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venerdì 17 settembre 2021

I sogni nel cassetto [di Renato Castellani - 1957]



Il 15 settembre è venuto a mancare Mimmo Marando  Per ricordarlo non c'è modo migliore che rieditare quanto pubblicato in queste pagine il 18 gennaio 217. I sogni di Mimmo voleranno al vento con le sue ceneri? La nota che seguiva è più che mai presente. A Mimmo Marando,, che quest'anno aveva compiuto i 70 anni, ed alla sua rivista PLATI' queste pagine devono moltissimo.


 Un campo sportivo che non fu mai costruito

A Platì, nel cuore dell'Aspromonte,
i ragazzi aspettano da anni
un posto dove fare sport,
ma, in una realtà sociale irta di difficoltà,
questo viene ritenuto ancora
un problema di importanza minore


Valerio Giacoia

«U faciti?››. Nella lingua del posto significa: «lo fate?››. I ragazzi sono in un primo momento timidi, nessuno - forse - è mai venuto da queste parti a chiedere loro che cosa vogliono, cosa fanno. Vinta la paura, siamo circondati. In un baleno ci avvolgono, gli occhi intelligenti, tutti in coro a chiederci se e quando possiamo costruire il campo di calcio. Cosa rispondere? Non siamo noi, spieghiamo mortificati, a doverlo fare. Noi vogliamo capire cosa succede; qui non è mai esistito un impianto sportivo, uno spazio dove giocare a pallone è considerato un miraggio.
Siamo a Plati, paesino situato nel mezzo, tra il leggendario Aspromonte, conosciuto ai più solo come rifugio e terra di briganti, prigione di sequestrati, e il mare dello Jonio calabrese, quello dei bronzi, dello stesso colore che narrava Omero. La zona, in provincia di Reggio Calabria, è proprio quella che batterono i figli di Zeus dall'ottavo secolo avanti Cristo in poi.
Tutto qui rimanda alla Magna Grecia: l'aria che si respira, il mare, i resti dei santuari e, soprattutto, l'ospitalità della gente. Come allora, pur sconosciuto, l'ospite è sacro. Ci accolgono, per loro è un giorno di festa. Per arrivare a Plati, dal nord, abbiamo attraversato, lungo la statale ionica, tanti paesi e grossi centri, simili tra loro e uniti dallo stesso destino: quello riservato, ai luoghi del sud, quello veramente profondo. Nessuno può negare che qui lo Stato è per certi versi troppo lontano. Chi viene da queste parti per la prima volta non può fare a meno di restare affascinato e al tempo stesso sconcertato. Lungo la costa, mossi appena dal vento, gli agali; stanno lì a osservare il mare e le spiagge, solitarie le lunghissime. Sull'asfalto della statale, invece, ogni due passi un posto di blocco dei carabinieri. Si resta allibiti per la quantità. E segno che le cose non'vanno spesso per il verso giusto. Quando chiediamo il perché, nessuno ci sa rispondere. Loro sono abituati.
Passiamo da Riace, città dei bronzi melanconicamente dimenticati, arrivando in pieno sole a Bovalino, sul mare. A una quindicina di chilometri verso l'interno c'è Platì. A Bovalino ci attende Domenico Marando, avvocato, che ci guiderà su per quella che lui chiama «una buona strada».
Verifichiamo di persona ciò che ci aveva raccontato al telefono: a Platì non c'è nulla. Oltre alle case, spesso ancora grezze, neanche una piazza che possa così chiamarsi. Nelle stradine del paese si sta in gruppi; parlano e gesticolano i vecchi, sulla testa il cappello, e i ragazzi in giro oppure al bar. Qualcuno lo incontreremo sull'Aspromonte, a guardare le capre, in solitudine. Altri, chi ha la macchina, fuggono a Bovalino; lì trovano la vita, le ragazze. Non esistono ulteriori occupazioni. Molti, ad esempio, non sono mai andati al cinema e l'edicola più vicina e situata fuori dal paese, non si sa bene dove.
L'avvocato Marando scrisse alla nostra rivista qualche anno fa, denunciando queste e altre cose. I ragazzi di Platì non hanno nemmeno un posto dove andare a giocare. Una breve indagine e scopriamo che è proprio vero. Un campo di calcio non è mai esistito. Una palestra, poi, è fantascienza. Perche? «Trenta anni fa - dice un ex assessore allo sport - ricordo che a Platì c'erano addirittura due squadre di calcio. Una specie di Guelfi e Ghibellini, in continua rivalità ovviamente sportiva. II calcio e lo sport rappresentavano tanto per noi. Poi è venuta I'alluvione, nel '51, e ha portato via tutto. Avevamo il campo, ora i ragazzi sono costretti a giocare per le strade, le donne gli urlano dietro perché rompono i vetri. Intanto cosa si può fare? Se gli togli anche il pallone, che fanno?››.
L'avvocato Marando va oltre. Lui fondò - qualche tempo prima di scrivere a Sportgiovane - un gruppo denominato «Alfa››, che riuniva un buon numero di giovani; aveva coinvolto quasi tutti. Marando ebbe un'idea coraggiosa; tra mille difficoltà, infatti, tentò pian piano di far capire ai propri concittadini che i ragazzi di Platì non potevano continuare a restare fuori dal mondo. Al Gruppo Alfa ci si batteva anche per il campo sportivo. Domenico Marando, pur in totale solitudine e con seri problemi fisici (fu colpito dalla poliomelite a 18 mesi), non si diede per vinto, almeno per un po'. Condusse e vinse la battaglia per l'installazione del ripetitore RAI. «Naturalmente nessun elogio, nessun umano riconoscimento», come si legge nella lettera inviata alla nostra rivista il 30 luglio 1982.
«Io penso però che è sempre meglio un po' di bene - continua - anche se si ha la certezza di essere mal ripagati, piuttosto che non fare niente e attendere che facciano gli altri. In questa direzione, secondo quest'ordine di idee si sta muovendo il Gruppo Alfa... Ora vogliamo intraprendere la lotta per il campo sportivo e pertanto chiediamo a Sportgiovane di appoggiare la nostra iniziativa. Questa deve essere la risposta civile a quella gente matura-immatura che sa solo protestare quando vede i ragazzi per strada che tirano quattro calci al pallone. A Platì è necessario il campo sportivo››.
Noi rispondemmo, promettendo di occuparci del «caso» Platì non appena possibile. E passato del tempo.
Abbiamo volutamente lasciato trascorrere degli anni, per vedere cosa ne sarebbe stato del campo sportivo, del paese, dei ragazzi del Gruppo Alfa. Ora siamo qui, abbiamo conosciuto l'avvocato che scrisse tanto appassionatamente quella lettera. Senza dubbio un avvocato povero. Abita con i suoi, una casa modesta, uno studio che per nulla ricorda gli studi ai quali siamo abituati.
«Non guadagno, facendo tutte le somme, neanche un milione al mese - dice, col sorriso sulle labbra - ma non mi lamento troppo. E poi, cosa devo farne...››.
Marando non nasconde il fatto di non essere ricco, come lo sono altri colleghi. Per lui è motivo di orgoglio non lamentarsi, accettando quello che la vita ha potuto offrirgli.
«Le cause non ci sono - ci spiega - e quelle poche che ci sono magari non me le assegnano. Poi, per certi versi, sono anche un personaggio scomodo, perché dico e faccio quello che penso, nella mia condizione di handicappato››.
E la «causa» del Gruppo Alfa e del campo sportivo?
«Vede, uno non può annullarsi completamente per gli altri, specialmente se ti accorgi che, in fondo, stai lottando da solo e sei anche criticato ››. 
Queste parole ci lasciano un po' sorpresi, ma capiamo perfettamente. Domenico Marando ha fatto ciò che ha potuto. ll Gruppo Alfa non esiste più. La biblioteca, la cineteca, il campo sportivo, tutti sogni nel cassetto di un uomo coraggioso, onesto, estremamente altruista, ma troppo solo.
«l ragazzi cominciavano a seguirmi - racconta sconsolato e quasi scusandosi con noi per non avere avuto la possibilità di accoglierci in una Platì diversa - mi accorgevo che si interessavano alle attività che gli roponevo. Avevo costruito piano piano una piccola biblioteca, con volumi che richiedevo direttamente alle case editrici, pregando di inviarceli gratuitamente. Spesso riunivo i ragazzi per la visione di un film, di un documentario, poi ognuno doveva dire la sua; ci raccoglievamo per fare lo sport. Cercavo di spiegare loro che stando assieme, iocando, anche con un po' di agonismo, potevamo lasciare fuori dalla porta I mali che affliggono tanti giovani. Lo sport può fare grandi cose per ragazzi di un paese che potrebbe coinvolgerli in tutt'altri affari››.
Quali? Platì appartiene a una delle province più turbolente d'ltalia. Mario La Cava, scrittore e giornalista, scriveva il 19 febbraio del 1986 sul Corriere della Sera: «...Bisogna ricordare che Platì non fu mai un paese di agnellini: la sottigliezza, sfociante a volte nella furfanteria, era proverbiale nei paesi della Locride...››. L'articolo si intitolava «L 'antico cuore perduto di Platì››. Un ex cittadina modello, così la ricordano Marando e gli amici, famosa per l'artigianato e per la laboriosità dei suoi abitanti. L'alluvione del 1951 portò via tutto, lasciando Platì senza forze. Da allora, come dicono, il declino.
Ma un figlio di quel «cuore» ora «perduto››, Domenico Marando, aveva cercato di cambiare le cose, che non andavano e non vanno bene non solo per colpa di calamità naturali, ma per la difficile mentalità dei più. «A un certo punto mi sono accorto che era inutile - prosegue l'avvocato - i risultati erano scarsissimi, e i ragazzi erano anche ostacolati dalle famiglie. Il campo sportivo che tanto avevamo sognato non fu mai costruito. Ero stanco e afflitto, così decisi di mollare tutto e pensare di guadagnare qualche soldo per me››.
- Perché al tempo del Gruppo Alfa si rivolse a noi?
Qui Marando ci dà una risposta che lascia intendere molte cose:
«Questo non è un paese dove lo sport non si può fare perché non esistono impianti, nemmeno un campo di calcio, anche piccolo; qualcuno pensa di fare qualcosa per la sua gente, affinché i giovani restino lontani dal male che ci circonda, ma non ci riesce. Per questo mi rivolsi a voi, a una rivista che tratta anche di questi problemi, al Coni. Credevo di rivolgermi al Padreterno››.
«Sono d'accordo che lo sport sia una cosa importante per i nostri ragazzi - ribatte il Sindaco di Platì, Natale Marando, parente dell'avvocato - ma qui mancavano ' strutture primarie, come luce, acqua e strade. Abbiamo dovuto pensare prima a queste cose ››.
ll progetto per un campo sportivo è stato fatto, presentato e - a quanto dice l'ingegner Gelonesi di Bovalino- approvato dalle autorità competenti:
«Credo che Platì avrà al più presto il suo campo ››, dice pieno di ottimismo. Il Sindaco è dello stesso parere, ma ci tiene a ribadire che qui mancano «certezze sociali» più importanti.
Domenico Marando, invece non ci crede: «Sono completamente pessimista, ma con immenso dispiacere». 

Nota
Dei giornali nazionali, tra tutti gli inviati (qui invitato) Valerio Giacoia è stato il più onesto, illuminato, sia per il motivo di base dell’investigazione (un campo di calcio) sia per chi in paese, novello Virgilio, lo aveva accolto e guidato: Mimmo Marando. Oggi questa riedizione vuole essere un omaggio a quest’ultimo ed in particolare un’esortazione agli amici pulinaroti affinché dal rintracciato fallimento di un’esperienza traggano motivo per un coinvolgimento che escluda qualsiasi perdita d’animo come di intenti, per portare avanti gli obiettivi prefissati in statuto, sfidando chi questo esperimento di ribaltare le sorti del paese pensa che non durerà.
Per tornare a Valerio Giacoia ed alla testata che lo aveva incaricato, Sportgiovane, importante è l’analisi fuori dal coro, di quei tempi andati e di quelli contemporanei, che questi fa delle condizioni, chiamiamole morali, in cui si trovava il paese, analizzate senza nessun pregiudizio come presupposto mediatico che portasse ad additare un territorio ed una comunità come dei farabutti, compresa la guida spirituale, che vi ricordo, in quel tempo, per usare un’espressione rituale, era lo zio Ernesto il giovane.
Nella foto i ragazzi del Gruppo Alfa con Mimmo Marando alla sinistra e lo zio Ernesto in centro.

mercoledì 15 settembre 2021

La grande festa [di Edmund Goulding - 1934]



TRADIZIONI DI FEDE
Festeggiamenti a Platì
in onore di San Rocco
Hanno tenuto palco i due complessi bandistici “Città di Pizzo”, e  “Città di Antonimina”
 
Platì, 18 settembre
(M. F.) Hanno avuto luogo nei giorni 15 e 16 settembre, i festeggiamenti che ogni anno ricorrono nel nostro centro in onore di San Rocco. Si è rinnovata la tradizionale processione dei penitenti, che vanno scalzi e coperti di spine per le strade del paese, con in mano enormi mazzi di candele che lasciano sul selciato una lunga teoria di goccioline di cera.
Ha suonato sulla piazza Gramsci il complesso vocale strumentale «Città di Pizzo». Ma l'aspetto più interessante della festa è stato però costituito dal famoso personaggio tradizionale del «Capitamburo»; esso è stato quest'anno interpretato dal «Complesso Città di Antonimina» diretto dal maestro Raco. Un particolare elogio tra i componenti il complesso, spetta al piccolo Antonino Raco, ragazzo prodigio di appena quattro anni, che suonava in maniera stupefacente.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 19 settembre 1956
 

Ancora una volta dobbiamo all'avvocato Michele Fera le tradizioni perdute e con esse i ricordi: dove sono Piazza Gramsci, i penitenti, i «Capitamburo»; la “lunga teoria di goccioline di cera”?-  “Tutti, tutti dormono sulla collina” direbbe Edgar Lee Masters.

Il Santo dei Santi era apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2020/11/la-statua-errante-di-fritz-lang-1920.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/09/una-preghiera-prima-dellalba-di-jean.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/09/il-santo-dei-santi-di-amerigo-anton-1963.html
https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-grande-festa-di-edmund-goulding-1934.html
https://iloveplati.blogspot.com/2015/03/il-cavaliere-della-carita-reg-flavio.html

sabato 11 settembre 2021

Faccia a faccia [di Sergio Sollima - 1967]


IL PASSERO

A Vocale era andato a cercarlo e poi al passo della Cerasara, nelle foreste della Ruffa e tra le pareti incassate del Duverso. Finalmente l'aveva preso.
Con i ceppi ai polsi lo portava verso il paese mentre la nebbia salendo dal Buonamico rendeva Pietra Longa come un punto esclamativo in un mare di nuvole.
Il Passero era un temibile ladro. Intere mandrie di pecore e capre sparivano tra le grotte di Calivia ed i fianchi di Pietra Cappa. Il versante orientale dell'Aspromonte era una groviera. Non si trovava traccia. Da solo teneva a bada branchi di cani selvaggi. Era imprendibile. I pastori lo scambiavano per il lupo Cola e gli lanciavane tizzoni ardenti quando si avvicinava agli stazzi. Con i ceppi ai polsi sperava ancora di farla franca. Verso i piani di Carrà, il sentiero diventava stretto, tortuoso e tra gli arbusti di erica arborea s'intravedevano le donne sul greto bianco del torrente a raccogliere legna.
Sembravano tante formiche. Ad un certo punto il Passero disse: «Brigadiè, io soffro di vertigine. Ho paura del vuoto. Fatemi passare dall'altra parte». Fu subito accontentato. Ad un certo punto dove il pendio era più ripido, con un balzo felino diede uno strattone al brigadiere. Ed avvinti finirono in fondo al burrone. Massaro Peppe restò stordito e contuso. Il Passero prese il volo, convinto che il brigadiere fosse morto.
E giunto sul ciglio del burrone gli gridò; «ora si ca tu 'mbarri 'u pani du guvernu! (Ora si che t'abbuffi del pane dello Stato)». Il Passero prese la via, per Natile a cercare Beniamino lo zoppo nella vecchia forgia di novello Vulcano. Liberò il Passero dai ceppi mettendolo in libertà provvisoria. A San Luca arrivarono decine di carabinieri. Ed il medico Fera con l'arciprete Giorgi si trasferì in caserma più per l'immancabile tressette che per le cure dell'ammalato. Massaro Peppe, pesto ed ammaccato, trascorreva le giornate in caserma a guardare lo sterminato greto della fiumara di Buonamico che spuntava dietro la collina del Saracino. Mangiava poco. E la fidata Caterina quando sentiva il banditore che annunziava la vendita di carne a basso macello perché una vacca era caduta in un burrone, si precipitava dal Puglisi. I cani randagi stavano acciambellati davanti alla porta balzando ogni volta che qualche lembo di carne si liberava dai fili di ginestra dove era legato. Non c'era carta da avvolgere. Molti pastori con la scusa di parlare di armenti si attardavano nella macelleria del Puglisi per avere notizie del Massaro Peppe. Ed il macellaio in un dialetto forestiero si abbandonava ad espressioni tranquillizzanti. «Non mangia nenti. 'Ncuna nticchia i ficatu. E malanova mavi. Chimmu moriva! (Non mangia niente. Un pò di fegato. Che avesse maledizione. Dovrebbe morire)». Era la fibbia o l’imbasciata per i latitanti che potevano rientrare in paese per un pò di riposo.
Massaro Peppe sapeva tutto e dal terrazzo mandava in aria ampie volute di fumo dall'immancabile pipa. Erano segnali di guerra.
La sera di Natale il Passero forte delle notizie avute dal Puglisi era alle prese con una montagna di maccheroni avvolti da ricotta salata. Dal vico della Pivula si udì il suono di una zampogna. Quando lo zampognaro fu davanti all'uscio del Passero modulò le prime note della novena di Natale. L'uscio si apri ed il boccale di vino apparve la Colt.
«Cicco, andiamo» - disse Massaro Peppe.
«Aspettate che finisca i maccheroni», fu la risposta.
Il Passero fu accontentato!
Testo e foto di Antonio Delfino

 


lunedì 6 settembre 2021

Pellegrini d'amore [di Andrea Forzano - 1951]


Affluenza di platiesi al Santuario di Polsi

 
Platì, 2 settembre
(M. F.) — Si è verificata in questi giorni la solita grande affluenza di devoti platiesi al Santuario della Madonna di Polsi.
A differenza dalle abitudini di altri centri vicini al nostro, le comitive che si recano al santuario partono a piedi si trattengono in preghiera per almeno una settimana.
MICHELE FERA
 
 
ANTICHE TRADIZIONI DI FEDE
IL PELLEGRINAGGIO
al Santuario di Polsi
Chi non conosce il sito noi può comprendere la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti
 
Polsi, 2 settembre
Anche quest'anno, una infinità di fedeli, si è spinta fra le forre d'Aspromonte, per rinnovare il tributo d'amore filiale alla Vergine, per deporre ai suoi piedi di Madre, le umane miserie ed averne in compenso, un particolare conforto.
Lunghe teorie di uomini, donne, fanciulli, s'inerpicano difatti, da giorni, per le balze malfide, lungo aerei viottoli che sconfinano in sottostanti burroni paurosi; fra pendii che sanno di fuoco, di balsami e dei sospiri degli umili.
Ma la fatica non conta, quando si ha da sciogliere un voto, invocare una ennesima grazia, per sé, pel congiunto lontano, per l'amico morente. In ogni angolo, qui, e per miglia e miglia all'intorno, insieme con le preghiere più calde, perché commiste di pianto, vi aleggia la leggenda, dolce, cara leggenda, che si perpetua nei secoli e che ha sentore di mistero:
«Conti Ruggeru, cacciandu iva, — cacciandu dassau gran nominata. — E mentri appuntu la caccia faciva, sintiù di lu divreru la chiamata. — Subitu curriu a vidiri ch'aviva: — vitti la santa Cruci scupirchiata, — nc'era lu toru chi la riviriva, — cu li dinocchia l'aviva schiavata».
«II conte Ruggero (dei Normanni), andava cacciando e nel cacciare, lasciò gran rinomanza, e mentre appunto batteva la caccia, avvertiva il latrare del cane. Subito accorso a veder cosa vi fosse, vedeva la santa Croce dissotterrata e il torello, che l'aveva con lo aiuto delle ginocchia, portato alla luce, in preghiera».
Questa leggenda, che sa tomistico e di misterioso insieme, corre più o meno falsata, più o meno abbellita, per le bocche dei vegliardi, di questa ferace Calabria, di questa buona gente dei monti, che veste ancora d'orbace, come qualcosa che interessi più direttamente questo popolo, la sua sentita religiosità, lo attaccamento alla miracolosa Madonna della Montagna, come meglio preferiscono chiamarla.
E' questa, la festa che registra una maggiore affluenza di pellegrini, e che più di ogni altra, presenta delle attrattive difficilmente raggiungibili. Ma più ancora è un mistico appuntamento dei pastori, dei cosiddetti massari, di tutta la gente più vicina alla Vergine.
Alla vista di tanti pastori, portanti i più una candida agnella, e dei pifferai in ciocie, modulanti agresti note all'ombra di secolari elci; delle madri, delle spose in preghiera, ci sembra di rivivere visioni d'altre epoche, ore di accentuato misticismo. La Montagna. Si, la Vergine che il popolo tutto proclama a gran voce regina e che ad Essa confida i riposti segreti del cuore. La Madonnina, sul cui altare i montanari formulano, sovente nel grigiore di una serata invernale, una promessa e dove si realizzano molto spesso i sogni più belli d'un amore talora contrastato, fra la rustica gente.
E' il crepuscolo. Nell'aria algente e fortemente ossigenata è un acuto odore di resine. Intorno, e giù da noi, all'ombra di annosi timi è tutta una tendopoli, un esercito di gente, d'ogni età e condizione e dai dialetti più vari ed impensati. Poco discoste da queste intere mandrie di pecore, guidate da una centuria di cani, ed infine i pastori, sorridenti, pacifici, quasi antichi patriarchi.
Chi non conosce questi siti, non può pienamente avvertirne il fascino che da essi si sprigiona, né comprendere sia pure «grosso modo» la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti.
V. VERDUCI
GAZZETTA DEL SUD 3 settembre 1956

 

mercoledì 1 settembre 2021

Anime in tumulto [di Giulio Del Torre - 1941]



Stato dell’Anime di questa Motta Platì
Diocesi di Gerace di quest’anno 1753
Redatto da Don Tolentino Oliva*

Francesco Taliano d’an 36
Carmela Virgara moglie an 36
Antonio figlio d’an. 3
Elisabetta figlia an 6
 
Bernardo Agresta d’an 40
Caterina Catanzariti moglie d’an 44
Domenico figlio an 18
Giuseppe figlio d’an 12
Candido figlio d’an 6
Antonia figlia d’an 10
 
Antonio Barbaro di Francesco d’an 41
Anna Trimboli an 33
 
Francesco Carbone di Antonio d’an 40
Antonia Nacrì moglie d’an 31
Antonio figlio d’an 12
Paolo figlio d’an 2
 
Mastro Giovanni Fera d’an 60
Antonia Romeo moglie d’an 45
Andrea figlio d’an 20 pasquale figlio d’an 16
Domenico figlio d’an 13
Giuseppe figlio d’an 11
Maria figlia d’an 23
 
Nicola Barbaro d’an 90
 
Saverio Zappia d’an 53
Antonia Cusenza moglie d’an 40
Giuseppe figlio d’an 6


* Estratti dal Catasto onciario del 1754
- Don Tolentino Oliva è stato il primo parroco di Platì, era il 1738. Erroneamente il Canonico Oppedisano nella sua Cronistoria della Diocesi di Gerace  gli attribuisce il nome di Francesco (questa nota la devo a Ernesto Gliozzi il giovane). 
- In apertura la cabina della luce appartenuta a don Ferdinando Zappia in attività fino alla metà degli anni '50 del secolo della Bomba Atomica.


 

martedì 24 agosto 2021

La piscina [di Jacques Deray - 1969]


Iniziata anche a Platì
la stagione dei bagni

Platì, 26 luglio
(M. F.) — II forte caldo di questi giorni ha determinato nel nostro centro, un insolito fortissimo afflusso di cittadini verso il piccolo bacino idroelettrico del Ciancio, e altri luoghi del fiume dove l'acqua forma delle profonde polle adattissime per il bagno e per il nuoto.
I bagni fluviali non sono nuovi nella storia del nostro centro: già moltissimi anni addietro c'era l'usanza di fare i bagni nei profondi gorghi del fiume Ciancio e del fiume Sanello.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 27 luglio 1956
 

sabato 21 agosto 2021

Diritto di cronaca [di Sidney Pollack - 1981]


Pipe di radica
rinvenute a Platì

(M. F.) Mentre si eseguivano alcuni scavi In contrada «Stabilimento» di Platì, sono venuti a un tratto alla luce numerose pipe grezze di radica. Non si tratta però, come penserà qualche lettore, di una scoperta archeologica del tipo di quella delle «gragne» rinvenute ad es. a Locri.
Le pipe rinvenute si trovavano evidentemente in una fabbrica di pipe sbozzate, che si trovava in contrada Stabilimento, e che scomparve nella notte dell'alluvione del 1951. Le pipe erano in perfetto stato di conservazione.
GAZZETTA DEL SUD 4 agosto 1956

Cambiato di sede
l'orologio a Platì!

Platì, 20 agosto
(M. F.) - Probabilmente assisteremo in questi giorni al trasferimento dell'orologio comunale e relativa sirena, che sorgevano fino ad ora nel fabbricato della Chiesa Matrice in costruzione, su una apposita
torretta di cemento armato che sarà posta sull'altissimo massiccio di granito che domina l'abitato di Platì, a Nord. Il trasferimento tornerà a tutto vantaggio della visibilità e audìbilità a grandissime distanze dell'orologio e della sirena su mensionati.
Quali siano state le cause del provvedimento non sapremmo dirlo con precisione ma è certo che sull'alta torretta di cemento l'orologio assolverà la sua funzione molto meglio che su quella specie di campanile-nano di cui è purtroppo dotato il nostro Duomo.
GAZZETTA DEL SUD 21 AGOSTO 1956
 
L'erogazione dell'acqua
nelle abitazioni di Platì

Platì, 20 agosto
(M. F.) - A causa del fortissimo caldo della stagione, si era verificato in molte abitazioni del nostro centro il quasi totale disseccamene delie fontane, male alimentate dall'acquedotto comunale.
Con un opportuno provvedimento il Sindaco Zappia ha fatto limitare in tutte le abitazioni il flusso dell'acqua, fino all'indispensabile, in modo che in tutte le abitazioni cittadine scorre adesso l'identico quantitativo di acqua corrente, regolarmente alimentato dall'acquedotto che ha visto nuovamente
pieni i suoi serbatoi.
GAZZETTA DEL SUD 21 AGOSTO 1956
 
Le cronache sono di MICHELE FERA
 
- Della contrada «Stabilimento» si sono perse le tracce,  forse sorgeva a monte della fiumara d’Acone.
- L’orologio e la sirena erano ritornati nel nuovo campanile sorto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60.
 

martedì 17 agosto 2021

Un uomo ritorna [di Max Neufeld - 1946]


Ritorna dagli U.S.A.
dopo mezzo secolo
 
Platì, 1 agosto
(M.F.) E' tornato in questi giorni dagli Stati Uniti, dove si trovava da circa cinquanta anni, il nostro concittadino Saverio Portolesi con la famiglia. Il Portolesi è tornato in patria a bordo della nave «Cristofaro Colombo», arrivata a Napoli proprio lo stesso giorno in cui è avvenuta la tragedia della «Andrea Doria», e proprio su questa nave avrebbe dovuto svolgere, tra qualche mese, il viaggio di ritorno
 
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956
MICHELE FERA
 

giovedì 12 agosto 2021

L'ultimo viaggio [di Malcom St. Clair - 1929]

 Al dramma dell'emigrazione si aggiunge il dramma del disastro dell’Andrea Doria che cola a picco il 26 luglio del 1956.  Gianni Carteri


Emigranti plaliesi sull'«Andrea Doria»

Platì. 1 agosto
(M. F.) Ore di drammatica attesa hanno vissuto le famiglie di numerosi nostri concittadini che si trovavano a bordo della nave «Andrea Doria» il giorno in cui questa è naufragata.
Solo il giorno dopo l'affondamento della nave, i parenti dei nostri sfortunati concittadini hanno ricevuto la notizia del loro... felice arrivo a destinazione
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956

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NON SI HANNO PIÙ' NOTIZIE
Un'intera famiglia di Platì
perita sull'Andrea Doria?
Concettina Sergi si era imbarcata con i 4 figlioletti per raggiungere in USA il marito, che ancora li attende tutti


Platì, 21 agosto
(M. F.) — E' quasi certo, ormai che la famiglia Sergi, partita dal nostro centro e imbarcatasi sull'«Andrea Doria» alla volta degli USA sia perita a bordo della nave. In un primo tempo i Sergi (la madre Concettina Sergi e quattro figli tra gli otto e i quindici anni) erano stati dati per dispersi, e si sperava che si sarebbero fatti vivi, che si fossero trovati su qualche scialuppa sbarcata chissà dove; ma ormai troppo tempo è trascorso e i familiari, straziati non hanno più speranza di rivedere i loro cari.
Le ipotesi fatte sulla tragedia sono tante, ma non si sa quale sia la più fondata: forse i Sergi si trovavano chiusi dentro la cabina la cui porta a causa del potente urto non poté più essere aperta?
Era a bordo dell'Andrea Doria, insieme con gli scomparsi ma in altra cabina, l'Italo americano Sergio Paul, cognato di Concettina Sergi e zio dei suoi figli, il quale si è prodigato con tutti i suoi mezzi per la ricerca degli scomparsi. Ma il fratello Nino, che attendeva allo sbarco la moglie e i figli, ha visto arrivare soltanto lui, disfatto e senza più speranze.
Nino Sergi avrebbe cosi perduto tutti assieme la moglie e i quattro figli. Unico conforto che gli resta, è il figliolo Antonio di venti anni, che era partito per raggiungerlo, qualche mese prima degli altri, e che adesso si trova con lui, come lui inebetito dal dolore.
Il cordoglio di Platì per i concittadini così tragicamente scomparsi è stato immenso: per molti giorni dopo il disastro della grande nave italiana tutti speravano che si trattasse di una falsa notizia, o che i dispersi sarebbero stati ritrovati da qualche parte. Ma adesso la speranza ha incominciato ad abbandonare un po' tutti.
Per tre giorni nelle case dei partenti, i concittadini sono sfilati per le visite di condoglianze.
GAZZETTA DEL SUD 22 AGOSTO 1956
(M. F.) Michele Fera

Nino Sergi al fonte battesimale Rosario Gerardo Antonino, nato a Platì il 10 ottobre 1909, era figlio di Antonio e Anna Velardi. Concettina allo stesso fonte battesimale registrata Maria, nata a Platì il 10 febbraio 1913, era figlia di Giuseppe e Giuseppa Zappia. I due si sposarono felicemente nel duomo lauretano di Platì l’11 luglio del 1936. I figli periti a bordo dell’Adrea Doria il 25 luglio del 1956 con Concettina erano stati tutti battezzati al fonte appena citato: Giuseppe nato il 16 gennaio del 1943; Anna Maria nata il 3 marzo del 1946; Domenica nata il 18 dicembre 1949 e Rocco nato il 20 ottobre del 1952. L’unico superstite Antonio abitante col padre a Mishawaka IN era nato a Platì il 18 novembre del 1938. Fino al 1952 la vita di Rosario Gerardo Antonino è stata un continuo ritorno al paese dove aveva lasciato la moglie; e a testimonianza di ciò sono i figli che venivano al mondo durante questi periodici soggiorni, tanta era la speranza di riunirsi un giorno che ahimè ebbe termine quel tragico 26 luglio a meno di un giorno da New York dove Nino attendeva fiducioso. Come testimoniato da Michele Fera sulla stessa nave viaggiava anche Paul Sergio, battezzato Paolo, fratello di Nino e cognato di Concettina. E oggi sorge spontaneo domandarsi se il viaggio di Concettina e dei quattro figli non sia stato concertato da Nino e Paolo in America vista la concomitanza della venuta a Platì di quest’ultimo. Per inciso Paolo aveva sposato in precedenza la sorella di Concettina, Domenica convertita in Margaret Domenica.

- In apertura un'immagine dell'Andrea Doria posta su un calendario del 1956.

- Della famiglia Sergi si era già scritto qui:

https://iloveplati.blogspot.com/2016/04/italoamericani-reg-martin-scorsese-1974.html
- un accenno al disastro dell’Andrea Doria era apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/03/lagente-confidenziale-reg-herman.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/05/agonia-una-mini-serie-su-plati-di_36.html


lunedì 9 agosto 2021

Il grande cocomero [di Francesca Archibugi - 1993]




DIVAGAZIONI SU DI UN FRUTTO DI STAGIONE

E’ giunto il tempo dei cocomeri

Si mangia si beve e ci si lava la faccia... gridano i venditori del saporoso mellone dinnanzì alle loro caratteristiche bancarelle su cui troneggiano grosse fette porporine



II cocomero pare che sia originario dell'India, ma noi lo avremmo preferito dell'Italia. E sapete perché? Perché ha la buccia verde e, tra questa e la polpa rossa, una striscia bianca, quindi i colori della bandiera italiana. Però possiamo essere contenti lo stesso, perché ne ha avuto la cittadinanza fin dai tempi più antichi; da quando cioè i romani cominciarono ad apprezzarlo per le sue buone qualità nutritive.
Parlare di questo gustosissimo frutto non guasta, anche perché è di stagione e ogni frutto che si rispetti è sempre il benvenuto, dopo che l'abbiamo atteso, e magari desiderato, per un anno intero. Infatti già lo vediamo rosseggiare invitante sulle bancarelle dei Moschetti allestiti a bella posta nelle vie cittadine.
Questo proletario cocomero è particolarmente gradito all'uomo, perché arriva proprio d'estate, a puntino per rabbonirgli l'ugola asciutta e dissetarlo con una succosa fetta zuccherina.
Di quella proprio gigante che pare una caravella di Colombo e che quando si mangia, lava la faccia, disseta e sazia ch'è un piacere...
Il cocomero, per le sue qualità zuccherine, diuretiche e nutritive, è diventato oggetto di vera e propria coltivazione su vasta scala, oramai tanto diffusa in Italia, da offrire un proficuo e attivo commercio.
Particolarmente poi in Calabria, per l'adattabilità del suo ottimo clima, vi sono estese e ricche coltivazioni che danno eccellenti frutti d’un bel rosso acceso, eccezionalmente grossi e saporosi. Infatti: Crotone, Curinga, S. Eufemia Lamezia, Rosarno, tanto per citarne alcuni, sono i centri maggiori di produzione dai quali i frutti vengono avviati in treno, o in autocarro sui vari mercati cittadini. Dove, come dicevamo più sopra, li vediamo sistemati a mucchi sulla paglia, o tagliati a fette falcate e fiammeggianti, bene allineate sulle bancarelle dei tipici cocomerai che si affannano a gridare la loro succosa e dolce mercanzia alla gente che passa: «... Scialativi u cori c'un muluni a prova, duci comu u zuccuru!...».
Questo «slogan» d'occasione, lo smaltiscono senza posa dalla mattina a notte fatta; vociando, scalmanandosi, scegliendo questo o quel cocomero da consigliare al cliente difficile e glielo palleggiano davanti agli occhi battendolo col palmo della mano, facendoglielo perfino crocchiare allo orecchio per garantirgli la perfetta maturazione del frutto...
Oppure tagliano «u tasseddu»  che pare un ombelico mostruoso, da dove però si può vedere il rosso fuoco dell'interno. E s'arrochiscono, gesticolano, sudando le famosissime sette camicie, fin quando non riescono a metterlo in bilancia. Allora con quella vittoria finale, si placano, soddisfatti...
A sentire loro fanno tutto ciò a fin di bene, per deliziare cioè i palati rinsecchiti della gente accaldata e arsa di sete... E forse non hanno torto...
Benvenuto, dunque, al dolce cocomero! Sopratutto perché, umile di nascita, si prodiga con particolare attenzione ad allietare l'umile, cioè il semplice lavoratore, che lo gusta non solo come un saporoso frutto provvidenziale, ma addirittura come se fosse un buon gelato, o che so io, un classico dissetante estivo...
Lo abbiamo definito umile, perché non sa distaccarsi dalla terra, sulla quale rimane adagiato, affezionato e buono, quasi a ripagarla con la sua compagnia per quello che gli dona. E mentre cresce, maturandosi, il pacioccone, fa lunghi colloqui, traendone.... «dolce» saggezza. Ama la terra che gli dà la vita ed essa lo ricompensa, con sincero e caldo amore di madre affettuosa; e lo nutrisce addolcendolo, e lo satura di umori preziosi, spennellandolo perfino, da insuperabile artefice, dei tre graditi colori: verde, bianco e rosso, colori che c'inducono ancora di più a guardarlo con simpatia.
GIUSEPPE CASCIANO
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956



In apertura ciurramiche angurie.
Tennessee Ernie Ford è stato un cantante di country & western, Leo Kottke è n maestro riconosciuto di fingerpicking