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sabato 11 settembre 2021

Faccia a faccia [di Sergio Sollima - 1967]


IL PASSERO

A Vocale era andato a cercarlo e poi al passo della Cerasara, nelle foreste della Ruffa e tra le pareti incassate del Duverso. Finalmente l'aveva preso.
Con i ceppi ai polsi lo portava verso il paese mentre la nebbia salendo dal Buonamico rendeva Pietra Longa come un punto esclamativo in un mare di nuvole.
Il Passero era un temibile ladro. Intere mandrie di pecore e capre sparivano tra le grotte di Calivia ed i fianchi di Pietra Cappa. Il versante orientale dell'Aspromonte era una groviera. Non si trovava traccia. Da solo teneva a bada branchi di cani selvaggi. Era imprendibile. I pastori lo scambiavano per il lupo Cola e gli lanciavane tizzoni ardenti quando si avvicinava agli stazzi. Con i ceppi ai polsi sperava ancora di farla franca. Verso i piani di Carrà, il sentiero diventava stretto, tortuoso e tra gli arbusti di erica arborea s'intravedevano le donne sul greto bianco del torrente a raccogliere legna.
Sembravano tante formiche. Ad un certo punto il Passero disse: «Brigadiè, io soffro di vertigine. Ho paura del vuoto. Fatemi passare dall'altra parte». Fu subito accontentato. Ad un certo punto dove il pendio era più ripido, con un balzo felino diede uno strattone al brigadiere. Ed avvinti finirono in fondo al burrone. Massaro Peppe restò stordito e contuso. Il Passero prese il volo, convinto che il brigadiere fosse morto.
E giunto sul ciglio del burrone gli gridò; «ora si ca tu 'mbarri 'u pani du guvernu! (Ora si che t'abbuffi del pane dello Stato)». Il Passero prese la via, per Natile a cercare Beniamino lo zoppo nella vecchia forgia di novello Vulcano. Liberò il Passero dai ceppi mettendolo in libertà provvisoria. A San Luca arrivarono decine di carabinieri. Ed il medico Fera con l'arciprete Giorgi si trasferì in caserma più per l'immancabile tressette che per le cure dell'ammalato. Massaro Peppe, pesto ed ammaccato, trascorreva le giornate in caserma a guardare lo sterminato greto della fiumara di Buonamico che spuntava dietro la collina del Saracino. Mangiava poco. E la fidata Caterina quando sentiva il banditore che annunziava la vendita di carne a basso macello perché una vacca era caduta in un burrone, si precipitava dal Puglisi. I cani randagi stavano acciambellati davanti alla porta balzando ogni volta che qualche lembo di carne si liberava dai fili di ginestra dove era legato. Non c'era carta da avvolgere. Molti pastori con la scusa di parlare di armenti si attardavano nella macelleria del Puglisi per avere notizie del Massaro Peppe. Ed il macellaio in un dialetto forestiero si abbandonava ad espressioni tranquillizzanti. «Non mangia nenti. 'Ncuna nticchia i ficatu. E malanova mavi. Chimmu moriva! (Non mangia niente. Un pò di fegato. Che avesse maledizione. Dovrebbe morire)». Era la fibbia o l’imbasciata per i latitanti che potevano rientrare in paese per un pò di riposo.
Massaro Peppe sapeva tutto e dal terrazzo mandava in aria ampie volute di fumo dall'immancabile pipa. Erano segnali di guerra.
La sera di Natale il Passero forte delle notizie avute dal Puglisi era alle prese con una montagna di maccheroni avvolti da ricotta salata. Dal vico della Pivula si udì il suono di una zampogna. Quando lo zampognaro fu davanti all'uscio del Passero modulò le prime note della novena di Natale. L'uscio si apri ed il boccale di vino apparve la Colt.
«Cicco, andiamo» - disse Massaro Peppe.
«Aspettate che finisca i maccheroni», fu la risposta.
Il Passero fu accontentato!
Testo e foto di Antonio Delfino

 


lunedì 6 settembre 2021

Pellegrini d'amore [di Andrea Forzano - 1951]


Affluenza di platiesi al Santuario di Polsi

 
Platì, 2 settembre
(M. F.) — Si è verificata in questi giorni la solita grande affluenza di devoti platiesi al Santuario della Madonna di Polsi.
A differenza dalle abitudini di altri centri vicini al nostro, le comitive che si recano al santuario partono a piedi si trattengono in preghiera per almeno una settimana.
MICHELE FERA
 
 
ANTICHE TRADIZIONI DI FEDE
IL PELLEGRINAGGIO
al Santuario di Polsi
Chi non conosce il sito noi può comprendere la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti
 
Polsi, 2 settembre
Anche quest'anno, una infinità di fedeli, si è spinta fra le forre d'Aspromonte, per rinnovare il tributo d'amore filiale alla Vergine, per deporre ai suoi piedi di Madre, le umane miserie ed averne in compenso, un particolare conforto.
Lunghe teorie di uomini, donne, fanciulli, s'inerpicano difatti, da giorni, per le balze malfide, lungo aerei viottoli che sconfinano in sottostanti burroni paurosi; fra pendii che sanno di fuoco, di balsami e dei sospiri degli umili.
Ma la fatica non conta, quando si ha da sciogliere un voto, invocare una ennesima grazia, per sé, pel congiunto lontano, per l'amico morente. In ogni angolo, qui, e per miglia e miglia all'intorno, insieme con le preghiere più calde, perché commiste di pianto, vi aleggia la leggenda, dolce, cara leggenda, che si perpetua nei secoli e che ha sentore di mistero:
«Conti Ruggeru, cacciandu iva, — cacciandu dassau gran nominata. — E mentri appuntu la caccia faciva, sintiù di lu divreru la chiamata. — Subitu curriu a vidiri ch'aviva: — vitti la santa Cruci scupirchiata, — nc'era lu toru chi la riviriva, — cu li dinocchia l'aviva schiavata».
«II conte Ruggero (dei Normanni), andava cacciando e nel cacciare, lasciò gran rinomanza, e mentre appunto batteva la caccia, avvertiva il latrare del cane. Subito accorso a veder cosa vi fosse, vedeva la santa Croce dissotterrata e il torello, che l'aveva con lo aiuto delle ginocchia, portato alla luce, in preghiera».
Questa leggenda, che sa tomistico e di misterioso insieme, corre più o meno falsata, più o meno abbellita, per le bocche dei vegliardi, di questa ferace Calabria, di questa buona gente dei monti, che veste ancora d'orbace, come qualcosa che interessi più direttamente questo popolo, la sua sentita religiosità, lo attaccamento alla miracolosa Madonna della Montagna, come meglio preferiscono chiamarla.
E' questa, la festa che registra una maggiore affluenza di pellegrini, e che più di ogni altra, presenta delle attrattive difficilmente raggiungibili. Ma più ancora è un mistico appuntamento dei pastori, dei cosiddetti massari, di tutta la gente più vicina alla Vergine.
Alla vista di tanti pastori, portanti i più una candida agnella, e dei pifferai in ciocie, modulanti agresti note all'ombra di secolari elci; delle madri, delle spose in preghiera, ci sembra di rivivere visioni d'altre epoche, ore di accentuato misticismo. La Montagna. Si, la Vergine che il popolo tutto proclama a gran voce regina e che ad Essa confida i riposti segreti del cuore. La Madonnina, sul cui altare i montanari formulano, sovente nel grigiore di una serata invernale, una promessa e dove si realizzano molto spesso i sogni più belli d'un amore talora contrastato, fra la rustica gente.
E' il crepuscolo. Nell'aria algente e fortemente ossigenata è un acuto odore di resine. Intorno, e giù da noi, all'ombra di annosi timi è tutta una tendopoli, un esercito di gente, d'ogni età e condizione e dai dialetti più vari ed impensati. Poco discoste da queste intere mandrie di pecore, guidate da una centuria di cani, ed infine i pastori, sorridenti, pacifici, quasi antichi patriarchi.
Chi non conosce questi siti, non può pienamente avvertirne il fascino che da essi si sprigiona, né comprendere sia pure «grosso modo» la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti.
V. VERDUCI
GAZZETTA DEL SUD 3 settembre 1956

 

mercoledì 1 settembre 2021

Anime in tumulto [di Giulio Del Torre - 1941]



Stato dell’Anime di questa Motta Platì
Diocesi di Gerace di quest’anno 1753
Redatto da Don Tolentino Oliva*

Francesco Taliano d’an 36
Carmela Virgara moglie an 36
Antonio figlio d’an. 3
Elisabetta figlia an 6
 
Bernardo Agresta d’an 40
Caterina Catanzariti moglie d’an 44
Domenico figlio an 18
Giuseppe figlio d’an 12
Candido figlio d’an 6
Antonia figlia d’an 10
 
Antonio Barbaro di Francesco d’an 41
Anna Trimboli an 33
 
Francesco Carbone di Antonio d’an 40
Antonia Nacrì moglie d’an 31
Antonio figlio d’an 12
Paolo figlio d’an 2
 
Mastro Giovanni Fera d’an 60
Antonia Romeo moglie d’an 45
Andrea figlio d’an 20 pasquale figlio d’an 16
Domenico figlio d’an 13
Giuseppe figlio d’an 11
Maria figlia d’an 23
 
Nicola Barbaro d’an 90
 
Saverio Zappia d’an 53
Antonia Cusenza moglie d’an 40
Giuseppe figlio d’an 6


* Estratti dal Catasto onciario del 1754
- Don Tolentino Oliva è stato il primo parroco di Platì, era il 1738. Erroneamente il Canonico Oppedisano nella sua Cronistoria della Diocesi di Gerace  gli attribuisce il nome di Francesco (questa nota la devo a Ernesto Gliozzi il giovane). 
- In apertura la cabina della luce appartenuta a don Ferdinando Zappia in attività fino alla metà degli anni '50 del secolo della Bomba Atomica.


 

martedì 24 agosto 2021

La piscina [di Jacques Deray - 1969]


Iniziata anche a Platì
la stagione dei bagni

Platì, 26 luglio
(M. F.) — II forte caldo di questi giorni ha determinato nel nostro centro, un insolito fortissimo afflusso di cittadini verso il piccolo bacino idroelettrico del Ciancio, e altri luoghi del fiume dove l'acqua forma delle profonde polle adattissime per il bagno e per il nuoto.
I bagni fluviali non sono nuovi nella storia del nostro centro: già moltissimi anni addietro c'era l'usanza di fare i bagni nei profondi gorghi del fiume Ciancio e del fiume Sanello.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 27 luglio 1956
 

sabato 21 agosto 2021

Diritto di cronaca [di Sidney Pollack - 1981]


Pipe di radica
rinvenute a Platì

(M. F.) Mentre si eseguivano alcuni scavi In contrada «Stabilimento» di Platì, sono venuti a un tratto alla luce numerose pipe grezze di radica. Non si tratta però, come penserà qualche lettore, di una scoperta archeologica del tipo di quella delle «gragne» rinvenute ad es. a Locri.
Le pipe rinvenute si trovavano evidentemente in una fabbrica di pipe sbozzate, che si trovava in contrada Stabilimento, e che scomparve nella notte dell'alluvione del 1951. Le pipe erano in perfetto stato di conservazione.
GAZZETTA DEL SUD 4 agosto 1956

Cambiato di sede
l'orologio a Platì!

Platì, 20 agosto
(M. F.) - Probabilmente assisteremo in questi giorni al trasferimento dell'orologio comunale e relativa sirena, che sorgevano fino ad ora nel fabbricato della Chiesa Matrice in costruzione, su una apposita
torretta di cemento armato che sarà posta sull'altissimo massiccio di granito che domina l'abitato di Platì, a Nord. Il trasferimento tornerà a tutto vantaggio della visibilità e audìbilità a grandissime distanze dell'orologio e della sirena su mensionati.
Quali siano state le cause del provvedimento non sapremmo dirlo con precisione ma è certo che sull'alta torretta di cemento l'orologio assolverà la sua funzione molto meglio che su quella specie di campanile-nano di cui è purtroppo dotato il nostro Duomo.
GAZZETTA DEL SUD 21 AGOSTO 1956
 
L'erogazione dell'acqua
nelle abitazioni di Platì

Platì, 20 agosto
(M. F.) - A causa del fortissimo caldo della stagione, si era verificato in molte abitazioni del nostro centro il quasi totale disseccamene delie fontane, male alimentate dall'acquedotto comunale.
Con un opportuno provvedimento il Sindaco Zappia ha fatto limitare in tutte le abitazioni il flusso dell'acqua, fino all'indispensabile, in modo che in tutte le abitazioni cittadine scorre adesso l'identico quantitativo di acqua corrente, regolarmente alimentato dall'acquedotto che ha visto nuovamente
pieni i suoi serbatoi.
GAZZETTA DEL SUD 21 AGOSTO 1956
 
Le cronache sono di MICHELE FERA
 
- Della contrada «Stabilimento» si sono perse le tracce,  forse sorgeva a monte della fiumara d’Acone.
- L’orologio e la sirena erano ritornati nel nuovo campanile sorto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60.
 

martedì 17 agosto 2021

Un uomo ritorna [di Max Neufeld - 1946]


Ritorna dagli U.S.A.
dopo mezzo secolo
 
Platì, 1 agosto
(M.F.) E' tornato in questi giorni dagli Stati Uniti, dove si trovava da circa cinquanta anni, il nostro concittadino Saverio Portolesi con la famiglia. Il Portolesi è tornato in patria a bordo della nave «Cristofaro Colombo», arrivata a Napoli proprio lo stesso giorno in cui è avvenuta la tragedia della «Andrea Doria», e proprio su questa nave avrebbe dovuto svolgere, tra qualche mese, il viaggio di ritorno
 
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956
MICHELE FERA
 

giovedì 12 agosto 2021

L'ultimo viaggio [di Malcom St. Clair - 1929]

 Al dramma dell'emigrazione si aggiunge il dramma del disastro dell’Andrea Doria che cola a picco il 26 luglio del 1956.  Gianni Carteri


Emigranti plaliesi sull'«Andrea Doria»

Platì. 1 agosto
(M. F.) Ore di drammatica attesa hanno vissuto le famiglie di numerosi nostri concittadini che si trovavano a bordo della nave «Andrea Doria» il giorno in cui questa è naufragata.
Solo il giorno dopo l'affondamento della nave, i parenti dei nostri sfortunati concittadini hanno ricevuto la notizia del loro... felice arrivo a destinazione
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956

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NON SI HANNO PIÙ' NOTIZIE
Un'intera famiglia di Platì
perita sull'Andrea Doria?
Concettina Sergi si era imbarcata con i 4 figlioletti per raggiungere in USA il marito, che ancora li attende tutti


Platì, 21 agosto
(M. F.) — E' quasi certo, ormai che la famiglia Sergi, partita dal nostro centro e imbarcatasi sull'«Andrea Doria» alla volta degli USA sia perita a bordo della nave. In un primo tempo i Sergi (la madre Concettina Sergi e quattro figli tra gli otto e i quindici anni) erano stati dati per dispersi, e si sperava che si sarebbero fatti vivi, che si fossero trovati su qualche scialuppa sbarcata chissà dove; ma ormai troppo tempo è trascorso e i familiari, straziati non hanno più speranza di rivedere i loro cari.
Le ipotesi fatte sulla tragedia sono tante, ma non si sa quale sia la più fondata: forse i Sergi si trovavano chiusi dentro la cabina la cui porta a causa del potente urto non poté più essere aperta?
Era a bordo dell'Andrea Doria, insieme con gli scomparsi ma in altra cabina, l'Italo americano Sergio Paul, cognato di Concettina Sergi e zio dei suoi figli, il quale si è prodigato con tutti i suoi mezzi per la ricerca degli scomparsi. Ma il fratello Nino, che attendeva allo sbarco la moglie e i figli, ha visto arrivare soltanto lui, disfatto e senza più speranze.
Nino Sergi avrebbe cosi perduto tutti assieme la moglie e i quattro figli. Unico conforto che gli resta, è il figliolo Antonio di venti anni, che era partito per raggiungerlo, qualche mese prima degli altri, e che adesso si trova con lui, come lui inebetito dal dolore.
Il cordoglio di Platì per i concittadini così tragicamente scomparsi è stato immenso: per molti giorni dopo il disastro della grande nave italiana tutti speravano che si trattasse di una falsa notizia, o che i dispersi sarebbero stati ritrovati da qualche parte. Ma adesso la speranza ha incominciato ad abbandonare un po' tutti.
Per tre giorni nelle case dei partenti, i concittadini sono sfilati per le visite di condoglianze.
GAZZETTA DEL SUD 22 AGOSTO 1956
(M. F.) Michele Fera

Nino Sergi al fonte battesimale Rosario Gerardo Antonino, nato a Platì il 10 ottobre 1909, era figlio di Antonio e Anna Velardi. Concettina allo stesso fonte battesimale registrata Maria, nata a Platì il 10 febbraio 1913, era figlia di Giuseppe e Giuseppa Zappia. I due si sposarono felicemente nel duomo lauretano di Platì l’11 luglio del 1936. I figli periti a bordo dell’Adrea Doria il 25 luglio del 1956 con Concettina erano stati tutti battezzati al fonte appena citato: Giuseppe nato il 16 gennaio del 1943; Anna Maria nata il 3 marzo del 1946; Domenica nata il 18 dicembre 1949 e Rocco nato il 20 ottobre del 1952. L’unico superstite Antonio abitante col padre a Mishawaka IN era nato a Platì il 18 novembre del 1938. Fino al 1952 la vita di Rosario Gerardo Antonino è stata un continuo ritorno al paese dove aveva lasciato la moglie; e a testimonianza di ciò sono i figli che venivano al mondo durante questi periodici soggiorni, tanta era la speranza di riunirsi un giorno che ahimè ebbe termine quel tragico 26 luglio a meno di un giorno da New York dove Nino attendeva fiducioso. Come testimoniato da Michele Fera sulla stessa nave viaggiava anche Paul Sergio, battezzato Paolo, fratello di Nino e cognato di Concettina. E oggi sorge spontaneo domandarsi se il viaggio di Concettina e dei quattro figli non sia stato concertato da Nino e Paolo in America vista la concomitanza della venuta a Platì di quest’ultimo. Per inciso Paolo aveva sposato in precedenza la sorella di Concettina, Domenica convertita in Margaret Domenica.

- In apertura un'immagine dell'Andrea Doria posta su un calendario del 1956.

- Della famiglia Sergi si era già scritto qui:

https://iloveplati.blogspot.com/2016/04/italoamericani-reg-martin-scorsese-1974.html
- un accenno al disastro dell’Andrea Doria era apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/03/lagente-confidenziale-reg-herman.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/05/agonia-una-mini-serie-su-plati-di_36.html


lunedì 9 agosto 2021

Il grande cocomero [di Francesca Archibugi - 1993]




DIVAGAZIONI SU DI UN FRUTTO DI STAGIONE

E’ giunto il tempo dei cocomeri

Si mangia si beve e ci si lava la faccia... gridano i venditori del saporoso mellone dinnanzì alle loro caratteristiche bancarelle su cui troneggiano grosse fette porporine



II cocomero pare che sia originario dell'India, ma noi lo avremmo preferito dell'Italia. E sapete perché? Perché ha la buccia verde e, tra questa e la polpa rossa, una striscia bianca, quindi i colori della bandiera italiana. Però possiamo essere contenti lo stesso, perché ne ha avuto la cittadinanza fin dai tempi più antichi; da quando cioè i romani cominciarono ad apprezzarlo per le sue buone qualità nutritive.
Parlare di questo gustosissimo frutto non guasta, anche perché è di stagione e ogni frutto che si rispetti è sempre il benvenuto, dopo che l'abbiamo atteso, e magari desiderato, per un anno intero. Infatti già lo vediamo rosseggiare invitante sulle bancarelle dei Moschetti allestiti a bella posta nelle vie cittadine.
Questo proletario cocomero è particolarmente gradito all'uomo, perché arriva proprio d'estate, a puntino per rabbonirgli l'ugola asciutta e dissetarlo con una succosa fetta zuccherina.
Di quella proprio gigante che pare una caravella di Colombo e che quando si mangia, lava la faccia, disseta e sazia ch'è un piacere...
Il cocomero, per le sue qualità zuccherine, diuretiche e nutritive, è diventato oggetto di vera e propria coltivazione su vasta scala, oramai tanto diffusa in Italia, da offrire un proficuo e attivo commercio.
Particolarmente poi in Calabria, per l'adattabilità del suo ottimo clima, vi sono estese e ricche coltivazioni che danno eccellenti frutti d’un bel rosso acceso, eccezionalmente grossi e saporosi. Infatti: Crotone, Curinga, S. Eufemia Lamezia, Rosarno, tanto per citarne alcuni, sono i centri maggiori di produzione dai quali i frutti vengono avviati in treno, o in autocarro sui vari mercati cittadini. Dove, come dicevamo più sopra, li vediamo sistemati a mucchi sulla paglia, o tagliati a fette falcate e fiammeggianti, bene allineate sulle bancarelle dei tipici cocomerai che si affannano a gridare la loro succosa e dolce mercanzia alla gente che passa: «... Scialativi u cori c'un muluni a prova, duci comu u zuccuru!...».
Questo «slogan» d'occasione, lo smaltiscono senza posa dalla mattina a notte fatta; vociando, scalmanandosi, scegliendo questo o quel cocomero da consigliare al cliente difficile e glielo palleggiano davanti agli occhi battendolo col palmo della mano, facendoglielo perfino crocchiare allo orecchio per garantirgli la perfetta maturazione del frutto...
Oppure tagliano «u tasseddu»  che pare un ombelico mostruoso, da dove però si può vedere il rosso fuoco dell'interno. E s'arrochiscono, gesticolano, sudando le famosissime sette camicie, fin quando non riescono a metterlo in bilancia. Allora con quella vittoria finale, si placano, soddisfatti...
A sentire loro fanno tutto ciò a fin di bene, per deliziare cioè i palati rinsecchiti della gente accaldata e arsa di sete... E forse non hanno torto...
Benvenuto, dunque, al dolce cocomero! Sopratutto perché, umile di nascita, si prodiga con particolare attenzione ad allietare l'umile, cioè il semplice lavoratore, che lo gusta non solo come un saporoso frutto provvidenziale, ma addirittura come se fosse un buon gelato, o che so io, un classico dissetante estivo...
Lo abbiamo definito umile, perché non sa distaccarsi dalla terra, sulla quale rimane adagiato, affezionato e buono, quasi a ripagarla con la sua compagnia per quello che gli dona. E mentre cresce, maturandosi, il pacioccone, fa lunghi colloqui, traendone.... «dolce» saggezza. Ama la terra che gli dà la vita ed essa lo ricompensa, con sincero e caldo amore di madre affettuosa; e lo nutrisce addolcendolo, e lo satura di umori preziosi, spennellandolo perfino, da insuperabile artefice, dei tre graditi colori: verde, bianco e rosso, colori che c'inducono ancora di più a guardarlo con simpatia.
GIUSEPPE CASCIANO
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956



In apertura ciurramiche angurie.
Tennessee Ernie Ford è stato un cantante di country & western, Leo Kottke è n maestro riconosciuto di fingerpicking

sabato 7 agosto 2021

Paradiso perduto [di Abel Gance - 1939]

... because we are also what we have lost. A. G. Iñárritu


Michele Mittiga
di Rocco e Caterina Fera
8 agosto 1893 - 27 settembre 1962


Amalia Gliozzi 
di Luigi ed Elisabetta Mittiga 
8 agosto 1925 - 10 marzo 2017

Immagini non del tutto inedite per queste pagine. La prima alla sua apparizione non recava l'autore del dipinto: il dottor Giuseppino Mittiga, con il suo solito sguardo di Ὀδυσσεύς [odysse͜ús].

martedì 3 agosto 2021

I racconti della luna pallida d'adosto [di Kenji Mizoguchi - 1953]

Danilo Dolci 
1924 - 1997

C’era Danilo Dolci. C’è Racconti Siciliani. C’era Platì. C’è Sull’onore nostro. C’è I Love Platì cento piccoli film intorno un paese dell’Aspromonte. Danilo Dolci sta alla Sicilia, il Golfo di Castellammare come Umberto Zanotti Bianco sta alla Calabria, la provincia di Reggio. Il loro agire è tra “la perduta gente”. Racconti Siciliani è un flusso continuo di coscienza. E’ questo che lega il libro di Dolci alle più recenti opere letterarie uscite da Platì. Sono testi su un mondo marginale come lo sono Platì, Terrasini, Trappeto, Partinico. La letteratura che ne esce è trascendentale - e qui il riferimento si unisce al trascendente nel cinema di Bresson, Ozu, Dreyer secondo Paul Schrader – in un trasporre il valore intimo legato all’essere in qualche modo in sintonia con quei luoghi e storie che ne escono. 

- DANILO DOLCI Racconti siciliani, Sellerio, 2008
- MICHELE PAPALIA, Sull'onore nostro, Città del sole Edizioni, 2020
- I LOVE PLATI' cento piccoli film intorno un paese dell'Aspromonte, Leonida Edizioni, 2021