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domenica 19 novembre 2017

Donne in un giorno di festa (reg. Salvatore Maira - 1993)






Platì  Protesta di duecento donne che hanno consegnato al sindaco una petizione contro le “criminalizzazioni
Assediano il Municipio con la mimosa in mano
PLATI - La giornata dedicata alla «Festa della donna» è stata scelta da duecento donne di Platì per assediare il Municipio e, con la mimosa in mano, chiedere al Sindaco di farsi portavoce della loro protesta contro i provvedimenti restrittivi recentemente emessi dal Tribunale della Libertà di Reggio Calabria che raggiungono, tra gli altri, anche 32 donne accusate di associazione per delinquere dì stampo mafioso.
Al sindaco è stata consegnata una petizione dai toni duri, firmata da circa duecento donne, tra queste molte delle quali figurano nel provvedimento giudiziario che tanto clamore ha suscitato, e non solo a Platì.
Ovviamente si grida alla criminalizzazione del paese, e si lanciano anatemi contro le presunte «persecuzioni» di cui tutti in paese si dicono vittime. Il sindaco, Francesco Mittiga, ha avuto il suo da fare per stemperare gli animi, alla fine ha parlato alle donne che affollavano il piazzale del Municipio per garantire che avrebbe divulgato la petizione.
«Sono e sarò con voi- ha detto il sindaco Mittiga - perché abbiano risposte positive l`ansia di lavoro e la necessità di avere strutture pubbliche agibili e civili. Su questo ribadisco che terrò costante e fermo il confronto con le altre Istituzioni, pronto a dimettermi se non verranno onorati gli impegni presi». Più cauto è stato sul confronto con l’autorità giudiziaria: "Personalmente ritengono che occorre avere fiducia nella Giustizia e restare solidali con l’attività di chi è chiamato ad amministrarla. Fermi questi concetti - ha aggiunto - possiamo certamente chiedere una giustizia oculata, che colpisca i colpevoli ma eviti di travolgere anche gli innocenti. Dobbiamo chiedere una Giustizia dai tempi rapidi e che non guardi in faccia nessuno, ed in questo senso ci incoraggia l'onestà dimostrata dal Presidente Scalfaro che nega la firma al decreto che doveva salvare i politici che hanno rubato. A lui invierò copia della vostra petizione».
Ed ecco cosa scrivono le donne nella petizione: «Noi siamo le madri, le sorelle, le figlie, le amiche delle nostre sventurate concittadine che sono state accusate di associazione per delinquere e contro le quali e stato emesso il mandato di cattura del Tribunale di Reggio Calabria. Ci rivolgiamo a voi sindaco di Platì perché fate presente, cosi come avete fatto dopo le elezioni, che le donne di Platì conoscono la sofferenza, la miseria, le difficoltà della vita di tutti i giorni che affrontano con dignità, con spirito di sacrificio, con onore a fianco dei loro uomini. Che lo fate presente al Presidente della Repubblica, ai ministri, alla televisione che a Platì non esiste solo delinquenza, che molte volte si vuole vedere solo delinquenza dove non c'è, mentre non si vede la sofferenza della popolazione che paga lo stato di abbandono in cui è stata lasciata a quarant’anni dall'alluvione che distrusse il paese.
Voi - continua la petizione - dovete fare presente ai giudici che vogliono arrestare le nostre parenti, le nostre amiche, i nostri uomini che le responsabilità quando ci sono vanno punite ma non si può fare un'associazione per delinquere basata sulla miseria, quando a Milano si sono mangiati l'Italia e non esiste nessuna associazione per delinquere. Noi chiediamo giustizia perle nostre madri, le nostre sorelle, i nostri fratelli, i nostri mariti, per tutti i cittadini di Platì e vogliamo che voi dite come stanno le cose, che ci vuole lavoro, che si deve dare la possibilità di vivere onestamente a tutti. Se non lo farete ci recheremo a Locri, bloccheremo il Tribunale, faremo vedere che cosa è la fame, il lavoro in montagna in cui si muore congelati, la miseria, la preoccupazione per l'avvenire dei figli e di tutti. Se metteranno anche noi in carcere significa che in Italia non c'è più giustizia per la Calabria e per Platì e ognuno si regolerà che altro deve fare per vivere nel giusto. E quando andremo in carcere, quando arresteranno gli uomini e le donne che hanno avuto il mandato di cattura, assieme a noi, allora dovrete provvedere a centinaia di ragazzi, bambine e bambini che resteranno senza genitori, privi di ogni assistenza. Può darsi che allora lo Stato e i papaveri che se lo sono mangiato e continua-no a mangiarselo, si commuoveranno e gli manderanno da mangiare come fanno in Somalia e in Jugoslavia, senza preoccuparsi  dei nostri figli che per loro valgono meno e li fanno diventare mafiosi prima di nascere. Non è più possibile aspettare, pregare, umiliarsi. Noi oggi accusiamo e qualcheduno dovrà rispondere alle nostre accuse».
Fin qui la petizione, della quale è stata chiesta la diffusione anche per prevenire possibili episodi dì turbativa dell' ordine pubblico.
 Non è la prima volta che a Platì si individua nel Municipio l’interlocutore col quale protestare contro processi per sospetti reati di mafia. Un precedente analogo si registrava nel 1983, all'indomani di una ”maxiassociazione" promossa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri.
Paolo Pollichieni
GAZZETTA DEL SUD, Anno XLII – Martedì 9 Marzo 1993



giovedì 16 novembre 2017

L'Odissea (reg. Francesco Bertolini e Adolfo Padovani-1911)

In questo racconto di Barbaro Francesco ci sono molte cose che mi incuriosiscono, una su tutte le vince, quella data riportata nel testo: 2 febbraio 1959. Una data lontana nella vita di un ragazzo nato al principio del XXI secolo. Essa contiene tutte le paure passate e future di chi vive in una terra abbandonata e dove ancora tutti sono spinti alla fuga, in una zona presa d’assalto da innumerevoli volti carbonizzati, provenienti da un Sud ancora più a Sud, cercatori di un miraggio, o di un sogno, l’America, meta, di solo andata, di chissà quanti parenti di Barbaro Francesco.
A questo punto vi invito a leggerlo bene perché Francesco non fa che l'indovino di se stesso,tracciando le sue ansie, le sue aspettative, il suo avvenire; cuoricini compresi!


                   I due immigrati

Barbaro Francesco
Platì 3C, Scuola Media

Dall’Africa all’inizio della seconda metà del XX secolo due coniugi partirono per trovare pace e soprattutto lavoro in un paese industrializzato. I due si chiamavano Solah l’uomo e Carmen la donna. Solah e Carmen erano partiti su una barcona e avevano portato con se i pochi risparmi che avevano tenuto da parte e dei vecchi vestiti. I due arrivarono sul barcone e partirono insieme agli altri.
Il barcone su cui viaggiavano andava diretto in Italia ma l’obiettivo di Salah e Carmen era arrivare in America più precisamente negli Stati Uniti. Arrivati a circa 100 – 200 dalla costa il barcone si rovesciò, e ci furono più di 400 persone in mare, ma Salah e Carmen riuscirono a nuotare e raggiungere la costa dove poi vennero salvati da alcuni italiani. Per entrare in Italia i due dovettero pagare delle tasse e così persero molti risparmi, gli restarono soltanto qualche spicciolo e così non potevano a partire per l’America.
I due si ritrovarono per strada disperati, e così Salah cercò di andare a trovare lavoro. Salah in qualche modo fu fortunato, perché trovò lavoro in una locandina dove veniva pagato bene e dove venne anche ospitato insieme a Carmen. Per avere due biglietti della nave che porta negli Stati Uniti ci volevano molti soldi e quindi Salah doveva lavorare molto. Anche se ospitati i due non si ambientarono bene, non socializzarono con nessuno e non venivano visti di buon occhio perché di colore.
Salah andava a lavorare molto presto, verso le sei del mattino, e tornava a casa un po’ tardi, verso l’una di notte ed arrivava a casa molto stanco ma con il desiderio che prima o poi avrebbe avuto i soldi per comprare quei biglietti che l’avrebbero portato, insieme a Carmen, alla libertà e alla vita benestante. Dopo due anni e mezzo di lavoro e sacrificio Salah e sua moglie Carmen raccolsero i soldi per comprare due biglietti per dirigersi verso l’America. Appena comparti i biglietti i due si diressero al porto dove si sono imbarcati e partirono verso le sette e mezza di mattino del giorno 2 febbraio 1959. Il viaggio durò poco più di venti giorni.
Arrivati lì con i primi risparmi che gli erano rimasti Salah e Carmen acquistarono una casa dove cominciarono la loro vita di libertà e dove non c’era più guerra. La casa che avevano acquistato si trovava in un quartiere dove vivevano altri immigrati e quindi, i due, socializzarono molto.
Salah non ebbe problemi a trovare lavoro e così cominciarono a stare bene anche economicamente. Salah e Carmen felici del posto dove si erano insediati non si spostarono più e crearono una grande famiglia dove vissero per molti anni con amore e felicità.

Fear and Desire (reg. Stanley Kubrick - 1953)



Adelaide 13 – 10 – 1970
Dear sacerdote I am sorry if I did not right to you before and I am sorry if I am not going to church because my father does not let me go there.
I wish I could come to Italy so I could come to your church so you can lean me.
I hope your will give a kiss to the children that I like at the church.
your
friend Maria
Cua

xxxxxxxxxxxxx

Dear Mary
You wrote, me at last, a letter! How do you feel I’m very well. But I’m not getting more the priest of Careri.
I’m very sorry because you are no going to church and I hope your father will let you do just in according to you desire and catholic conscience; so I’m prying God. We all will be pleasing if you come here; I’m residing in Platì; but if you will come to Careri, I still think I come see you.
I wanted I say Hi! To everyone and want to know how everyone is?
I wish o each and to all a Merry Christmas and Happy new Year.
Love

Your friend sac. Ern…..

mercoledì 15 novembre 2017

Il Canto della Vita (reg. Carmine Gallone - 1945)


La Signora Rosina Caruso e il Col. Mimì Fera.

Fosse ancora al mondo, la Signora Rosina avrebbe, in questi giorni, compiuto i 100 anni, essendo nata a Platì il 18 novembre 1917 da Peppino Caruso e Maria Lentini.
Dacché sposò l'allora maggiore Fera - lui di anni ne avrebbe avuti, oggi, 110 - la vita della signora Rosina si divise tra Platì e Messina dove il consorte prestava servizio. Nella città dello Stretto i coniugi lasciarono la vita terrena, dapprima il marito, il 21 luglio 1992, la signora, il 23 gennaio 2013.
Chi fu fanciullo agli inizi degli anni sessanta del secolo della bomba atomica, ricorderà certamente il colonnello Fera nei pomeriggi estivi, e nelle serate di festa, passeggiare con i figli  sulla via XXIV maggio, allungandosi, superato il ponte, sino all'antenna RAI.
Per legare il nome della signore Rosina con la storia del paese dirò soltanto che la madre Maria Loreta con la sorella Caterina, sposa di Pasquale Zappia di Carlo, erano le ultime discendenti dell'avvocato Raffaele Lentini figlio di Muzio e Dorotea Roi, da qui anche la cuginanza con lo scrittore Mario La Cava. E parte dello storico sito Santa Pulinara apparteneva a quella famiglia. Chi volesse approfondire queste ultime notizie non può fare altro che andare a leggersi (o rileggersi) quanto a scritto Michele Papalia divulgando la chanson de Caci.



lunedì 13 novembre 2017

Furia (reg. Fritz Lang - 1936)


            IL DRAMMA DI UN POPOLO

Chi dia uno sguardo a una carta della Calabria si renderà conto della estensione della catastrofe che ha colpito la regione, per l’arco di duecento chilometri da Reggio a Catanzaro, oltre ad alcune limitate zone dell'interno. E' la costiera dello Jonio, la più illustre per le memorie della fiorente vita antica; e di ciò le è restata un'arcana bellezza che tanti secoli oscuri non sono riusciti a cancellare; la più povera ai tempi moderni. Il reddito medio degli abitanti di questa zona, per il settanta per cento, è di sessantaduemila lire annue. I fenomeni sismici da due secoli vi hanno cancellato quasi interamente le tracce dell’architettura di un millennio di vita; le collere della natura vi devastano periodicamente le preziose colture che l'uomo pure strappa alla terra avara.
E' la stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora, su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno, e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico, era già crollato nuovamente.
La storia delle opero pubbliche in Calabria è anche troppo nota nella regione. Di quelle elargite dal passato regime, che nell’Italia meridionale faceva una politica stagionale di lavori pubblici come un palliativo alla disoccupazione, non resta quasi più traccia. Per la verità, s'è fatto assai più nel dopoguerra che nei ventidue anni. Ma la Calabria dà sempre l’impressione d'una terra pericolante, in continua riparazione; e le riparazioni appaiono puerili di fronte alla furia improvvisa degli elementi costano molto allo Stato, da non lasciare argino alle opere fondamentali, quelle che il bilancio della guerra d'Abissinia avrebbe potuto compiere portando una regione, infelice quanto è grande la sua forza dl vivere, all’onore del mondo civile, e i suoi abitanti perpetuamente in fuga, dietro le speranze di lavoro, a una vita degna della loro intima civiltà. Perché questo è atroce della sorte dei calabresi; detentori di una antica saggezza e verità della vita, non avviliti da tanti mali sono ricacciati sempre' più a forme di vita elementari, e spesso in lotta con gli elementi come in un mondo primitivo.
Ma i lavori pubblici in Calabria sono stati sempre veduti come un rimedio alla disoccupazione stagionale, né hanno mutato stile. Concepiti come palliativo sociale, inducono imprese e lavoratori alla medesima concezione.
Mezzo secolo d'una tale pratica nella destinazione del denaro dello Stato ha creato una mentalità per cui non si sa più ci sia l’ingannato e chi l’ingannatore. Lo Stato non vi ha guadagnato di prestigio. I Governi non vi hanno mai acquistato solidarietà: la perdono anzi, da anno ad anno. Per molto tempo, la Calabria ignorò lo Stato come ne era ignorata. Venti anni dopo l'unificazione, l’emigrazione bastava a dare ai calabresi una vita e una speranza. Nuova York e Boston erano più vicine di Roma o di Milano e, se l'emigrazione fosse rimasta aperta, i calabresi avrebbero risolto I loro problemi da sé, disgregato il latifondo, riformato i paesi e le abitazioni, rammodernato l'agricoltura, industrializzato, nei suoi limiti, il paese. La chiusura delle vie degli emigranti fu la causa non ultima delle crisi sociali italiane.
Il più moderno studio organico sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governi) borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi, per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale, che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato interviene spendendo somme ingenti a fortificare i paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I bastioni che trattengono la terra.
Non si è mai tentata una soluzione radicale. Avrebbe dovuto essere lavoro e cura di intere generazioni, di sagaci amministratori e non dl fondi messi a disposizione lavori di ripiego, che danno cattivi risultati anche nella formazione morale dei lavoratori i quali sanno che si tratta di forme larvate di sussidio, come lo sanno molte imprese. Davanti all’imponenza dei mali accumulati da ormai un secolo di cattiva o distratta amministrazione, sbigottisce l'idea che nessun bilancio di nessuno Stato basterebbe a sanare i mali prodotti nella struttura della regione. Ma un giorno bisogna pur cominciare, e questo giorno puo’ essere oggi. Chi abbia un immagine dei torrenti della Calabria, dai letti larghi da uno a due chilometri, per l'estensione da dieci a quindici chilometri, i più tremendi sul versante colpito ieri, sa che impresa sia trasformarli da mostri distruttori a sorgenti di vita; ridare alle colture i greti, che diverrebbero fertili piani, creare serbatoi di energia, che sarebbero la fortuna di tutta l'Italia meridionale, che in alcune regioni è disperatamente e ineluttabilmente in ascesa, che fatalmente conquisterà una potenza comparabile alle migliori conquiste del Nord e che al Nord stesso potrà presentarsi alleata delle sue migliori fortune.
Bisogna dire queste cose, per non ridursi alle solite condoglianze d'occasione. La solidarietà nazionale si muoverà certo verso questo angolo della terra, in un pianeta pure afflitto da tante dure prove, ma con immensi poteri di recupero. Perché non resti un fugace slancio generoso, occorrerebbe che si delineasse un piano di azione, che si disponesse di uomini responsabili per la soluzione di questo dramma ormai secolare.
Il popolo calabrese ha virtù generose, ridotte ormai allo stretto mondo familiare e questa è la leva delle sue conquiste. Ha un senso della giustizia e il rispetto della persona umana e di sé, estrema reazione non ha dato spettacoli a quanto di umiliante ha dovuto subire. Per questo attraverso tante sventure, non ha dato spettacoli atroci ai quali sarebbe indotto, forse, qualunque altro popolo se fosse tanto duramente provato. Può finire in forme di disgregazione sociale, dopo avere tenuto duro per oltre un secolo nelle sue virtù fondamentali, irrimediabilmente. Questo popolo e la sua terra hanno, per tutti quelli che li hanno veduti da vicino, un non comune carattere, portano l'impronta di una vocazione a tutto quanto nel mondo è più degno di essere vissuto. A questi uomini è tempo di offrire un compito e una speranza, perché diano i risultati che conosce bene chi li ha veduti in guerra e al lavori sotto tutti i cieli.
 Corrado Alvaro
CORRIERE DELLA SERA, 24 ottobre 1953

L'articolo mi è pervenuto per interessamento di mio fratello Saro.
La foto, by Francesco di Raimondo, è di Toto Delfino

domenica 12 novembre 2017

La Religieuse (reg. Jacques Rivette - 1966)

Mi offrivi per retaggio la tua croce
invitandomi a seguirti o Re dei Re.


Maria Gemma (al secolo Serafina) Gliozzi
Platì 21/08/1917 – Roma 02/09/1999

giovedì 9 novembre 2017

Sogni (reg. Akira Kurosawa - 1990)





PARTITA DI CALCIO

L’altro giorno sono andata a Reggio con mio padre mia madre e mio fratello Rosario che gioca a calcio nella Reggina, perché doveva giocare una partita, arrivati al campo ci siamo seduti e dopo un po’ mio fratello ha segnato un gol.
A fine partita io ero molto contenta perché la squadra di mio fratello aveva vinto e lui aveva segnato altri 2 gol, a questo punto ero andata a congratularmi con lui, promettendogli che sarei andata quando andrà a giocare la prossima partita perché mi ero molto divertita.
Era la prima volta che andavo a vedere una partita di calcio, e così mi sono domandata perché noi ragazze non abbiamo tutte le possibilità che hanno i ragazzi per giocare a calcio. Comunque io sono molto felice che mio fratello è bravo a giocare a calcio infatti gioca con la Reggina l’unico rammarico che lui ha è che quando ritorna a casa non può giocare con i suoi amici perché qua da noi non c’è un campo sportivo, e così mio fratello ha detto che se un giorno diventerà famoso costruirà lui un campo di calcio così tutti i bambini potranno giocare e sognare come sta facendo lui. Infatti il suo motto è: Insegui il tuo sogno e fallo diventare realtà.

Catanzariti Angela 4C ELEMENTARE




mercoledì 8 novembre 2017

Qualcosa che vale (reg. Richard Brooks - 1957)


Il compito di trascrivere i testi consegnati dagli alunni dell’Istituto Comprensivo Statale “E. De Amicis” di Platì, concorrenti per il 1° Premio Letterario “Ernesto Gliozzi”, a circa cinque mesi da quella travolgente, radiosa, mattina, resa lieta dall’instabile irrequietezza che hanno manifestato gli alunni sull’androne antistante la Scuola Media, porta con sé ad alcune preliminari valutazioni del tutto sommarie e personali. Il totale delle opere è di 65 tra poesie e prose. I ragazzi partecipanti appartenevano alle classi quarta e quinta elementare e alle tre classi della media. Non essendosi gli organizzatori curati di dare una rigida tematica da svolgere, bambini e ragazzi si sono affidati a quelle che erano impressioni personali che abbracciavano argomenti legati alla stagione in cui il concorso si è svolto, la primavera, al luogo di residenza, Platì, e a quella che è la pressante questione adolescenziale: amicizia/amore. Non mancavano argomenti di derivazione mediatica: la natura da salvaguardare, l’inquinamento, la solidarietà, le problematiche familiari. Questo lavoro di amanuense ha messo in evidenza un pericolo, forse è meglio chiamarla devianza, di cui gli organizzatori, fiduciosi, alla loro prima esperienza, non ha tenuto in conto: il possibile ricorso al plagio, anche questo fiducioso, avendo a disposizione una qualsiasi connessione. Non sono questi episodi da considerarsi marginali data l’influenza perniciosa che le connessioni svolgono sull’utenza di qualsiasi età, classe sociale, formazione culturale. I piccoli plagiatori a loro scusante hanno argomenti che vanno dalla solidarietà alle giornate della memoria.
Per finire una indicazione da non sottovalutare: l’attaccamento di questi piccoli e meno piccoli, bambine e bambini, verso la comunità platiese da cui provengono; quasi una sorta di scongiuro verso un futuro quanto mai incerto che li aspetta, dentro e fuori i confini di una terra teneramente, in tenera età, amata, che non considera o ammette i tradimenti dell’avvenire, tanto meno un lacerante distacco.

martedì 7 novembre 2017

La Rocca (reg. Ray Enright - 1942)




Colla presente scrittura siellagamatica redatta in quadruprice originale tra noi fratelli e sorella, Domenico, Rosario, Rosina e Filippo Fera figli di Don Giuseppe e della fu Donna Mariamalia Zappia domiciliati e possidenti in Platì dichiariamo ce bonariamente si è fatta fra noi la divisione del fondo Rocca pervenutoci per per eredità materna e tocco la quota supeiore a me sottoscritto Domenico la seconda a me Rosina la terza a me Filippo e la quarta a me Rosario Fera qui sottoscritti fratelli e sorella e siamo ben contenti della suddetta divisione in modo che ci immessi in possesso ne esercitiamo ognuno i nostri diritti da veri e leggittimi padroni e quindi intendiamo rispettare la divisione sudetta anco con la penale di £ 200 dico Lire duecento
Domenico Fera
Fera Filippo
Rosario Fera
 Ed io Don Filippo Fera la cuota che spetta a me del sudetto fondo e che limita di sotto mio fratello Rosario e della parte superiore mia sorella Rosina la vendo a mio cognato Don Francesco Gliozzi del fu Domenico per il prezzo bonariamente tra noi stabilito di Lire secento ottantotto e centesimi cinquanta e che in atto mi ho ricevuto lire duecentocinquanta ed altri centosettantacinque che mi dovrù sborzare il gionro della stipula che dovrà aver luogo il giorno tre Gennaio 1874, ed il rimanente per comprimento dell’intera somma delle lire secento ottatntottoe centesimi cinquanta; dico rimanente in lire duecemto sessantatre e centesimi cinquanta che si obbliga consegnarmeli in Agosto mille e ottocentosettantaquattro
Questa vendita io la fo franca e libera di ogni ipoteca peso censo e servitù tranne il contributo fondiario e l’immetto nel pacifico possesso da questo stesso momento a disporre come legittimo padrone  a cautela
Io Filippo Fera ò venduto come sopra
Rosario Zappia Testimone
Marcello Zappia test.
Mi ho ricevuto in oltre alle lire centocinquanta altre cento lire in conto. Oggi 18 Giugno 1874
Filippo Fera


lunedì 6 novembre 2017

Vivere (reg. Akira Kurosawa -1952)

May you build a ladder to the star
Bob Dylan, Forever Young