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martedì 15 ottobre 2019

Porte aperte [di Gianni Amelio, 1990]



Durante la mia ultima visita al cimitero di Platì ho notato che sempre più cappelle di famiglia vengono precluse allo sguardo di chi per semplice curiosità o di chi voglia conoscere il passato di quanti hanno solcato il suolo e l’aria del paese. Come se quel passato non debba essere condiviso con i pochi curiosi di memorie storiche o non debba studiarlo un laureando sul procinto di preparare una tesi, al semplice studioso di cose antiche. Ecco così negata l’interazione tra passato, presente e futuro per quelle anime di defunti con il presente e il futuro del paese. C’è da augurarsi che almeno durante la prossima ricorrenza del due novembre si promuova un evento come “Cappelle Aperte”. 

lunedì 14 ottobre 2019

Rashomon - Ma il cuore del paese dov'è?

Questo testo è quanto meno offensivo, ma al suo confezionatore poco importava dei sentimenti di una popolazione. Egli nella sua redazione, apparsa sul quotidiano allora diretto dal guru dei direttori di giornale, avrebbe inventato di tutto, anche su chi gli era caro, pur di fare carriera ed ottenere una cattedra a Rende.

Angela Montagna Casella
1946 - 2011

A PLATI' ANCHE LA SOLIDARIETA' FA PAURA LA MADRE S' INCATENA NEL PAESE
PLATI' A Platì c' è tanta curiosità ma non grande solidarietà per questa donna che s' incatena allo scheletro di quella che fu l' unica cabina telefonica del paese. Si avvicina qualche vecchia che prima si segna con la croce. Si avvicina l' anziano parroco, don Ernesto, che della mafia di Platì, dice, ha sentito parlare solo sui giornali. Torna il ritornello della criminalizzazione. Platì non ha niente a che vedere con la mafia, qui ci arrestano per fare numero e poi veniamo scarcerati, dicono alcuni giovani avvicinandosi al gruppo di giornalisti presenti in via XXIV Maggio i quali fanno fatica a capire perché assordati dal mangianastri di un giovane di colore che tenta così di attirare l' attenzione delle donne dirette al mercatino settimanale che si tiene a qualche decina di metri. La ' ndrangheta esiste, è vero, afferma il vicesindaco dc, il medico Francesco Nittica, ma qui la situazione non è diversa da quella di Milano, di Torino, di Roma. Ma Platì non sembra manifestare la stessa solidarietà di San Luca: Angela Casella, nella sua tuta viola diventata ormai la divisa di questo suo pellegrinaggio per i paesi aspromontani, fa fatica a scuotere una diffidenza antica. Un cerchio di silenzio quasi si stringe tutt' intorno. Ne abbiamo viste tante..., commenta un anziano pensionato. Gli uomini non firmano Poi qualcuno si avvicina: un mazzo di rose rosse e un libro vengono regalati a mamma Angela, assieme a qualche firma di solidarietà e qualche incitamento a sperare. Gli uomini non firmano. Non si commuovono. Guardate, dice la signora Casella rivolgendosi a loro, me lo tengono così incatenato da 510 giorni per dei soldi che non potranno avere mai perché non li abbiamo. Aiutatemi. Quasi guardinghi in molti si tengono a distanza. Noi abbiamo firmato tutta la famiglia, dice invece la signora Rosa Callipari. Ma il cuore del paese dov' è? Arrivano le notizie di un omicidio avvenuto nella notte nella vicina San Luca che martedì si è stretta attorno alla signora Casella. La mafia non rispetta tregue e continua a regolare i propri affari con la lupara. Tre colpi nella notte sono stati sparati contro un giovane, un ragazzo di 19 anni. Si chiamava Giuseppe Mammoliti, un piccolo precedente per furto. Qualcuno della sua famiglia ha avuto una parte nel sequestro di un bancario catanese. Lui rientrava a casa in piena notte non si sa da dove. Ha fatto appena in tempo a scendere dall'auto che è stato abbattuto a fucilate. E' un'altro omicidio sconvolgente che forse nessuno potrà spiegare mai. Ma da queste parti è quasi routine, specialmente nei territori di San Luca e di Platì che si contendono il triste primato dei sequestri di persona. Una ragazza guarda mamma Angela incatenata. Non capisce. Si chiama Lisa Perre. E' arrivata da pochi giorni dall' Australia. Ha ventidue anni. Suo padre e sua madre, che è accanto a lei, hanno lasciato Platì quarant' anni fa. Lo sa cosa è la mafia di Platì? Dicono che c' è la mafia a Platì, risponde imbarazzata, io l'ho letto in Australia. Questo microscopico centro da cui la gente è stata scacciata da una miseria secolare e dai flagelli naturali, conta appena 2800 abitanti ma ha tanti e tanti legami con le mafie internazionali, specialmente con quella australiana impegnata nel business della droga. Mafia che aveva a capo Joseph Trimboli, nato in queste misere case e diventato miliardario capo della malavita di Griffith e proprietario di uno yacht provocatoriamente battezzato Cannabis. Vittime di soprusi perché la terra qui era in mani a padroni rapaci peggio delle aquile, i contadini vivevano un tempo degli usi civici, retaggi di una società medievale. Negli ultimi anni la situazione è cambiata, e se possibile peggiorata. Due sindaci, Ciccio Prestia (con il mitico Massaru Peppe, il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino, solitario cacciatore di uomini della ' ndrangheta, aveva guidato già una concentrazione popolare nel dopoguerra) e Domenico De Maio sono stati trucidati dalle cosche contro cui si erano schierati seppure timidamente. Meglio stare alla larga, quindi, quando si corre il rischio di dover dire qualche parola contro rapitori e malviventi. Non fa niente allora don Ernesto Cliozzi, settantenne parroco, non si vede accanto a mamma Casella nessun amministratore, neppure il sindaco democristiano Natale Marando anni fa inquisito, arrestato e poi assolto per alcune storie poco chiare all' Usl di Locri. Una lunga serie di rapimenti La sfida di mamma Casella davanti alla montagna dei sequestri teatro dei rapimenti targati Platì (Bolis, Ferrarini, Mirko Panattoni, Marco Fiora, Castagno, Amato, Marzocco, Minervini, per citarne solo alcuni), non è comunque inutile. Torna a Locri e le solidarietà si infittiscono, la sua protesta fa scoppiare le contraddizioni delle istituzioni (magistratura e forze dell' ordine) e anche all' interno della stessa ' ndrangheta. Il consiglio comunale di Locri decide di autosospendersi prima di pronunciarsi, tutti assieme i quarantadue consigli comunali della Locride, su eventuali dimissioni in blocco. Il presidente della giunta regionale calabrese Rosario Olivo viene a testimoniare la solidarietà della Calabria degli onesti. Il consiglio regionale si riunirà il 21 per discutere il caso Casella. Don Antonio Riboldi vescovo di Acerra si è offerto come mediatore tra la famiglia e i banditi, ha segnalato ai rapitori il suo numero di telefono: O81/8857551. E l'Azione cattolica di Locri propone di restituire i certificati elettorali: perché, se lo Stato qui non si vede, a che serve votare? Cesare Casella resta nonostante tutto, nonostante gli appelli e le pressioni, in qualche anfratto sull' Aspromonte.
PANTALEONE SERGI

domenica 13 ottobre 2019

Rashomon - Mamma coraggio

... una vicenda il cui senso — che lacera la storia come una ferita destinata a divenire una inguaribile
piaga — è cosi compiutamente tragico da riuscire quasi luminoso e meraviglioso. Pier Paolo Pasolini



SEQUESTRO CASELLA - «Mamma coraggio a Platì»
«ln catene come mio figlio»
DAL CORRISPONDENTE
LOCRI _ «Mamma coraggio» è stata anche a Platì. Qui una variante ha messo ancora più in evidenza l’accorata denuncia che Angela Casella porta avanti nel chiedere il rilascio di suo figlio Cesare. In fatti la donna, giunta nel centro abitato di Platì, si è passata una robusta catena attorno al collo e si è incatenata ad  una cabina telefonica. Al suo fianco un eloquente cartellone: «Mio figlio è incatenato così da 510 giorni». A Platì era giorno di mercato, lungo la via principale numerose bancarelle di ambulanti.  Arrivano le prime donne, abbracciano mamma Angela per esprimerle comprensione e solidarietà. Molte portano i figli, li porgono verso la signora Casella. In paese della storia dei sequestri si è sempre dibattuto, magari sotto  voce, ricorrendo ad eufemismi, evitando commenti pesanti. Però un conto è parlarne astrattamente ed un altro avere davanti la madre di un ostaggio, verificarne le ambasce. Alla fine l'istinto materno ha il sopravvento e la solidarietà affiora con atteggiamenti semplici quanto eloquenti.  Una donna porta un caffè  e  lo porge ad Angela Casella,  «lo prenda ne ha bisogno››.  Un anziano, piegato dalla fatica dei campi e dagli acciacchi dell'età, affida il suo pensiero ad una delle massime tipiche della vecchia civiltà contadina che tempo fa erano legge anche a Platì. «Viditi, non è mancu curpa loru, i sti sciagurati, è ca u Signuri i fici e  non li zzapulijau» (Forse non è  colpa di questi sciagurati, è  che Dio li ha fatti ma non li ha  curati, sono rimasti allo stato  incolto). Chi va oltre sono due donne, madre e figlia, da tempo emigrate in Australia,  dove è forte la presenza di  platesi. Lisa Perre: «E' brutto tutto questo, brutto assai ed anche da noi in Australia si parla di una mafia di Platì».  Sua madre, Maria Staltari, «manco dal mio paese da 40 anni, mi è difficile riconoscerlo, oggi vedo che molti hanno paura, una volta si dormiva con le porte aperte: non saprei dire, allora si era poveri ma oggi non si sta bene››. Un vigile urbano invita a parlare anche dell'abbandono di Platì, delle frane mai rimosse, delle strade rotte, del disservizio dell'Enel, delle annuali inondazioni.  Alle undici si riparte per Locri, Angela Casella è attesa in Municipio dove è convocato il Consiglio comunale. Ad  attenderla troverà il presidente della Giunta regionale  Rosario Olivo. «Sono qui per vedere come è possibile affiancare questa madre in lotta, insisto nella richiesta di un intervento fisico, immediato, del responsabile del dicastero degli Interni. Il ministro Gava ci deve delle risposte ed è giusto che venga qui a  darcele». La popolare trasmissione televisiva «Samarcanda››, in onda sulla terza rete, ha organizzato un collegamento in diretta, nell'ambito della puntata che va in onda questa sera, con Locri. Saranno ospiti della trasmissione esponenti politici del mondo sociale, la signora Angela Casella ed altre persone rimaste in passato vittime di sequestri di persona.  p.p.  
GAZZETTA DEL SUD    Anno XXXVIII -  Giovedì 15 giugno 1989       


giovedì 10 ottobre 2019

Rashomon [di Akira Kurosawa,1950]

Colpa sua, colpa sua, credimi
non c'eri tu, non c'eri tu a difendermi …
…Io non so
io non so più
a chi credere …
Lucio Battisti, Le tre verità

Ancora una volta per descrivere la vicenda della Signora Angela Casella a Platì prendo spunto da un lavoro cinematografico: Rashomon (1950) di Akira Kurosawa. Il film, chi l’ha visto lo sa, attraverso l’abile costruzione del maestro giapponese, il Sergio Leone Tolstoi del cinema, riproponeva la stessa storia dai vari punti dei protagonisti. Oggi sono quelli dei giornalisti che erano presenti in paese il 14 giugno 1989. L' angolazione riflette la loro sensibilità ma anche gli interessi della testata su cui l’articolo appariva. Ho il sospetto che l’ultimo che leggerete sia stato stilato dalla nota redatta per l’occasione dall’agenzia ANSA, aggiungendo opinioni falsate ad hoc. Oggi, causa il tempo trascorso, si può guardare il gesto drammatico della Signora Casella con ottica diversa ed anche il modo di redigere un articolo giornalistico che andava a riguardare il paese.





La tenace protesta della donna
Incatenata
per amore
del figlio
  
 DAL NOSTRO INVIATO
 LOCRI - Ai confini orientali dell’Aspromonte, in faccia a quella che chiamano Aria del Vento, un nome  poetico per una zona fatta  d’asprezza e di incanti, la  mamma di Pavia consuma  il suo secondo incontro con  gente che non conosce; si offre e riceve una solidarietà  di poche parole, non foss’altro perché questa gente ha  più occasioni solo per piangere, ma inusuale, non foss’ altro perché questa gente è  abituata al silenzio cupo  della rabbia repressa. E' Platì, sopra la sua argilla che si sgretola, sotto la sua cappa di sospetti, di odi, di attese inutili per il niente che alligna tutt'intorno. Angela Casella è una novità, anche se triste. Si incatena nello scheletro superstite di una cabina telefonica. Mio figlio, dice, è incatenato cosi da 510 giorni.  Le donne e i bambini di Platì accorrono, fanno un capannello commosso di speranza, scrivono sul librone che la mamma di Pavia si porta appresso nome e cognome. Elisabetta Schimizzi e i suoi tre bambini sono i primi a firmare. Poi la signora Lisa porta solidarietà e regala un libro, la trilogia di Richard Bach: «Il gabbiano di Livingston», «Illusioni», «Nessun luogo è lontano», con dentro una penna di gabbiano e un fiore secco in ogni pagina, ha il sapore di un'antica reliquia personale, d'un simbolismo semplice che parla di libertà e di luce dopo il buio della prigionia. «Che possa al più presto riabbracciare il suo dolce ƒiglio...››.  La mamma di Pavia sgrana i suoi occhi che sembrano più grandi del solito sul viso affilato, che ripetono «Aiutatemi a cercare mio figlio, possibile che nessuno mi può aiutare?››. Una vecchia avvolta nello scialle nero riesce a dire, come pregasse «Al più presto riavrà suo figlio» e corre via. In piazza 24 Maggio, angolo con via Battisti, ma la piazza non è più di uno slargo dove c'è posto per uno sgangherato carretto  che vende frutta, è giorno di  mercato, il tempo si ferma  due ore. Le donne sono con lei e le fanno dire: “Ho trovato più solidarietà qui che a Pavia”.
Ma gli uomini? Gli uomini di Platì guardano. I giovani di Platì scrutano. Ma non s’avvicinano. Unica eccezione il parroco, don Ernesto, non ha però voglia di parlare: «E' un dramma, noi non possiamo fare altro che  pregare». Perché così muti, gli uomini, i giovani? «Si, siamo solidali con lei ma siamo ƒatti cosi. La donna è diversa. Più coraggiosa? Forse, chissà, non so». Come ti chiami? «Eh no, di nomi qui non se ne fanno». Ma si può sgomitolare il rancore. Lo Stato lontano, lo Stato latitante, lo Stato che non fa niente: è la litania continua, ossessionante degli uomini, dei giovani. «Nemmeno la tivù, si vede. Il primo canale qualche volta e male. Poi c'è la tivù di Gheddafi. Almeno parlasse in italiano!». 
Qualcuno mostra la cartella dell'Inps: 6.443.000 lire la pensione 1988. «Siamo in cinque, cosa dobbiamo fare?››.  Fanno vedere quei bambini che giocano: «Per loro non c' è futuro. La signora piange da 510 giorni, noi da sempre». Un epitaffio crudele, immodificabile. E intanto raccontano di un ragazzo, Giuseppe Mammoliti, 19 anni, ucciso di notte a colpi di pallettoni, davanti alla sua casa di San Luca, la prima tappa di questo allucinante viaggio della mamma di Pavia. Un altro morto ritrovato nella piana di GioiaTauro.. «Ma e proprio maledetta questa terra?» dice una donna. La piccola piazza è la faccia di due Platì, di due calabrie: la solidarietà da una parte, il rancore dall’altra. Il vice sindaco DC Franco Mittiga spiega: «La mafia, la 'ndrangheta non stanno solo qui. Ma a Palermo, a Roma, a Torino, a Milano, ovunque si prospetta un atto di delinquenza. Ma qui sono disoccupati e ignoranti, là intellettuali e protetti». Un solco profondo come  una ferita incancrenita. Si lamentano arresti di innocenti da una parte; si prega per la liberazione di Cesare dall’altra. Francesco, 63 anni, brontola. La moglie lo trascina via, sembrano recitare a ruoli invertiti. «Lei -  dice - è commovente ma il cuore di quelli è duro come un sasso. Per il popolo, per noi, sarebbe meglio che la legge facesse qualcosa. Io sono comunista ma devo dire che molte cose andavano meglio prima della democrazia».
Su Platì, come la mamma di Pavia se ne va cala il silenzio di sempre.
Silvano Romano  
IL TEMPO    Anno XLVI / N. 157  Giovedì  15 Giugno 1989
seguita qui:

mercoledì 9 ottobre 2019

La corsa del ghiro [di Nando Cicero, 1960]



55800 N. Cedar Road
Mishawaka IND
46544

Alla Famiglia Gliozzi
Platì – (Reg. Cal.)
89093  Italy

Mishawaka settembre 9 – 76
Carissimi Ciccillo, Ernesto e Amalia
Auguro che state tutti bene, noi molto bene
ieri ha scritto Ricky e dice che è contento di avere il professore d’Italiano molto bravo e bene dall’alta Italia.
Ho saputo dell’omicidio del Cav. Furore, ci siamo tanto dispiaciuti, mi potete dire qualche cosa su questo? Avete fatto la festa di Loreto quest’anno? Ditemi se volete che mando la medicina per quel ragazzo, non mi viene in mente chi può essere, comunque sono contenta se lo posso aiutare, ditemi come va Rosina, Peppe e MGemma, ieri Totò si è alzato prima dell’alba e mi ha detto, vado nel nostro bosco per cacciare due ghiri, ha portato due belli grandi, lui l’ha bruschiati e puliti perché io mi nasio, mi è venuto in mente quando fui costà Annina ha portato il ghiro a MGemma a Locri e la superiora l’ha mangiato con tanto gusto, le altre suore anno detto  a noi mangiamo i ghiri coltivati.
Qui oggi è una giornata scura e piovosa, scrivetemi e datemi notizie su qualche cosa
con affetto mando tanti baci per tutti quanti
affma Iola
MGemma è tornata a Roma?

lunedì 7 ottobre 2019

Kyôshû* [di Takehiro Nakajima, 1988]


Milano 21. 7. 70

Miei carissimi cugini,
l’amata ed adorata zia Bettina ci ha anch’essa lasciati, scavando nel nostro cuore un abisso ancor più profondo di quello lasciato dagli altri nostri cari, perché in Essa avevamo riversato tutto il nostro affetto e la nostra devozione.
Una così dolorosa notizia è giunta a me come all’ultimo dei conoscenti, con tanti giorni di ritardo, come se nulla mi avesse legato alla cara zia. Così adesso son qui a scrivere una lettera che non avevo la forza di incominciare, per farvi giungere una parola di conforto che non riesco ad esprimere, tanta è l’amarezza e lo sconforto per non esservi stato vicino, per non aver potuto insieme a voi porgere anch’io il mio tributo di affetto e di amore a quella zia cara, che mi ha coperto di premure amorevoli, di affetti soprattutto nei momenti più delicati della mia adolescenza.
Adesso non rimane che il ricordo, ma nel mio ricordo Essa sarà sempre viva, perché La porterò nel cuore assieme alla mamma, allo zio Michele, allo zio Luigi. Nel farvi coraggio per superare questa nuova prova impostaci dall’Alto, vi stringo tutti in un caloroso, affettuoso abbraccio e unisco le mie alle vostre preghiere invocando che dal Cielo scenda la benedizione dei nostri cari

Sempre più aff.mo
                               Mimmo

A quasi quasi cinquanta anni dalla morte della nonna Lisa, questa lettera di Mimmo Diaco, classe 1939, rinnova il dolore per la scomparsa di una presenza avvertita dalla nascita. Tanto più grande è il dolore postumo a causa di quel umile rimprovero che Mimmo rivolge ai cugini. Ma è anche una lettera di dispiacere che possiamo estendere a tutti i nostri cari che non ci sono più.

*Kyôshû, io ricordo

domenica 6 ottobre 2019

The Trip [di Roger Corman,1967]


Dopo aver esplorato l’Aspromonte sulla direttrice San Luca-Platì-Ciminà, il giovedì successivo ci affidiamo alla guida esperta di Mimmo, giarruneiu, Catanzariti che, oltre a conoscere i luoghi, ne conosce la Storia e gli studi più aggiornati. Ci diamo appuntamento a Bianco dove dobbiamo incontrarlo. Siamo in cinque più Blondie (la mia nevrotica cagnetta): Marina e Sergio (che ha guidato con perizia su strade impraticabili), io, Marilisa e Pina. Ci fermiamo in un bar di Bianco ed ecco arrivare Mimmo che conoscevo solo in foto. Un abbraccio di ben ritrovati parenti poiché sua nonna era prima cugina con il mio bisnonno. Il nostro antenato comune è Antonio Perre nato nel 1814 e deceduto nel 1881, ma in Calabria la parentela, la cuginanza, vale e si sente fino alla settima generazione.
Dopo un caffè prendiamo la strada per Pentedattilo, il borgo abbarbicato sotto una rupe le cui rocce a punta ricordano una mano e le sue cinque dita. È un paese disabitato, ora una frazione di Melito Porto Salvo, che riprende vita d’estate con le sue botteghe artigiane ed alcune case ristrutturate da affittare “con o senza fantasmi” come ci informa Giorgio nella sua bottega denominata Pentegatto (sopra ed accanto, un rifugio ospita una colonia di gatti). Ci intrattiene a lungo con i suoi racconti sul paese, i suoi fantasmi, le tragedie del passato ed il film festival di cortometraggi.

Riscendiamo sulla costa per avviarci verso Bova. A Condofuri, fra il traffico veloce sulla 106, incontriamo un cane in palese difficoltà che rischia di essere investito o forse lo è già stato. Mimmo, Marina e Sergio lo soccorrono, viene rifocillato e legato all’ombra in attesa di soccorsi perché intanto sono stati informati e coinvolti sindaco, associazioni animaliste ed ENPA. Riprendiamo la strada con il magone e la speranza che venga raccolto ed accolto da qualcuno. (Saremo in seguito informati che il padrone del cane era stato rintracciato e lo aveva ripreso con sé.)

Ci arrampichiamo verso Bova su strade che solcano i calanchi delle brulle colline a sabbia calcarea erose dalle acque piovane. Arriviamo in tempo per pranzare su un piccolo terrazzo con vista sulla vallata. Marilisa ci offre gli antipasti preparati da lei e dalla mamma. Ordiniamo una lestopitta ripiena (pane azzimo fritto) presa da un localino gestito da due simpatici e flemmatici fratelli gemelli. Hanno anche semi-adottato (nel senso che va e viene a suo piacimento) un ex cane da pastore che ha preferito la libertà alla pratica della pastorizia. La mia lestopitta è ripiena di salsiccia e di una gustosa parmigiana che Cracco lévati! Incontriamo le sorelle Romeo impegnate nella Pro Loco e nella promozione della lingua grecanica e delle sue tradizioni.

Dopo una digestiva grappa alle ciliegie ed il caffè, riprendiamo il viaggio verso l’interno dell’Aspromonte fra strade che si inerpicano su calanchi e si immergono in boschi di faggi: aumentano gli incontri con greggi di capre sorvegliate dai cani ed aumentano anche i tratti di fondo-strada dissestato. Mimmo ci precede con la sua auto e dopo un interminabile percorso in mezzo a boschi così fitti da oscurare la luce del sole, salite e discese da capogiro, paesaggi di pendici boscose e l’Amendolea che serpeggia nel fondovalle, arriviamo ad una passerella di legno. Parcheggiamo e percorriamo la passerella. Marilisa si blocca, poco prima di una curvatura del percorso, Pina chiede se c’è qualche animale, Mimmo annuisce sornione, mi affaccio e lo vedo: il gran testone di pietra del Drako. Una roccia che il caso o l’uomo ha poggiato su un basamento.  Ricorda la testa di un Drago con cerchi incisi dall’uomo a formare, forse, gli occhi della gran bestia. È un luogo antico, magico, che trasmette vibrazioni particolari e che guarda ad un declivio sotto al quale altre rocce particolari ricordano dei capezzoli ed infatti vengono chiamate le Caldaie del Latte dove si favoleggia che la gran bestia andasse a nutrirsi. Lasciamo che Blondie scenda dall’auto e sembra felice perché ama i luoghi primitivi e selvaggi senza auto e con solo gli umani conosciuti. 


Risaliamo in auto e scendiamo, scendiamo verso torrenti che scorrono profondi fra massi bianchi, risaliamo una costa e riscendiamo di nuovo verso Roghudi “quello vecchio, fuori di mano”, verso il costone roccioso su cui sorge, circondato dall’ampio letto dell’Amendolea fatto di case da cui si godeva lo spettacolo della grande fiumara, stradine, una chiesa, una piazzetta semicoperta da un pergolato, un pezzetto di orto in cui una mucca pascola, sembra impastoiata ma non lo è e ci aspetterà, al ritorno, in mezzo alla via quasi ad impedirci di andare e lasciarla di nuovo sola. Il borgo è stato abbandonato negli anni ’70 da abitanti convinti a spostarsi in un borgo nuovo sulla costa, vicino a Melito Porto Salvo, lontanissimo dal borgo vecchio, fatto da case che sembrano container, senza tetti di tegole e senza carattere. Ho l’impressione che ci sia stata la volontà di distruggere la peculiarità degli insediamenti in Calabria: luoghi impervi, ma con carattere; difficili da raggiungere, ma immersi nella geologia della Regione; luoghi dalle economie povere, ma più vicine ai cicli della natura. Come ha scritto Stajano in “Africo”, montanari dediti alla pastorizia costretti a diventare altro, ma poi cosa? Emigranti? Pescatori senza barche? Contadini senza terre?

 
La strada del ritorno è lunga e tortuosa come l’andata, ma senza le interruzioni per “vedere” solo una pausa per comprare un famoso amaro, vedere la luna sorgere e poi per conoscere e salutare la famiglia di Mimmo.


Foto e testo Rosalba

A viaggio lisergico, soundtrack lisergico:

giovedì 3 ottobre 2019

Crimine silenzioso - 3° giorno


Sarà così per sempre?

mercoledì 2 ottobre 2019

Crimine silenzioso - 2° giorno


Secondo giorno di lagnanza di fronte il delitto messo in atto nel Duomo di Platì.

martedì 1 ottobre 2019

Crimine silenzioso [di Don Siegel,1958]



Questa pagina per protestare contro il crimine messo in pratica dentro il duomo di Platì. E’ ora che il popolo platiota alzi la testa dal sacco di canigghia in cui l’ha depositata.