Powered By Blogger

domenica 21 marzo 2021

Un dramma per televisione [di Clifford Sanforth - 1935]


Malumore a Platì
per la mancata
ricezione televisiva

Da circa un anno l’antenna ripetitrice di Pietrapennata è entrata in funzione. Nei tempi immediatamente successivi alla sua inaugurazione, constatata l’impossibilità di ricevere da Platì i programmi televisivi, si sparse in giro la, voce di larvatissimi progetti riguardanti la sistemazione di questa zona di ombra. Voci evidentemente molto deboli e assolutamente infondate se a distanza di un anno non se ne è fatto nulla; non solo, ma non se ne parla addirittura per niente, come se Platì non esistesse, e il problema della sua zona d’ombra non fosse degno di essere preso in considerazione.
Che i Platiesi siano cittadini italiani ci sembra non sia da dubitare; hanno infatti gli stessi doveri, non ultimo quello di pagare le tasse (e qui non c’è zona d’ombra che tenga); ci sembra ovvio che debbano‘ godere degli stessi diritti di cui gli altri italiani godono! Se, inoltre, lo Stato monopolizza il servizio televisivo, con tutti i vantaggi che dal monopolio gli derivano, ha l’obbligo di servire tutto il territorio nazionale!
La RAI sembra non rendersi conto di questo, anche se numerosissime altre volte le è stato sottoposto lo stesso problema! Che le serve svolgere le campagne degli abbonamenti, se poi lascia intere zone nell’ombra! Perché non si tratta soltanto di Platì: c’è San Luca per esempio, ci sono altri paesi! E’ una situazione irritante e sconcertante, che va sanata al più presto!
GAZZETTA DEL SUD, 15 luglio 1959

Nota. - Testo senza firma, facilmente attribuibile, visto il tono sarcastico, a Michele Fera.



 




 

venerdì 19 marzo 2021

Sette note in nero [di Lucio Fulci - 1977]

FRANCESCO PORTOLESI
1883-1951




BRICCICHE DI CRITICA

RIVALI (1)

La lotta è tenacemente gagliarda.
E nessuno con freddo indifferentismo assistere a questa pugna vitale, a questa battaglia aspramente acre, che si combatte da anni e ne durerà ancora molti, prima che il sole fulgido della vittoria, spunti sul fosco orizzonte sociale. E’ una tenzone che ha interessato e continua ad interessare tutti, da i letterati e pubblicisti agli uomini eminentemente politici, dai cattolici ai miscredenti, dalla Chiesa allo Stato; è una tenzone che chiederà ancora molte vite, molto sangue, molti martiri. I due eserciti che si contendono palmo a palmo il terreno, dovranno sostenere, chi sa fino a quando, le fatiche penose del campo.
Invano le turbe, anelanti alla pace serena, spingono lo sguardo scrutatore lontano nelle tenebre fitte della notte, aspettano se qualche raggio furti qualche raggio furtivo brilli tra le nubbi gravide di tempesta, se qualche lembo d-azzurro accenni, speranzoso dall’alto. E si rivolgono quasi spaventate, quasi atterrite, dal sinistro bagliore dei lampi di sangue, dal cupo rombare del suono d’ imminente infuriare della tormenta.
Di chi sarà la vittoria? Non è lecito dire. Ambo gli eserciti pugnano con ardore e coraggio grande. Dall’una parte e dall’altra non mancano duci animosi, capitani esperti, che si battono da eroi, per il trionfo del loro ideale.
Quale dunque dei due eserciti, intonerà per primo esultante, il peana sublime della vittoria? L'evento dei fatti ci saprà dire con certezza! A noi, non resta che combattere con coscienza di soldati animosi, a cui tornerebbe sommante ignominioso l’appellativo di codardi.
E la questione sociale per l’appunto, ha dato argomento ad uno dei tanti collaboratori de «La croce di Costantino», di scrivere un grosso ed interessante volume di seicento pagine circa.
(1) Eneleo della croce di Costantino – RIVALI - Tip. Giustiniani – Caltagirone, 1903
 
Eneleo — i lettori questa Volta debbono contentarsi dello pseudonimo, ché la grande modestia dell’autore non gli ha permesso di mettere in capite libri il suo vero nome di battesimo — tratta appunto del socialismo e della d. c. in questo romanzo attraentissimo. Egli ha voluto darci (non per il primo) il romanzo addirittura sociale. E dico giustamente «non per il primo» che, se non m’inganno, questa nuova specie di romanzo, era stata tentata con esito felicissimo, da un baldo cavaliere di giustizia figlio della forte Biella. Il cuore sanguina di angoscia e tumultuano nell’alma, profondamente addolorata i palpiti, che ricordano le memorie blande, al semplice e caro nome di D. Guelpa. Questa speranza nera — come spregevolmente l’avrebbe chiamato l’autore di Anticaglie sentiva, nel vergine animo di giovine ventottenne, tutto l’ardore, e l’entusiasmo d’un degno ministro di Dio, e ci aveva dato Ribelli, dove è tutta ritratta la turba immiserita, che chiede tumultuando «pane e lavoro».
Sfogliando «Rivali» mi è passata, come in un gigantesco cinematografo, tutto il mondo sociale moderno. E non rare volte anzi, mi è toccato di accalorarmi talmente nella lettura, che provavo l’illusione d’essere di fronte agli avversari, in carne ed ossa.
Facilmente si riesce a capire, come deve averle viste e sentite, l'A. quelle scene, per ritrarle al vivo sì magistrevolmente. Egli deve essere davvero un animoso paladino per l'Idea, un entusiasta convinto della d. c., per parlarne con tanto calore. Io, francamente, ho sentito battere, dentro l'animo commosso, quasi tutte le corde di che il cuore umano è capace. Ed ho amato e abborrito, e ho palpitato e pregato, ho avuto fremiti di gioia e parole di odio, con tanti personaggi che mi passarono sotto gli occhi, ritratti con fedeltà grande, con perizia somma; messi in una luce sfolgorante, che ce li fa tutti comprendere, in tutto il loro carattere di ributtante cinismo o di sconfinata simpatia.
Lucio Desmeto è una di quelle creature, che si è quasi costretti ad amare per forza; è una di quelle coscienze moderne tutta virilità ed ardore. Egli, forte della fortezza che viene dalla santità della causa difesa, per nulla cede dinanzi ai nemici malignamente isleali, che vorrebbe ad ogni costo atterrarlo. La sua volontà, dalla tempesta d’acciaio, sa resistere anche di fronte alle vigliacche insinuazioni e alle grette utopie di cattolici che non son cattolici. Ed anche allora che uno dei suoi più cari compagni di lotta - il Gentile - osa, non si sa il perché, battere ritirata, Lucio non si scoraggia per questo. I vinti di oggi saranno i vincitori di domani. No, egli non è di quei cattolici, che si rintanano paurosi nel guscio di vecchie tradizioni, e vedono lo zampino del diavolo in ogni opera moderna. Lucio sente nel cuore, potentemente, la religione del Cristo, e per essa e con essa combatte, colla parola del Vangelo sul labbro e l’amore del Nazareno nel petto. E se il suo cuore è già promesso ad una creatura - Maria Dorsoli - non è un amore terreno il suo.
E' un amore santo, che non gli impedisce punto di combattere sempre, con crescente ardore, per il trionfo della sua nobile Idea.
E per l'Idea, Lucio ha fatto e farà dei sacrifizi grandi; per l'Idea non si risparmierà, a fatiche e dolori; per l'Idea non potrà, né vorrà lasciare il cammino intrapreso, lasciando talvolta brandelli sanguinolenti di vita tra rovi e cardi.
E l'avv. Porro – l’avversario di Lucio e direttore del circolo Marx – non è egli la sintesi del socialismo contemporaneo?
Ed anche egli si batte per il trionfo del suo ideale. Ma il suo non è il valore del soldato coraggioso, tutto fuoco pei nemici della sua patria; è il valore del mercenario prezzolato, cui un acuto desiderio di bottino chiama in battaglia.
Anche egli vorrebbe essere un idealista puro sangue, ma non riesce che un volgare impasto d'immoralità e intrighi; è l’uomo-bruto che non sa fissare il sole, pago soltanto di strisciare sulla palude bruna di tutte le porcherie dei bassi fondi cittadini.
Anche Bista Porro ama Maria, ma di quale amore, ognuno può facilmente comprendere. Né dovranno maravigliarsi i lettori, quando egli, abbandonando circolo e compagni prende il volo per ignoti lidi, unitamente alla moglie di un suo carissimo amico.  Per me, in breve, ne l'avv. Porro, ho trovato ritratta tutta l'indole del socialismo odierno: indole apertamente immorale, antireligiosa e antidemocratica.
Altro personaggio di «Rivali» è Maria. Ella è una di quelle giovani, frutto della società laica, senza fede, senza speranza, col riso beffardo e sprezzante dello scetticismo più torvo. Dopo le varie sventure toccatele, Maria, quasi intravede il sentiero delia fede cristiana. E dico quasi, perché l'A. non la fa convertire del tutto, e il perché non dice; Che forse sotto la snella figura di Maria, l'A. voglia adombrare la società moderna? Ebbene oggi - cosi il padre Maltese - le conversioni sono molto rare, e le plebi, che
attendono dinanzi, alle piazze delle nostre Chiese, non sanno decidersi ancora ad entrarvi, per purificarsi nei lavori salutari della fede.
Altre figure minori del romanzo, ci passano dinanzi agli occhi, per ogni pagina, descritte, o meglio ritratte con mestizia grande: sono anzi delle continue fotografie, tutte nitide, tutte luminosissime. Vi sono pagine davvero belle, bellissime proprio, che lasciano un solco grave nel cuore di chi legge e rivelano nell'A. un psicologo profondo. A lui un evviva di cuore, e un augurio sincerissimo.
Lo vorrei, dare ai lettori in saggio, ma mi trovo alquanto imbarazzato nella pelle, fra tante pagine di prosa smagliante ed incisiva. E però - conchiudo col medesimo padre Maltese - li consiglio a prendere fra le mani il volume, per gustarne tutte le bellezze e giudicarne con sincerità, se noi non abbiamo trovato in esso il nostro romanzo sociale.
FRANCESCO PORTOLESI
LA SCINTILLA QUOTIDIANO DELLA DOMENICA  ANNO V – N. 7  Matera 14 febbraio 1904


NOTA - Dubito che questa pubblicazione la leggeranno in molti, per questo sono ricorso all'immagine d'apertura di Giuseppino Mittiga medico chirurgo. Come difficile è stato scoprire l'autore dei libri recensiti dal quasi prete successivamente segretario, Francesco Portolesi: Mario Sturzo (1861-1941) vescovo di Piazza Armerina EN, fratello del più noto Luigi.   

mercoledì 17 marzo 2021

Totò cerca casa [di Monicelli e Steno - 1949]

Bovalino 2 Luglio 1877
Amatissimo Sig.r cognato
Vi dono notizia che la casa è trovata sotto questa marina, e propriamente e un magazzino del Sig.r Longo, ma con le condizioni, cioè il magazzino e disposto dal giorno dieci di questo , e intende essere ivitato dal fumo, e per paga al giorno e di Cent. 75, e che disposto per venti giorni, o meno, che vi bisogna.
Vi prego farmi conoscere se resta per voi, o pure negativa, perché il Sig.r Longo l’attende subito la risposta se poi non vi sodisfa il detto basso, il Sig.r Caltapietra tiene una casa vota che con la vostra venuta vi potete provare, che io ho dato parola se vi sodisfa
Non altro che dirvi e mi resto baciandovi la mano, mi dico
Vostro aff.mo Cognato
Giuseppe Arcuri


Lettera di Giuseppe Arcuri di Bruno marito di donna Elisabetta Gliozzi di don Giuseppe al sacerdote Filippo Gliozzi.

 

lunedì 15 marzo 2021

A Dio piacendo [di Filippo Altadonna - 1996]


Carissimo don Ernesto
Ancora grazie della tua accoglienza fraterna e della possibilità della magnifica esperienza della missione mariana pasquale di Platì. Mantengo un ottimo ricordo di quelle giornate e ricordo tutta la comunità parrocchiale nella preghiera.
Ti restituisco l’Assegno perché la Banca non me l’ha accettato in quanto non trasferibile.
Ti auguro di ristabilirti completamente in salute. Ci vedremo, a Dio piacendo, a Posi: sarà una grande gioia per me.
Saluto cordialmente tua sorella Amalia, così brava in tutto, e tutti gli altri tuoi familiari, così pure le attive e fedeli Suore.
A te un abbraccio fraterno e riconoscente.
Aff.mo P. Stefano De Fiores
Roma, 24 – 4 - 1981

In apertura il P. Stefano De Fiores 1933 - 2012

 

sabato 13 marzo 2021

È permesso maresciallo? - Blood Brotherhoods

(…) non si può non ricordare che la memoria popolare ci ha tramandato come figura simbolo della repressione fascista contro la malavita calabrese quella del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino. Complici lo zelo del figlio Antonio497 e un veloce accenno in un racconto di Corrado Alvaro498, si è costruita di lui un’immagine leggendaria e singolare: profondo conoscitore dei paesi aspromontani, sembra, infatti, battesse la campagna travestito da pastore per mimetizzarsi e scovare i latitanti, guadagnandosi il soprannome di “Massaru Peppi”. Giuseppe Delfino non era iscritto al PNF e, dal modo in cui se n’è tramandata la memoria, i suoi arresti sembrano più iniziative individuali che misure repressive inserite in un più ampio contesto di lotta contro la criminalità. Ciò ha creato nell’immaginario collettivo l’idea di una figura eroica, ma anche controversa, come traspare, per esempio, dal famoso episodio secondo il quale “Massaru Peppi”, nel 1940, avrebbe preso accordi con il boss della Locride, Antonio Macrì, affinché non si verificassero incidenti durante i festeggiamenti della Madonna di Polsi, tradizionale momento di riunione dell’intera Famiglia Montalbano e di esecuzione delle sentenze del tribunale di Omertà. Giuseppe Delfino, dunque, sembrava più uno sceriffo che coordinava e gestiva la pubblica sicurezza con iniziative individuali e contingenti che un uomo delle istituzioni. Lasciando da parte la leggenda e i racconti popolari, e basandoci sui pochi documenti a disposizione, viene fuori che Giuseppe Delfino fu sicuramente attivo nelle indagini che portarono alla scoperta delle associazioni a delinquere della Locride e della zona di Platì, ma altre figure, come e più di “massaru Peppi”, sono state protagoniste dell’azione repressiva del periodo fascista, senza, però, sviluppare alcun profilo pubblico.

(…)

il maresciallo Giuseppe Delfino, “massaru Peppi”, nel 1940 prese accordi con la picciotteria per evitare spargimento di sangue nei giorni della festa della Madonna di Polsi; il referente criminale di questo accordo fu proprio il boss di Siderno, che in cambio ottenne la certezza di una certa impunità. Fu in quegli anni che Antonio Macrì si arricchì notevolmente, gestendo il racket delle protezioni e il mercato nero nella locride.

PER SAPERNE DI PIU’

 - Antonio Delfino, Gente di Calabria, presentazione di Saverio Strati, Editoriale progetto 2000, Cosenza 1987, pp. 13-17.
- Corrado Alvaro, Il canto di Cosima, in Id. L’amata alla finestra, Bompiani, Milano 1958.
- Cfr. Giovanni Melardi, Massaru Peppe sequestra il codice della “ndrangheta”, in «Parallelo 38. Settimanale politico d’attualità», n. 3, a. XII, Reggio Calabria, 27 gennaio 1973, pp. 16-17. Enzo Ciconte, Ndrangheta dall’unità a oggi, cit. pp. 231-236.
- Corrado Stajano, Africo. Una cronaca italiana di governanti e governati, di mafia, di potere e di lotta, Einaudi, Torino 1979, pp. 37-38. Cfr. anche John Dickie, Blood Brotherhoods, pp. 346-349.
- Vasta associazione a delinquere, «Cronaca di Calabria», 08 dicembre 1927. Da Platì. Un maresciallo dei carabinieri che si fa onore, «Gazzetta di Messina e delle Calabrie», 03 aprile 1927.  
- Il profilo criminale di Antonio Macrì è ricostruito nella sentenza del Tribunale di Locri emessa contro gli affiliati tratti in arresto in occasione del summit di Montalto del 1969, interrotto dall’irruzione della polizia.La mafia a Montalto. Sentenza 2 ottobre 1970 del Tribunale di Locri, Reggio Calabria. 1971. Su Antonio Macrì si veda anche John Dickie, Blood brotherhoods, cit. pp. 356-358 e sulla sua attività nel secondo dopoguerra cfr. i vari riferimenti in Id. Mafia Republic..   

Fabio Truzzolillo, Fascismo e criminalità organizzata in Calabria, Scuola di Dottorato in Storia, Orientalistica e Storia delle Arti, Università di Pisa, seduta d’esame 23/10/2014.

http://www.icsaicstoria.it/wp-content/uploads/2019/02/Truzzolillo-TESI-Fascismo-criminalit%C3%A0-organizzata-Calabria.pdf

 

mercoledì 10 marzo 2021

YOUNG AMERICANS [di Danny Cannon - 1994]




Platì, giugno 1960, i giovani Tripepi di Mishawaka IN in vacanza.

 

martedì 9 marzo 2021

Il cavaliere implacabile [di Allan Dawn- 1954]


Il cavaliere Trifala, podestà del paese teneva banco al circolo dei nobili. La serata afosa aveva riversato sul marciapiede i radi e scelti avventori assisi su seggiole di vimini. Nel circolo era rimasto soltanto Scevola a preparare scirubette di neve con sciroppo di more. La neve l’aveva portata Mico Scampagno dalla niviera di Misafumera con la mula bizzarra a cui aveva legato sulla coda un fiocco rosso come segnale... stradale. Con una scalciata, Don Matteo, guardia campestre era stato messo al tappeto. Ora, alla fine di una avvampata controra, usciti da palazzi patrizi si trovavano seduti a semicerchio a parlare dei destini della patria e della mosca olearia. 
In paese si respirava un clima diverso. 
I primi reduci erano tornati dalla prigionia. Si formavano le camere del lavoro e monsignore, con l’eterno cappello a tre spicchi con pompon viola, organizzava l’azione cattolica. Quella sera al circolo, come d’incanto, c’erano tutti. Il vecchio conte declassato dai pignoramenti e dalla sifilide, Don Giacinto lo speziale che preparava purghe su ordinazione anzi su prescrizione del cavaliere Trifala. Una vecchia radio «Allocchio Bacchini», grande come un armadio gracidava bollettini di guerra mentre mastro Pasquale l’anarchico dall‘altra parte della piazza al numero degli aerei dell’Asse abbattuti ripeteva sul filo delle labbra; pochi, sempre pochi! Trifala teneva conversazione. Amico di un grosso gerarca era diventato il despota della zona. I rapporti aumentavano ogni giorno sui tavoli dei gerarchi ed i comandanti la stazione dei carabinieri duravano lo spazio di un mattino.
Di notte andava personalmente a controllare in una fetida baracca di ex terremotati del 1908 due operai antifascisti piombati dal nord per il soggiorno coatto. A Reventino fu destinato Massaro Peppe. Le lettere anonime infoltivano il tavolo. I carabinieri non avevano tregua.
Ma quella sera afosa d'agosto dal vicolo delle Monache sbucò un uomo mascherato che assestò con un nodoso bastone un preciso fendente sul capo di Trifala. 
La testa si apri a melograno. Un fuggi fuggi generale. Il vecchio medico Zucco mentre iniziava a suturare le ferite fu interrotto dall'arrivo di Massaro Peppe che provvide a reggere il lume a petrolio tra i lamenti del cavaliere.
In paese la notizia si sparse come un baleno. II commento più benevolo era «finalmente hanno rotto la cornatura al cavaliere». I giovani avanguardisti con il fazzoletto azzurro ed il medaglione con la scritta «se avanzo seguitemi» tennero un raduno dopo aver riempito le
giberne di frutta rubata nell’orto del povero Ceo. Mastro Pasquale al suono della «Comparsita» da un vecchio grammofono, ingurgitava sulla soglia l'o1io di ricino. Tutto 
d’un fiato e senza tapparsi il naso. Iniziarono le indagini. 
Arrivarono i panciuti gerarchi e venne pure i1 procuratore dei re accompagnato da don Pietrino, il cancelliere. Ma non c’era nulla da verbalizzare. Con scrittura a svolazzi sul fascicolo si scrisse come un’epigrafe: ad opera d'ignoti. 
Le lettere anonime finirono d'un colpo ed il podestà smise gradatamente di occuparsi di politica anche perché le sorti dell‘Impero volgevano al termine. I vecchi fascisti aspettavano i cambiamenti per tornare a comandare sotto l‘egida dei partiti.
Dalia camicia nera al saio intero.
Vent‘anni dopo, a Platì, arriva un generale dei carabinieri. Massaro Peppe è sindaco. L'alto ufficiale che da capitano si era interessato del «caso Trifala» disse all'ex brigadiere: “Nella tua carriera hai scoperto tutti i casi più difficili tranne l’attentato al podestà». 
Ed il Massaro Peppe di rimando: «1a testa al podestà gliel’ho rotta io!».
«E l’unica volta rispose il generale — che non ti posso proporre per un encomio».
ANTONIO DELFINO 

NOTA. Tra nomi veri e inventati, la scena platiese durante il ventennio nero è ben tratteggiata, senza risparmio di frecciate dirette. C'è da chiedersi se nel Trifala podestà, Delfino figlio non alluda a Francesco Perone che dominò quella stessa scena per qualche tempo.

 

lunedì 8 marzo 2021

Donna di rispetto [di Enzo Acri - 2018]


I versi
Sono- di E. Gliozzi ed hanno per titolo:

MARIA DI MAGDALO  
(A l’amico D. Pasquale Lentini)

Quando, sereno - quale un Nume il biondo
Rabbi acclamato da la turba fu,
Corse la voce pel Giordan fecondo
Narrante la sua fama e la virtù.
  Osannando dicea la turba: Il figlio
  Di Davide tra noi comparve già
  Ha nobile lo sguardo, e non cipiglio,
  Ha pieno il labbro di soavità
Ed il Rabbi marciava a la conquista
De’ cuori, predicando la virtù;
Una donna lo vide, a prima vista,
Lo conobbe da lungi: Ecco Gesù.
  Su gli omeri la chioma in quel momento
  La peccatrice donna abbandonò;
  E l`occhio - pieno di faville - spento,
  Umile, a terra_ - vindice - appuntò.
E allor che la casa di Simone
A la mensa s’assise il buon Gesù,
Quella donna comparve. Ed il suo nome
Era d’infamia, e la sua vita più....
  Ma ciò non monta; ed ora il suo presente
  E’ costrizione, massima, umiltà....
  Il divino Maestro dolcemente
  Le dice: Donna, ti perdono, va....
 
 LA SCINTILLA GIORNALE DELLA DOMENICA ANNO IV – N. 31  MATERA 23 AGOSTO 1903
 



 

domenica 7 marzo 2021

Treni strettamente sorvegliati [di Jiří Menzel -1966]



ANCORA UN APPELLO ALLE AUTORITA’ INTERESSATE
L’elettrificazione della linea jonica
Un’aspirazione ormai troppo vecchia
Per i centri della Calabria tirrenica sta già realizzandosi il sogno 
del doppio binario per le popolazioni dei centri oltre Reggio, 
invece, ancora le vecchie “caffettiere”

Platì, 15 marzo
Com'è noto gli abitanti della civilissima riviera jonica, sono costretti a spostarsi con la velocità delle lumache sulle rotaie della linea che congiunge Reggio, Locri, Riace eccetera.
Spostarsi per i propri affari con la velocità delle lumache non sarebbe poi il peggio, il peggio sono le conseguenze della velocità predetta: i trabalzoni e gli scossoni poderosi che affliggono il malcapitato viaggiatore per tutta la durata delle corse; le lunghe fermate a tutte le stazioncine possibili e immaginabili, qua per incrociare con un altro lentissimo convoglio, che non arriva mai, là per rifornire di acqua le vecchie caffettiere che con molta fantasia sono state adibite a locomotive. Si impiegano tre ore, spesso quattro, non di rado cinque o sei, sdraiati e sballottati sugli scomodissimi sedili di prima o di seconda classe (forse le F. S. hanno creato i sedili delle loro vetture per delle indossatrici tanto hanno fatto gli schienali severamente perpendicolari ai rispetti “dessoux”!) per scoprire, dopo lo scioccante carosello, che si sono coperti ottanta o novanta chilometri.
Per i paesi della Calabria Tirrenica, sta già realizzandosi il sogno del doppio binario. Per noi ci sono soltanto le vecchie caffettiere che ci manda il Nord munito di elettrotreni.
Un vantaggio forse c'è a viaggiare con le locomotive a vapore: si gusta meglio il paesaggio; diremmo anzi che lo si gusta fino alla nausea. Altri vantaggi: ci si sente molto pittoreschi. Specie quando, scesi dal treno, ci si accorge che i vestiti hanno abbandonato il loro colore primitivo per assumere quello, molto più “chic” del nerofumo. - Poi ci sono gli imprevisti che spezzano la monotonia del viaggio: per esempio, quando uscite da una galleria, in nove casi su dieci c'è nella vostra vettura un novellino che grida: “al fuoco, al fuoco!”, credendo causate da un incendio le innocenti fumate che la locomotiva vi ha affettuosamente inviato attraverso la volta del tunnel!
Gli emozionanti tunnels della linea Jonica!!!
In quei brevi istanti di buio assoluto, succedono le più poetiche cose. Scappatelle “lampo” che si concludono il più delle volte con ceffoni che superano il fragore delle ferraglie.
E la luce non c’è? Si chiederà qualcuno. -
Evidentemente, o gli accumulatori sono mattacchioni, o sono esauriti, o bisogna conservarli integri, perché vadano a illuminare linee meno scalcinate della nostra. Comunque, bisogna riconoscere che così è molto più emozionante.
Avete mai visto un treno fermarsi perché qualcuno chiede un passaggio? Siamo convinti che se le cose procedono di questo passo, lo vedremo fra non molto, sulla linea Jonica.
Della elettrificazione della linea jonica si parlava già ai tempi di Matusalemme; non è improbabile che quest’ultimo si sia occupato personalmente del progetto, in questo caso, siamo portati a credere che Matusalemme sia stato un bel jettatore.
Scherzi a parte, sarebbe ora che le Ferrovie dello Stato si mettessero finalmente di fronte a quello che costituisce un loro preciso dovere. Siamo contribuenti come tutti gli altri italiani e abbiamo il diritto di vedere funzionare i servizi pubblici
Oltreché alla "convenienza” di elettrificare la linea jonica si dovrebbe guardare, anche e soprattutto alla comodità. della tutt'altro che ristretta cerchia di viaggiatori.
Certo che se i servizi della linea jonica funzionassero bene, su un binario doppio, e con la corrente elettrica, i cittadini preferirebbero i treni alle automobili pubbliche.
La nostra, più che una protesta, vuole essere un’istanza perché sia posto fine alla inconcepibile situazione che si protrae ormai da troppo tempo, e che da troppo tempo ostacola il progresso economico dei civilissimi paesi dell'Jonio. Tale istanza è sottoscritta da tutti i calabresi e senza dubbio da tutti i buoni italiani.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 16 Marzo 1957

Nota. La vaporiera in apertura è ferma a Bova Sup.





giovedì 4 marzo 2021

Wedding Party - pecorai e bracciali

01.04.1824 = Cutrì Giuseppe di Domenico - Barbaro Elisabetta di Carmelo

Quando Giuseppe Cutrì, pecoraio, si presentò davanti all’altare aveva diciannove anni e per quei tempi era ancora un minorenne. Figlio di Domenico, anche lui pecoraio, e Francesca Alleva abitava al vico Vallone. Giuseppe era nato il 20 febbraio del 1805. Elisabetta Barbaro di un anno più grande di Giuseppe era invece una maggiorenne ed era nata il 13 giugno del 1804 da Carmine, pecoraro, e Rosa Campiti, abitanti “ia Cresiola”. Mentre Giuseppe per il matrimonio il consenso di entrambi i genitori Rosa aveva solo quello della madre essendo premorto il padre. La notifica del matrimonio era stata affissa sulla porta del Casa Comunale nei primi giorni di febbraio dello stesso anno. Davanti al sindaco Domenico Oliva erano presenti anche: Rosario Papalia di anni quarantotto, proprietario; Michele Oliva di anni ventidue, civile; Pasquale Romeo di anni trenta tre, bracciale e … il ben noto a queste pagine Filippo Tripepi. In chiesa con il lauretano parroco apposero la firma Michele Paplia e Domenico Morabito.

 

14.07.1824 = La Zoppa Pietro - Marcellino Elisabetta

Pietro La Zoppa era di Messignadi e Elisabetta Marcellino di Careri. Figlio del bracciale Francesco ed Elisabetta Staleri il primo; di Giuseppe e Anna Callipari la seconda. Pietro ventunenne domiciliato nel paese d’origine, Elisabetta diciassettenne orfana di padre era domiciliata con la sola madre nel corso San Nicola. Le notifiche de matrimonio apparvero agli ingressi delle Case Comunali di Platì e Careri nel maggio precedente. In chiesa erano accanto agli sposi Antonio Zappia e Giuseppe Catanzariti; in Comune: Rocco Mittica bottigaio di anni cinquanta; i falegnami Antonio Calabria di anni quarantacinque e Giuseppe Antonio Caruso di trentacinque anni; il bracciale Pasquale Romeo trentaseienne. A parte il sindaco erano tutti senza alfabeto. 

26.07.1824 = Taliano Francesco di Bruno - Treccasi Elisabetta di Domenico

Francesco Taliano di Bruno ed Elisabetta Carbone era nato il 2 ottobre del 1803 e faceva il pecorajo. Elisabetta Treccasi di Domenico e Francesca Mavrelli era nata il 3 gennaio del 1802. Al momento del matrimonio la sposa mancava di entrambi i genitori e lo sposo del padre. La notifica del matrimonio apparve sulla porta della Casa Comunale appena venti giorni prima. In Comune con loro c’erano gli immancabili Filippo Tripepi e Pasquale Perri affiancati dal forese di anni trentaquattro Domenico Di Marco e da bracciale Pasquale Romeo di anni trentasei. In chiesa le firme le apposero il Sig. Giuseppe Mittiga e Don Francesco Zappia.

Viene il sentore che  Filippo Tripepi e Pasquale Perri stazionassero volentieri nella Casa Comunale ricavando per le loro testimonianze se non qualche ducato almeno un bicchiere di vino.

In apertura un ritaglio dello sposalizio Maria e Giuseppe del Giotto. Agli sposi è dedicata questa canzone di un gruppo molto seguito sul finire del secolo passato.