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giovedì 18 novembre 2021

Il nostro pane quotidiano [di Friedrich Wilhelm Murnau - 1930]


LA TRADIZIONE DEL PANE DI PLATI’

Nel mio paese c’è un’antica tradizione: si fa il pane in casa con il lievito madre. Si comprano due tipi di farina che viene mischiata con l’acqua e poi viene montata a mano. Io l’ho visto fare a mia nonna nel forno a legna. Il pane è molto buono e si mantiene anche diversi giorni. Per questo il pane di Platì è molto richiesto nei paesi vicini e lontani. Si mangia con sale e origano oppure con acciughe e peperoncino calabrese può essere impiegato anche per realizzare gustose bruschette e può essere inzuppato nelle minestre dopo averlo abbrustolito.
NATALE AGRESTA


Il mio paese si chiama Platì, e si trova a i piedi dell’Aspromonte. Il pane di Platì è un elemento molto conosciuto nella Locride e nella provincia di RC. Per farlo occorre usare farina di grani antichi locali, con acqua, sale lievito madre che viene preparato dal giorno prima; Il giorno dopo si impasta a mano con molta forza insieme con acqua, farina e sale, fino a che l’impasto diviene liscio ed elastico. Dopo si formano i panetti e si mettono a lievitare sotto le coperte per circa 2 ore nel frattempo si prepara il forno, si riempie di legna e si accende il fuoco quando la temperatura è giusta si usa un tubo di ferro con attaccato un panno di cotone bagnato con l’acqua che si chiama “cajipo” e si usa per pulire il forno prima di infornare il pane, dopo di che si poggia su una pala di legno e una alla volta si mette nel forno per circa 1 ora dopo che il pane è pronto si mantiene per alcuni giorni. È ottimo da gustare caldo condito con olio sale e origano o con acciuga e peperoncino calabrese.
DOMENICO CALABRIA 4B


Il pane di Platì è molto buono. Infatti il nostro piccolo paesino e molto famoso. Il nostro pane è di un colore dorato. È fatto da ingredienti genuini e sono solo 3: acqua, farina e lievito madre, non bisogna fare molto, basta solo: impastare acqua e farina e aggiungere il lievito e mescolare finché l’impasto non sia liscio e lucido e lasciare lievitare per almeno 2 ore e infornare nel forno a legna. Il pane può essere mangiato in tanti modi per esempio, con olio, con pomodori. E si possono creare delle buonissime bruschette!
AURORA CATANZARITI


A Platì ci sono tante cose buone ma il più buono e il pane che viene impastato farina acqua sale e lievito madre poi si forma il pane poi si mette su un tavolo e si lascia lievitare per circa 2 ore coperto con una coperta. Poi si accende il forno a legna. Quando il forno è pronto per infornare si lascia cuocere 2 ore.
È così che si fa il pane di Platì
CATERINA LIGOLI


Fino al momento della lettura del testo di Domenico Calabria non conoscevo la parola cajipo, il suo significato, la sua etimologia. Ho chiesto agli amici pulinaroti ma essi riandavano a quanto scritto allo stesso testo del piccolo scolaro. Memore della profonda conoscenza del greco antico da parte dello zio Ernesto il giovane e nella mente il cognome Callipari sono andato a consultare il vocabolario greco – italiano: καλλίπαις callipais bella fanciulla, ma anche, bel volto, è quanto più si avvicina alla descrizione del piccolo Domenico.

Aurora, Caterina, Domenico e Natale erano nel passato anno scolastico – 2020/2021 – alunni della 4b delle elementari e partecipavano al premio letterario “Ernesto Gliozzi” organizzato dall’Ass. Etno-Culturale SANTA PULINARA.

L’immagine di apertura è di Natale Agresta

Con questa pubblicazione oggi sono riconoscente anche a Friedrich Wilhelm Murnau ed al suo cinema, il suo AURORA è un capolavoro oggi irraggiungibile.

 

mercoledì 17 novembre 2021

Sul lago dorato [di Mark Rydell - 1981]





Vocazione 
Nell’onomastico del Rettore Rev.mo Ca. Arc. Andrea Tacccone
Coi migliori auguri di felicità
 
Sonetto
 
Sul lago vi è un tripudio di bel sole
Le reti sono messe ad asciugare
Il Rabbi passa, l’invita … le parole
Tanto soavi! … Non si può restare!
E vanno per il mondo con le sole
Promesse, che non possono mancare.
Son “Pescatori d’uomini”. Lo vuole
Colui che regge e terra, e cielo, e mare.
L’uno – Simone – verso l’Urbe muove;
sul biondo Tebro getta la sua rete …
Oh l’abbondante pesca che traea.
E voi, altre regioni e genti nuove,
o sciti, o dotti greci – resistete
sul travolgente fascino d’Andrea?
 
Francesco Gliozzi
Seminarista 

Il mio augurio fervido e sincero giungavi oggi giorno del vostro onomastico.

 

Nel testo poetico lo zio Ciccillo, giovane seminarista, riflette le influenze e lo stile di Ernesto Gliozzi il vecchio. Nella foto invece è ritratto a Polsi nei primi anni 50, sostituto di Don Antonio Pelle da Antonimina.



lunedì 15 novembre 2021

I Normanni [di Giuseppe Vari - 1962]

 

S. M. di Mopsi – Monastero basiliano restaurato dal Conte Ruggero il Normanno come dice l’abate Pirri. (V. Cal. S. del Padre Giov: Fiorida Caropani pag. 367). S. Basilio con i tre voti religiosi modificò l’ordine degli Eliani oggi Carmelitani e nel 368 fondò in Calabria ben 400 cenobii.
Lo stendardo (di cui parla il Popsis) fu dato a Ruggero II° conte di Sicilia da papa Innocenzo II° il 25 Luglio nel Concilio Lateranense il 1139. Giorno in cui il Conte riceveva la bolla della dirrezione del regno della Sicilia dopo la pace giurata per aver egli parteggiato al favore dell’Antipapa Anacleto (Vedi Robacher).
ERNESTO GLIOZZI il vecchio

Ernesto Gliozzi il vecchio oltre che sacerdote-poeta fu certamente il primo storico platiese, qualità di cui si avvantaggerà non poco il Canonico Oppedisano per redigere la sua Cronistoria della Diocesi di Gerace ".

sabato 13 novembre 2021

Dono d'amore [di Jean Negulesco - 1958]



 

Il pane e il dono

Nel nostro piccolo paese, sin dai più remoti racconti … il pane era, e rimane la specialità che tutt’ora emerge quando si parla di Platì. Quindi Platì è sempre male come alcuni vorrebbero ma è per noi un bene. Un bene che lo si riconosce anche attraverso la semplicità di una fetta di pane appena sfornato unto di solo olio … Gusto che sa di pace e rinascita che non sempre denotano altri posti, oltre ricchezze a noi molto lontane per molto più povere di quella fetta di pane che noi cittadini del nostro piccolo paese spesso additato, offriamo sempre con il cuore anche a chi non conosciamo.
Anche a chi alcune volte ci maledice.
Questo è anche il principio e il sapore vero del paese di Platì.
SERGI ROSARIO 4b

Scuole elementari

 

Il breve testo di Rosario Sergi ha partecipato all’ultima edizione - 2021 - del premio letterario Ernesto Gliozzi, rivolto agli alunni dell’Istituto Comprensivo “De Amicis” di Platì e promosso dall’Ass. Etno-Culturale Santa Pulinara. Dalla semplicità del breve scritto emerge l’educazione e l’amore ricevuti in seno alla famiglia verso il paese innanzi tutto, e verso gli altri, che siano persone o luoghi. Così una fetta di pane di Platì si estende come una calorosa stretta di mano. Ancora nell'immagine di apertura di Domenico Perre, stessa classe stesso concorso, ritroviamo la stessa sobrietà e la stessa sintesi.

giovedì 11 novembre 2021

Il prezzo del perdono [di Alberto Carlo Lolli -1913]

Perdono, perdono, perdono
Il male l'ho fatto più a me
Mogol & Soffici, 1966

Io sottoscritto Alberto Mercurio vendo a Luigi Gliozzi tutto il frutto delle mie ulive nel fondo Sfalasi per la prossima annata olearia. Il prezzo resta fissato a secondo del prezzo che farà il Cav. re Oliva Michelino meno due lire a salma.
Le ulive saranno consegnate a misura.
Ricevo in anticipo lire cinquecento.
                                                           Platì li 14 Marzo 1911
Alberto Mercurio
Ricevute inoltre lire duecento undici e centesimi ottanta
                                                                       AMercurio

In una recente pubblicazione ho alluso un commento niente affatto gradito sull’avvocato Mercurio. Ma sull’avvocato e sulla sua figura queste pagine ne sono piene e portano la firma di personaggi coevi dell’avvocato stesso, ho solo riportato una mia impressione anche se legata in un contesto di altra natura. Ho anche accennato che era mia intenzione approfondire la figura dell’uomo e del personaggio che tanta parte ebbe ai suoi tempi anche in relazione ai suoi denigratori. Ovvio che questo non mi scusa con chi mi è ora contro. 

sabato 6 novembre 2021

I Volontari [di Domenico Costanzo -1998]



Lo “sciopero a rovescio” è una moda lanciata da Danilo Dolci in Sicilia nella seconda metà degli anni 50 del secolo scorso in una zona compresa tra Palermo ed il Golfo di Castellammare. Dopo 70 anni ecco che ricompare a Platì, causa: il malcontento tra gli allevatori di bestiame ed i “coltivatori diretti” per il totale abbandono da parte dello Stato Italiano e dell’ANAS della Statale 112. Ad allevatori e coltivatori serve come il pane. E così un’unione di volontari, giovani e meno giovani, dandosi il cambio e senza badare a spese, hanno deciso che quell’arteria per loro vitale la sistemeranno con le loro braccia. È un lavoro in alcuni tratti pericoloso per le voragini che si aprono lungo il percorso, ma di questo non hanno paura, molti di loro sono figli, nipoti e pronipoti di quanti quella strada l’hanno edificata. Per ora il Comune è al balcone, quei generosi volontari hanno solo le preghiere di padre Peppe, padre Santino unite a quelle delle mogli, nonne, sorelle e fidanzate. 



 

lunedì 1 novembre 2021

Quale Cultura? [di Luciano Emmer -1971]

 Il commento del Signor Antonio Romeo inserito in margine ad una foto recentemente postata sulla pagina Facebook I LOVE PLATI’ ha scaturito alcune considerazioni che, per non vanificarle con un semplice mi piace di rito o sorridente faccina sulla stessa pagina appena citata, ho preferito postare sul blog. Il Signor Romeo trafigge il cuore di I LOVE PLATI’: quale cultura per la Calabria, quale cultura per Platì! E’ già da qualche anno che l’Ass. Etno-Culturale Santa Pulinara con il suo Premio Letterario “Ernesto Gliozzi” rivolto agli studenti dell’Istituto Comprensivo De Amicis – quarta e quinta elementare e tutte le classi della scuola media – si sforza, in mezzo ad infinite difficoltà di qualsiasi natura, di portare gli allievi della scuola sulla strada della conoscenza del proprio territorio e delle proprie origini, senza dimenticare temi più importanti di attualità. Del resto la scuola a Platì è isolata dal contesto comunale come da quello regionale, senza contare il disinteresse da parte del Provveditorato come del Ministero della Pubblica Istruzione. I professori della Media fanno il loro lavoro impiegatizio e solo alcune maestre della Scuola Elementare hanno a cuore la loro missione. E dire, ancora una volta, che Platì è il paese d’origine di Pasqualino Perri educatore e autore di Scuola e Mezzogiorno *, l’unico saggio – dimenticato - che affronta i il problema educativo in rapporto al contesto in cui opera la Scuola.

* Pasquale (Pasqualino) Perri, Scuola e Mezzogiorno, Qualecultura editrice, Vibo Valentia 1971

 


mercoledì 27 ottobre 2021

Conflitto di classe [di Michael Apted -1991]


 

Al solito Dottor Filippo Zappia

Oh, l’abbietta creatura che è il Dott. Zappia Filippo! Come inverte le parti, alllor che parla di provocazioni, di cretinismo, di faccia tosta! Figuratevi! Lui, tutt’ una provocazione alla compassione ed allo scherno; lui, l’apoteosi del cretinismo; lui, che à la pelle più dura di quella dell’ippopotamo, lui ... parla di tali cose! E’ da ridere. Ma davvero costui ne capisce di clinica altrettanto, quant’io d’arabo!
Lui parla di correttezza e di scrupolosità, maggiore e rigorosa!
Lui l’ignobile prepotenza, e la volgare sopraffazione! E dire che le sue sono tutte cattive azioni! La sua spudoratezza non à limiti! Ha il coraggio di parlare di buona creanza! Ma dunque à dimenticato tutto, costui! La sua ignominiosa esistenza bestiale, la sua insulsagine, la sua ridicolagine, la sua strampalagine ..., mentecatto, tutto egli à obliato? Imbecille, ancor tutto bagnato dell’orina dei muli, che tradizionalmente coi suoi ha menati al pascolo, o su e giù da Bovalino pel traffico del commercio, villano insolente ed importuno, rettile schifoso, rampollo di ibrida genia, tracotante e sicofante insieme, non vede che per la sua infamia, ognuno ne rifugge, tante sono le azioni malvagie e prave di che s’incornicia il riverito suo nome?! Incosciente! C’è sale a rammentarmi che mi si è aperto sotto i piedi un baratro, quando è stato aperto dalle truffe e dall’espoliazione di certe genti che a lui son troppo note!
Se avessi rubato anch’io fin treppiedi e scarpe, se fosse io Carmine faccia lorda; e qualcuno avessi fatto miseramente perire; set oltre alla mia donna ne andasse in traccia di altre; se mi intricassi dei fatti altrui, e degli atti tutti di altri volessi far la spia; se di tutti dicessi male i tradendo la verità; se caluniassi i buoni; se diffidasse dei gentiluomini; oh allora si, non solo la casa, di correzione, ma anche il carcere meriterei. E così la società sarebbe liberata di chi introducendosi in una casa, giunge al punto di rovistare, sullo scrittoio degli altri per essere al corrente dei fatti che interessano le diverse famiglie, e propalarle, gioiendo del male; rattristandosi del bene che possa capitare ai proprii simili!
Cosi, non avverrebbe che io possa vantarmi d’avere pagati con 10 mila i baci di quella fanciulla che il Dott. sapendo di mentire per la gola, dice che io ho vilmente abbandonata! Cosi non accadrebbe che io posso gridare di avere tempo per sistemare di pagare a caro prezzo gli amplessi di una donna, fosse costei pure una tale più nota all’illustre dottore!
Così, infine, non potrei rinnovellare al mondo il fatto che anche sulle prostitute da me possedute, qualcuno non abbia per anco esatta la camorra!
E nemmeno si farebbe verificato che io avessi dato della roba non mia, a tutti quei che desiderosi di, spogliarmi, ànno abusato della mia buona fede per farsi pagare dei debiti imaginarii con proprietà della mia eredità, sia pure se all’asta fossero stati venduti dei cespiti, che poi furono ingranditi nell'estenzione a bene placido degli acquirenti, e per i quali l’ultima parola ancora non è stata detta!
Tutte le turpitudini di questa carogna puzzolente ancora del letame di che s’è infiorata la sua vita, fra striglie, cavezze, e basti; dimostrano anche una volta di più come il nostro animale altro che sifilide à nel sangue; egli ha la corruzione nell’anima, e nel cuore. Sicché il fango putrido e lurido che egli con accorgimento tenta di buttare sul viso degli onesti a tutta prova, riconosciuti da tutto il mondo per mali, rimbalza e ricade sul viso di lui!
A certi individui, però, è duro il constatarlo, non basta la vergogna di sostenere delle lotte con mezzi dei quali non si può contestare la provenienza! Non basta a certa canaglia, no, di esercitare la più largai bugia! Costoro, venuti su dai bassi fondi, e in essi vissuti e pasciuti, costoro, dico, vogliono che nella storia della canaglieria di tutto il mondo, resti, a caratteri cubitali, impressa la loro, piena di vituperii e di disonore!
  E così sia!!!
Filippo Oliva dei Conti Ricciardi
Il Circo di NERONE Anno I – N. 15  PLATI’-GERACE 11 DICEMBRE 1904

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Poco si sa e poco è rimasto de IL Circo di NERONE, Giornale semi-umoristico con sede in Platì-Gerace. Dei 15 numeri che videro la luce nell’anno 1915 è rimasta solo questa copia appartenuta a Ernesto Gliozzi il vecchio.
 "Considerate la vostra semenza: - fatti non foste a viver come bruti - ma per seguir virtute e canoscenza", la citazione dal Canto 26° del Sommo Poeta posta a ridosso della testata è un monito quasi scagliato all’intera popolazione platiese di quel tempo. Direttore responsabile, proprietario ed amministratore il dottor Vincenzo Papalia, Il Conte Filippo Oliva-Ricciardi redattore capo e l’avvocato Alberto Mercurio redattore. Redazione ed amministrazione in Corso San Nicola numero civico 1. Un numero aveva il costo di 10 centesimi delle lire di allora. Il dottor Filippo Zappia in quel tempo era il bersaglio del triumvirato sopra citato: il medico Papalia nella sua Istorosofia(1) del 1896, il conte Oliva-Ricciardi e l’avvocato Mercurio(2) con vari procedimenti penali circa i raggiri per impossessarsi dei beni del casato Oliva di cui il dottor Zappia era accusato. Purtroppo non si hanno pubblicazioni di eventuali difese da quest’ultimo sostenute, a meno che non si ventili l’ipotesi che dietro Marco da Scazia (3)
non si celasse che lui.
 

 


martedì 26 ottobre 2021

Zona di guerra [di Tim Roth -1998] - Tramonto sul campo

 Cittadini e soldati
Siate un esercito solo”
V. Emanuele III



Corrispondenza in franchigia

Zappia Domenico
Cap. M.
20° REGGIMENTO FANTERIA
8° COMPAGNIA
Zona di guerra


 
All’Egregio
Sig. Gliozzi Luigi
Via rotabile N.° 4710
Platì
Reggio Calabria
 
 
Ricordandomi le gentilezze 
usatomi invioti ringraziamenti
E saluti affettuosissimo
Dev.mo
DZappia
17 Maggio 1918

domenica 24 ottobre 2021

La Valle dell'Inferno [di Gustavo Serena -1918]



ANTICHE LEGGENDE CALABRESI
LA COLLINA “LACCATA”
della Valle dell'Inferno
La triste storia delle tre sorelle Agra, Darussa e Suia

 

Platì, 3 ottobre
Nel punto più basso e strisciante della Valle dell’Inferno, situata in mezzo all'estrema punta dell'Aspromonte, rosseggia perennemente una collinetta, bassa, bruciata dal sole, e la cui composizione geologica è di natura silicea con abbondanza di pirite ferruginosa.
Nessun pastore ha mai fatto pascolare le sue capre nella fanghiglia laccosa della collina e, d'altra parte oggigiorno non esistono più capre che si mettono su terreni ricchi di minerali, come quelle, favolose del pastore polacco Drungonar.
Fino a qualche secolo fa, esisteva, in mezzo alla «Laccata» rossastra, il rudere del castello che la leggenda vuole sia appartenuto alle tre fatidiche sorelle di Alessandro XXXVII le quali si ritirarono in quel desolato paesaggio non resistendo al dolore per la tragica disfatta del fratello.
Per chi non lo sapesse, Alessandro XXXVII era, sempre secondo la leggenda, uno dei favolosi principi dello Stato di San Polinardo.
Ma non divaghiamo e torniamo alle sorelle di quell'ultimo, della cui triste storia ancora è impregnata la mortifera terra rossastra che non conosce erbe.
Quando le tre sorelle, la bionda Agra, con la rossa Darussa e la nera Suia, vennero ad abitare nel grande palazzo, i pastori di capre che osarono avventurarsi nella zona, ebbero una sgradita sorpresa: Le tre sorelle, infatti, dimostrarono di non avere nessuna intenzione di vedere adibite a pascoli le loro rossastre terre. Agra, che era la maggiore delle tre, si assunse l'incarico di «spulicare», come diceva lei, la piccola collina. Detto fatto, chiamò a raccolta i pastori avendo in precedenza affilato il più grosso dei coltelli di famiglia, quello che il fratello Alessandro
buonanima aveva immerso, da piccolo, nel sangue di Samuele di Samotracia.
Nel suo linguaggio stregonesco, che i pastori però, capivano a meraviglia, Agra cominciò: «Cosa fi? Tent! Nenti, chiurrin, Garicà!»
I pastori risposero arrogantemente. Troppo arrogantemente, per il gusto di Agra, che li distrusse nella sua furia alluvionale di giovane strega.
Dopo il sanguinoso avvenimento, nessun pastore, fino ai giorni nostri, portò a pascolare le capre nella laccata rossastra circostante il castello.
E le tre sorelle?
Gli anni passarono anche per loro, e un bel giorno Agra disse a Darussa con voce malinconica: «Oggi, per tirare il secchio dal pozzo, ho dovuto faticare quanto Briareo quando dové infilare i cesti da boxe per lottare contro Padre Giove!»
E Suia intervenendo nel discorso delle sorelle, confidò che nel chiudere la porta del «Mabì» (il loro ripostiglio segreto), aveva sentito nello stridore dei cardini, la tragica voce di «Testa di Jizzo» che le chiedeva irritante: «Suia, Suia, quando ti fermerai?»
La povera Suia non poté completare il discorso, che cadde stecchita ai piedi di Agra e Darussa. Queste, a distanza di pochi attimi la seguirono nella mortale caduta. E il favoloso castello si disgregò intorno ai loro miserabili colpi.
Questa è la storia di Agra, Darussa e Suia, che è una delle più strane e insieme delle più, belle leggende calabresi. Il pastore che me la raccontò, mi confidò terrorizzato che nelle notti in cui la luna è al suo primo quarto, dalle zolle rossastre della collina si sente la voce di Agra cantare al vento il suo motto abituale, che uccide chi lo sente.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 4 ottobre 1956

Foto: S. Carannante

Enigmatico, autunnale, dantesco Michele Fera, che innalza Santa Pulinara (San Polinardo) a stato e la suia a fata stecchita da «Testa di Jizzo».