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martedì 28 settembre 2021

Once Upon a Time in America [by Sergio Leone - 1984]

SPERANZA / HOPE
di ROSALBA PERRI
 

In questi giorni sto leggendo “Vita” di Melania G. Mazzucco che è stato Premio Strega 2003.

È un libro sull’emigrazione dalla miseria di un paese nel Lazio alla miseria di New York. Un libro spietato e crudo, affollato di una umanità con i suoi sentimenti e con le sue crudeltà.  La differenza fra le due miserie è la speranza insita nella seconda.

È anche una rivisitazione dell’autrice delle storie di famiglia nel periodo che il proprio nonno visse da emigrante a New York e poi a Cleveland.

Nella prima parte, capitolo “L’ostinato profumo di limone” trovo questo passaggio:

Quando, nell’archivio di Ellis Island, consultai la lista passeggeri della nave Republic, a bordo della quale Diamante arrivò in America, scoprii il nome delle 2200 persone che viaggiarono con lui. Ora posso dire di conoscerli uno a uno. La nave – che dopo la sosta a Napoli fece scalo a Gibilterra – trasportava italiani e turchi. Ma la parola “turchi”, nel 1903, ai tempi dell’Impero Ottomano, significava molte cose: ebrei, greci, armeni, albanesi, siriani, libanesi, slavi, berberi. A Ellis Island sbarcò per primo Athanapos Kapnistos, sedicenne di Creta, poi Marie Kepapas, diciannovenne di Salonicco. Quindi, in successione, gruppi di Beirut, di Rodi, della Macedonia, di Samo, Vasto, Fano; poi decine di ragazzi da Platí e Gioiosa Jonica, Gerace, Polistena, Scilla, Agropoli, Nicastro, Nocera, Teramo, Castellabbate.”

E qui, vedendo menzionato Platì, mi incuriosisco e vado a controllare sul sito di Ellis Island dove trovo l’elenco dei passeggeri della nave Republic del 1906 (e non del 1903 come dice l’autrice per sue esigenze narrative).

 

These days I am reading "Vita" by Melania G. Mazzucco which was awarded the 2003 Strega Prize.

It is a book on emigration from the poverty of a village  in Lazio region to the poverty of New York. A ruthless and raw book, crowded with a humanity with its feelings and its cruelties., the difference between the two poverties being hope.

It is also a reinterpretation by the author of the family stories in the period that her grandfather lived as an emigrant in New York and then in Cleveland.

In the first part, chapter "A persistent lemon scent", I find this piece:

"When, in the Ellis Island archive, I consulted the passenger list of the ship Republic, aboard which Diamante arrived in America, I discovered the names of the 2,200 people who travelled with him. Now I can say that I know them one by one. The ship - which after the stop in Naples made a stop in Gibraltar - carried Italians and Turks. But the word "Turks", in 1903, at the time of the Ottoman Empire, meant many things: Jews, Greeks, Armenians, Albanians, Syrians, Lebanese, Slavs, Berbers. The first to land at Ellis Island was Athanapos Kapnistos, sixteen from Crete, then Marie Kepapas, nineteen from Thessaloniki. Then, in succession, groups from Beirut, Rhodes, Macedonia, Samo, Vasto, Fano; then dozens of boys from Platí and Gioiosa Jonica, Gerace, Polistena, Scilla, Agropoli, Nicastro, Nocera, Teramo, Castellabbate. "

At the mention of Platì, I get curious and go to check the Ellis Island website where I find the passenger list of the Republic ship from 1906 (and not from 1903 as the author says for her narrative needs).

Provenienti da  Platì e Natile, imbarcati a Napoli, sbarcano a Ellis Island:

Pasquale  Rinaldo, n. 1871, 35 anni, celibe (Platì)

Antonio   Zappia, n.1889, 17 anni, celibe (Platì)

Antonio    Callofan, n. 1882,24 anni, celibe (Natile)

Pasquale  Jermani (Jermanò), n. 1888,18 anni, celibe (Platì)

Giuseppe Perri, n. 1865, 41 anni, celibe (Platì)

Pietra (Pietro?) Stansio  (Strangio?), n. 1887, 19 anni, celibe (Natile)

Michele   Strangio, n. 1877, 29 anni, sposato (Platì)

Guiseppe (Giuseppe) Calabina (Calabria), n. 1887, 19 anni, celibe(Platì)

Rosario    Portolese , n. 1865,  41 anni, vedovo (Platì)

Coming from  Platì e Natile, embarked  in Neaples, desembark at Ellis Island:

Pasquale  Rinaldo, n. 1871, 35 yrs, single (Platì)

Antonio   Zappia, b.1889, 17 yrs, single (Platì)

Antonio    Callofan, b. 1882,24 yrs, single (Natile)

Pasquale  Jermani (Jermanò), b. 1888,18 yrs, single (Platì)

Giuseppe Perri, b. 1865, 41 yrs, single (Platì)

Pietra (Pietro?) Stansio  (Strangio?), b. 1887, 19 yrs, single (Natile)

Michele   Strangio, b. 1877, 29 yrs, married (Platì)

Guiseppe (Giuseppe) Calabina (Calabria), b. 1887, 19 yrs, single(Platì)

Rosario    Portolese , b. 1865,  41 yrs, widower (Platì)

 

 (*)


L’autrice continua con una riflessione sui passeggeri:

 

La maggior parte aveva meno di vent’anni. I passeggeri ragazzi di quella nave – e di tutte le altri navi di quegli anni – non corrispondono all’immagine che mi è stata tramandata. Alle fotografie che ho visto nelle mostre e nei musei, e che si sono impresse cosí profondamente nella mia memoria da condizionare la mia immaginazione. Figure dolenti e incomprensibili, comunque lontane, distanti. Ho negli occhi i volti tristi dei contadini, le loro mogli tristi, vestite di nero, i loro bambini tristi, ho negli occhi i loro tristi fagotti, che contengono tutto il loro niente. Forse ho negli occhi uno stereotipo. Possibile che tutti questi ragazzi senza bagaglio – S, single, nella casella relativa allo stato coniugale – siano partiti per non tornare? Scorro l’elenco interminabile di quei nomi – Saverio Ricci da Brodolone, 17 anni, Aniceto Ricco da Montefegato, 17 anni, Annibale Spasiani da Sgurgola, 16 anni, Giuseppe Vecchio da S. Coseno, 14 anni… – e comincio a pensare che per un’intera generazione di ragazzi l’America non fosse una meta né un sogno. Era un luogo favoloso e insieme familiare – dove si compiva, con il consenso degli adulti, un rito di passaggio, un rito di iniziazione. Altre generazioni ebbero il servizio militare, la guerra in trincea, le bande partigiane, la contestazione. I ragazzi nati negli ultimi decenni dell’Ottocento ebbero l’America. A quattordici, sedici, diciott’anni (qualcuno prima, qualcuno dopo), in gruppo, con i cugini, i fratelli, gli amici, dovevano compiere la traversata – morire – se volevano crescere, se volevano sopravvivere. Risorgere. Dovevano affrontare l’America come i ragazzi delle tribú australiane, di Papua e della Nuova Guinea affrontavano il mitico mostro che li inghiottiva per rivomitarli uomini. Dovevano essere pianti, essere persi, essere considerati morti. E dovevano tornare indietro. Solo una parte lo fece realmente: il protagonista di molte favole iniziatiche, viaggiando, spingendosi al di là dei confini del mondo noto finisce per trovare un regno preferibile a quello da cui è partito – e per restarvi, cominciando un’altra vita.

 

The author continues with her considerations on passengers:

“They were mostly under the age of twenty. The boy passengers of that ship - and of all the other ships of those years - do not correspond to the image that has been handed down to me; to the photographs that I have seen in exhibitions and museums, and which have impressed themselves so deeply in my memory as to influence my imagination. Painful and incomprehensible figures, however far, distant. I have in my eyes the sad faces of the peasants, their sad wives, dressed in black, their sad children, I have in my eyes their sad bundles, which contain all their nothingness. Maybe I have a stereotype in my eyes. Could it be that these guys without baggage - S, single, in the box relating to marital status - have left never to return? I scroll through the endless list of those names: Saverio Ricci from Brodolone,17, Aniceto Ricco from Montefegato, 17, Annibale Spasiani from Sgurgola,16, Giuseppe Vecchio from S. Coseno, 14 ... - and I begin to think that for an entire generation of youths America was neither a destination nor a dream. It was a fabulous and at the same time familiar place - where, with the consent of the adults, a rite of passage, an initiation rite, was performed. Other generations had military service, trench warfare, partisan bands, protest. The boys born in the last decades of the nineteenth century had America. At fourteen, sixteen, eighteen (some before, some later), in a group, with cousins, brothers, friends, they had to make the crossing - die - if they wanted to grow, if they wanted to survive. Resurrect. They had to face America as the boys of the tribes of Australia, Papua and New Guinea faced the mythical monster that swallowed them to revive them as men. They had to be mourned, to be lost, to be considered dead. And they had to go back. Only one part really did it: the protagonist of many initiatory tales, travelling, pushing himself beyond the confines of the known world, ends up finding a kingdom preferable to the one he started from - and staying there, starting another life.”

 

Mazzucco, Melania G. Vita (Super ET Vol. 1640) (Italian Edition) (pp.147-148). EINAUDI. Edizione del Kindle.

(*) La Republic naviga ora nel wb.
Il testo appena letto richiama da sé il titolo iniziale e il brano che segue:

lunedì 27 settembre 2021

La vita risorge - Natile, gli Oliva & Platì

La Storia di Natile Nuovo scritta dal Prof. Pino Pipicella, da oggi storico ufficiale di Natile tra Vecchio e Nuovo, è un testo venuto fuori dal cuore di quei luoghi. I fatti descritti sono stati vissuti in prima persona poiché Pino Pipicella è stato primo cittadino del Comune di Careri tra il 1993 ed il 2001, per due mandati consecutivi. Dal testo vengono fuori le intime e datate connessioni con Platì.

Natile è stato annesso al Comune di Platì per Decreto di Ferdinando II il 13 marzo 1831(1) e tale rimase fino al 1836 quando fu trasferito al Comune di Careri. Aldilà dell’appartenenza ai Comuni, tra Natile e Platì sono sempre esistiti legami di sangue con arricchimento di DNA per i due territori. Legami ed arricchimenti (natilotu era anche un alias) che ancora oggi continuano ad esistere. Per verità storica bisogna aggiungere l’assoggettamento dei territori di Natile alla potente famiglia platiese degli Oliva. Questa servitù è antecedente al Decreto Ferdinandeo e risale ad un periodo tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XIX quando Domenico Oliva suddivise i beni tra i figli avuti da Saveria Rechichi: Michele, Stefano e Arcangelo. Ad Arcangelo andarono i terreni intorno al Molino Nuovo mentre a Michele spettarono quelli intorno all’abitato di Natile Vecchio. Erede di questi ultimi divenne Michele Vincenzo, avvocato, che nel 1885 sposò Elisabetta Furore. Dal matrimonio nacquero quattro figlie, fra cui Maria Girolama, nota come a cavalera(2)  e Maria Carmela Francesca che ereditò i terreni di Natile Vecchio. Amministratore dei terreni divenne il suo sposo dottor Giuseppe Galatti fino agli anni 50 del secolo scorso.

I terreni Galatti-Oliva non subirono i forti dolori che toccarono ai beni di Filippo ed Arcangelo sul finire del 1800 quando alla morte di Francesco erede di Arcangelo divenne unico possessore il giovane Filippo di Filippo e della contessina Luisa Ricciardi, vissuto sempre a Napoli, poco avvezzo agli affari. Arrivato a Platì il conte Filippo fu da subito vittima di raggiri, e per citare l’avvocato Alberto Mercurio: adescato dalle lusinghe di certi avidi vampiri, che in breve tempo riuscirono a dilapidare quello che doveva essere inesauribile patrimonio. Di tali raggiri il Mercurio accusò la famiglia Zappia in vari procedimenti giudiziari.(3)

Parte di tale patrimonio nel territorio del comune di Careri che interessava il circondario di Natile fu acquisito dal dottor Filippo Zappia e di conseguenza dai suoi eredi che si suddivisero il Molino Nuovo e l’Angelica. Di tutto l’Impero Oliva oggi rimangono solo documenti e ruderi che ne descrivono la capillare decadenza ed estinzione. 

(1) https://iloveplati.blogspot.com/2019/02/la-piu-bella-del-reame-di-cesare.html
(2)  https://ilpaesediplati.blogspot.com/2020/05/girolama-oliva-cavalera.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2021/01/rocambole-di-giuseppe-zaccaria-1919.html
 

Edizione a cura di Rosalba Perri

Nell'immagine d'apertura un ritratto di Francesco Oliva di Arcangelo e Rosa Romeo (1817 - 1898) conservato dagli eredi.

sabato 25 settembre 2021

La vita risorge [di Victor Vicas - 1955]

La nascita di Natile Nuovo

Una storia del Prof. Pino Pipicella  (*)


''E' una civiltà che scompare, e su di essa non c'è da
piangere ma bisogna trarre da chi ci è nato
il maggior numero di memorie '' C. Alvaro

 

L' alluvione del 18 ottobre 1951 provocò nella vallata della fiumara Careri, tra Natile e Platì, circa 30 morti. L'eco della tragedia richiamò l'attenzione del governo Nazionale, guidato da Alcide De Gasperi.

Quando si diffuse la notizia che il Presidente del Consiglio dei Ministri si sarebbe recato a Platì, nella minuscola comunità natilese, sconvolta dal lutto generale provocato da 10 morti, si formò un comitato spontaneo con l'obiettivo di far conoscere al governo anche la situazione in cui si trovava l'abitato di Natile, sovrastato da una frana.

Il giorno programmato per la visita di De Gasperi a Platì, di buon mattino, un drappello di persone, formato prevalentemente da donne e bambini delle scuole elementari, guidato dal cav. Giovanni Napoli ed accompagnato dal segretario della sezione degli ex combattenti, raggiunse la SS 112 proveniente da Careri.

In attesa del transito del corteo presidenziale, i convenuti si disposero ai bordi della strada con in testa i bambini, (di cui facevo parte anch' io); lo spazio occupato era quello compreso tra la casa cantoniera e la fontana Angelica.

Il corteo era preceduto da motociclisti che si attivarono ad avvertirci di non ostacolare il transito, ma appena arrivata l'autovettura del Presidente, il portabandiera, agitando il tricolore, si accostò alla vettura che si fermò per far scendere l'illustre Statista

Una mamma, ''Brandina'', prese la parola:” L’alluvione ci portò via tutto. I dieci morti hanno provocato un lutto profondo in tutti noi. La frana che sovrasta l'abitato ci schiaccerà come sorci nella tana, dimenticati da Dio e dagli uomini.”

Questi concetti espressi con lessico approssimativo, ma con fervore appassionato e con le guance solcate dalle lacrime, colpirono profondamente il Presidente. Questi, con gesto confortevole, si rivolse prima alla donna che era intervenuta e poi a tutti i presenti con queste parole: “Da oggi non sarete più soli. Mi ricorderò di voi e il governo si farà carico dei vostri problemi.”

Le forze dell'ordine trassero un sospiro di sollievo e il corteo proseguì per Platì.

Il Presidente effettivamente non si dimenticò di Natile e dei suoi problemi.

In tempi brevi giunsero funzionari ministeriali che, assieme a quelli provinciali, effettuarono i sopralluoghi che si conclusero con il giudizio di totale trasferimento dell'abitato.

Superata questa fase, con l'emissione del relativo decreto ministeriale, ancora vigente, bisognava indicare l'area dove far sorgere il nuovo abitato.

A tal proposito c'era chi proponeva una zona vicinissima al vecchio abitato e chi preferiva una zona più ampia al di là della fiumara. Tale divisione perdurò per molti anni, tanto che quelli che si trasferivano nel nuovo centro abitato venivano definiti ''Cantuneroti'' da chi avrebbe preferito restare a Natile Vecchio.

La prima proposta era sostenuta dai cosiddetti 'Gnuri', la seconda era caldeggiata dal Cav. Napoli. Passò la seconda, anche per l'astuzia del Cav. Napoli, che presentò come Parroco di Natile il sacerdote don Antonio Sculli, allora docente presso il Seminario di Gerace, favorevole al trasferimento del paese e non don Filippo Ietto, che apparteneva alla famiglia 'Gnuri' invece contrario.

Quindi l'area indicata fu contrada Angelica nel comune di Careri lungo la SS122, esattamente dove c' era stato l'incontro con il Presidente. Proprietaria dell'aria da urbanizzare era la famiglia Zappia-Principato di Platì che possedeva una chiesetta patronale a cui era molto legata donna Chiara Principato, prodigale benefattrice. Forse non a caso la titolare della parrocchia di Natile Nuovo è S. Chiara Vergine.

I lavori per la preparazione del piano regolatore richiesero l'utilizzo della manodopera locale, pastori e i contadini diventarono manovali e muratori

La seconda fase si sviluppò con la realizzazione della chiesa, della sede municipale e degli alloggi di pronto soccorso.

Ma per procedere all' assegnazione degli stessi si presentò in tutta evidenza il problema della burocrazia e della legalità.

Anche in questo caso essenziale fu il contributo del Cav. Napoli, il quale, essendo impiegato comunale e conoscendo la situazione di ogni cittadino di Natile, riuscì a far coincidere situazioni di fatto e di diritto.

Ultimati gli alloggi popolari si passò all' assegnazione, per sorteggio, del terreno sui cui costruire l'abitazione distrutta a Natile Vecchio con i fondi dello Stato.

Un discreto numero di cittadini ottenne l'assegnazione ma non ricevette mai il contributo statale per la ricostruzione: probabilmente a causa della generosità del reperimento degli aventi diritto.

Per qualche anno ancora le ditte che si erano aggiudicati gli appalti garantirono il lavoro per alcuni cittadini, mentre gli altri presero la via dell'emigrazione prima per Milano e Torino e successivamente per la Francia e la Germania.

Intanto a Natile Vecchio continuarono a vivere non solo le famiglie che non avevano ottenuto il contributo, ma anche coloro che cedettero l'abitazione realizzata a Natile Nuovo ai propri figli appena sposati. I terreni agricoli che appartenevano all' 80 % al latifondista Galatti, fin da quando Natile e Platì costituivano un unico Comune, furono frazionati e acquistati dai natilesi che cercarono ulteriori spazi estendendosi oltre il comune di Careri, Benestare ed Ardore.

Alla luce di questa situazione l'Amministrazione Comunale di Careri ''1997-2001'' , approssimandosi il cinquantesimo anniversario del tragico evento alluvionale, decise di ricordare il sacrificio dei dieci morti dedicando un monumento ai caduti dell' alluvione .

Nello stesso tempo conferiva al prof Antonino Ietto, ordinario di geologia presso l'Università della Calabria, l'incarico di ''studio geologico e tematiche affini per quanto occorrente ad una redazione di PRG, con particolare interesse alla verifica di una conferma o meno al trasferimento del nucleo urbano di Natile Vecchio'' .

Tale studio geologico è stato consegnato al comune di Careri in data 10/11/2002.

Da questa data si sono susseguite tre Amministrazioni comunali e due Commissariamenti a seguito dello scioglimento per mafia.

Ma nessuno ha dato seguito alle sagge indicazioni dell'illustre geologo in merito alle emergenze relative ai tre centri abitati del Comune.

Tanto meno è stato tenuto in considerazione il parere favorevole ad un decreto di consolidamento del prof. Ietto in sostituzione del decreto del 1951 che aveva determinato il totale trasferimento per l'abitato di Natile Vecchio.

Edizione a cura di Rosalba Perri

  (*) https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-vita-risorge-natile-gli-oliva-plati.html


domenica 19 settembre 2021

La più bella serata della mia vita [di Ettore Scola - 1972]

Marando Domenico Antonio
"Mimmo"
di Giuseppe e Rosina Mittiga
Platì 17.04.1951 - Roma 15.09.2021




voglio ritornare
 
Voglio ritornare
dove il fuoco,
splende vampe d'oro
fiammeggianti sugli alari.
Voglio ritornare
dove siede
la mia famiglia,
muta nelle lunghe sere d'inverno,
dove la mia infanzia
rivive.
 

Per
un foglio
di carta


Ho tardato nella biblioteca a studiare
per un esame che ora ho rimandato;
ho asceso e disceso lunghe rampe di scale
per affaticarmi il corpo e la mente.
Sotto la pioggia riparato dal mio
ombrello bucato, ho camminato
e sostato in attesa dell'autobus
che non passava mai.
E come uccello bagnato che vola al suo nido,
son tornato al mio rifugio.
La fame e il sonno,
che mi punzecchiavano durante le ore di studio,
si sono inimicate quando riparato,
fra le mura della mia casa, come
un mendicante tendevo le mani al fuoco
per asciugare la mia casacca
e riscaldare le mie ossa.
Serata bella, stupenda, incantevole,
e come quella tante ancora ne passerò
per consumare i risparmi di mio padre,
per un foglio di carta
che dicono si chiami «laurea››.


La foto è rubata dalle pagine FB di Mimmo, mentre le poesie erano nell'archivio di Ernesto Gliozzi il giovane

 


venerdì 17 settembre 2021

I sogni nel cassetto [di Renato Castellani - 1957]



Il 15 settembre è venuto a mancare Mimmo Marando  Per ricordarlo non c'è modo migliore che rieditare quanto pubblicato in queste pagine il 18 gennaio 217. I sogni di Mimmo voleranno al vento con le sue ceneri? La nota che seguiva è più che mai presente. A Mimmo Marando,, che quest'anno aveva compiuto i 70 anni, ed alla sua rivista PLATI' queste pagine devono moltissimo.


 Un campo sportivo che non fu mai costruito

A Platì, nel cuore dell'Aspromonte,
i ragazzi aspettano da anni
un posto dove fare sport,
ma, in una realtà sociale irta di difficoltà,
questo viene ritenuto ancora
un problema di importanza minore


Valerio Giacoia

«U faciti?››. Nella lingua del posto significa: «lo fate?››. I ragazzi sono in un primo momento timidi, nessuno - forse - è mai venuto da queste parti a chiedere loro che cosa vogliono, cosa fanno. Vinta la paura, siamo circondati. In un baleno ci avvolgono, gli occhi intelligenti, tutti in coro a chiederci se e quando possiamo costruire il campo di calcio. Cosa rispondere? Non siamo noi, spieghiamo mortificati, a doverlo fare. Noi vogliamo capire cosa succede; qui non è mai esistito un impianto sportivo, uno spazio dove giocare a pallone è considerato un miraggio.
Siamo a Plati, paesino situato nel mezzo, tra il leggendario Aspromonte, conosciuto ai più solo come rifugio e terra di briganti, prigione di sequestrati, e il mare dello Jonio calabrese, quello dei bronzi, dello stesso colore che narrava Omero. La zona, in provincia di Reggio Calabria, è proprio quella che batterono i figli di Zeus dall'ottavo secolo avanti Cristo in poi.
Tutto qui rimanda alla Magna Grecia: l'aria che si respira, il mare, i resti dei santuari e, soprattutto, l'ospitalità della gente. Come allora, pur sconosciuto, l'ospite è sacro. Ci accolgono, per loro è un giorno di festa. Per arrivare a Plati, dal nord, abbiamo attraversato, lungo la statale ionica, tanti paesi e grossi centri, simili tra loro e uniti dallo stesso destino: quello riservato, ai luoghi del sud, quello veramente profondo. Nessuno può negare che qui lo Stato è per certi versi troppo lontano. Chi viene da queste parti per la prima volta non può fare a meno di restare affascinato e al tempo stesso sconcertato. Lungo la costa, mossi appena dal vento, gli agali; stanno lì a osservare il mare e le spiagge, solitarie le lunghissime. Sull'asfalto della statale, invece, ogni due passi un posto di blocco dei carabinieri. Si resta allibiti per la quantità. E segno che le cose non'vanno spesso per il verso giusto. Quando chiediamo il perché, nessuno ci sa rispondere. Loro sono abituati.
Passiamo da Riace, città dei bronzi melanconicamente dimenticati, arrivando in pieno sole a Bovalino, sul mare. A una quindicina di chilometri verso l'interno c'è Platì. A Bovalino ci attende Domenico Marando, avvocato, che ci guiderà su per quella che lui chiama «una buona strada».
Verifichiamo di persona ciò che ci aveva raccontato al telefono: a Platì non c'è nulla. Oltre alle case, spesso ancora grezze, neanche una piazza che possa così chiamarsi. Nelle stradine del paese si sta in gruppi; parlano e gesticolano i vecchi, sulla testa il cappello, e i ragazzi in giro oppure al bar. Qualcuno lo incontreremo sull'Aspromonte, a guardare le capre, in solitudine. Altri, chi ha la macchina, fuggono a Bovalino; lì trovano la vita, le ragazze. Non esistono ulteriori occupazioni. Molti, ad esempio, non sono mai andati al cinema e l'edicola più vicina e situata fuori dal paese, non si sa bene dove.
L'avvocato Marando scrisse alla nostra rivista qualche anno fa, denunciando queste e altre cose. I ragazzi di Platì non hanno nemmeno un posto dove andare a giocare. Una breve indagine e scopriamo che è proprio vero. Un campo di calcio non è mai esistito. Una palestra, poi, è fantascienza. Perche? «Trenta anni fa - dice un ex assessore allo sport - ricordo che a Platì c'erano addirittura due squadre di calcio. Una specie di Guelfi e Ghibellini, in continua rivalità ovviamente sportiva. II calcio e lo sport rappresentavano tanto per noi. Poi è venuta I'alluvione, nel '51, e ha portato via tutto. Avevamo il campo, ora i ragazzi sono costretti a giocare per le strade, le donne gli urlano dietro perché rompono i vetri. Intanto cosa si può fare? Se gli togli anche il pallone, che fanno?››.
L'avvocato Marando va oltre. Lui fondò - qualche tempo prima di scrivere a Sportgiovane - un gruppo denominato «Alfa››, che riuniva un buon numero di giovani; aveva coinvolto quasi tutti. Marando ebbe un'idea coraggiosa; tra mille difficoltà, infatti, tentò pian piano di far capire ai propri concittadini che i ragazzi di Platì non potevano continuare a restare fuori dal mondo. Al Gruppo Alfa ci si batteva anche per il campo sportivo. Domenico Marando, pur in totale solitudine e con seri problemi fisici (fu colpito dalla poliomelite a 18 mesi), non si diede per vinto, almeno per un po'. Condusse e vinse la battaglia per l'installazione del ripetitore RAI. «Naturalmente nessun elogio, nessun umano riconoscimento», come si legge nella lettera inviata alla nostra rivista il 30 luglio 1982.
«Io penso però che è sempre meglio un po' di bene - continua - anche se si ha la certezza di essere mal ripagati, piuttosto che non fare niente e attendere che facciano gli altri. In questa direzione, secondo quest'ordine di idee si sta muovendo il Gruppo Alfa... Ora vogliamo intraprendere la lotta per il campo sportivo e pertanto chiediamo a Sportgiovane di appoggiare la nostra iniziativa. Questa deve essere la risposta civile a quella gente matura-immatura che sa solo protestare quando vede i ragazzi per strada che tirano quattro calci al pallone. A Platì è necessario il campo sportivo››.
Noi rispondemmo, promettendo di occuparci del «caso» Platì non appena possibile. E passato del tempo.
Abbiamo volutamente lasciato trascorrere degli anni, per vedere cosa ne sarebbe stato del campo sportivo, del paese, dei ragazzi del Gruppo Alfa. Ora siamo qui, abbiamo conosciuto l'avvocato che scrisse tanto appassionatamente quella lettera. Senza dubbio un avvocato povero. Abita con i suoi, una casa modesta, uno studio che per nulla ricorda gli studi ai quali siamo abituati.
«Non guadagno, facendo tutte le somme, neanche un milione al mese - dice, col sorriso sulle labbra - ma non mi lamento troppo. E poi, cosa devo farne...››.
Marando non nasconde il fatto di non essere ricco, come lo sono altri colleghi. Per lui è motivo di orgoglio non lamentarsi, accettando quello che la vita ha potuto offrirgli.
«Le cause non ci sono - ci spiega - e quelle poche che ci sono magari non me le assegnano. Poi, per certi versi, sono anche un personaggio scomodo, perché dico e faccio quello che penso, nella mia condizione di handicappato››.
E la «causa» del Gruppo Alfa e del campo sportivo?
«Vede, uno non può annullarsi completamente per gli altri, specialmente se ti accorgi che, in fondo, stai lottando da solo e sei anche criticato ››. 
Queste parole ci lasciano un po' sorpresi, ma capiamo perfettamente. Domenico Marando ha fatto ciò che ha potuto. ll Gruppo Alfa non esiste più. La biblioteca, la cineteca, il campo sportivo, tutti sogni nel cassetto di un uomo coraggioso, onesto, estremamente altruista, ma troppo solo.
«l ragazzi cominciavano a seguirmi - racconta sconsolato e quasi scusandosi con noi per non avere avuto la possibilità di accoglierci in una Platì diversa - mi accorgevo che si interessavano alle attività che gli roponevo. Avevo costruito piano piano una piccola biblioteca, con volumi che richiedevo direttamente alle case editrici, pregando di inviarceli gratuitamente. Spesso riunivo i ragazzi per la visione di un film, di un documentario, poi ognuno doveva dire la sua; ci raccoglievamo per fare lo sport. Cercavo di spiegare loro che stando assieme, iocando, anche con un po' di agonismo, potevamo lasciare fuori dalla porta I mali che affliggono tanti giovani. Lo sport può fare grandi cose per ragazzi di un paese che potrebbe coinvolgerli in tutt'altri affari››.
Quali? Platì appartiene a una delle province più turbolente d'ltalia. Mario La Cava, scrittore e giornalista, scriveva il 19 febbraio del 1986 sul Corriere della Sera: «...Bisogna ricordare che Platì non fu mai un paese di agnellini: la sottigliezza, sfociante a volte nella furfanteria, era proverbiale nei paesi della Locride...››. L'articolo si intitolava «L 'antico cuore perduto di Platì››. Un ex cittadina modello, così la ricordano Marando e gli amici, famosa per l'artigianato e per la laboriosità dei suoi abitanti. L'alluvione del 1951 portò via tutto, lasciando Platì senza forze. Da allora, come dicono, il declino.
Ma un figlio di quel «cuore» ora «perduto››, Domenico Marando, aveva cercato di cambiare le cose, che non andavano e non vanno bene non solo per colpa di calamità naturali, ma per la difficile mentalità dei più. «A un certo punto mi sono accorto che era inutile - prosegue l'avvocato - i risultati erano scarsissimi, e i ragazzi erano anche ostacolati dalle famiglie. Il campo sportivo che tanto avevamo sognato non fu mai costruito. Ero stanco e afflitto, così decisi di mollare tutto e pensare di guadagnare qualche soldo per me››.
- Perché al tempo del Gruppo Alfa si rivolse a noi?
Qui Marando ci dà una risposta che lascia intendere molte cose:
«Questo non è un paese dove lo sport non si può fare perché non esistono impianti, nemmeno un campo di calcio, anche piccolo; qualcuno pensa di fare qualcosa per la sua gente, affinché i giovani restino lontani dal male che ci circonda, ma non ci riesce. Per questo mi rivolsi a voi, a una rivista che tratta anche di questi problemi, al Coni. Credevo di rivolgermi al Padreterno››.
«Sono d'accordo che lo sport sia una cosa importante per i nostri ragazzi - ribatte il Sindaco di Platì, Natale Marando, parente dell'avvocato - ma qui mancavano ' strutture primarie, come luce, acqua e strade. Abbiamo dovuto pensare prima a queste cose ››.
ll progetto per un campo sportivo è stato fatto, presentato e - a quanto dice l'ingegner Gelonesi di Bovalino- approvato dalle autorità competenti:
«Credo che Platì avrà al più presto il suo campo ››, dice pieno di ottimismo. Il Sindaco è dello stesso parere, ma ci tiene a ribadire che qui mancano «certezze sociali» più importanti.
Domenico Marando, invece non ci crede: «Sono completamente pessimista, ma con immenso dispiacere». 

Nota
Dei giornali nazionali, tra tutti gli inviati (qui invitato) Valerio Giacoia è stato il più onesto, illuminato, sia per il motivo di base dell’investigazione (un campo di calcio) sia per chi in paese, novello Virgilio, lo aveva accolto e guidato: Mimmo Marando. Oggi questa riedizione vuole essere un omaggio a quest’ultimo ed in particolare un’esortazione agli amici pulinaroti affinché dal rintracciato fallimento di un’esperienza traggano motivo per un coinvolgimento che escluda qualsiasi perdita d’animo come di intenti, per portare avanti gli obiettivi prefissati in statuto, sfidando chi questo esperimento di ribaltare le sorti del paese pensa che non durerà.
Per tornare a Valerio Giacoia ed alla testata che lo aveva incaricato, Sportgiovane, importante è l’analisi fuori dal coro, di quei tempi andati e di quelli contemporanei, che questi fa delle condizioni, chiamiamole morali, in cui si trovava il paese, analizzate senza nessun pregiudizio come presupposto mediatico che portasse ad additare un territorio ed una comunità come dei farabutti, compresa la guida spirituale, che vi ricordo, in quel tempo, per usare un’espressione rituale, era lo zio Ernesto il giovane.
Nella foto i ragazzi del Gruppo Alfa con Mimmo Marando alla sinistra e lo zio Ernesto in centro.

mercoledì 15 settembre 2021

La grande festa [di Edmund Goulding - 1934]



TRADIZIONI DI FEDE
Festeggiamenti a Platì
in onore di San Rocco
Hanno tenuto palco i due complessi bandistici “Città di Pizzo”, e  “Città di Antonimina”
 
Platì, 18 settembre
(M. F.) Hanno avuto luogo nei giorni 15 e 16 settembre, i festeggiamenti che ogni anno ricorrono nel nostro centro in onore di San Rocco. Si è rinnovata la tradizionale processione dei penitenti, che vanno scalzi e coperti di spine per le strade del paese, con in mano enormi mazzi di candele che lasciano sul selciato una lunga teoria di goccioline di cera.
Ha suonato sulla piazza Gramsci il complesso vocale strumentale «Città di Pizzo». Ma l'aspetto più interessante della festa è stato però costituito dal famoso personaggio tradizionale del «Capitamburo»; esso è stato quest'anno interpretato dal «Complesso Città di Antonimina» diretto dal maestro Raco. Un particolare elogio tra i componenti il complesso, spetta al piccolo Antonino Raco, ragazzo prodigio di appena quattro anni, che suonava in maniera stupefacente.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 19 settembre 1956
 

Ancora una volta dobbiamo all'avvocato Michele Fera le tradizioni perdute e con esse i ricordi: dove sono Piazza Gramsci, i penitenti, i «Capitamburo»; la “lunga teoria di goccioline di cera”?-  “Tutti, tutti dormono sulla collina” direbbe Edgar Lee Masters.

Il Santo dei Santi era apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2020/11/la-statua-errante-di-fritz-lang-1920.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/09/una-preghiera-prima-dellalba-di-jean.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/09/il-santo-dei-santi-di-amerigo-anton-1963.html
https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-grande-festa-di-edmund-goulding-1934.html
https://iloveplati.blogspot.com/2015/03/il-cavaliere-della-carita-reg-flavio.html

sabato 11 settembre 2021

Faccia a faccia [di Sergio Sollima - 1967]


IL PASSERO

A Vocale era andato a cercarlo e poi al passo della Cerasara, nelle foreste della Ruffa e tra le pareti incassate del Duverso. Finalmente l'aveva preso.
Con i ceppi ai polsi lo portava verso il paese mentre la nebbia salendo dal Buonamico rendeva Pietra Longa come un punto esclamativo in un mare di nuvole.
Il Passero era un temibile ladro. Intere mandrie di pecore e capre sparivano tra le grotte di Calivia ed i fianchi di Pietra Cappa. Il versante orientale dell'Aspromonte era una groviera. Non si trovava traccia. Da solo teneva a bada branchi di cani selvaggi. Era imprendibile. I pastori lo scambiavano per il lupo Cola e gli lanciavane tizzoni ardenti quando si avvicinava agli stazzi. Con i ceppi ai polsi sperava ancora di farla franca. Verso i piani di Carrà, il sentiero diventava stretto, tortuoso e tra gli arbusti di erica arborea s'intravedevano le donne sul greto bianco del torrente a raccogliere legna.
Sembravano tante formiche. Ad un certo punto il Passero disse: «Brigadiè, io soffro di vertigine. Ho paura del vuoto. Fatemi passare dall'altra parte». Fu subito accontentato. Ad un certo punto dove il pendio era più ripido, con un balzo felino diede uno strattone al brigadiere. Ed avvinti finirono in fondo al burrone. Massaro Peppe restò stordito e contuso. Il Passero prese il volo, convinto che il brigadiere fosse morto.
E giunto sul ciglio del burrone gli gridò; «ora si ca tu 'mbarri 'u pani du guvernu! (Ora si che t'abbuffi del pane dello Stato)». Il Passero prese la via, per Natile a cercare Beniamino lo zoppo nella vecchia forgia di novello Vulcano. Liberò il Passero dai ceppi mettendolo in libertà provvisoria. A San Luca arrivarono decine di carabinieri. Ed il medico Fera con l'arciprete Giorgi si trasferì in caserma più per l'immancabile tressette che per le cure dell'ammalato. Massaro Peppe, pesto ed ammaccato, trascorreva le giornate in caserma a guardare lo sterminato greto della fiumara di Buonamico che spuntava dietro la collina del Saracino. Mangiava poco. E la fidata Caterina quando sentiva il banditore che annunziava la vendita di carne a basso macello perché una vacca era caduta in un burrone, si precipitava dal Puglisi. I cani randagi stavano acciambellati davanti alla porta balzando ogni volta che qualche lembo di carne si liberava dai fili di ginestra dove era legato. Non c'era carta da avvolgere. Molti pastori con la scusa di parlare di armenti si attardavano nella macelleria del Puglisi per avere notizie del Massaro Peppe. Ed il macellaio in un dialetto forestiero si abbandonava ad espressioni tranquillizzanti. «Non mangia nenti. 'Ncuna nticchia i ficatu. E malanova mavi. Chimmu moriva! (Non mangia niente. Un pò di fegato. Che avesse maledizione. Dovrebbe morire)». Era la fibbia o l’imbasciata per i latitanti che potevano rientrare in paese per un pò di riposo.
Massaro Peppe sapeva tutto e dal terrazzo mandava in aria ampie volute di fumo dall'immancabile pipa. Erano segnali di guerra.
La sera di Natale il Passero forte delle notizie avute dal Puglisi era alle prese con una montagna di maccheroni avvolti da ricotta salata. Dal vico della Pivula si udì il suono di una zampogna. Quando lo zampognaro fu davanti all'uscio del Passero modulò le prime note della novena di Natale. L'uscio si apri ed il boccale di vino apparve la Colt.
«Cicco, andiamo» - disse Massaro Peppe.
«Aspettate che finisca i maccheroni», fu la risposta.
Il Passero fu accontentato!
Testo e foto di Antonio Delfino

 


lunedì 6 settembre 2021

Pellegrini d'amore [di Andrea Forzano - 1951]


Affluenza di platiesi al Santuario di Polsi

 
Platì, 2 settembre
(M. F.) — Si è verificata in questi giorni la solita grande affluenza di devoti platiesi al Santuario della Madonna di Polsi.
A differenza dalle abitudini di altri centri vicini al nostro, le comitive che si recano al santuario partono a piedi si trattengono in preghiera per almeno una settimana.
MICHELE FERA
 
 
ANTICHE TRADIZIONI DI FEDE
IL PELLEGRINAGGIO
al Santuario di Polsi
Chi non conosce il sito noi può comprendere la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti
 
Polsi, 2 settembre
Anche quest'anno, una infinità di fedeli, si è spinta fra le forre d'Aspromonte, per rinnovare il tributo d'amore filiale alla Vergine, per deporre ai suoi piedi di Madre, le umane miserie ed averne in compenso, un particolare conforto.
Lunghe teorie di uomini, donne, fanciulli, s'inerpicano difatti, da giorni, per le balze malfide, lungo aerei viottoli che sconfinano in sottostanti burroni paurosi; fra pendii che sanno di fuoco, di balsami e dei sospiri degli umili.
Ma la fatica non conta, quando si ha da sciogliere un voto, invocare una ennesima grazia, per sé, pel congiunto lontano, per l'amico morente. In ogni angolo, qui, e per miglia e miglia all'intorno, insieme con le preghiere più calde, perché commiste di pianto, vi aleggia la leggenda, dolce, cara leggenda, che si perpetua nei secoli e che ha sentore di mistero:
«Conti Ruggeru, cacciandu iva, — cacciandu dassau gran nominata. — E mentri appuntu la caccia faciva, sintiù di lu divreru la chiamata. — Subitu curriu a vidiri ch'aviva: — vitti la santa Cruci scupirchiata, — nc'era lu toru chi la riviriva, — cu li dinocchia l'aviva schiavata».
«II conte Ruggero (dei Normanni), andava cacciando e nel cacciare, lasciò gran rinomanza, e mentre appunto batteva la caccia, avvertiva il latrare del cane. Subito accorso a veder cosa vi fosse, vedeva la santa Croce dissotterrata e il torello, che l'aveva con lo aiuto delle ginocchia, portato alla luce, in preghiera».
Questa leggenda, che sa tomistico e di misterioso insieme, corre più o meno falsata, più o meno abbellita, per le bocche dei vegliardi, di questa ferace Calabria, di questa buona gente dei monti, che veste ancora d'orbace, come qualcosa che interessi più direttamente questo popolo, la sua sentita religiosità, lo attaccamento alla miracolosa Madonna della Montagna, come meglio preferiscono chiamarla.
E' questa, la festa che registra una maggiore affluenza di pellegrini, e che più di ogni altra, presenta delle attrattive difficilmente raggiungibili. Ma più ancora è un mistico appuntamento dei pastori, dei cosiddetti massari, di tutta la gente più vicina alla Vergine.
Alla vista di tanti pastori, portanti i più una candida agnella, e dei pifferai in ciocie, modulanti agresti note all'ombra di secolari elci; delle madri, delle spose in preghiera, ci sembra di rivivere visioni d'altre epoche, ore di accentuato misticismo. La Montagna. Si, la Vergine che il popolo tutto proclama a gran voce regina e che ad Essa confida i riposti segreti del cuore. La Madonnina, sul cui altare i montanari formulano, sovente nel grigiore di una serata invernale, una promessa e dove si realizzano molto spesso i sogni più belli d'un amore talora contrastato, fra la rustica gente.
E' il crepuscolo. Nell'aria algente e fortemente ossigenata è un acuto odore di resine. Intorno, e giù da noi, all'ombra di annosi timi è tutta una tendopoli, un esercito di gente, d'ogni età e condizione e dai dialetti più vari ed impensati. Poco discoste da queste intere mandrie di pecore, guidate da una centuria di cani, ed infine i pastori, sorridenti, pacifici, quasi antichi patriarchi.
Chi non conosce questi siti, non può pienamente avvertirne il fascino che da essi si sprigiona, né comprendere sia pure «grosso modo» la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti.
V. VERDUCI
GAZZETTA DEL SUD 3 settembre 1956