suoi dolori, coi suoi spasimi, con le sue angosce. Ma ci sono delle bende per i cuori sanguinanti; c’è dell’olio e del balsamo che si sparge su tante sciagure, ed è la carità del mio Maestro che vuole che tutti gli uomini siano fratelli e come tali si amino. Religione e Patria! Le ali che Dio ha dato all’anima per salire sino a Lui; le corde più armoniose dei nostri cuori, le leve che sospingono verso nuovi orizzonti il nato di fango, per cui si sente vicino agli angioli; assimilato a Dio!  Amori che non si possono separare, che completano l’uomo interiore e dove non c’è Religione non c’è Patria, perché la prima non si fonda che sull’amore del prossimo, e la seconda non è altro che questo prossimo che siamo tenuti ad amare. Porgiamo perciò il nostro conforto a questa famiglia desolata e se il tempo con le sue fredd’ali vi spazza fin le rovine, oh facciamo almeno che non si cancelli dalle nostre menti e dai nostri cuori il ricordo degli eroi, perché i figli si possano specchiare nelle virtù dei padri  e voi sapete che “ A egregie cose il forte animo accendono, L’urne dei forti “.
E più che un nobile entusiasmo quello che ci anima, dev’essere un sentimento di riconoscenza e d’amore. Mi spiego. Se domani, ad esempio, la vostra esistenza viene minacciata da un pericolo ed in quel momento accorre in vostro aiuto un parente, un vicino, un amico; non siete voi tenuti a ringraziarlo?
E se questo amico, parente, vicino, per liberare voi, la vostra casa, i vostri figli, abbia perduto perfino la vita, non sentite che le sole, azioni di grazie non bastano e che ci vuole amore, amore, amore per pagare tanto sacrificio? Ebbene! Mittiga Domenico è morto per voi, per me, per tutti!
Sacrificò la sua esistenza, perché le porte d’Italia fossero ben assicurate; perché i sonni che noi dormiamo fossero più sicuri, perché le vergini, le madri, le spose fossero ben rispettate. E che se noi pensassimo alle donne martirizzate del Belgio, ai ragazzi mutilati e abbandonati per le vie della Serbia, alle chiese pollute e i monasteri violati della Polonia … se noi pensassimo, dico, che solo per un miracolo di eroismo del nostro eroico esercito furono arrestate le onde dei barbari là in Val Sugana e Valle Lagarina in questi giorni, se tutto questo pensassimo, oh allora non potremmo far di meno di non benedire i martiri che col proprio sangue vinsero il nemico; benediremmo i superstiti, benediremmo tutti, e ci parrebbe di essere indegni, degeneri, ingrati, il giorno in cui li dimenticassimo per un solo momento.
Non sia così! Il concorso di tutti voi, nobili signori, graziose signore, e popolo tutto, questa manifestazione di stima, che vi esalta, mentre segue l’apoteosi di Mittiga Domenico, depone bene di voi, ond’io non trovo che il patriottismo e la religione sono affetti inseparabili e che voi, onorando i caduti della Patria, vi dimostrate dio essere un popolo altamente civile, religioso e onesto. Come tali, inchiniamoci dunque dinanzi a questo tumulo che è l’espressione del nostro entusiasmo e del nostro amore.
La patria è grande e la religione è santa. Mostriamoci degni della patria e onoriamo Dio. Nell’Ecclesiastico si leggono le lodi di coloro che concorsero col senno e con la mano a rendere forte, indipendente e libera la Patria. Il grande capitano della Giudea, mandò a Gerusalemme dodicimila dramme di argento per offrire doni e sacrifizii alle anime dei caduti, bene e religiosamente pensando. Ché, se la patria sulle ferite dei corpi, come il pietoso samaritano, sparge il vino dell’assistenza civile con cento e cento ospedali della Croce Rossa, la religione dal canto suo, spalanca le porte delle sue chiese e dinanzi ad una Croce rossa ancora del sangue d’un Dio, chiama a raccolta i suoi figli a pregare per le anime. E qui, nel tempio, intorno a questi monumenti solenni, è qui che si stringono i patti della solidarietà; è qui che si sente la maestà di Dio, la grandezza della patria. E siccome il dolore è il migliore cemento per amalgamare le anime, qui in questo ambiente saturo di pianto, promettiamo a Dio di essere uniti di mente e di cuore, di forze, di anime e di volontà, nel fine supremo della Vittoria d’Italia che è la vittoria della grandezza e della civiltà  umana.
Salvete o Morti!

///

Conforto ai  vivi, riposo ai morti
L’Italia implora, Gran Dio da te
Fa che Vittoria cantino i forti
Sacri alla Patria e alla fe

FINE
Sac. Ernesto Gliozzi il vecchio

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